Rassegna stampa 10 marzo

 

Giustizia: transessuali detenuti, abbiano la possibilità di scegliere...

 

Agenzia Radicale, 10 marzo 2006

 

Il problema dei transessuali in carcere. La Spagna, anche in questo, ha fatto un passettino avanti prima di noi. E la cosa, a questo punto, non fa certo più notizia. Vale la pena, però sottolineare che, in Italia, la questione, delicata, ha da più di un decennio accarezzato le scrivanie di chi di dovere, tramite carte, appelli, progetti provenienti dalla penna e dalla voce di educatori, cappellani, agenti penitenziari, assistenti sociali e altresì detenuti. Da un decennio si sottolinea come la scelta di destinare i detenuti transessuali in carceri maschili in reparti frequentati, quindi, esclusivamente da uomini, per quanto secondo normativa con tutte le accortezze atte a tutelare il massimo di discrezione e privacy (solitamente un cancelletto divisorio tenuto aperto quasi tutto il giorno), non tiene conto delle tanti dinamiche emotive, giuridiche che caratterizzano il rapportarsi di queste personalità con il resto della comunità carceraria. E che per queste e molte altre ragioni debba considerarsi, quantomeno, inappropriata. Se non, più realisticamente, devastante.

Numero 1: il carcere non riconosce la transessualità. Al detenuto transessuale ci si rivolge sempre al maschile. A dispetto della sua identità e personalità, completamente femminili, l’assenza di un’istituzionalizzazione del genus lo condanna a una classificazione penitenziaria come "uomo" e a una galera che, oltre alla privazione della libertà, prevede la moltiplicazione delle vessazioni e delle discriminazioni a suo carico. Risultato:Il numero dei transessuali detenuti suicidi è in proporzione altissimo come altissimo, sempre in proporzione, il numero dei detenuti transessuali quotidianamente dediti all’autolesionismo. Come altissimo è il costo umano di personalità, sicuramente più fragili, intimamente e psicologicamente distrutte da questo brutale trattamento irriguardoso e disprezzante di un’identità sessuale.

Destinare il transessuale detenuto in un carcere femminile potrebbe/dovrebbe essere un piccolo momento di maggiore garanzia per il rispetto della sua personalità. Ma, ripetiamo, solo un piccolo passo. Perché la questione transessuale e specificamente il loro avvio alla "devianza" ha un suo centralissimo problema che meriterebbe ben altro tipo di soluzione. Il campione statistico a nostra disposizione, infatti, dice chiaramente che il "percorso criminale" del transessuale è segnato dalla sua disperata rincorsa al denaro sufficiente per approdare all’operazione per cambiare sesso. È un percorso che comincia molto spesso con la prostituzione, succedaneamente con lo spaccio di droga. Un investimento nel piccolo crimine per poter ritrovare la propria identità sessuale. Un costo sinceramente troppo alto. Forse, allora, bisognerebbe intervenire in maniera diversa. Una nuova legge, forse. Un potenziamento delle strutture di supporto scientifico. La possibilità di accedere gratuitamente all’intervento. Scelte giuste, opportune, forse anche convenienti. In attesa, sempre, che si faccia il primo piccolo, piccolo passo.

Vicenza: "carcere a scuola", comincia con "giustizia italiana"

 

Giornale di Vicenza, 10 marzo 2006

 

"Carcere a scuola", legalità sui banchi delle classi delle scuole superiori cittadine. Le lezioni si svolgono nella sede del liceo classico cittadino di Motton San Lorenzo, al pomeriggio dalle 14,30 alle 16,30, e vedono la presenza di alcune classi dello stesso Liceo Pigafetta e dell’istituto tecnico commerciale Fusinieri.

Prosegue così il progetto "Carcere e scuola" proposto dal CSI di Vicenza grazie all’appoggio di "Progetto Carcere 663", l’associazione capofila per l’attività dei comitati veneti del Centro Sportivo Italiano in carcere a Verona, Vicenza e Padova.

La prima lezione sarà tenuta dall’insegnante Maurizio Ruzzenenti, presidente di Progetto Carcere 663 che illustrerà ai ragazzi per sommi capi il funzionamento della giustizia in Italia e in particolare il funzionamento dei luoghi di detenzione e pena.

Martedì 21 marzo sarà la volta del magistrato Angela Barbaglio e di un ispettore di polizia penitenziaria che completeranno il discorso introdotto da Ruzzenenti: accenneranno al processo penale e alle diverse situazioni che si vengono a creare nel momento in cui l’individuo è privato della sua libertà. Infine martedì 28 marzo e successivamente giovedì 30 marzo si svolgeranno due conferenze che vedranno la presenza di alcuni detenuti accompagnati da agenti di polizia penitenziaria, dal cappellano del carcere di San Pio X e da volontari che prestano servizio in via Dalla Scola a Vicenza. Sarà l’occasione per raccontare ai ragazzi la realtà della casa circondariale berica. Il progetto Carcere e Sport però non si limita solamente a lezioni e conferenze sul tema della legalità: con la buona stagione cominceranno anche le partite di calcio in carcere che coinvolgeranno i ragazzi maggiorenni delle scuole superiori. Negli anni scorsi hanno calcato il campo da calcio interno del San Pio X squadre composte da studenti dell’ultimo anno dell’Itis Rossi, dell’Istituto per geometri Canova, dell’Istituto alberghiero Artusi di Recoaro, e del Liceo classico Pigafetta.

Il Centro Sportivo da parte sua anima diverse attività a favore dei detenuti: due insegnanti di educazione fisica realizzano corsi di ginnastica nella palestra interna, e la squadra all star del campionato dilettanti entra una volta al mese per una partita nell’ora d’aria. Infine i detenuti in semilibertà vengono invitati periodicamente dai gruppi sportivi ad incontri organizzati per far conoscere alle comunità locali la realtà del carcere.

Salerno: muore Vito De Rosa, graziato dopo 50 anni di carcere

 

La Stampa, 10 marzo 2006

 

È morto ieri Vito De Rosa, 79 anni, l’uomo che per oltre trent’anni è rimasto chiuso in carcere e per venti nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli condannato per parricidio, reato commesso all’età di 17 anni. De Rosa è morto libero, dopo aver ottenuto la grazia dal presidente della Repubblica Ciampi il 13 ottobre del 2003, su proposta del ministro della Giustizia Roberto Castelli. La sua storia commosse l’opinione pubblica. La vicenda risale agli anni Cinquanta. Il luogo della tragedia Olevano sul Tusciano, piccolo centro agricolo sui Monti Picentini, nel salernitano. Vito uccise il padre a colpi d’ascia, dopo anni di un rapporto fortemente conflittuale. Molte le attenuanti, Vito rese piena confessione, ma i giudici furono inflessibili. De Rosa fu condannato all’ergastolo. In parte scontato in anni d’inferno in un manicomio criminale e in parte in carcere. In cinquant’anni De Rosa aveva perso l’abitudine a qualsiasi forma di rapporto sociale. In mezzo secolo di prigionia Vito ha ricevuto in carcere poche visite. Lui stesso rifiutava qualsiasi contatto con il mondo libero. Negli ultimi tre anni di prigione, con il supporto di medici e psicologi, era riuscito ad instaurare un rapporto anche con i famigliari. Poi la grazia di Ciampi che Vito De Rosa accolse con incredulità.

Caltanissetta: in carcere per 15 anni, scambiato per un killer

 

Il Messaggero, 10 marzo 2006

 

"L’orologio segnava le 16.30 dell’11 settembre 1990. In caserma, i carabinieri mi dissero "sei un killer, lavori per i Sanfilippo, tu hai ucciso Clemente e Felice Bonaffini, abbiamo un testimone, ti ha visto sparare tra gli ulivi". Mi scappava da ridere e contavo di tornare a casa in un paio d’ore. Avevo 20 anni e la coscienza pulita. Invece quella sera entrai in carcere, ci sono rimasto per 15 anni. Sono rincasato nei giorni scorsi".

Visto da fuori, il carcere non sembra averlo scalfito. Giampaolo Ragusa, 35 anni, riconosciuto innocente dopo una condanna all’ergastolo e 15 anni rdi carcere, ha occhi chiari ed un sorriso accattivante. Preferisce raccontare "una serie di errori giudiziari" ed incidentalmente la sua storia. "Dopo l’accusa di avere sparato ai Bonaffini, padre e figlio, mi fu contestato un altro assassinio della faida, quello di Pasquale Varsalona, dell’89. Alla fine dei processi mi trovai sepolto da due condanne definitive, una all’ergastolo, l’altra a 28 anni. Con l’aggiunta di un anno di isolamento. Che fu terribile. Non mi sono spappolato, ho resistito. Pensavo che il tempo sarebbe stato galantuomo. Ho agguantato tutto quello che il carcere offriva: studio, lettura, sport, cinema, teatro. Avevo la licenza media all’ingresso, ne sono uscito con il diploma di geometra. Ricordo con gratitudine i docenti, "sei un ragazzo meraviglioso", mi dissero alla fine. Significa tanto se tutto il resto della struttura di tratta come spazzatura umana". Per onorare la convinzione di quanti come Ragusa lo ritengono "galantuomo", il tempo fece nel 1995 ricorso ad un’astuzia. Posti con le spalle al muro dalle accuse e per evitare l’ergastolo, due fratelli mafiosi, Salvatore e Calogero Riggi, di Riesi, decisero di "collaborare". Elencarono al Pm gli omicidi che avevano eseguito, includendovi quelli per i quali Ragusa scontava il carcere. All’obiezione che per due Bonaffini ed un Varsalona c’era già il colpevole, i Riggi replicarono: "Questo è affare vostro".

"Radio carcere, a Volterra - racconta Ragusa - mi diede la buona notizia. Non feci salti di gioia, nessuna illusione, ma un tentativo andava fatto. Scrissi all’avvocato Agata Maira, sapevo che si era occupata di vicende legate ai Riggi. Accettò di studiare le prospettive di due processi di revisione. La mia vita ha avuto un biglietto di andata ed uno di ritorno, questo secondo l’ha staccato lei". Partì così il lungo iter della revisione. Il 14 dicembre 2005 la Corte d’appello di Catania decise favorevolmente. "Ragusa non riuscì ad uscire quel giorno stesso - racconta l’avvocato Maira - il carcere non volle mollarlo nonostante il fonogramma della Corte. Sul suo fascicolo personale c’era la frase di rito: fine pena mai".

"Mi lasciarono andare il 15 alle ore 18 - dice Ragusa - non mi aspettava nessuno. Non avevo detto nulla a casa. Non volevo illudere mio padre, mia madre, mia sorella e mio fratello. Telefonai ad un amico, mi venne a prelevare. Ho bevuto il primo caffè da libero nel bar di Mazzarino. Non mi riconoscevano, io ho abbracciato gli amici, "tutti sapevamo che eri come Cristo in croce", mi dissero. Nessuno mi ha mai chiesto scusa, la loro gioia mi ha ripagato. Poi ho telefonato a mia sorella, tra due minuti sono a casa, stai vicina a mamma e papà, preparali, le ho detto. I miei genitori mi hanno abbracciato, mamma ha detto la cena è pronta".

Scavarsi dentro per Ragusa è doloroso, non sa nasconderlo. "In udienza la madre e moglie dei due Bonaffini non mi guardò in viso, ma disse "è stato lui, l’ho visto tra gli ulivi". Le scrissi una lettera dal carcere, lei del resto aveva dichiarato a verbale di non avere riconosciuto l’assassino. Penso che il dolore possa generare una voglia di rivalsa che prescinda dall’esercizio di giustizia, accontentandosi di una vendetta cieca. Ma credo che questa mia storia offra spunti di meditazione al giudice: il dubbio deve restare a favore dell’imputato".

Riacquistata la libertà, il killer innocente ha cominciato a lavorare nell’impresa edile del fratello, ristrutturazioni e piccole costruzioni. "In carcere - racconta - mi sono fatto una cultura, anche sull’uso del Pc nella progettazione. Sono riuscito a metabolizzare l’istituzione. Altri non reggono. Ricordo compagni di pena che hanno scelto il suicidio. Nel 2005 l’America ha giustiziato 60 condannati. Nello stesso anno 57 detenuti italiani si sono dati la morte. Sono cifre sulle quali non è possibile chiudere gli occhi". Tutto finito allora? "No, resta qualche piccola pendenza - spiega Ragusa - devo ottenere la cancellazione di un obbligo di soggiorno in paese, conseguenza delle condanne. Pensavo fosse automatica, non è così. Ero recluso in prigione, lo sono ora a Mazzarino. Poca cosa, ma per me importante. Amo una donna, lei non lo sa. Voglio una famiglia mia. Mi dichiarerò solo quando sarò del tutto uomo libero. Poi chiederò un risarcimento impossibile allo Stato: chi può ridarmi gli anni più belli della vita?".

Forlì: imprese, carcere, coesione sociale... azioni in corso

 

Martedì 14 Marzo 2006 ore 14.30

Provincia Forlì Cesena

P.zza Morgagni 9 - Forlì

 

Comunicato Stampa, 10 marzo 2006

 

Le "azioni in corso" sono riferite all’iniziativa comunitaria Equal Pegaso, promossa dal capofila Téchne Forlì Cesena e, su Forlì Cesena, dall’Amministrazione provinciale che si propone di innescare un nuovo approccio sociale al carcere e al fenomeno della pena. Con l’apertura e il sostegno del mondo del lavoro e della comunità locale, il progetto accompagna le persone nell’affrontare il reinserimento produttivo, superare l’isolamento sociale, ridurre i rischi di rientro nella criminalità. Le azioni coinvolgono i territori di Forlì Cesena, Bologna, Ferrara su tre versanti: il coordinamento istituzionale, le nuove forme del lavoro e dell’impresa, la comunicazione sociale. Per diffondere ed informare la cittadinanza e gli operatori sull’avvio delle "azioni locali" su Forlì Cesena, martedì 14 Marzo 2006 alle 14,30 si terrà un seminario pubblico nella Sala del Consiglio della Provincia di Forlì Cesena P.zza Morgagni 9.

A partire dalle testimonianze dirette di alcune imprese che hanno dato lavoro alle persone in esecuzione penale, si vuole restituire l’esperienza concreta di cosa significa l’inserimento sul posto di lavoro e dei risultati che si sono raggiunti, evidenziando anche le difficoltà, i problemi, le soluzioni positive. Si vuole quindi valorizzare l’impegno delle associazioni – datoriali e sindacali – che stanno cooperando per dare maggiori servizi alle imprese e alle persone/lavoratori coinvolti.

Complessivamente, l’evento intende offrire una occasione di informazione e dialogo con gli operatori e con la cittadinanza, promuovere l’incontro tra l’iniziativa delle imprese sociali e la responsabilità sociale delle imprese profit, dare risalto al ruolo e alla partecipazione delle istituzioni locali

Il programma dell’evento prevede i saluti di apertura di Massimo Bulbi Presidente Provincia Forlì Cesena, Nello Cesari Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Rosalba Casella direttrice Casa Circondariale, Mariagrazia Cinguetti direttrice Ufficio Esecuzione Penale Esterna, degli Assessori provinciali Margherita Collareta, Alberto Manni e Iglis Bellavista. Introduce il progetto Nello Coppi direttore di Téchne Forlì Cesena.

Focus centrale dell’evento sono le testimonianze delle aziende che hanno collaborato: coop Formula Servizi, Marecoluce srl, Chiodino srl, La Bertinorese, Soles spa, coop Arte Muraria, coop Romagna Logistica, coop. sociale San Giuseppe, F.P.E. srl. Seguiranno gli interventi delle delle Associazioni datoriali, dei Sindacati, della Direzione provinciale del Lavoro, delle Agenzie, che metteranno in risalto le funzioni che la rete territoriale può assumere per sostenere gli sforzi di integrazione delle persone detenute nel mercato del lavoro.

Concludono l’evento Emilio Vergani esperto sulla funzione ed il valore del sistema di Responsabilità sociale per le imprese, e Paola Cicognani, Responsabile del Servizio Lavoro della Regione, anche alla luce della recente Legge regionale di riforma del lavoro.

Bellizzi Irpino: mancano le medicine e l’organico è carente

 

Il Mattino, 10 marzo 2006

 

Rifondazione comunista prepara il dossier sulla condizione delle carceri. Ma il capitolo che riguarderà Bellizzi Irpino non sarà tutto ombre. Certo, i problemi che accomunano i penitenziari d’Italia non risparmiano nemmeno il carcere di Avellino, ma, come ha evidenziato il senatore Sodano "la situazione non è paragonabile alle altre drammatiche realtà". Il senatore Tommaso Sodano, accompagnato dal segretario di Rifondazione, Gennaro Imbriano e dal presidente del consiglio provinciale, D’Addesa, ha incontrato la direttrice, Cristina Mallardo, e una delegazione di operatori penitenziari. "Le difficoltà non mancano - ha commentato al termine della visita - ma il carcere di Bellizzi è una delle migliori strutture della Campania". La carenza d’organico nella polizia penitenziaria, che costringe gli operatori a turni massacranti, e il sovraffollamento con 450 detenuti (il doppio di quelli previsti) i problemi che maggiormente attanagliano il penitenziario irpino. Ma la vera emergenza è quella sanitaria: nel carcere mancano i medicinali. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dimezzato i fondi, per cui l’infermeria è sprovvista anche di farmaci di fondamentale importanza. "Sono state ridotte drasticamente anche le visite specialistiche - ha spiegato Sodano -, l’Asl dovrebbe farsi carico del problema e inserire il carcere nel circuito farmaceutico". Una condizione di difficoltà riguarda i dieci bambini in carcere con le mamme detenute. Su questo fronte s’incentra la battaglia di Rifondazione comunista "per la difesa dei diritti dei detenuti" che parte dalla proposta di nuove misure di clemenza. "La riforma del sistema carcerario - ha detto Gennaro Imbriano - deve necessariamente puntare sullo svuotamento dei penitenziari per ripristinare le condizioni di vivibilità".

Avezzano: Castelli firma un decreto di "chiusura per lavori"

 

Il Mattino, 10 marzo 2006

 

Il ministro di Grazia e Giustizia Castelli ha firmato il decreto di chiusura della casa circondariale di pena del San Nicola di Avezzano. Il documento è stato trasmesso al Provveditorato alle opere pubbliche e, ovviamente, la notizia è arrivata ufficialmente anche ad Avezzano. Ne è stata informata la Procura della Repubblica per quanto di competenza. Il carcere, dunque, sarà chiuso per permettere lavori di ristrutturazione che, come abbiamo avuto già occasione di scrivere, risultano molto più onerosi e costosi di una ricostruzione. Come dire, insomma, che è possibilissimo, anzi ragionevolmente ipotizzabile, che il carcere di Avezzano sarà chiuso e non verrà più riaperto. Il personale è destinato altrove e la vicenda avrà un suo epilogo entro l’anno. Il tempo che occorrerà per sistemare gli ospiti nei carceri dell’Aquila e di Sulmona, presumibilmente.

Per quanto riguarda poi il nuovo edificio è ormai assodato che l’Amministrazione comunale di Avezzano pur avendo individuato il terreno sul quale dovrebbe sorgere la nuova casa circondariale di pena non ne ha dato la disponibilità. Della vicenda ci stiamo interessando e, dunque, frugando tra gli uffici cercheremo anche di capire il perché e puntualmente ne informeremo i lettori con la solita chiarezza di sempre. Senza reverenze e sudditanze, sottolineando responsabilità, se ve ne sono.

Viene chiusa una struttura, dunque, che tra l’altro stava bene operando nel settore ponendosi all’attenzione di tutti per i nuovi metodi indirizzati al recupero, alla comprensione, al dialogo. Inutili gli impegni presi con i reclusi, inutili le visite al Papa, inutili le promesse. Tutto viene puntualmente portato a termine nonostante le puntuali prese di posizione dei giorni scorsi assunti da tutti i sindacati di settore che hanno avuto occasione di inviare un lungo esposto alle autorità competenti e nonostante l’onorevole Rodolfo De Laurentiis avesse avuto assicurazioni dal ministero competente che non vi fosse alcun decreto da firmare in merito alla vicenda.

Alessandria: agente arrestato per corruzione e spaccio di droghe

 

Ansa, 10 marzo 2006

 

Un agente di Polizia penitenziaria della Casa di reclusione alessandrina di San Michele è stato arrestato ieri mattina dai colleghi per corruzione aggravata, dopo una delicata e minuziosa indagine interna. Secondo le accuse il poliziotto avrebbe consentito di ricevere un numero di pacchi contenenti generi non consentiti come alcolici e denaro. Avrebbe inoltre passato alcune dosi di cocaina ai detenuti "favoriti", una decina in tutto. Orologi ed altri oggetti di dubbia provenienza sono stati infine rinvenuti nell’abitazione dell’ormai ex operatore (almeno per il momento) di Polizia Penitenziaria. Le indagini sono ancora sotto stretto riserbo e probabilmente non si escludono sviluppi nella vicenda. L’orgoglio per aver fermato sul nascere - sembra infatti che gli episodi di corruzione fossero iniziati solo un paio di mesi fa - questa brutta storia è più forte dell’imbarazzo di avere una "mela marcia" nel cesto, e così dal Carcere San Michele si apprende che l’arrestato, S.D., 41 anni della provincia di Alessandria, era un Assistente Capo con almeno quindici anni di servizio, forse venti. Una vita trascorsa nei corridoi di San Michele. La vicenda sarebbe partita da un semplice "indizio", elaborato per trovarne effettivo riscontro, fino a reperire prove ritenute sufficientemente valide per l’arresto. Giorno dopo giorno i colleghi che gli lavoravano a fianco hanno raccolto indizi, probabilmente ascoltato le voci dei detenuti senza che il "sorvegliato" si accorgesse di nulla. S.D. continuava infatti la sua "attività", ricevendo ed offrendo favori.

Avellino: cinque detenuti si siedono tra i banchi di scuola

 

Il Mattino, 10 marzo 2006

 

Una giornata particolare tra scuola e volontariato per cinque detenuti del carcere di Bellizzi. È trascorsa così la giornata per cinque detenuti della struttura penitenziaria avellinese, che grazie all’impegno dell’instancabile Alfonsina Nazzaro hanno potuto godere di un premio, trascorrendo l’intera giornata fuori dalle mura di Bellizzi, tra i banchi di scuola a contatto con alunni e docenti, e poi al centro di volontariato. Una collaborazione possibile grazie alla sensibilità della direttrice della struttura penitenziaria Cristina Mallardo, dei magistrati di sorveglianza e dei docenti dell’Istituto tecnico per Geometri di Avellino. Accompagnati da professori ed educatrice, alle 9.30 i 5 detenuti hanno preso parte alle lezioni presso la sede centrale dell’Istituto Tecnico per Geometri di Avellino "Oscar D’Agostino", istituto che da oltre dieci anni è presente nel carcere di Bellizzi con proprie classi. Qui hanno incontrato il preside Michele Cardellicchio che ha voluto porgere il saluto dell’intero istituto ai cinque alunni. Poi ognuno di loro ha preso parte alle lezioni. Un’emozione unica ed indescrivibile per alcuni di loro. Raffaele De Piano, Rosario Capone, Francesco Raia, Antonio De Santis e Gaetano Pandolfelli hanno seguito con attenzione le lezioni, prendendo parte alle attività di laboratorio fino alla campanella delle 13.30. Poi accompagnati dai professori Alfonsina Nazzaro, Assunta Marano, Massimo Maglio, Raffaele Natale, Amelia Davidde, Lucia Monte, Consiglia Marano e Giampiero Chelli sono stati accolti dai volontari e dagli anziani del "Centro Diurno Anziani" di via Annarumma, dove hanno pranzato. Un modo questo per avvicinarsi al mondo del volontariato. Alle 17 il rientro nella struttura penitenziaria. "Un’esperienza bellissima", commenta Raffaele De Piano, mentre Rosario Capone si augura che anche altri detenuti possano ripetere quest’esperienza. "Mi ha toccato molto", spiega Francesco Raia, mentre Antonio De Santis e Gaetano Pandolfelli ringraziano tutti per l’affetto ricevuto, dagli alunni agli insegnanti e alla direttrice del carcere. Un’esperienza che si ripeterà il 27 maggio, per i festeggiamenti dei 40 anni dall’autonomia dell’Istituto per Geometri. "Questi, seppur piccoli, rappresentano segnali molto importanti - spiega Alfonsina Nazzaro - perché consentono ai ragazzi di avere fiducia in chi gli sta intorno. È vero che hanno sbagliato, ma la funzione del carcere deve essere proprio quella di riflessione e revisione".

Vicenza: all'Asl 6 niente lista d’attesa? sì, ma solo per i detenuti

 

Il Gazzettino, 10 marzo 2006

 

Non passano dal Cup. E per loro non ci sono liste d’attesa: la visita o l’esame si fanno nel giro di pochi giorni. Nell’Asl 6 c’è una categoria privilegiata che non deve aspettare mesi per lo specialista e neanche sborsare un euro per la precedenza assegnata: è quella dei detenuti del carcere vicentino. Un accordo tra azienda sanitaria e l’istituto di detenzione prevede infatti che i 280 reclusi possano godere di una corsia preferenziale nella prenotazione, oltre alle visite su richiesta in carcere di quattro specialisti: il cardiologo, l’oculista, il chirurgo e l’ortopedico.

È uno dei frutti della collaborazione stretta tra il San Bortolo e la casa circondariale, che si sta rafforzando per consentire di migliorare la prevenzione e la cura della popolazione carceraria, che sul piano della salute paga le conseguenze della mancanza di libertà, di movimento, di cura del proprio corpo e di ambienti poco salubri, dovuto al sovraffollamento che affligge anche il carcere berico. E poi ci sono le problematiche relative agli extracomunitari, colpiti da patologie particolari legate spesso al cambiamento di vita e di alimentazione. "In loro c’è una grande incidenza di malattie gastrointestinali - riferisce Salvatore Di Prima, responsabile dell’area sanitaria, che conta sull’apporto di sette medici e una guardia medica -, ma diffuse sono anche malattie infettive come l’epatite oppure la sifilide e poi i problemi odontoiatrici, dovuti a una scarsa quando non esistente opera di prevenzione". Le malattie infettive, compreso l’Hiv, riguardano anche i detenuti tossicodipendenti, che con gli alcolisti costituiscono circa il 40 per cento dei carcerati. Seguono le malattie dermatologiche come gli eczemi, le micosi, la psoriasi.

Rovigo: a maggio la gara d’appalto per il nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 10 marzo 2006

 

La conferenza dei servizi di ieri a Venezia, nella sede del Magistrato alle acque, ha prodotto gli effetti sperati. Adesso si potrà avviare l’iter per la stesura del progetto esecutivo dell’opera che, secondo il ruolino di marcia delle istituzioni, dovrebbe vedere la luce nel 2008. Alla seduta hanno preso parte, per il Comune, l’assessore ai Lavori pubblici Nello Piscopo e il tecnico dell’Urbanistica Federico Pugina. Presenti anche il comandante Mario Sarno per i vigili del fuoco e l’ingegnere Giovanni Veronese per il consorzio di bonifica Polesine Adige Canalbianco, oltre a esponenti del genio civile e di Veneto strade. Assente Polservizi che però aveva già comunicato per iscritto di recepire le prescrizioni della commissione nazionale Lavori pubblici. Ivano Santin il responsabile del Magistrato alle acque che ha partecipato al vertice.

"È stato questo l’atto conclusivo - conferma Piscopo - adesso verrà dato mandato ai progettisti di accogliere le ultime osservazioni e di redigere il progetto esecutivo. Da questo momento in poi, il Comune non verrà più coinvolto. Verremo solo aggiornati con delle comunicazioni". La prossima scadenza è prevista per maggio. Per allora, "dopo la presentazione del progetto esecutivo - prosegue l’assessore - gli uffici del Magistrato alle acque dovranno emettere il decreto di ultimazione che farà da preludio all’esperimento della gara d’appalto e della consegna dei lavori". Piscopo mostra apprezzamento per "la determinazione" degli uffici veneziani: "C’è stata una grande volontà di definire la cosa nei tempi prestabiliti. Da parte nostra, ci mettiamo a disposizione per ogni eventualità".

Sembra quindi confermata la previsione del sindaco, Paolo Avezzù, che aveva annunciato l’apertura del cantiere per la prossima estate. Il primo stralcio dell’opera, già finanziato per 38 milioni di euro, prevede due anni di lavori. Gli interventi, pertanto, dovrebbero essere ultimati nel 2008. Trattandosi di uno stralcio funzionale, dal quel momento il carcere potrà essere utilizzato. La seconda tranche prevede la costruzione di alloggi, palestre, oltre ad eventuali ampliamenti. Tutta l’opera costerà circa 67 milioni. Alla gara d’appalto, trattandosi di un penitenziario, potranno partecipare solo ditte munite del nulla osta segretezza, rilasciato dal ministero dell’Interno. La progettazione è stata fin qui affidata alle ditte Planarch e Svei. Non si tratterà di una struttura di massima sicurezza ma di un carcere maschile da 200 posti, con annessi altri 150 alloggi per gli addetti di polizia penitenziaria. Il manufatto sorgerà tra via Calatafimi e la tangenziale. Si estenderà su un’area di 26mila metri quadrati per un volume di 88mila metri cubi. Al suo interno, l’area del carcere comprenderà una parte detentiva chiusa da un muro in calcestruzzo alto sette metri e mezzo. Per favorire l’aspetto del recupero, oltre che della sicurezza, sono previsti spazi sociali e possibilità di scambi con il mondo esterno.

Pordenone: Bossi-Fini, sconfessate Questura e Prefettura

 

Il Gazzettino, 10 marzo 2006

 

Le critiche che, a gennaio, il presidente del Tar Vincenzo Borea indirizzò all’Ufficio stranieri della Questura di Pordenone e alla Prefettura non sembrano aver avuto effetto. Lo sostengono, quasi in coro, gli avvocati pordenonesi, forti delle sentenze con le quali giudici di pace, di primo grado e amministrativi continuano a bocciare i decreti d’espulsione o di diniego del permesso di soggiorno da parte di Questura o Prefettura. "A Pordenone - dice l’avvocato Carla Panizzi - c’è un’interpretazione troppo restrittiva della Bossi-Fini". Parole dolci quelle del legale, mentre altri parlano di violazione della Costituzione. "Solo a Pordenone - aggiunge l’avvocato Panizzi - vengono firmati decreti d’espulsione, negando i più elementari diritti degli stranieri". Dalla teoria ai fatti il passo è tanto breve quanto obbligatorio. "Il Tar - aggiunge l’avvocato Panizzi - qualche giorno fa cancellato il Decreto con il quale la Prefettura aveva espulso dall’Italia un imprenditore albanese, sposato con due figli, che abita nello Spilimberghese. L’uomo, nel 1990, era stato condannato, pena sospesa, a 4 mesi di reclusione per detenzione ai fini di spaccio di droga. Secondo la Prefettura, con un’applicazione retroattiva e anti-costituzionale della Bossi-Fini, quella condanna era sufficiente per l’espulsione. Nessun peso e valore al fatto che non avesse più commesso reati, che si fosse sposato e che dovesse mantenere due bimbi di 4 e 5 anni. Il Tar - spiega il legale - è rimasto allibito di fronte al Decreto d’espulsione. Spero che per casi analoghi la Prefettura ricorra alle revoche in autotutela. A Udine si fa".

Dopo la Prefettura le critiche piovono sulla Questura. "Una giovane donna della Costa D’Avorio - puntualizza l’avvocato - si presenta in Questura per regolarizzare la propria posizione di clandestina, avendo sposato un connazionale, di Cordovado, con lavoro e permesso di soggiorno. Il risultato? Cinque giorni per lasciare l’Italia. Dopo tre mesi la donna si è ripresentata, chiedendo nuovamente d’essere regolarizzata. Oltre ad aver sposato un "regolare", stava per dargli un figlio. Ennesima alzata di scudi dei poliziotti, che - dopo aver minacciato l’arresto - hanno chiesto e ottenuto il processo per Direttissima della donna ivoriana (intanto la Prefettura emetteva decreto d’espulsione). Il giudice pordenonese l’ha però assolta, dichiarando illegittima l’espulsione. Tutto finito? Nemmeno per sogno - conclude l’avvocato Panizzi - visto che abbiamo dovuto ricorrere al giudice di pace, per "bloccare" l’espulsione e ottenere la giustizia che ci era stata riconosciuta in Tribunale. Il dramma? Questi episodi qui continuano a ripetersi con cronometrica puntualità".

Droghe: Don Gallo; una "canna" contro la legge Fini

 

Secolo XIX, 10 marzo 2006

 

Genova Lo hanno chiamato "calumet della pace". Ma la foto che ritrae don Andrea Gallo nell’austero salone di rappresentanza di Palazzo Tursi con uno spinello in mano (per poi passarlo a qualcuno seduto vicino a lui) è destinata invece a scatenare, se non una guerra, almeno un caso nazionale. Per il sacerdote e per i ragazzi dei centri sociali, l’obiettivo prefissato è stato quindi perfettamente raggiunto.

Un prete tossico e spacciatore? "Volevamo fare qualcosa per rompere il silenzio che circonda l’approvazione della legge Fini sulle droghe che rappresenta un clamoroso salto all’indietro", dice don Gallo. Un prete che ha convinzioni del tutto personali e conduce battaglie fuori dagli schemi della Chiesa a cui appartiene, ma certamente non è un tossicodipendente ("Ho sempre fumato il sigaro che fa solo male, al contrario della cannabis che qualche proprietà medicinale ce l’ha").

Da qui l’idea: movimentare con un gesto provocatorio la cerimonia di presentazione del suo ultimo libro, "Il cantico dei drogati- L’inganno droga nella società delle dipendenze" (edizioni Sensibili alle foglie) che contiene anche saggi del neuropsichiatra Guido Rodriguez e del giurista Adalgiso Amendola. "Alla presentazione c’erano i ragazzi dei centri sociali Terra di Nessuno e Buridda, mi avevano detto che avrebbero organizzato qualcosa. Quando il relatore si è acceso uno spinello e me l’ha passato, dopo aver tirato per qualche momento, io l’ho preso con naturalezza e ho fatto lo stesso, poi l’ho passato come un calumet della pace a chi era seduto vicino a me". Don Gallo, ma lo sa che tecnicamente questo è un reato di spaccio? "Non sono pregiudicato, pazienza. L’importante era dare un segnale...".

Il segnale, ora, è una foto che rimbalza sui giornali, così come la notizia riportata sulle agenzie nazionali. Difficile dire se sia una "notizia di reato". Anche perché lo spinello è stato distrutto seguendo il suo naturale ciclo vitale, passando di mano in mano fino a consumarsi in una nuvola di fumo. Distrutta la prova, non restano agli atti corpi di reato che possano dimostrare che non si trattava di una semplice sigaretta. Anche se i protagonisti del gesto lo ribadiscono con forza, pur dicendo che in fondo la simbologia conta, per loro, più della sostanza : "Era in una scatola di sigarette per evitare fastidi, ma era "erba" vera".

Don Gallo ricorda ai presenti che la prima legge proibizionista contro la cannabis risale al 1923 ("promulgata da Mussolini per punire vendita e detenzione, ma non il consumo della droga") e trae le sue personalissime conseguenze: "Fini è peggio di Mussolini". Ma lei è un sacerdote, non dovrebbe occuparsi di politica e partiti e tantomeno di spinelli. E se il suo vescovo la riprenderà? "Io credo che debba piuttosto intervenire per condannare una legge varata praticamente senza discussione il 28 febbraio scorso - risponde - Una legge che fa davvero di ogni erba un fascio e rischia di aumentare il fenomeno della clandestinità, colpevolizzando i consumatori. Aspettiamo di conoscere cosa si intende per quantitativi che vanno oltre l’uso personale, ma intanto l’errore è sancire lo status del "tossico" come persona da colpire con provvedimenti via via più pesanti".

"È una legge da mandare in fumo - dice Domenico Chionetti, 36 anni, il coordinatore del centro sociale ‘Terra di nessuno che ha dato fuoco allo spinello e alle polemiche - questo è lo slogan che accompagnerà la manifestazione nazionale contro la normativa Fini in programma a Roma, che sarà aperta proprio dalla Comunità San Benedetto. Per noi è un simbolo, in opposizione al modello di comunità basate sulla costrizione del tossicodipendente proposto dai legislatori". Don Gallo vivo e tangibile contro il ricordo di Muccioli.

Gran Bretagna: personal computer in "forniture" per i detenuti

 

Punto Informatico, 10 marzo 2006

 

I prigionieri delle carceri di Sua Maestà potranno utilizzare computer portatili finanziati dallo Stato per organizzare al meglio la propria difesa in tribunale. L’ha deciso il ministero degli interni, in nome del diritto alla consultazione dei documenti previsto dalla procedura penale: "I detenuti sotto processo potranno finalmente usare DVD e computer al posto di carte e fascicoli plastificati", sostengono i portavoce del governo. Il ministero avrebbe già fornito almeno 28 computer ad altrettanti detenuti, molti dei quali coinvolti in processi per reati connessi ad omicidi e terrorismo. Il Daily Mirror sostiene che il costo medio di ciascun laptop si aggira attorno alle mille sterline. Tra i beneficiari del programma ci sarebbero persino gli attentatori accusati di aver sferrato un attacco terroristico contro la metropolitana di Londra, così come alcuni membri della pericolosa gang dei Muslim Boys, un’organizzazione criminale che terrorizza la zona di Brixton con racket, rapine e minacce di morte per chi non vuole convertirsi all’islam.

HamzaPersino Abu Hamza, l’imam "uncinato" vicino ad al-Qaeda e condannato a sette anni di reclusione, avrebbe ottenuto un computer dal governo. Niente di strano, secondo gli esponenti del servizio penitenziario britannico: "I condannati devono avere libero accesso alle informazioni fornite dal sistema giuridico, che sono tutte digitalizzate". Tuttavia c’è chi non coltiva lo stesso ottimismo e teme che questa opportunità sia un pericoloso eccesso di garantismo. "I galeotti potrebbero "utilizzare i computer per organizzare attività criminali senza muoversi dalla cella", si legge sul Mirror. Una realtà ben nota in Italia, dove mafiosi e camorristi utilizzavano telefoni cellulari ed altre apparecchiature elettroniche per essere dei veri e propri boss in mobilità. Le autorità britanniche si difendono e dichiarano che "i laptop forniti ai prigionieri sono provvisti di sofisticati sistemi di sicurezza", capaci di bloccare "qualsiasi accesso ad Internet". Ma basterà qualche firewall per impedire che una figura come Abu Hamza possa impartire ordini ai suoi seguaci? Qualcuno grida allo scandalo: "È sufficiente che il computer possa masterizzare CD o DVD, e chiunque potrà coordinare qualsiasi tipo d’attività criminale con i complici fuori dalle sbarre". Che dire allora di carta e penna, generalmente reperibili con facilità anche in carcere?

Iraq: chiude Abu Ghraib, il carcere degli orrori

 

Corriere della Sera, 10 marzo 2006

 

Anche se le sentinelle con il fucile M4 e la faccia da marines si apprestano a lasciare dopo tre anni di ronde le 24 torrette di guardia, tra mezzo secolo i libri parleranno di Abu Ghraib come di una storia americana, una storiaccia da illustrare con le foto di sorridenti aguzzini e prigionieri iracheni nudi al guinzaglio di una soldatessa, una certa Lynddie England. Abu Ghraib è anche - en passant - l’ex casa di torture di Saddam Hussein, quella dove furono uccise di botte e gettate nel tritacarne le vittime di Dujail per le quali ora il dittatore è sotto processo. Avrebbero dovuto buttarla giù subito, farne un luogo di vuoto e memoria. Abu Raya che ha quarant’anni ricorda: sotto Saddam i bambini che andavano a trovare i padri ad Abu Ghraib venivano poi marchiati con l’inchiostro indelebile e diventavano degli appestati. Non sarà distrutta come predisse il presidente George Bush nel maggio 2004, sull’onda dello scandalo degli abusi. I comandi Usa a Bagdad annunciano che tra due o tre mesi sarà riconsegnata alle autorità irachene. I 4.500 detenuti (sospetti guerriglieri) finiranno a pochi chilometri di distanza, ancora in mani americane, nelle celle di una struttura in costruzione nella grande base che circonda l’aeroporto di Bagdad. A Camp Cropper, l’attuale prigione di 127 gerarchi tra cui lo stesso Saddam.

Lasciare Abu Ghraib, prendere le distanze da un luogo diventato simbolo nefasto della presenza americana in Iraq. Questione di immagine? "No, questione di sicurezza" ha spiegato il colonnello Barry Johnson nella Green Zone, la cittadella fortificata lungo il Tigri. "Abu Ghraib è in una zona vulnerabile agli attacchi ed è molto difficile da gestire". Certo "ci sarebbero anche considerazioni di carattere emotivo da fare - ammette Johnson pur senza citare lo scandalo delle torture - ma la ragione primaria è la sicurezza".

Se Johnson ha ragione, questo trasferimento è il segno dello stallo in cui si trovano le forze Usa. E forse vuol anche essere un’apertura ai sunniti (la maggior parte dei detenuti). Abu Ghraib - a una ventina di chilometri dal centro, lungo l’autostrada che porta nel Triangolo Sunnita - è una delle zone più violente di Bagdad. Prima della guerra, le forze speciali Usa trovarono rifugio e protezioni. Altri tempi. Gli attacchi della guerriglia si susseguono da anni. Nell’aprile 2004 un assalto di mortaio uccise 22 prigionieri. Un anno fa lo stesso colonnello Johnson parlò del piano per lasciare i 280 ettari della prigione più famigerata dell’Iraq, una delle quattro basi carcerarie sotto il controllo della forza multinazionale (Mnf). Pochi giorni fa Amnesty International ha denunciato che torture e abusi sui prigionieri "sotto gli occhi della Mnf" non sono cessati. Certo Lynddie England e gli altri sei "torturatori semplici" (nessun ufficiale tra loro) sono stati processati e condannati. Però "oltre Abu Ghraib" le violazioni dei diritti umani continuano.

Adesso "oltre Abu Ghraib" ci sarà Camp Cropper, la prigione più sicura. E ancora Abu Ghraib: è probabile che questa struttura costruita da un’azienda britannica negli Anni ‘60 continuerà ad avere la stessa funzione. Sarà anche un luogo di punizioni capitali. Proprio ieri il governo di Bagdad ha annunciato l’impiccagione di 13 persone condannate per aver fatto parte della guerriglia. Ad Abu Ghraib c’è ancora la stanza del capestro, la botola dove caddero migliaia di oppositori di Saddam, il tavolo dove un medico controllava i decessi. Non è un museo degli orrori. Tra qualche mese potrebbe tornare tutto in funzione.

 

 

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