Rassegna stampa 8 marzo

 

Programmi elettorali su giustizia e carcere: la "Rosa nel Pugno"

 

Radio Carcere - Il Foglio, 8 marzo 2006

 

Intervista a Daniele Capezzone Segretario di Radicali italiani, e membro della segreteria della Rosa nel Pugno

 

Sempre più spesso assolti i colpevoli e condannati gli innocenti. I tempi del processo penale biblici. Regna la prescrizione. Quale rimedio?

Il primo impegno dei nostri parlamentari consisterà nella richiesta di approvare una delle più vaste amnistie degli ultimi decenni. Non abbiamo dimenticato quanto è accaduto poche settimane fa, con l’azione nonviolenta di Pannella e la mobilitazione dell’intera comunità delle carceri beffate dalle Camere, e -in particolare- dalla scelta dei Ds e della Margherita di far proprie le proposte di An e Lega per affossare qualunque provvedimento di clemenza.

È da qui che occorre ripartire. Avendo il coraggio di ricordare che le condizioni delle carceri fanno dell’Italia il paese primatista di condanne dinanzi alle Corti internazionali. E guardando in faccia la realtà sociale delle carceri. Quando l’80% dei reati restano impuniti; quando c’è una media di 300mila prescrizioni l’anno; quando c’è tutto questo, chi finisce dietro le sbarre? Solo tossicodipendenti, immigrati e "sfigati". C’è, insomma, una realtà tecnicamente "di classe", debole con i forti, e forte con i deboli. E non è convincente neppure la tesi di chi contrappone l’amnistia alle "grandi riforme". Semmai, è ragionevole il contrario: proprio un provvedimento di clemenza può servire a "decongestionare", a guadagnare il tempo utile per fare le riforme necessarie.

 

La pubblicazione degli atti d’indagine. Le intercettazioni. Il processo sui media. Una patologia da rimuovere. Come?

Si tratta di esempi di quello che chiamiamo "caso Italia", cioè di una sistematica distanza tra norme scritte e vita reale delle istituzioni. La costante, impunita violazione del segreto istruttorio è il paradigma di un paese in cui le regole rappresentano, al massimo, un’indicazione priva di qualsiasi perentorietà. La rivoluzione consisterebbe nel farle rispettare.

Quanto alle intercettazioni, siamo alla follia: nel 2000, negli Usa (260 milioni di abitanti), le Corti di giustizia hanno autorizzato 1190 intercettazioni; in Italia (57 milioni di abitanti), le intercettazioni disposte sono state più di 44000 (44 volte di più).

 

Un numero sterminato di reati. Contenuti nel codice penale, leggi e leggine. Un’unica pena. Il carcere. C’è un futuro diverso?

Occorre un vasto programma di depenalizzazioni. E occorrerebbe un grande dibattito sul carcere oggi, sulla sua "opportunità", sulla possibilità di "superarlo", almeno per una parte di coloro che oggi vi finiscono. Ma questa svolta non può assicurarla un centrodestra che ha sciupato un’opportunità storica, e si è rivelato garantista solo "a targhe alterne"; ora, quindi, la palla passa al centrosinistra, e tocca alla Rosa nel pugno garantire una consistente ed efficace iniezione liberale e garantista in una coalizione che è ancora molto, troppo sensibile alle sirene del giustizialismo.

 

Giudici e avvocati, non godono più di nessuna stima. Il termine Giustizia è ormai un miraggio. Come recuperare la fiducia persa?

La Rosa nel pugno punta su tre priorità. La prima è la separazione delle carriere. Ed è paradossale che Berlusconi alzi questa bandiera, dopo avere (nel 2000) qualificato come "comunista" il referendum radicale in materia, e dopo avere rinunciato a realizzarla in questa legislatura.

La seconda è la riaffermazione di quella responsabilità civile dei magistrati che fu conquistata con il voto dell’80% degli italiani sul "referendum Tortora", ed è stata poi tradita dal Parlamento. Riaffermarla significherebbe disporre di uno strumento a tutela dei magistrati onesti e capaci, e per far rispondere dei loro errori quelli che -invece- abbiano sbagliato con dolo o colpa grave.

La terza è la messa in discussione del "totem" dell’obbligatorietà dell’azione penale, che si traduce nel suo opposto, e cioè nell’assoluta irresponsabilità e discrezionalità di ogni singolo magistrato del Pubblico Ministero, che sceglie su quali notizie di reato aprire un’inchiesta e su quali no.

 

Il carcere. Luogo che non rieduca. Umilia. Le celle scoppiano. Una tragedia dal continuo peggioramento. Che fare?

Oltre all’amnistia, serve in primo luogo un intervento di vastissima riduzione dei termini di custodia cautelare (in Italia si può arrivare, tra un rinvio e l’altro, fino a 9 anni di carcere in attesa di giudizio). E poi serve un intervento in materia di droghe: solo l’irresponsabilità del "ticket" Giovanardi - Mantovano ha potuto portare all’approvazione di una norma volta a consentire (magari solo per il possesso di alcuni spinelli) la perquisizione all’alba, l’arresto, il processo e la condanna fino a 6 anni di carcere!

 

Il dramma delle detenute con figli di età inferiore ai tre anni. Che fare?

Siamo stati i primi a porre la questione. Nell’immediato bisogna rendere più umani i luoghi dove si trovano i bimbi; subito dopo, occorre prevedere soluzioni esterne. Non è accettabile l’idea che un bimbo cresca in un carcere.

Programmi elettorali su giustizia e carcere: l’U.d.c.

 

Radio Carcere - Il Foglio, 8 marzo 2006

 

Intervista all’On. Erminia Mazzoni, responsabile giustizia UdC

 

Sempre più spesso assolti i colpevoli e condannati gli innocenti. I tempi del processo penale biblici. Regna la prescrizione. Quale rimedio?

La lunghezza dei processi è il vero male della giustizia, dal quale deriva la connotazione negativa oramai assunta dalla prescrizione. Tale istituto si è trasformato da strumento di indirizzo del processo in obiettivo principe dei comportamenti processuali. Il rimedio è ritrovare un punto di equilibrio più alto tra garanzia del diritto di difesa ed efficienza ed efficacia della giustizia. La prescrizione conserva teoricamente la sua bontà e deve recuperare la sua opportunità pratica, purché si restituisca alla funzione giudiziaria la finalità di servizio sociale, passando da un sistema delle garanzie ad un garantismo di sistema.

 

La pubblicazione degli atti d’indagine. Le intercettazioni. Il processo sui media. Una patologia da rimuovere. Come?

I processi sui media sono una dolorosa conseguenza della inefficienza del sistema giudiziario e del diffuso decadimento della funzione della informazione. La legge già punisce con sanzioni penali la rivelazione o la pubblicazione di atti coperti dal segreto, anche se è molto difficile che si riesca ad individuare il colpevole della rivelazione. È necessario comunque un inasprimento delle sanzioni, perché si tratta di un fatto grave e ancor di più lo sono le conseguenze che dalla sua commissione ne derivano. Per le intercettazioni, l’intervento dovrebbe andare nella direzione di una più rigida procedura autorizzatoria e di una limitazione ai reati di particolare gravità per contenerne l’abuso che se ne fa.

 

Un numero sterminato di reati. Contenuti nel codice penale, leggi e leggine. Un’unica pena. Il carcere. C’è un futuro diverso?

La strada della depenalizzazione è da perseguire per mettere ordine nel diritto penale sostanziale eliminando le tante fattispecie non più avvertite come offensive dalla collettività e trasformando alcune ipotesi da penali in amministrative. Non è però vero che l’unico rimedio che la legge propone sia il carcere. Per molte violazioni sono previste sanzioni come l’ammenda e la multa e già esiste un sistema di pene alternative alla detenzione. In questa direzione occorrerà fare passi più significativi.

 

Giudici e avvocati, non godono più di nessuna stima. Il termine Giustizia è ormai un miraggio. Come recuperare la fiducia persa?

Non credo che gli avvocati abbiano grande ruolo in questa diminuzione di stima e fiducia. Diverso è il caso dei magistrati. Essi appartengono ad una categoria che costituisce un corpo separato, non soggetto ad organi di vigilanza esterna. Fino a quando questa classe si è mantenuta fuori dalle polemiche politiche, sforzandosi di essere e di apparire del tutto neutrale, di applicare la legge così come il popolo sovrano, rappresentato dal Parlamento, l’aveva voluta, ha avuto il rispetto e la considerazione dell’opinione pubblica anche quando sbagliava. Poi, però, l’acuirsi dei problemi sociali irrisolti, l’abitudine di scaricarli sulle spalle della magistratura ha indotto qualcuno ad affrontare tali problemi non più o non solo alla luce della scienza giuridica, ma anche in base alle proprie convinzioni politiche. È stato l’inizio della fine. E, tuttavia, ingiusto affermare che questo sia il motivo per cui la giustizia "è un miraggio". La politicizzazione della giustizia, per quanto male esiziale e gravissimo è un male ancora circoscritto ad una minoranza esigua della magistratura, anche se spesso la più propesa al clamore dei media . È necessario ed urgente ripristinare l’immagine di terzietà del giudice e restituire all’azione penale il carattere di strumento di riequilibrio dei disagi sociali.

 

Il carcere. Luogo che non rieduca. Umilia. Le celle scoppiano. Una tragedia dal continuo peggioramento. Che fare?

Il problema ha due facce. Da una parte occorrerebbero maggiori risorse per permettere che le pene vengano scontate in ambienti e condizioni diverse. Dall’altra, se i processi fossero più brevi, le carcerazioni preventive potrebbero quasi scomparire e, poiché la maggior parte dei detenuti è in attesa di giudizio, con una giusta durata dei processi si avvierebbe a soluzione anche il problema della funzione della pena.

 

Il dramma delle detenute con figli di età inferiore ai tre anni. Che fare?

Esiste una normativa che ha colto l’importanza del problema, ma che non è riuscita a risolverlo completamente, come ha dimostrato l’esigenza avvertita da tutte le parti politiche di porre mano alla modifica della stessa. L’obiettivo della tutela del minore incolpevole è molto importante e deve assumere carattere prioritario. Sarebbe necessario, per iniziare, fornire loro la possibilità di allevare i figli fornendo alloggio e mezzi consoni alla delicatezza di tale funzione.

Programmi elettorali: l'opinione del Pm Luca Palamara

(Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma)

 

Radio Carcere - Il Foglio, 8 marzo 2006

 

Come magistrato che quotidianamente opera nelle aule di giustizia, avverto, anche dalle piccole cose, la crescente sfiducia, il sospetto, il mutato atteggiamento dei cittadini nei nostri confronti. Tutto questo genera disagio tra la gran parte dei magistrati - la gran parte di quelli che lavorano- che ritiene di non meritare questa sfiducia, che ci amareggia e profondamente ogni giorno ci tocca.

Il numero esorbitante di processi che affligge le aule di giustizia ed i tavoli dei magistrati, abbinato alla cronica scarsezza di risorse, sovente, impedisce di dare effettività ai principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata del processo. Questo stato di cose crea una inevitabile situazione di disagio, che i magistrati soffrono quotidianamente e della quale essi stessi sono vittime.

Nessuno in buona fede può negare che negli ultimi tempi si è profondamente inciso sulla struttura del processo penale, con la produzione di norme che hanno realizzato da un lato una forma di giustizia penale rapida e sommaria destinata ai tipi di autore di criminalità marginale e di strada, dall’altro una forma di giustizia caratterizzata da tempi lunghi, formalismi ripetuti, prescrizioni brevi di cui usufruiscono gli imputati dei reati di accertamento meno semplice ma di danno sociale spesso di gran lunga superiore.

Ugualmente nella disciplina sostanziale da un canto sono state individuate nuove ipotesi di reato per fatti marginali dall’altro una abrogazione o depenalizzazione per fatti che in altri paesi occidentali sono gravemente considerati lesivi degli interessi pubblici, faccio ovviamente riferimento a taluni illeciti contro l’economia.

Il momento storico impone una riflessione per il futuro, dove dovrà esser trovata una razionalizzazione del sistema sostanziale, con la individuazione di illeciti realmente lesivi dei beni tutelati dalla Costituzione, processuale, con una maggiore agilità dei processi sempre nella garanzia dei diritti difensivi, ordinamentale, con uno statuto dei magistrati che, diversamente da quello appena approvato, garantisca che il magistrato non possa essere in alcun modo condizionato o condizionabile neanche dalle proprie aspettative di carriera.

Troppo lungo sarebbe in questa sede fornire tutte le indicazioni che i magistrati italiani con l’intera cultura giuridica hanno indicato al legislatore in questi anni, sentendosi però tacciati di indebite intromissione in attività politica.

Questo clima non ha aiutato né al dialogo né ad una piena autocritica che pur i magistrati tentano di fare al proprio interno, momenti che sempre più dovranno essere stimolati e valorizzati.

L’auspicio per la prossima legislatura non potrà che essere quello di un clima più sereno e costruttivo che porti a riforme condivise e mirate all’essenza dei problemi che realmente minano il sistema giustizia, su tutti la lentezza dei processi, dovuta, e non può non essere ribadito, anche alla scarsezza delle risorse.

Programmi elettorali: l'opinione dell'avvocato Valerio Spigarelli

(Segretario dell’Unione Nazionale delle Camere Penali)

 

Radio Carcere - Il Foglio, 8 marzo 2006

 

Il primo commento più che sulle risposte è sulle domande poste da Radio Carcere. Che vuol dire "assolti i colpevoli"? Che significa "regna la prescrizione" ? Possibile che anche una voce attenta alla realtà giudiziaria tradisca una impostazione così distante dalla verità e dai principi? Non comprendo il significato della prima affermazione, se qualcuno viene prosciolto, anche se per prescrizione, non vuole dire certo che è colpevole, e questo proprio perché la responsabilità non è stata legalmente accertata. Quanto alla seconda è bene far chiarezza su di un punto che in molti mistificano: i processi in Italia sono lenti perché la macchina burocratica fa pena, perché mancano le strutture, perché esistono precise responsabilità degli uffici giudiziari, perché spesso i collegi o i singoli giudici vengono trasferiti mentre si celebra un processo, insomma tutto meno che le regole processuali. Nel nostro ordinamento processuale, da tempo, i rinvii chiesti dall’imputato o dal difensore producono la sospensione della prescrizione. Smettiamola, per cortesia, con la favoletta che "la prescrizione è l’obiettivo principe dei comportamenti processuali" come afferma l’onorevole Mazzoni, ed anche molti commentatori senza sapere quello di cui parlano e molti magistrati sapendo bene di non dire la verità. Smettiamola infine con l’altra leggenda metropolitana legata alla Cirielli, quella secondo cui dopo questa legge la prescrizione impererà: con la Cirielli, come sanno bene gli ascoltatori di radio carcere, la prescrizione è stata allungata sine die per molti reati e per molte categorie di imputati mentre è stata accorciata solo per alcuni reati dei colletti bianchi. Il che è uno scandalo nello scandalo ma non è la peggiore nefandezza, quella risiede nel trattamento dei recidivi, che è da Stato autoritario. Passando alle risposte non posso che condividere il discorso fatto sull’amnistia da Capezzone: l’amnistia ci vuole per far partire le riforme e le riforme sono necessarie. Ovviamente non posso che essere d’accordo con Capezzone sulla necessità della separazione delle carriere, e faccio i miei auguri alla Rosa nel Pugno, visto che nella coalizione di centro-sinistra sono in molti a contrastarla. Né più né meno di come l’ha contrastata il centro destra, nei fatti, e il partito dell’On. Mazzoni in particolare, che non a caso la separazione neppure la cita. Quanto alla pubblicazione delle intercettazioni è inutile pestare l’acqua nel mortaio: quando vengono pubblicate c’è sempre di mezzo la responsabilità di qualche ufficio giudiziario o organo di polizia, è naturale che poi non vengono perseguite. Sul resto va detto che non solo ci vuole meno carcere e più sanzioni alternative ma anche un carcere diverso ed è questione di danaro. Là butto lì: quale delle due coalizioni si impegna a destinare l’1% del bilancio dello Stato per la giustizia.

Venezia: intesa sul gratuito patrocinio per i detenuti

 

Redattore Sociale, 8 marzo 2006

 

È stato firmato oggi a Venezia il protocollo d’intesa per il diritto di difesa e il gratuito patrocinio dei detenuti che vede la collaborazione dell’Assessorato comunale alle Politiche sociali, l’Ordine degli avvocati di Venezia, e per il Ministero della Giustizia, l’Ufficio Esecuzione penale esterna di Venezia, Treviso, Belluno (Uepe). Un protocollo che vede per la prima volta nel Triveneto e in Italia la collaborazione con l’Ordine degli Avvocati: un modo di cooperare per il pieno riconoscimento del diritto di cittadinanza dei detenuti. "Si tratta di un’importante tappa per migliorare la qualità della vita all’interno degli Istituti di pena veneziani e favorire il reinserimento sociale dei detenuti - ha spiegato l’assessore comunale alle Politiche sociali, Delia Murer. Grazie ai finanziamenti Urban Italia è stata ammodernata la ludoteca, installato un impianto di climatizzazione al nido, attrezzato un’area verde per i bambini delle recluse al carcere femminile, inoltre sono stati avviati diversi corsi di formazione e orientamento al lavoro dalle cooperative sociali e attivate 18 borse lavoro; sono stati realizzati sportelli-carcere nell’Istituto di pena femminile, alla Casa di reclusione, e uno spazio in campo Santa Margherita accessibile anche ai familiari dei detenuti. Oggi - ha aggiunto Murer -, con la disponibilità dell’Ordine degli avvocati a sostenere la consulenza legale negli sportelli carceri per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato e sulla difesa d’ufficio abbiamo fatto un ulteriore passo avanti: anche questo rappresenta un elemento di civiltà". Mauro Pizzicati, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Venezia, ha ricordato che allo scopo di sostenere la consulenza legale negli sportelli delle carceri sono di prossima organizzazione due prime giornate di formazione per l’utilizzo del patrocinio gratuito per gli operatori del Comune, del Ministero e di Urban Italia coinvolti nel progetto. Dai rappresentati del Ministero si è ribadita l’importanza per i detenuti di ricevere una corretta informazione perché la mancanza di cultura e di denaro è una condizione comune alla maggior parte dei reclusi che invece possono sperare in questi servizi per vedere tutelati i propri interessi.

Bologna: "Karaoke al fresco" in occasione dell’8 marzo

 

Redattore Sociale, 8 marzo 2006

 

Un "Karaoke al fresco". Viene organizzato oggi, in occasione dell’8 marzo, nella sezione femminile del carcere della Dozza, dall’associazione "Donne Fuori" in collaborazione con "GenerazioneIdrogeno.org". Proprio nel giorno della festa delle donna, "Karaoke al fresco" vuole essere un momento ludico per dare spazio alla popolazione carceraria femminile – circa un’ottantina nella struttura bolognese – e alle sue specificità.

"La realtà delle carceri femminili è poco conosciuta – dice Alessandra Davide, di "Donne Fuori" – . Quando si parla di detenzione, lo si fa sempre declinandolo al maschile, sottraendo così identità e visibilità ai bisogni e ai problemi delle donne".

Le specificità della popolazione carceraria femminile sono molteplici, a partire dalla particolare intensità con cui è vissuta la lontananza dalla famiglia e dai figli. Una situazione ancora più pesante per le straniere detenute – metà sul totale delle donne presenti alla Dozza – per via delle sofferenze legate alla lontananza del paese d’origine, alle specificità della propria cultura, alla minore conoscenza della lingua. L’associazione "Donne Fuori" è impegnata da anni con le detenute in progetti di comunicazione sulla realtà carceraria femminile: nel 2004 ha realizzato la trasmissione radiofonica "Ad Alta Voce", trasmessa dall’emittente bolognese Radio Città Fujiko. L’esperienza con le detenute della Dozza ha nel tempo messo in movimento quella comunicazione necessaria "affinché non si verifichi una scissione con la realtà ‘al di là del murò, individuando e lavorando su alcuni dei bisogni e delle difficoltà del vivere in carcere". "Karaoke al Fresco", reso possibile dalla disponibilità e sensibilità in merito della direzione del carcere della Dozza, "vuole essere una piccola parentesi di svago tra gli spazi reclusi del carcere. Entreremo – spiega Alessandra Davide – oggi nel primo pomeriggio, verso le 13.30, con tutto il materiale necessario. Saranno le detenute stesse a cantare le canzoni che vorranno. Il Karaoke verrà registrato, ne faremo un cd da regalare poi a loro stesse, ma ci piacerebbe anche diffonderlo il più possibile all’esterno. Quella di oggi – conclude – vuole essere un’opportunità, una piccola finestra, un pretesto per accordare parte della nostra attenzione alla realtà delle carceri femminile e delle loro specificità. E anche una piccola, temporanea finestra aperta per le detenute, un pomeriggio di socialità al fresco".

8 marzo: le… non pari opportunità dietro le sbarre

(di Maria Pia Giuffrida, Provveditore Regionale Dap della Basilicata?

 

Giustizia.it, 8 marzo 2006

 

I problemi della violenza subiti o agiti dalle donne sono divenuti un tema centrale nei programmi di intervento della Regione Basilicata; non sono infatti poche le vittime di violenza e di maltrattamento che determinano la necessità di iniziative.

Di qui l’opportunità di delineare azioni e strategie di studio e di sensibilizzazione nonché di azioni positive anche in applicazione della Legge Regionale 29 marzo 1999 n.9 che esprime un dichiarato sostegno politico e finanziario attraverso il suo articolato e apre nuove possibilità nel processo di empowerment al femminile nel contesto regionale. Le iniziative regionali ben si coniugano con l’attività del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di questa Regione dalla cui sinergia e dal continuo dialogo nasce oggi la possibilità di un’offerta alle donne in esecuzione di pena, al territorio tutto di fruire delle attività previste dal progetto La Femminilità Negata - Le non pari opportunità dietro le sbarre.

Il progetto, proposto dal Consiglio Regionale della Basilicata Commissione Regionale Pari Opportunità, ha ricevuto l’approvazione della IV° e della III° Commissione consiliare e della giunta regionale con delibera n. 2758 del 30.12.2005 - e trova riscontro nella progettualità del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziario teso al miglioramento della detenzione femminile e più in generale al trattamento delle donne in esecuzione di pena. Ciò sembra ormai un impegno indifferibile sia per l’Amministrazione penitenziaria che per la società, stante che appare incontrovertibile che il minor numero di donne ristrette a fronte del rilevante dato di presenze di uomini nel circuito penale fa sì che gli investimenti operativi e progettuali siano obiettivamente più rarefatti. Studiosi ed esperti del settore hanno pertanto evidenziato le "non pari opportunità" anche verso le donne in esecuzione di pena".

Accanto al miglioramento della condizione detentiva delle donne recluse altro aspetto che merita la massima attenzione è peraltro quello legato al re-inserimento delle donne, in misura alternativa o dopo il fine pena, nella realtà familiare e sociale, percorso in cui spesso esse non ricevono adeguato sostegno. La finalità di questo progetto integrato è quella di avviare azioni positive a favore delle donne detenute nella Casa Circondariale di Potenza e di quelle in esecuzione penale esterna sul territorio della Regione, anche in applicazione della Legge regionale 29 marzo 1999 n. 9.

Si intende preliminarmente proporre alle donne in esecuzione di pena un percorso di riappropriazione della propria identità femminile, sostenendo altresì processi di riflessione e di ridefinizione del proprio modo di stare in relazione con gli altri. Propone altresì un percorso teso a consentire a donne che si trovano in una situazione di esclusione di accedere a informazioni e notizie sui percorsi di orientamento e di formazione che favoriscano un concreto e positivo inserimento nel contesto civile e sociale.

Gli obiettivi specifici del progetto sono:

sensibilizzare il dibattito sulla problematica della detenzione al femminile e alle non pari opportunità dietro le sbarre;

avviare indagini e raccolta di dati e curare la loro diffusione sul fenomeno della violenza attraverso incontri e seminari e pubblicazioni anche sui siti istituzionali;

favorire ogni iniziativa di prevenzione primaria e secondaria tesa a combattere ogni episodio di violenza contro le donne, i bambini e le bambine anche attraverso azioni di accompagnamento da parte dia associazioni e centri che operano contro la violenza;

identificare e diffondere le buone prassi già esistenti a livello nazionale, regionale e locale;

individuare nell’ambito di azioni positive di prevenzione ipotesi innovative di intervento da sperimentare a favore delle donne in esecuzione di pena e dei loro nuclei familiari;

favorire, attraverso percorsi di prevenzione, il recupero di donne in esecuzione di pena che abbiano subito forme di violenza anche offrendo loro corsi di formazione sull’auto mutuo aiuto;

offrire alle donne in esecuzione di pena la possibilità di accedere a percorsi di orientamento, di reinserimento lavorativo anche attraverso la collaborazione di agenzie specializzate;

divulgare e produrre azioni informative sulla legislazione di parità e sulle politiche di mainstreaming e empowerment.

Il progetto si inserisce e si integra nei programmi esecutivi di azione promossi dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per il rilancio del trattamento penitenziario, ed in particolare il Pea 25, tesa al miglioramento della detenzione al femminile e all’implementazione di modelli di intervento a sostegno della genitorialità.

Il Progetto ha inteso infatti accendere un riflettore sulle criticità e sulle buone prassi esistenti nei 5 istituti femminili e nelle 58 sezioni femminili di Istituti maschili, marcando la differenza di genere e l’importanza soprattutto nella seconda categoria di Istituti ridefinire le irrinunciabili peculiarità delle esigenze, bisogni e risorse mai espresse delle donne in esecuzione di pena. In tale indagine particolare attenzione è stata rivolta agli operatori che in detti istituti lavorano, valorizzandone l’esperienza e la competenza, rilevandone i bisogni formativi, accogliendo le proposte di chi quotidianamente vive a fianco delle donne detenute.

Per la realizzazione del Pea è stato costituto un gruppo di lavoro interprofessionale che rappresentasse tutte le categorie professionali nonché le diverse specificità territoriali (nord, centro, sud) con il comune intento ed impegno a riuscire a parlare un linguaggio univoco.

Così costituito, il gruppo ha innanzitutto predisposto una scheda di rilevazione da portare in tutta Italia che servisse da griglia di discussione per gli operatori delle sezioni femminili degli Istituti, e che consentisse inoltre di andare a misurare le effettive condizioni in cui le donne detenute vivono i loro giorni. La ricognizione riguarda sia gli spazi e dei servizi ed il loro utilizzo, che particolari aspetti della vita penitenziaria al femminile, dal colloquio primo ingresso, agli aspetti peculiari legati alla salute, alla dimensione parentale delle donne con particolare riferimento alla genitorialità, alle attività di trattamento, alla preparazione delle dimissioni.

Lazio: dalla Regione 450mila euro per ristrutturare Regina Coeli

 

Asca, 8 marzo 2006

 

"La regione interviene con uno stanziamento di 450 mila euro per la ristrutturazione del quinto e sesto braccio di Regina Coeli che da diversi mesi versavano in una condizione di estrema fatiscenza - dichiara Luigi Nieri, assessore al bilancio, programmazione economico-finanziaria e partecipazione della Regione Lazio -. Lo scorso 30 dicembre ho avuto modo di visitare l’istituto penitenziario Regina Coeli a Roma e ho potuto constatare di persona come numerosi detenuti vivessero in celle gelide a causa del cattivo funzionamento dei termosifoni e senza la possibilità di disporre di acqua calda per lavarsi. A seguito di quella visita ho inoltrato una lettera di denuncia a tutti i rappresentanti del Parlamento italiano per segnalare che ci si trovava in presenza di condizioni degradanti e in piena violazione dei principi umani. Così con questi soldi la Regione interviene, primo caso in Italia, per porre fine a una situazione di illegalità. Saranno soldi che serviranno ad adeguare la struttura agli standard previsti dal regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 2000. La Regione Lazio ha deciso di farsi carico di un intervento di tradizionale pertinenza statuale per lanciare un segnale di attenzione a un tema che non vogliamo sia trattato solo con pietismo e demagogia. Non si può vivere al freddo e ammassati uno sull’altro nel pieno centro di Roma". Inoltre sono stati stanziati in bilancio 2 milioni di euro a favore di interventi in materia di salute, lavoro, formazione professionale, istruzione. Nel Lazio ci sono 5.895 detenuti di cui 468 donne.

Catania: uccide un ladro e getta il cadavere in un burrone

 

Il Gazzettino, 8 marzo 2006

 

Sarebbe stato ossessionato dai ladri che "visitavano" spesso e volentieri il suo podere, nelle campagne di Mineo. Per porre fine a quella che riteneva una vera e propria "persecuzione" avrebbe sorvegliato personalmente la sua proprietà armato di fucile da caccia, regolarmente detenuto. Con quest’arma, sostiene l’accusa, avrebbe sparato contro due fratelli che stavano rubando dei tubi dal suo fondo: uno l’avrebbe ucciso, nascondendone poi il cadavere; l’altro, sebbene sanguinante, sarebbe riuscito a fuggire e arrivare a Catania, dove è ricoverato in ospedale con la prognosi riservata. Protagonista della vicenda, secondo la ricostruzione della polizia, è Rosario Di Stefano, 54 anni, piccolo imprenditore agricolo originario di Grammichele. Una vita trascorsa in campagna con l’incubo dei ladri. Per porre fine ai continui furti subiti, "presidiava" il suo podere, armato di fucile calibro 12 caricato a pallini.

Sabato scorso l’imprenditore scopre due uomini, i fratelli Michele e Mauro Valenti, di 28 e 36 anni, che stanno prelevando dei tubi di ferro dalla sua proprietà e caricandoli sul loro furgone. È a questo punto, secondo gli investigatori, che Di Stefano spara almeno due colpi di fucile centrando i due ladri: Mauro Valenti viene colpito a morte, mentre suo fratello Michele, sanguinante, riesce a fuggire, raggiunge la strada e chiede un passaggio fino a casa, prima di essere condotto dai familiari nell’ospedale Garibaldi perché ha perduto molto sangue. All’inizio tenta di nascondere quanto è accaduto; poi, di fronte alle domande sempre più pressanti degli investigatori della squadra mobile di Catania, crolla: "Mio fratello - racconta - è rimasto per terra ferito, forse è morto...". La polizia si reca subito sul posto, trova tracce di sangue ma non il corpo della vittima. La Procura di Caltagirone autorizza una serie di perquisizioni e di controlli.

La stessa sera Rosario Di Stefano, accompagnato da un suo avvocato di fiducia, si presenta nella Questura di Catania per essere ascoltato: respinge con forza ogni accusa, dice di avere sparato un colpo di fucile in aria a scopo intimidatorio ma senza sapere neppure contro chi. "C’era buio - sostiene - non ho visto nulla". E rivela alla polizia dove si trova il suo fucile da caccia, regolarmente detenuto. Ma la tesi dell’uomo non convince l’accusa che decide di effettuare un fermo di polizia giudiziaria, anche se manca ancora il cadavere. Il corpo viene scoperto domenica dalla polizia in un burrone di contrada Zaccano, in territorio di Caltagirone. Per la squadra mobile della Questura di Catania a trasportarlo in quella zona isolata sarebbe stato lo stesso Rosario Di Stefano, aiutato da un familiare, utilizzando il furgone dei due fratelli Valenti, che era rimasto sul luogo della sparatoria e che è invece viene ritrovato, completamente bruciato, a poca distanza dal cadavere. Le indagini della squadra mobile della Questura di Catania sono coordinate dal sostituto procuratore di Caltagirone, Sabrina Gambino, che sta valutando anche la posizione di un familiare di Di Stefano per concorso nell’occultamento di cadavere. I reati ipotizzati invece nei confronti del fermato sono omicidio aggravato, occultamento di cadavere, tentativo di omicidio e porto abusivo di arma da fuoco.

Serbia: suicida Milan Babic, detenuto per crimini contro l'umanità

 

Tg Com, 8 marzo 2006

 

L’ex leader dei serbi di Croazia Milan Babic, 48 anni, si è suicidato nel carcere del Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia di Sheveningen. A renderlo noto è stato lo stesso Tpi precisando che Babic è stato trovato privo di vita nel tardo pomeriggio di domenica. Babic era stato condannato nel luglio scorso, in appello, a 13 anni di reclusione per crimini contro l’umanità. L’ex leader dei serbi-croati è stato trovato esanime alle 18.30 di domenica. Subito sono stati avvertiti i familiari. Sulla base degli accertamenti fatti, "è confermato che la causa della morte è il suicidio", si legge in un comunicato diffuso dal Tribunale, nel quale viene anche annunciato che il presidente del Tpi, l’italiano Fausto Poca, ha "disposto un’inchiesta interna".

Babic, dentista di Knin, durante la guerra dei Balcani, il 19 dicembre 1991, era divenuto presidente dell’autoproclamata repubblica serba di Krajina ed alleato di Slobodan Milosevic. Davanti ai giudici dell’Aja aveva ammesso di aver commesso crimini contro l’umanità per espellere la maggioranza dei croati e dei non serbi da un terzo del territorio della Croazia. L’ex leader dei serbi di Croazia successivamente aveva anche accettato di testimoniare con Milosevic. Il comandante era detenuto nel carcere di Scheveningen dal dicembre 2003.

 

 

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