Rassegna stampa 2 marzo

 

Programmi elettorali: "Radio Carcere" ha rivolto sei domande ai partiti…

 

Radio Carcere – Radio Radicale, 2 marzo 2006

 

Radio Carcere ha rivolto sei domande ai partiti. L’obiettivo. Capire quali i programmi inerenti giustizia penale e carcere. Forse per giudicare, per capire basterebbe considerare ciò che è stato fatto. Non le intenzioni, ma cosa è stato realizzato. Il voto si dovrebbe orientare facilmente, valutando l’operato di chi ha governato. Un giudizio positivo dovrebbe determinare il voto per la maggioranza. Uno negativo per l’opposizione. Martedì 21 febbraio Pisapia e la Lussana hanno esposto, sul quindicinale "Radio Carcere", le posizioni di Lega e Rifondazione comunista. Poche idee e molto confuse. Mancano risposte concrete a quesiti atavici. I nodi sempre gli stessi. Qualità della giustizia e tempi processuali. I rimedi fumosi e farraginosi. La decisione definitiva giunge, nella migliore della ipotesi, dopo una decina di anni dalla commissione del reato. Inaccettabile. La condanna del colpevole deve giungere al massimo in un paio di anni dalla commissione del fatto. E nello stesso tempo deve giungere l’assoluzione dell’innocente. La soluzione non si trova in un maquillage. Limando i tempi morti. Ma operando drasticamente. Incidendo sul sistema delle impugnazioni o sulla esecutività della sentenza di condanna. Riconsegnare la qualità. Un miraggio. Un sogno che passa attraverso il recupero della professionalità e dell’onestà di coloro che muovono la macchina della giustizia.

 

Intervista a Carolina Lussana, responsabile giustizia Lega Nord

 

Sempre più spesso assolti i colpevoli e condannati gli innocenti. I tempi del processo penale biblici. Regna la prescrizione. Quale rimedio?

Sicuramente, se le cose non vanno bene, c’è un sistema di norme che può e deve essere cambiato per accelerare i tempi del processo penale, ma deve esserci anche una maggiore responsabilizzazione da parte di chi i processi li celebra.

La riforma dell’ordinamento giudiziario è un significativo passo in avanti per avere una magistratura più preparata e professionale, meno soggetta a errori giudiziari, meno politicizzata.

Sicuramente non bisogna lasciare l’istituto della prescrizione in mano ai giudici, ma ferma restando l’obbligatorietà dell’azione penale, dovrebbe essere il Parlamento a indicare i reati che devono essere perseguiti in via prioritaria in quanto particolarmente offensivi per i cittadini.

 

La pubblicazione degli atti d’indagine. Le intercettazioni. Il processo sui media. Una patologia da rimuovere. Come?

Bisogna intervenire sulla spettacolarizzazione della giustizia e suoi processi celebrati sui giornali e non nelle aule dei tribunali, accertando le responsabilità e sanzionando chi non rispetta le norme. In questo senso si dovrebbero pensare a delle sanzioni, non solo per i giornalisti, ma anche per i responsabili degli atti di indagine, come polizia giudiziaria, cancellieri e magistrati, e in genere tutti coloro che hanno accesso agli atti di indagine e che e si rendono responsabili di trasmettere tali atti agli organi di stampa.

 

Un numero sterminato di reati. Contenuti nel codice penale, leggi e leggine. Un’unica pena. Il carcere. C’è un futuro diverso?

La situazione non è proprio quella descritta perché nel nostro ordinamento penitenziario c’è la previsione di norme alternative alla detenzione; si tratterebbe come nel progetto di riforma Nordio di inserirle, semmai, nel Codice Penale come possibili scelte all’inizio da parte del magistrato che commina la sentenza di condanna. Il carcere deve restare come extrema ratio e come sanzione penale necessaria per chi commette reati particolarmente gravi e per tutti coloro che sono pericolosi socialmente. Occorre, inoltre, proseguire nell’opera di depenalizzazione per tutte quelle fattispecie delittuose che sono retaggio tante volte di una stato illiberale. Penso ai reati di opinione, dove occorre terminare l’iter già intrapreso, o a quei reati che per assenza di offensività sarebbe più efficace punire con una sanzione diversa da quella penale.

 

Giudici e avvocati, non godono più di nessuna stima. Il termine Giustizia è ormai un miraggio. Come recuperare la fiducia persa?

Effettivamente assistiamo oggi a un modo di amministrare la giustizia sempre più lontano dal comune sentire della gente, nonostante che nelle aule italiane ci sia scritto che "La giustizia è amministrata in nome del popolo". Sentenze shock, rimessa in libertà di pericolosi criminali, un garantismo sempre più a favore di chi i reati li commette rispetto a chi i reati li subisce.

La Lega Nord ha due soluzioni:

a) porre rimedio all’autoreferenzialità della magistratura attraverso la previsione di un organismo esterno al CSM che si occupi di sanzionare i comportamenti illeciti dei magistrati. Perché non è possibile che oggi controllori e controllati si identifichino nella stessa categoria. È stato fatto un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Che fine ha fatto?

b) elezione diretta da parte del popolo dei pubblici ministeri. Un magistrato della pubblica accusa espressione del territorio e quindi più vicino ai cittadini.

 

Il carcere. Luogo che non rieduca. Umilia. Le celle scoppiano. Una tragedia dal continuo peggioramento. Che fare?

Continuare nella strada intrapresa dal ministro Castelli: costruire nuovi penitenziari, più moderni e con circuiti differenziati per l’esecuzione della pena. Un’attenzione dovrà essere necessariamente data alla triste situazione dei detenuti in attesa di giudizio, prevedendo strutture diverse dal carcere e che comunque adempiano alle finalità della misura cautelare, per non minare il principio della sicurezza dei cittadini. Attuare accordi bilaterali per far scontare ai detenuti extracomunitari la pena a casa propria. In questo senso penso che i debbano intensificare e migliorare gli accordi con i paesi balcani e quelli nordafricani. Si rende inoltre necessario applicare la Bossi-Fini, che consente di convertire le pene fino a 2 anni con l’espulsione, e studiare anche la possibilità di estendere fino a tre anno tale limite di pena. Infine si deve pensare al lavoro come forma per i detenuti di ottenere un regime penitenziario diverso.

 

Il dramma delle detenute con figli di età inferiore ai tre anni. Che fare?

L’interesse dei bambini è prioritario; occorre pensare a strutture protette idonee alternative al carcere attraverso il doveroso coinvolgimento degli Enti Locali.

 

Intervista a Giuliano Pisapia, responsabile giustizia del Prc

 

Sempre più spesso assolti i colpevoli e condannati gli innocenti. I tempi dei processi sono biblici. Regna la prescrizione. Quale rimedio?

Il rimedio è un progetto organico di riforme che coniughi celerità, efficienza e garanzie. Senza cedere rispetto alla tutela delle garanzie processuali, occorre però distinguere, anche a livello di sanzioni processuali, tra garanzie e formalismi. Le prime sono intoccabili, i formalismi invece determinano solo un allungamento dei tempi processuali, favorendo i colpevoli a scapito degli innocenti, senza minimamente incidere sul rischio, sempre incombente, di errori giudiziari. Bisogna inoltre riflettere sull’opportunità o meno di continuare a celebrare i processi nei confronti degli irreperibili: credo valga la pena, su questo punto, di adeguarsi alla legislazione di altri Paesi, ove i processi nei confronti di imputati irreperibili sono sospesi, con automatica sospensione dei termini di prescrizione. Anche per quanto riguarda la prescrizione e la delicata questione delle notificazioni, bisogna trovare un giusto equilibrio tra necessità processuali e effettività del diritto di difesa, che non può essere confuso con il "diritto" di creare le condizioni per impedire che si svolga un processo, quando evidentemente ve ne sono i presupposti giuridici. La parità tra accusa e difesa, soprattutto nella formazione della prova, deve essere effettiva, e non solo formale; così come la terzietà di chi deve giudicare.

 

La pubblicazione degli atti di indagine. Le intercettazioni telefoniche. Il processo sui media. Una patologia da rimuovere. Come?

Già oggi è reato pubblicare atti coperti dal segreto e le intercettazioni dovrebbero essere autorizzate solo in presenza di "gravi indizi" e se "assolutamente indispensabili per il proseguimento delle indagini". Purtroppo un mezzo di prova previsto come "eccezionale" è diventato la norma, con abusi non degni di uno stato di diritto. Basti pensare alla divulgazione di atti non pubblicabili: sono necessarie sanzioni adeguate ed efficaci, in quanto la libertà di stampa non ha nulla a che vedere con la libertà di violare una legge o di diffamare. Dunque: indagini serie per individuare chi ha violato il dovere di riservatezza e sanzioni pecuniarie, proporzionali alla diffusione, non per i giornalisti, ma per la proprietà dei mezzi di comunicazione. La pubblicazione di atti coperti da segreto, infatti, danneggia non solo le indagini ma anche soggetti che nulla hanno a che vedere con fatti illeciti.

 

Un numero sterminato di reati. Contenuti nel codice penale, leggi e leggine, Un’unica pena. IL Carcere. C’è un futuro diverso?

Il carcere deve essere l’extrema ratio. Bisogna prevedere pene principali diverse dalla reclusione: detenzione domiciliare, misure interdittive, lavori socialmente utili o finalizzati al risarcimento del danno. Con effetti positivi sulle condizioni disumane degli istituti penitenziari e sulla situazione dei Tribunali di sorveglianza, che vedrebbero alleggerito il loro carico di lavoro.

 

Giudici e avvocati, non godono più di nessuna stima. Il termine Giustizia è ormai un miraggio. Come recuperare la fiducia persa?

Sono convinto che sia possibile dare al Paese una giustizia degna di questo nome, solo se si ha come obiettivo l’interesse collettivo. Indispensabili, a tal fine, seri controlli di professionalità, per magistrati e per avvocati, accompagnati da codici deontologici che, rendendo concreto il principio di responsabilità, prevedano sanzioni adeguate in caso di violazioni e/o errori inescusabili.

 

Il carcere. Luogo che non rieduca. Umilia. Le celle scoppiano. Una tragedia dal continuo peggioramento. Che fare?

Se l’unica sanzione penale non sarà più quella carceraria, molti problemi saranno, se non risolti, quanto meno attenuati. Così potrà essere applicata, nella sua interezza, la legge Gozzini, creando le condizioni per il reinserimento di un numero sempre maggiore di detenuti. Diminuirà la recidiva e, conseguentemente, il numero dei reati. È indispensabile aumentare l’organico di educatori, assistenti sociali, psicologi e magistrati di sorveglianza, così come è fondamentale azzerare la legge Cirielli e l’incostituzionale legge sulla droga, approvata nell’ultima settimana della legislatura. Urgente è un provvedimento di amnistia e di indulto, che inciderebbe positivamente sul "carico giudiziario" e sulle condizioni di vita di chi è detenuto e di chi opera e lavora in carcere. Deve, infine, essere ridotto il quorum attualmente previsto per amnistia e indulto, superiore perfino a quello necessario per le modifiche costituzionali.

 

Il dramma delle detenute con figli di età inferiore ai tre anni. Che fare?

Aggiornare e migliorare le leggi già esistenti e, soprattutto, creare le condizioni per la loro effettiva applicazione. Prevedendo, anche, quando non vi sono altre alternative, strutture specifiche (tipo case-famiglia), ove i figli di detenuti possano crescere senza dover scontare, fin da piccoli, colpe che non sono loro.

 

Le risposte dei politici valutate da Tullio Padovani (docente di diritto penale a Pisa)

 

Dalle indicazioni programmatiche dei partiti che si contendono il governo del Paese ci si aspettava forse un grado di concretezza e di specificità superiori a quelli di semplici richiami a postulati e propositi dall’incerta definizione. Garanzie separate dai formalismi nel processo penale? Nessuno lo contesta. Ma quali sono le une e quali gli altri? Per lo più dipendono dalla stessa norma, che talora assicura una ineludibile tutela e talaltra può risolversi in un inutile intralcio.

Come distinguere? Indicare la mèta non equivale, evidentemente, a tracciare la via; anzi, può preludere a rischiose semplificazioni. Lo sdegno per l’abuso delle intercettazioni è sacrosanto; eppure, molti dei guai che affliggono la materia dipendono solo dal cattivo uso delle norme già presenti nell’ordinamento. In primo luogo, dalla "desuetudine" che ha colpito la speciale udienza prevista dal codice di procedura penale per la selezione delle intercettazioni rilevanti, all’esito della quale è possibile procedere alla distruzione di quelle inutili alle indagini.

Un maggior rigore processuale nel garantire questa udienza negletta (ecco una garanzia vera, non abbastanza tutelata) costituirebbe forse un passo in avanti più efficace di molti proclami. Quanto alla tutela della segretezza delle indagini, altro tema nevralgico, si tratta di un cruccio ricorrente nel nostro Paese (destinato a riacutizzarsi in forma spasmodica, com’è ovvio, quando l’indagine, per qualche speciale ragione, "scotta"). L’allora ministro della giustizia on. Martelli istituì (qualche era glaciale fa) una commissione che partorì uno schema di riforma per verità sensato ed equilibrato; ma non se ne fece di nulla, per la fiera opposizione dei giornalisti che videro messa in pericolo la libertà di stampa. La questione ruota, in definitiva, intorno al segreto professionale riconosciuto ai giornalisti per la tutela della fonte delle loro informazioni.

Siamo disposti a metterne in discussione i limiti e le condizioni? Un catalogo da rivedere Il ricorso alla pena carceraria deve ispirarsi al criterio dell’extrema ratio: è una frase che si ritrova in tutti i manuali di diritto penale, non senza ragione, evidentemente. Ma siamo sicuri che l’attuazione di questo criterio si risolva con l’evocazione delle pene alternative (nel codice penale) e delle misure alternative (nell’ordinamento penitenziario)?

A seguire le statistiche non pare proprio che all’ingresso delle sanzioni sostitutive (nel 1981) e alla dilatazione delle misure alternative (con la legge Gozzini del 1986) abbia corrisposto un decremento del numero di detenuti. Anzi, esso è andato progressivamente crescendo. Nel complesso, è il controllo sociale coercitivo (in tutte le sue forme) che si è esteso e dilatato. Per ridurre l’area penitenziaria, occorre in realtà rivedere il catalogo dei reati per i quali oggi è comunque indefettibile (o altamente frequente) il ricorso alla pena detentiva: incidere cioè sui processi di criminalizzazione primaria, tenendo conto – è ovvio – dei reati che alimentano davvero il carcere (la depenalizzazione di reati inattuali a basso indice di commissione, può restituire dignità al sistema, ma non allarga le celle). A quali reati siamo disposti a rinunciare? Lunghezza dei processi: una malattia cronica che ha molte cause e, a quanto pare, pochi rimedi. Incidere sull’obbligatorietà dell’azione penale, per evitare il dispendio di energie processuali nel perseguire fatti bagatellari o poco più?

Ottimo proposito: l’obbligatorietà dell’azione penale è un feticcio alle cui virtù salvifiche nessuno crede più, dato che non tutti i reati si possono di fatto perseguire, e non tutti con la stessa sollecitudine e tempestività. Chi dovrebbe stabilire le priorità? Il Parlamento? Ma così il problema non è risolto: è solo spostato. Il Parlamento parla in via generale ed astratta: non ha davanti i casi della vita, ma solo categorie normative di riferimento. Le scelte si fanno invece sui casi della vita: quella tale truffa, quel tale infortunio sul lavoro, quel tale furto. Alla fine, sarà il pubblico ministero a dover scegliere: secondo quali criteri di massima e con quali controlli?

Questo è il punto. Un pubblico ministero elettivo? Per l’America dobbiamo francamente ancora attrezzarci: nella condizione attuale, l’idea suscita un certo sgomento. Sottrarre la prescrizione al potere discrezionale del giudice? Per verità ci ha già pensato le recente legge ex Cirielli, ma con tali contorcimenti e tali storture da esigere un rapido intervento di ortopedia legislativa. Abrogare semplicemente la legge? Per la parte relativa alla recidiva, non si può che convenire. In ogni caso le questioni ch’essa affronta (recidiva e prescrizione) sono questioni "vere" nel senso che esigono davvero un intervento riformatore. L’assetto precedente, su cui la legge è intervenuta, non era certo l’ideale: al contrario. Perciò, ogni proposito abrogativo deve, per essere ragionevole, accompagnarsi all’indicazione di quali strade si intendano percorrere nella disciplina di due istituti nevralgici.

Giustizia: nelle carceri una situazione insostenibile, l’anno scorso 57 suicidi

 

Gazzetta del sud, 2 marzo 2006

 

Il mondo carcerario si apre all’esterno e parla di se stesso, dei suoi mille problemi, dei suoi infiniti affanni. E lo fa con un convegno che, puntando i riflettori sul tema della salute in carcere, rivela una realtà in cui spicca il particolare di un sovraffollamento record, da cui discendono disagi gravissimi. I numeri sono eloquenti: nelle 207 carceri italiane si trovano 59.523 detenuti (contro un massimo regolamentare di 43 mila posti) di cui 2.804 sono donne, 19.386 extracomunitari (33,3%), 16.185 tossicodipendenti (27%) e quasi 5.000 malati di Hiv. A proposito di questi ultimi, però, il direttore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Stefano Ardita fa notare che si tratta di una stima calcolata sul fatto che "solo un terzo delle persone che entrano in carcere si sottopone al test dell’Hiv". Infatti, attualmente gli ammalati ufficiali di Hiv in cella sono 1.525, ma di fatto sono il triplo. Dietro le sbarre, purtroppo, ci sono anche 50 bambini al di sotto dei tre anni per le cui mamme, denuncia la diessina Anna Finocchiaro, "non si sono trovati i fondi per l’applicazione di pene alternative". Una situazione generale ad altissimo rischio, dunque. Che per alcuni diventa insostenibile al punto che in 57, l’anno scorso, si sono tolti la vita in cella (nel 2004 i suicidi in carcere furono 52). . Al convegno "La salute in carcere, parliamone senza censure" organizzato dal ministero della Giustizia cui sono giunti messaggi del Presidente della Repubblica, del Papa, dei Presidenti del Senato e della Camera, e del ministro Castelli Stefano Ardita ammette di essere consapevole che gli istituti di pena italiani versano "in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario. A cominciare agli spazi pro capite che dovrebbero essere pari a 9 metri quadrati". Di più: Ardita sottolinea che le risorse per la salute dei detenuti sono sempre meno (il budget è ormai "sul filo dell’indispensabile") perché vengono stabilite senza tenere conto del raddoppio del numero dei detenuti negli ultimi 25 anni: nel 1980 erano 30.347; oggi, come detto, sono 59.523. Il Dap traccia una mappa epidemiologica delle nostre carceri per conoscere l’incidenza delle malattie dei detenuti e, soprattutto, per ripartire adeguatamente le scarse risorse. Scontata la diagnosi: 7.800 detenuti (13%) hanno uno stato di salute compromesso, contro il 7% della popolazione libera. Circa il 20% dei reclusi soffre di disagi psichici, il 15,34% di deficit della masticazione, il 13,56 di malattie osteoarticolari, il 10,91% di malattie epatobiliari, il 9,87% di depressione, il 9,10% di malattie grastrointestinali, il 6,64% di malattie infettive (esclusa l’Hiv), il 5,54 di malattie respiratorie, il 4,44% di ipertensione arteriosa. L’ampio quadro sanitario della popolazione carceraria comprende anche le malattie dermatologiche (3,81%), quelle renali (3,04%) e quelle neurologiche (2,71%), la malnutrizione (2,32%), il diabete mellito (2,21%) fino ai 35 casi (0,03%) di malattie neonatali. Va infine detto che oltre il 20% delle detenute è affetto da patologie tipiche delle donne: tumore all’utero, alle ovaie, alla mammella, eccetera.

Lettere: detenuto di San Vittore chiede aiuto; sono senza denti e senza soldi

 

La Repubblica, 2 marzo 2006

 

Io sottoscritto Abassi Mohamed sono un cittadino tunisino residente in Italia dal 1987. Sono detenuto a San Vittore dal 5 settembre del 2005, per la legge sulla droga, all’articolo 73. Sono un tossicodipendente e le mia situazione economica è molto precaria. In questa mia ennesima carcerazione, però, il mio problema principale sono i miei denti, perché qui me li hanno estratti tutti quanti, tranne due denti superiori e tre inferiori, che sono del tutto cariati.

Adesso ho dei seri problemi di masticazione e da quando sono qui a San Vittore vivo solo con il latte del vitto, perché non posso prendere altro cibo. Ma soprattutto quello che mi fa male è non avere più un sorriso come tutti gli altri.

Visto che alla direzione del carcere parlano solo di mancanza di fondi disponibili per darmi una protesi, confido in voi sperando di poter avere un aiuto concreto, perché una protesi mi è necessaria per poter mangiare e specialmente per poter sorridere come tutti.

Ringrazio molto per tutto quello che potete fare nei confronti delle fasce deboli come noi. In fede, con osservanza , San Vittore, via Filangieri 2, Milano.

Modena: carabinieri filmati mentre picchiano un cittadino marocchino

 

Emilianet, 2 marzo 2006

 

Un intervento di carabinieri e polizia si conclude nel pestaggio di un marocchino irregolare che aveva perso le staffe. Ma il filmato di un testimone che riprende la scena con il suo videofonino inchioda i responsabili.

Domenica 19 febbraio, ore 10 circa. Una donna chiama insistentemente la polizia al 113, da un palazzo di via Adda, a Sassuolo (la città dove pochi mesi fa l’amministrazione ha deciso di espropriare un intero palazzo per ragioni di ordine pubblico). È uno degli edifici da anni al centro di problemi di integrazione e di ordine pubblico. La donna chiede aiuto per la presenza di un uomo, un marocchino già noto che dorme da tempo su un pianerottolo.

L’uomo, Idrissi il nome, clandestino, l’avrebbe minacciata e, il giorno prima, avrebbe mandato in frantumi la vetrata del palazzo dove hanno sede la Cisl e i Testimoni di Geova. Pochi giorni prima, in condizioni analoghe, aveva danneggiato un’ambulanza che lo aveva soccorso. L’immigrato, quella domenica, è ferito al cuoio capelluto, sanguina, presumibilmente per una colluttazione della sera precedente. In commissariato cedono alle insistenze: un sovrintendente si reca sul posto, da solo e in borghese.

Al suo arrivo il poliziotto, riferirà poi, si trova di fronte a un uomo presumibilmente ubriaco. Non riesce a gestire la situazione, chiede rinforzi. La centrale dei carabinieri invia in via Adda la pattuglia del Nucleo radiomobile della compagnia cittadina. A bordo un carabiniere e un vicebrigadiere. Al loro arrivo trovano il sovrintendente in auto, che li attende. Pochi istanti e il terzetto si trova di fronte Idrissi.

Secondo il rapporto dei carabinieri, l’uomo, in stato confusionale, lancia loro sassi e li affronta con il collo di una bottiglia rotta. Il vicebrigadiere riesce a sfilargliela di mano, ma non a convincerlo a salire sull’auto di servizio. La situazione si protrae per una decina di minuti, l’uomo sanguina e si oppone, finché il vicebrigadiere riesce ad allacciare una manetta al polso di Idrissi, che a quel punto cambia atteggiamento. Si denuda quasi completamente, restando in mutande e si butta a terra. Intanto un gruppo di giovani magrebini attirati dalle urla si avvicina. Uno di loro, con un videofonino, registra la scena, mentre altri contestano l’operato dei tre operatori di polizia. Nasce un alterco, documentato dal video.

Idrissi viene accompagnato in ospedale dove gli suturano la ferita e gli diagnosticano otto giorni di prognosi. Tanti quanti ne avrà il vicebrigabiere, per un pugno al volto che nel filmato non compare. Tre giorni di prognosi per il sovrintendente di polizia. Idrissi viene quindi arrestato dalla polizia e l’indomani, lunedì, condannato in tribunale a Modena a sei mesi di reclusione per resistenza e lesioni. È ancora in carcere.

Il filmato viene consegnato dall’autore all’associazione dei Giovani musulmani d’Italia, che ha una sezione anche a Sassuolo. È mercoledì quando le immagini del pestaggio compaiono sulla "bacheca" del sito, con l’invito a valutare l’operato delle forze dell’ordine. La notizia si diffonde e i responsabili del sito decidono di oscurare il video, e di consegnarlo alla Digos della questura di Reggio Emilia, la città dove risiede la responsabile del sito. Invitano gli immigrati a collaborare correttamente con le istituzioni, e chiedono che i responsabili dell’episodio vengano puniti. Gli stessi carabinieri di Sassuolo si procurano il filmato e lo trasmettono con una informativa alla procura della Repubblica di Modena. Da Roma il comando dell’Arma annuncia l’immediato trasferimento dei due militari e l’apertura di un procedimento disciplinare, ringraziando l’associazione dei Giovani musulmani, in attesa delle determinazioni della magistratura.

In città scoppia la polemica: cittadini organizzano una raccolta di firme per i due carabinieri, le associazioni sindacali di polizia prendono posizione denunciando anni di illegalità, il sindaco della Margherita e pressoché ogni partito politico intervengono. Tutti ad attestare solidarietà ai due carabinieri, ma quasi tutti a chiedere che se qualcuno ha sbagliato venga punito. Fanno eccezione An, che dichiara fiducia "a prescindere" nei carabinieri, e la Lega Nord: l’onorevole Mario Borghezio si precipita in caserma, sabato 25 febbraio, viene ricevuto dal comandante provinciale ma non lo fanno parlare coi due militari sotto inchiesta. I quali ieri, lunedì, a rapporto dal comandante provinciale hanno ricevuto la conferma: devono lasciare Sassuolo. Uno di loro, i carabiniere di 120 chili che nel filmato sale coi piedi sul clandestino a terra, è stato destinato a fare da piantone presso il comando di Bologna.

Bergamo: nel carcere di Via Gleno malattie e tossicodipendenze

 

Expo BG, 2 marzo 2006

 

Nel carcere di via Gleno un detenuto su due è tossicodipendente ed è in cura per patologie gravi come la psicosi e la schizofrenia. Nel carcere di via Gleno su circa 420 detenuti, 247 sono tossicodipendenti. 33 fanno uso di metadone.

Una situazione drammatica che va inserita anche con il problema del sovraffollamento e con quello della diffusione di epidemie, visto l’elevata presenza di cittadini extracomunitari che provengono da zone dove la tubercolosi e la scabbia sono ancore presenti. Senza contare che quasi sempre i problemi di tossicodipendenza si accompagnano a forme patologiche gravi come le psicosi, le schizofrenie e le depressioni. I soggetti sieropositivi sono 25, i detenuti che hanno l’epatite B o C 34, con il diabete 14, con malattie cardiovascolari 20, con problemi psichiatrici 48 e quelli con disagio psichico che necessita di cura terapeutica 89.

Uno degli aspetti su cui bisogna insistere è sicuramente la prevenzione, e da questo punto di vista il carcere di Bergamo è preparato: si pensi, ad esempio, che nel 2005 fra le carceri di tutta Italia il programma di screening per la tubercolosi meglio organizzato è stato quello del carcere bergamasco.

Il problema più serio resta comunque quello dei detenuti con problemi psichiatrici; Natale Lorenzi, responsabile del servizio di prevenzione delle malattie infettive dell’Asl di Bergamo, ritiene che si tratta di un problema serio destinato a diventare sempre più grave perché non c’è ancora una struttura carceraria pronta ed organizzata per affrontare patologie di questo tipo.

Nel frattempo il comitato "Carcere e Territorio", che non potrà più beneficiare dei contributi messi a disposizione dalla Fondazione Cariplo a sostegno dei progetti di reinserimento sociale dei detenuti, ha lanciato un appello alla Regione, per evitare che il comitato debba chiudere i battenti. La Regione si è resa disponibile, anche perché il Comitato nel tempo ha raggiunto grandi traguardi: nel 2005 i progetti di inserimento lavorativo hanno riguardato 64 detenuti, 31 dei quali assunti , 24 avviati verso borse di studio; bene anche l’inserimento negli alloggi gestiti dal comitato,16 nuovi soggetti su un totale di 35.

Giustizia: dal Dap la richiesta di graziare tre detenuti gravemente malati

 

Ansa, 2 marzo 2006

 

Tre richieste di grazia per altrettanti detenuti gravemente ammalati sono state sollecitate dal Dap al ministero della Giustizia. Si tratta di due donne (entrambe ristrette a Perugia) e di un uomo (nel penitenziario di Torino) che hanno già scontato gran parte della pena e che, per la gravità della malattia, sono in uno stato semivegetativo. È la prima volta che la richiesta viene avanzata direttamente dall’Amministrazione penitenziaria.

TV: Carol Kostner definita "secondina"; il Sappe protesta con Mediaset

 

Apcom, 2 marzo 2006

 

Una formale e vibrata protesta è stata inviata questa mattina ai vertici di Mediaset Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi ed al ministro della Giustizia Roberto Castelli dalla Segreteria Generale del Sappe (Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria), secondo quanto informa una nota dell’organizzazione sindacale. Sotto accusa la trasmissione "Le Iene", si legge nel comunicato, andata in onda ieri sera su Italia Uno, che in un servizio ha denigrato l’atleta delle Fiamme Azzurre (il Gruppo Sportivo della Polizia Penitenziaria) Carolina Kostner e gli appartenenti al Corpo.

"Più volte - scrive il Sappe - è stato sottolineato, in termini ironici e dispregiativi, che Carolina Kostner è una "secondina". Dispiace che una trasmissione sempre interessante come "Le Iene" abbia dimostrato così poco rispetto nei confronti non solo di un’appartenente ad un Corpo di Polizia dello Stato, come Carolina Kostner, ma delle decine e decine di migliaia di donne e uomini che indossano la sua stessa divisa! Nelle oltre 200 carceri italiane non lavorano "guardie carcerarie" o "secondini", bensì appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria".

"Per il rispetto che l’intera società deve a queste donne ed a questi uomini con il basco azzurro quotidianamente impegnati in un compito estremamente difficile, che non possiamo in alcun modo accettare la denigrazione fatta dalla trasmissione "Le Iene" di ieri sera verso l’atleta delle Fiamme Azzurre Carolina Kostner e verso tutte le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria ironizzando sul desueto e vetusto vocabolo di "secondino". Secondino e guardia carceraria sono spregevoli appellativi - continua la nota del Sappe - per altro in disuso da decenni, con cui, fin troppo spesso, la stampa definisce gli agenti che operano nel sistema carcere".

"Sono decine e decine gli Agenti di Polizia Penitenziaria - conclude il Sappe - che, come atleti del Gruppo Sportivo Fiamme Azzurre, hanno vinto decine e decine di medaglie d’oro, d’argento e di bronzo a livello mondiale in tutte le discipline sportive, portando lustro al Corpo di Polizia Penitenziaria e a tutta la Nazione. Giovanni Pellielo, Vera Carrara, Claudia Corsini, Carlina Kostner solo per citarne alcuni. Ed è un appartenente alla Polizia Penitenziaria anche l’arbitro internazionale di calcio Massimo de Santis. Tutti questi colleghi, tutti coloro che lavorano nella difficile realtà delle carceri italiane, meritano rispetto e riconoscenza. Anche quella de "Le Iene".

Bestie Satana: Sapone aggredito

Varese: ragazzi dell’Ipsia; il carcere non è come si vede nei film

 

Varese News, 2 marzo 2006

 

In controtendenza rispetto alle migliaia di notizie di arresti e atti di delinquenza, i giovani alianti dell’IPSIA di Varese hanno deciso di fare il loro esercizio di cittadinanza approfondendo l’informazione su quello che succede dietro le sbarre.

Il filo rosso del video presentato alla conferenza del 2 marzo al Teatro Apollonio è la giustizia riparativa. Un’iniziativa che ha visto i detenuti della Casa circondariale di Varese svolgere attività utili alla società, come ridipingere i sottopassaggi di via Morosini, usufruendo delle ore di permesso premio. Dopo un lungo lavoro in classe sul pregiudizio e sull’informazione, 8 ragazzi sono stati, a nome dell’istituto, alla Casa circondariale di Varese con una lunga lista di domande da rivolgere a detenuti e personale del carcere.

Le tre ore di videointerviste hanno lasciato i ragazzi soddisfatti dall’esperienza. "Il carcere è molto diverso da come me lo aspettavo" hanno detto in molti confrontandosi all’uscita del carcere. Qualcuno ha aggiunto "è molto umano" ed ancora "ho visto che i detenuti sono persone come noi, anche se hanno commesso degli sbagli". L’idea di entrare in carcere come volontario spaventa ancora, ma parecchi sono rimasti affascinati dal lavoro della polizia penitenziaria, molto diversa dal loro immaginario cinematografico.

Il preside Giovanni Blasi che ha accompagnato gli studenti dell’Ipsia, si è dimostrato entusiasta dell’iniziativa di giustizia riparativa, invitando i responsabili del progetto a svolgere delle attività nel suo istituto. "Penso che una collaborazione tra carcere e scuola sia molto utile, perché la concretezza di certe esperienze può evitare di far commettere ai ragazzi delle sciocchezze in futuro. " Il preside chiarisce che "i detenuti potrebbero venire a scuola per piccole manutenzioni dell’edificio e lavorare con i ragazzi per dipingere i muri sporcati dagli studenti e le porte rotte da atti vandalici. " Dopo qualche considerazione sui sempre minori investimenti statali nell’istruzione pubblica, il preside ha aggiunto "specialmente in questo momento la scuola deve aprirsi al territorio e collaborate con tutte le istituzioni presenti carcere, asl, enti locali: solo con questo tipo di iniziative si può riuscire ad educare gli studenti e renderli cittadini

Salute nelle carceri italiane: i dati del Dap sono incompleti e allarmanti

 

Amisnet, 2 marzo 2006

 

"La salute in carcere: parliamone senza censure", così si intitolava il convegno del 1 marzo, occasione di confronto e dibattito sul tema carceri. I dati inediti forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria durante l’incontro forniscono un quadro allarmante dell’attuale sistema penitenziario. Quasi 60.000 i detenuti nelle 206 carceri italiane, un primato mai raggiunto. Di questi, il 33,3% sono extracomunitari, il 27% tossicodipendenti e il 20% soffre di disturbi mentali. Un tragico quadro, un sovraffollamento che non permette di garantire neanche il minimo di spazio pro-capite (9 metri quadrati).

Aspre le critiche di Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, l’associazione che si occupa di diritti nelle carceri. Gonnella accusa il governo di essere colpevole di un peggioramento del sistema penitenziario, "Dov’era l’amministrazione penitenziaria quando le chiedevamo di battere un colpo per segnalare che la ex Cirielli sarebbe stata la pietra tombale del sistema penitenziario italiano? Dov’era quando denunciavamo che la legge sulla sanità è rimasta Inapplicata e che i detenuti soffrono un vuoto di tutela?", ha chiesto Gonnella in occasione del convegno. Da Antigone poi provengono altri allarmanti dati circa lo stato della sanità degli istituti: il 69.31% dei detenuti si lava con acqua gelida, il 60% delle detenute non ha il bidet, il 55.6% dei detenuti vive in carceri dove non sono consentiti colloqui in spazi all’aria aperta. Necessaria e urgente sembra quindi una revisione del sistema penitenziario italiano, asilo di disperati e sempre più spesso di chi non si può permettere un bravo avvocato.

Mentre dalla redazione di Ristretti Orizzonti, arrivano i dati sui suicidi in carcere che non corrispondono ai dati del Ministero: 57 suicidi accertati nell’anno 2005; 9 suicidi accertati nei primi due mesi del 2006; 22 morti per "cause non accertate" nel 2005 (quanti di questi sono in realtà suicidi?)

"I dati diffusi oggi dal Dap (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) nell’ambito del convegno La salute in carcere: parliamone senza censure sono davvero completi? Secondo noi il numero dei detenuti morti suicidi è più elevato, ecco perché...

Con il Dossier "Morire di carcere" non abbiamo la pretesa di fornire statistiche complete sul dramma dei suicidi in carcere, in quanto possiamo riferire soltanto dei casi che abbiamo raccolto con un attento monitoraggio delle notizie "trattate" dagli organi di informazione, oppure che ci vengono segnalati dalle organizzazioni di volontariato, o dai famigliari stessi dei detenuti. A volte veniamo a conoscenza di un "caso" a distanza di alcuni mesi, magari attraverso la testimonianza di un volontario incontrato ad un convegno: quindi abbiamo fondate ragioni per credere che, oltre ai 57 suicidi che abbiamo "censito" nel 2005 ve ne siano diversi altri sfuggiti alla nostra ricerca. Inoltre, sempre nel 2005, abbiamo "raccolto" i casi di 22 detenuti morti per "cause non ancora accertate", cioè per i quali sono in corso inchieste della magistratura volte ad accertare i reali motivi del decesso. Quante di queste morti saranno attribuibili a suicidio?

Lettere: sono uscita da venti giorni dal carcere "Gazzi" di Messina…

 

Radio Radicale, 2 marzo 2006

 

Sono uscita da venti giorni dal carcere di Messina dove ho trascorso otto mesi. Appena arrivata nel carcere di Messina sono stata messa nelle celle dell’alta sicurezza. Si tratta di una decina di celle che sono tutte uguali. Quando si è aperta la porta della mia cella, ho visto una scena bruttissima, a cui non mi sono mai abituata. Una piccola cella con dentro 6 brande e chiaramente 6 donne detenute. I muri erano tutti neri per la sporcizia, pieni di crepe e di muffa. Un barlume di luce entrava da una finestrella di legno, che è antica e lo vedi. Fuori dalla finestrella un lastra di vetro impediva l’ingresso di luce e aria.

A sinistra c’era un bagnetto, tanto piccolo da ospitare solo la tazza. Del bidet neanche l’ombra. C’era solo un piccolo lavandino, che è accanto ai letti, dove noi donne detenute lavavamo tutto: piatti, vestiti e corpi. La cella era piccola, saranno stati 7 mq. Tanto piccola che dovevamo mettere i letti attaccati uno vicino all’altro. Noi vivevamo ammassate.

Restavamo chiuse in quella celletta per 21 ore al giorno. Senza poter lavorare, senza poter dare un senso a quel nostro tempo. Per noi c’era solo la televisione. E per fortuna che c’era. Senza la Tv saremmo morte. Perché oltre alla televisione nel carcere di Messina non c’è nulla.

Il mangiare era uno schifo e sempre lo stesso. La sensazione era di essere trattate come galline a cui dai sempre lo stesso mangime. A pranzo pasta al sugo e a cena minestrina al brodo. Così per mesi e mesi. L’unica novità c’è stata alla vigilia di Natale. Ci hanno dato la mortadella con l’insalata.

Spesso eravamo invase da scarafaggi volanti. Blatte di 3, 4 cm che si mischiavano a noi in quella piccola cella. Entravano in continuazione dal bagno o dalla porta della cella, camminavano sulle lenzuola, ci venivano addosso. Per noi era un incubo. Abbiamo chiesto una disinfestazione ma dal carcere ci hanno risposto: "e a che serve?". Loro la chiamano alta sicurezza, ma per noi era solo altra schifezza.

Dopo 5 mesi passati in quella cella, mi hanno trasferito nelle celle per le detenute comuni. Nel carcere di Messina le celle della sezione "comuni" sono molto piccole. La classica cella un metro per un metro. Celle piccole e buie. C’è infatti una sola finestrella che ha una fitta rete metallica che non fa entrare la luce. Noi vivevamo nell’oscurità. Eravamo in due detenute lì dentro. Nella cella c’è un letto a castello, un piccolo tavolino e un lavandino. Il bagno è un buco con solo la tazza. È uguale a quello delle celle dell’alta sicurezza se non per il fatto che è senza porta. C’è solo un piccolo cancelletto che divide il bagno dalla cella. Siccome quel cessetto senza porta è vicino all’ingresso della cella, praticamente facevano i nostri bisogni in bella vista del corridoio del carcere. Noi non avevamo scelta. Per andare in bagno ci dovevamo imbarazzare, vergognare. Senza parlare della puzza di fogna che esce dal bagno. Accadeva soprattutto di notte, quando il blindo della cella, cioè la porta di ferro, è chiusa.

Anche nella sezione comune del carcere di Messina non c’era nessuna rieducazione. Noi stavamo sempre chiuse in cella. Le due ore d’aria, che facevamo ogni giorno, erano l’unico nostro svago. Molte donne nel carcere di Messina rinunciano anche all’ora d’aria, perché il degrado lì è talmente tanto che ti passa la voglia di fare qualsiasi cosa. È questo forse il male peggiore che ti può prendere in carcere. L’apatia. Un male che ti può ammazzare. Come è stato per Giovanna, 39 anni, che il 23 dicembre si è impiccata nel carcere di Messina.

Giovanna ha usato il copriletto per ammazzarsi. Una parte legata introno al collo e l’altra attaccata alla finestra della cella. È salita sull’ultimo piano dl letto a castello, si è gettata giù e si è rotta l’osso del collo. Questa è una delle tecniche per morire in carcere. E così ha fatto Giovanna. Era anche lei in attesa di giudizio. Da giorni e giorni chiedeva aiuto perché stava male. Non reggeva il carcere, o meglio, quel carcere. Aveva già tentato il suicidio infilando la testa dentro un sacchetto di plastica, ma neanche quel gesto aveva meritato attenzione o preoccupazione. Per lei, per la sua disperazione, la sola risposta sono state un po’ di gocce per dormire.

Il giorno che Giovanna ha deciso di farla finita era sola in cella. La sua compagna era all’ora d’aria insieme a me. Lei aveva detto con non le andava di uscire. Quando siamo tornate l’abbiamo trovata appesa alla finestra. Nel carcere di Messina, l’apatia e l’abbandono che ha ucciso Giovanna colpisce tante donne. Per loro l’unica salvezza è buttarsi nella terapia: le gocce di tranquillanti.

Così in carcere, senza accorgertene, diventi tossicodipendente delle gocce. Quella è la droga legalizzata in carcere. Vai dallo psicologo e lui ti da le gocce. Loro pensano che è meglio che ti prendi la terapia così stai in cella zitta e buona e non dai fastidio. Io stessa ho preso queste gocce in carcere e adesso che sono fuori ne sono diventata dipendente. Questo è quello che mi ha lasciato il carcere. Di notte nel carcere di Messina si sentono tante urla di donne che si disperano.

Sono urla a cui cerchi di abituarti, ma c’è un urlo che ti toglie il sonno e che ti trascina con sé. È quello di un bambino che di notte piange nel carcere di Messina. Lui è uno dei bambini che sta in carcere con sua madre. Può sembrare incredibile ma in un carcere così ci sono anche dei bambini.

 

Sara, 26 anni

 

Casa Circondariale "Gazzi" di Messina

via Consolare Valeria, 2 tel. 090.2281111

e-mail: cc.messina@giustizia.it

Direttore: Calogero Tessitore

Data di costruzione: primi del ‘900

 

Detenuti:

Capienza regolamentare 278 detenuti

Capienza effettiva 433

388 sono uomini

43 sono donne

tra queste: 26 donne sono condannate in via definitiva

mentre 19 sono in attesa di giudizio

 

Orari:

I detenuti dispongono di due turni di ore d’aria: 9-11 e 13-15

 

Staff:

Un direttore e due vice direttori

polizia penitenziaria: 270

educatori: 4

Personale sanitario: 4 medici, 20 infermieri, 2 psicologi, 1 psichiatra 1 criminologo

Volontari: non pervenuto il dato

 

Struttura del femminile:

L’istituto ha strutturalmente spazi angusti, una struttura obsoleta, un indice di pesante sovraffollamento. Le celle che ospitano le detenute sono in condizioni di manutenzione pessima, e dispongono dietro le grate delle gelosie di vetro. Le brande sono arrugginite. In generale la struttura versa in pessime condizioni: i tetti sono affetti da umidità, i cancelli sono molto arrugginiti e le condizioni igieniche precarie.

Sanità: Rossetti (Fp-Cgil); ipocrita la denuncia fatta al convegno del Dap

 

Ansa, 2 marzo 2006

 

"Non è bastata al governo un’intera legislatura per affrontare e risolvere la gravissima situazione in cui versa il sistema di assistenza sanitaria in carcere". Ad affermarlo è Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale Fp-Cgil del settore penitenziario, che definisce una "denuncia ipocrita" l’allarme che si è levato nel corso del convegno "La salute in carcere" organizzato dal Dap. "Dopo cinque anni dal suo varo definitivo, non viene tuttora applicata la legge di riforma della sanità penitenziaria, che prevedeva il trasferimento delle funzioni dal ministero della Giustizia al servizio sanitario nazionale. Impropriamente ed illegittimamente - afferma Rossetti in una nota - il ministero della Giustizia continua ad esercitare funzioni sul tema della salute in carcere sottraendo, di fatto, al servizio sanitario nazionale la possibilità di garantire livelli essenziali di assistenza sanitaria anche per i 60.000 cittadini privati della libertà personale".

La Fp-Cgil parla di "precisa e più grave responsabilità, morale ed istituzionale" del ministro Castelli: "quella di aver di fatto operato per lo smantellamento del servizio sanitario penitenziario; concorrendo, di anno in anno, a tagliare i bilanci in questo settore e assicurando, nel contempo, che i livelli di assistenza sarebbero stati garantiti razionalizzando la spesa. Non a caso - fa notare Rossetti - dei 130 euro spesi giornalmente per custodire un detenuto negli istituti penitenziari italiani, solo 19 sono quelli impegnati in servizi diretti alla persona detenuta di cui 4 euro circa sono impiegati per garantire il presidio di guardia medica ed infermieristica e solo 50 centesimi quelli spesi per la diagnosi e la cura delle malattie, ovvero per dispensare medicinali in carcere". "È per le precise responsabilità ascrivibili all’azione di governo e di direzione amministrativa del Dap, che il convegno organizzato dall’Amministrazione penitenziaria ci lascia quantomeno sconcertati. Non ci si può lavare la coscienza in un giorno – conclude - dopo avere contribuito per il resto del tempo a negare il diritto alla salute delle persone in carcere".

Criminalità: Mantovano; in 4 anni diminuiti omicidi, furti e rapine

 

Ansa, 2 marzo 2006

 

In quattro anni gli omicidi sono diminuiti del 14,8%, i furti del 4% e le rapine del 16,5% negli uffici postali e del 12% nelle banche. È il bilancio del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, intervenuto stamani alla trasmissione "Radio Anch’io". "Si tratta di dati che derivano dalle segnalazioni di questori e prefetti e sono quindi inattaccabili", ha spiegato Mantovano, rispondendo al capogruppo alla Camera di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, secondo il quale i numeri sono "un po’ diversi". Giordano ha infatti ricordato che ieri Violante ha parlato di un "aumento del 14% delle rapine e del 10% degli omicidi". "Non solo sono dati difficilmente confutabili - ha detto Mantovano - ma si tratta anche di un bilancio molto positivo se si considera il lavoro enorme svolto dalla forze dell’ordine nella prevenzione del terrorismo: basti pensare che nel 2001 gli obiettivi sensibili tutelati dalle forze di Polizia erano 1.894 e al 31.12.2005 sono diventati 13.246. A fianco a tutto ciò è stata disarticolata la principale fonte di preoccupazione di terrorismo interno perché la maggior parte dei suoi militanti sono in carcere".

Immigrazione: Mantovano; gli immigrati regolari sono persone come noi…

 

Ansa, 2 marzo 2006

 

Bisogna creare una "linea di confine netta" tra gli immigrati clandestini e quelli regolari che sono "persone come noi, in cerca di un lavoro onesto". Lo ha detto il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, intervenendo stamani alla trasmissione radiofonica ‘Radio Anch’iò sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. "Se è vero che un terzo di coloro che sono in carcere sono extracomunitari - ha spiegato il sottosegretario - è anche vero che la maggior parte di essi sono clandestini. Mentre la propensione alla criminalità degli immigrati regolari è sovrapponibile a quella degli italiani se non inferiore".

L’extracomunitario regolare non è dunque da temere, secondo il sottosegretario, "è una persona come noi, in cerca di lavoro. Ciò che va contrastata invece è la clandestinità". Mantovano ha quindi ricordato che nel 2001 i clandestini in Italia erano 800 mila, ma "grazie alla regolarizzazione fatta tra il 2002 e il 2003 dal governo sono stati fatti uscire dal nero 650 mila extracomunitari che hanno avuto così un’assistenza sanitaria e contributi". Al capogruppo alla Camera di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, presente alla trasmissione, che, come alcuni ascoltatori, ha definito tropo complicato il meccanismo della regolarizzazione, soprattutto perché costringe ad assumere una persona senza conoscerla, Mantovano ha risposto che la legge risponde "a una disposizione europea: si può entrare cioè nei paesi dell’Unione Europea e il permesso di soggiorno va di pari passo con il permesso di lavoro".

 

 

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