Rassegna stampa 1 marzo

 

Giustizia: Ciampi; impegno per recupero dei cittadini detenuti

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato un messaggio di "vivo apprezzamento per l’alto valore scientifico e sociale" dell’incontro di studio "La salute in carcere: parliamone senza censure" organizzato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "L’impegno delle istituzioni, dell’associazionismo, degli operatori penitenziari nell’affrontare questi gravi problemi - riferisce il telegramma firmato dal segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni - dà concretezza ai valori costituzionali della solidarietà, della dignità, del rispetto dei diritti e contribuisce efficacemente al recupero dei cittadini detenuti in una prospettiva di riabilitazione e di reinserimento sociale".

Giustizia: Castelli; tossicodipendenti pesano su bilancia salute

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

"Questo governo ha sempre avuto a cuore la salute in carcere", e l’assistenza sanitaria "é sempre stata garantita", rivolgendo particolare attenzione verso "i soggetti più disagiati". A sottolinearlo è il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, nel messaggio inviato in occasione del convegno nazionale "La salute in carcere", organizzato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. C’é tuttavia un dato che - sottolinea il Guardasigilli - "va ad incidere nella bilancia della salute in carcere, e cioè i ben 16 mila detenuti tossicodipendenti sul totale della popolazione carceraria". Dopo aver elencato una serie di progetti che il ministero della Giustizia ha attuato d’intesa con il ministero della Salute, Castelli afferma che "molto è stato fatto", "ma molto si può e si deve ancora fare". Tra i progetti realizzati dal governo, Castelli cita l’avvio di una commissione interministeriale Giustizia e Sanità, "da cui è scaturito un ventaglio di proposte per un rinnovamento della sanità penitenziaria".

Giustizia: Casini; apprezzamento per chi opera a difesa dignità

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

Il "vivo apprezzamento per quanti operano quotidianamente a difesa della integrità e della dignità della persona umana nella difficile e complessa realtà nelle carceri italiane" è stato espresso, in un messaggio, dal presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, in occasione del convegno nazionale "La salute in carcere: parliamone senza censure", organizzato dal Dap. Casini ha sottolineato in particolare la "dedizione e professionalità "da parte degli operati penitenziari "contro i drammi della tossicodipendenza e del disagio fisico". Un analogo messaggio di augurio per il "pieno successo del convegno" è stato inviato anche dal presidente del Senato, Marcello Pera.

Giustizia: il Papa; sia rispettata la dignità dei detenuti

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

Benedetto XVI chiede che sia rispettata la dignità dei detenuti. In un messaggio inviato ai partecipanti al convegno nazionale sul tema "La salute in carcere" promosso a Roma dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, il Papa ribadisce infatti "il doveroso rispetto per la dignità umana dell’individuo che ha violato la legge affinchè continui a sentirsi parte della società e impegnato a reinserirsi in essa".

Giustizia: Finocchiaro (Ds); in carceri 50 bimbi sotto i 3 anni

 

Apcom, 1 marzo 2006

 

"Ci sono 50 bambini al di sotto dei tre anni detenuti nelle carceri italiane". Lo ha dichiarato Anna Finocchiaro (Ds), intervenendo questa mattina al convegno sulla salute nelle carceri, organizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap). "Per le mamme di questi bambini - ha aggiunto Finocchiaro - non si sono trovati dei fondi per l’applicazione di pene alternative".

Il tema dei bambini nelle carceri è stato a lungo dibattuto durante il convegno del Dap. Candido Cannavò, ex direttore della Gazzetta dello Sport, anche lui presente alla manifestazione, ha sottolineato come "tra 7 e 9 bambini ogni anno a San Vittore passano dalla sala parto direttamente al carcere vero e proprio. Questo - ha aggiunto Cannavò - mi rende molto triste, questi bambini vedono l’alba della loro vita attraverso le sbarre del carcere".

Parma: 3 detenuti morti negli ultimi mesi del 2005

 

Polis Quotidiano, 1 marzo 2006

 

Tra l’inizio di novembre e la metà di dicembre, qui a Parma, ci sono state due morti. Sono state morti plateali, come possono essere soltanto quelle di chi decide di togliersi la vita. Morti tragiche, di cui nessuno ha saputo niente e sulle quali, finora, non è stato scritto neppure un rigo nelle cronache dei giornali. Più che naturale: gli uomini che hanno deciso di uccidersi non si sono gettati da un ponte, non hanno scelto di saltare da un palazzo mentre la gente terrorizzata li stava a guardare. Questi sono suicidi invisibili perché avvenuti in carcere, a via Burla, lontano dagli sguardi dei passanti. C’è una terza persona da aggiungere alla lista dei decessi avvenuti in carcere negli ultimi tempi, ma ufficialmente non è considerato un suicidio. Le modalità con le quali è avvenuta la morte si prestano a più interpretazioni. I decessi, comunque, salgono a tre.

P.C. occupava una cella nella sezione "1B", T.S.C. e B.A. invece erano collocati nella sezione "2A". Due di queste persone si sono impiccate a distanza di poco tempo uno dall’altro. Forse, non si conoscevano neppure. A uno dei detenuti P.C., un ragazzo sui trent’anni, poco tempo fa era stato negato un permesso per fare visita alla sorella diciottenne gravemente ammalata. La decisione del magistrato di sorveglianza non ha determinato il gesto, ma sicuramente non ha migliorato la condizione psicologica di questo detenuto.

Nella casa circondariale di via Burla ci sono circa 650 reclusi sottoposti a regimi diversi. Una settantina di questi, ad esempio, sono quelli in regime di 41bis: il carcere duro. Marina Spora, insegnante, fino a qualche tempo fa era una delle volontarie che lavoravano in via Burla. In carcere e col carcere ha mantenuto rapporti saldi. "Confermo di essere a conoscenza dei suicidi avvenuti in questi ultimi due mesi - dice. Sarà banale dirlo, ma sono i risultati di un malessere diffuso nelle carceri italiane. Parma non fa eccezione, anzi". Insomma, si tratterebbe di un chiaro segnale di allarme che la comunità cittadina e le istituzioni farebbero bene a non sottovalutare.

Silvio Di Gregorio, direttore dell’istituto di via Burla non è dello stesso avviso.

"Non credo che la situazione di Parma sia eccezionale. Da tre anni non accadevano episodi del genere (i suicidi ndr). Il problema - continua Di Gregorio - è che noi operatori abbiamo a che fare con delle persone che, in quanto tali, sono imprevedibili. È chiaro che fatti del genere non dovrebbero accadere ma succedono. È un fatto che accomuna la vita fuori e dietro le sbarre". Tutto normale allora. "Certo che no –reagisce Di Gregorio-, per noi operatori è un evento traumatico che viviamo con angoscia". Tagliando corto, il succo del discorso del direttore è chiaro. Un suicidio è un evento eccezionale, difficile da prevedere e prevenire in carcere come fuori. Da qui a dire che Parma è un caso in Emilia Romagna ce ne corre. Il sovraffollamento, però è un dato inoppugnabile.

"L’istituto di Parma è carente sia per quello che riguarda il personale di polizia, che il personale educativo -ammette-. Questa carenza merita attenzione perché il territorio offre molte possibilità di reinserimento". Eppure, neanche quindici giorni fa, il presidente della Commissione giustizia del Senato Antonino Caruso è venuto a Parma per visitare l’istituto di reclusione cittadino, una delle tappe del suo tour regionale. "Se posso fare una battuta - ha detto in quella occasione Caruso -, mi verrebbe da suggerire al Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, ndr) di mandare a Parma altri quattro o cinquecento detenuti che l’istituto può sopportare, in modo che gli operatori possano capire il concetto di sovraffollamento". Ma sarà lecito fare una "battuta" discutendo di argomenti come questi? Secondo gli operatori e i sindacati, no.

"È una battuta infelice - chiosa Donato Colelli della Cgil, che subito dopo spiega- in quanto gli operatori conoscono bene il problema del sovraffollamento. Nell’istituto di Parma le camere detentive sono ridottissime. Auspichiamo che questa affermazione non sia propedeutica al raddoppio di alcune sezioni, in special modo del Centro Clinico". In altre carceri la situazione è assai peggiore, ma il rapporto tra detenuti e personale qui a Parma è decisamente sbilanciato "tanto che non si riesce a rispettare il dettato costituzionale che impone le finalità rieducative degli istituti carcerari", conclude Colelli. Per il direttore del carcere Di Gregorio più che una battuta si è trattato di un’affermazione volutamente paradossale.

"Credo che il senatore Caruso intendesse dire che quello di Parma non è affollato come altri carceri italiani, dove le celle sono destinate ad ospitare tre o più detenuti. Ma io - conclude Di Gregorio - non sono il difensore di Caruso, dico queste cose perché è la realtà".

 

Morti in carcere: " Silenzio inaccettabile e preoccupante"

 

Emergenza carcere, qualcosa in città si muove. Poco per essere oltremodo ottimisti, abbastanza per avere la certezza che il problema del sovraffollamento e della carenza di personale in via Burla diventi pubblico e si inizi a cercare qualche soluzione. La notizia delle tre morti, tra cui due suicidi accertati, avvenute in un mese e mezzo nel carcere di Parma avrà se non altro il merito di aver portato all’attenzione della città un problema tanto impopolare quanto serio. Un argomento che di solito resta confinato entro il perimetro dell’istituto detentivo, nella cerchia ristretta degli operatori e delle istituzioni che si occupano di queste realtà. Le reazioni alla notizia dei due tragici episodi sono tutte, o quasi, affidate a Tiziana Mozzoni e a Maria Teresa Guarnieri che, rispettivamente in Provincia e in Comune, reggono l’assessorato alle Politiche sociali. Un osservatorio istituzionale " privilegiato" il loro, investito del problema direttamente. E l’assessore Mozzoni punta subito il dito contro la mancanza di informazioni che ha caratterizzato tutta la vicenda. "Non riusciamo a capire il perché di questa situazione, dei suicidi non se ne è mai parlato e il nostro assessorato non ne mai stato informato", dice. Ma non è finita qui, Tiziana Mozzoni avanza anche un sospetto: "A via Burla ci sono stati tre suicidi in un mese e mezzo e non due" . Secondo l’assessore provinciale, Tiziana Mozzoni il terzo caso sarebbe stato determinato da un episodio di autolesionismo dall’epilogo tragico. "In ogni caso, resta il fatto che noi non abbiamo avuto informazioni ufficiali. Sia chiaro, non è che il carcere sia tenuto a fornire informazioni in questi casi, ma sul territorio opera dal 1998 un organismo composto da Comune, Provincia, direzione carceraria e dalla direttrice Ulepa (organo che si occupa delle pene alternative al carcere ndr). Come mai questo tavolo interistituzionale non è stato informato? Esiste un accordo di programma, il comitato si riunisce a scadenze prefissate, è aperto di fatto il confronto tra le istituzioni, il carcere e i servizi sociali, e poi non siamo informati di una vicenda tanto grave?" . Il timore è quello che l’istituto detentivo parmigiano si trovi in condizioni di difficoltà assai più gravi di quelle denunciate, tra gli altri, anche dal suo direttore Silvio Di Gregorio. La carenza di personale di polizia e di operatori sociali, cioè, sarebbe oramai patologica. "Noi vogliamo capire cosa succede nel carcere di Parma, perché siamo preoccupati – conclude l’assessore Mozzoni.

Il carcere non può essere una istituzione chiusa in sé stessa, è un pezzo della nostra società. Riabilitazione e reinserimento, altrimenti, restano lettera morta" . Maria Teresa Guarnieri, assessore comunale, condivide in pieno l’esigenza di intervenire per migliorare le possibilità di reinserimento dei detenuti, ma non considera il carcere di Parma un " caso" a sé in Emilia Romagna. "In generale il regime carcerario è molto difficile da sostenere. La privazione della libertà è davvero una pena durissima e contro la persona - spiega l’assessore Guarnieri. I casi di suicidio, alla luce di questo, non sono una peculiarità dell’istituto parmigiano" . Insomma, per la Guarnieri, una cosa è parlare di carenze di personale, altro è dire che a via Burla c’è qualcosa che non va. "Nel carcere è di grande importanza la presenza degli educatori ed è chiaro che bisogna investire sul personale educativo ma queste – continua l’assessore - sono richieste che abbiamo già Maria Teresa Guarnieri rappresentato ai membri della commissione giustizia del Senato che, qualche settimana fa, hanno visitato l’istituto di detenzione".

Intanto questa mattina, alle ore 11, tutta la vicenda sarà oggetto di un incontro pubblico presso la sede dell’Unione di via Bixio. Protagonista dell’appuntamento sarà Gianluca Borghi, ex assessore regionale ai Servizi sociali, ed attuale consigliere regionale dei Verdi. Il consigliere, infatti, dopo una visita mattutina in via Burla, presenterà alla stampa e alla cittadinanza i preoccupanti dati relativi ad atti di autolesionismo e suicidi avvenuti nel carcere di Parma nel corso dell’anno 2005. Dati allarmanti, secondo coloro che ne hanno già potuto prendere visione. Armando Orlando

Giustizia: 27% detenuti tossicodipendenti, 20% malati mentali

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

Mai sovraffollate quanto oggi: nelle 207 carceri italiane ci sono 59.523 detenuti (contro un massimo regolamentare di circa 43 mila posti), di cui 19.836 (33,3%) sono extracomunitari, 16.185 (il 27%) tossicodipendenti, 11.800 (19,83%) affetti da patologie del sistema nervoso e da disturbi mentali.

Una situazione per alcuni insostenibile: in 57, nel 2005, si sono tolti la vita in cella. Sono dati inediti quelli che lo stesso Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) fornisce in occasione del convegno "La salute in carcere: parliamone senza censure".

Sulla base di questi dati - afferma Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale detenuti e trattamento del Dap - "siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario. A cominciare dagli spazi pro-capite che dovrebbero essere pari a 9 metri quadrati".

La fotografia scattata dal Dap mostra una realtà ben diversa, e non solo per un sovraffollamento mai registrato negli ultimi dieci anni. Le risorse per la salute dei detenuti sono sempre meno perché - sottolinea Ardita - vengono stabilite senza tener conto di una fondamentale variabile che è, appunto, il raddoppio del numero dei detenuti negli ultimi 20 anni.

Dai corrispondenti 1.846 euro spesi nel 1995 per l’assistenza sanitaria di ciascun detenuto, si è passati agli attuali 1.607 euro, contro i 1.557 euro destinati attualmente a ciascun cittadino libero (mentre nel 1991 un detenuto poteva contare su risorse che erano più del doppio di quelle stanziate per il cittadino).

Il budget è ormai "sul filo dell’indispensabile". È per questo che il Dap ha disegnato una mappa epidemiologica delle carceri italiane: per conoscere l’incidenza e il grado delle malattie dei detenuti e, soprattutto, per ripartire in modo adeguato le già scarse risorse. Scontata la diagnosi: chi è in cella sta peggio. Il 13% dei detenuti (vale a dire circa 7.800) ha uno stato di salute compromesso, contro il 7% della popolazione libera.

La tossicodipendenza è il problema più diffuso (riguarda il 21,54% dei detenuti, contro il 2,10% dei cittadini liberi). Circa il 20% (vale a dire un detenuto su cinque) soffre di disagi psichici: il 10,25% di depressione, il 6,04% di altre patologie mentali, il 3% di malattie neurologiche e lo 0,8% di deterioramento psicologico. Le malattie epatobiliari e del pancreas affliggono il 10,9% dei detenuti (contro il 4,2% dei cittadini liberi), quelle dell’apparato digerente il 9,1% (contro il 10,1% della popolazione). Oltre il 20% delle 2.804 detenute soffre di patologie tipiche del genere femminile (tumori all’utero, alle ovaie, alla mammella, etc.).

Stabile nel tempo, seppure resti sempre drammatico, il fenomeno dei suicidi in carcere: nel 2005 si sono tolti la vita in 57, nel 2004 52, nel 2003 57, nel 2002 51 e 69 nel 2001.

"La salute dei detenuti - conclude Ardita - non è solo un problema politico, e neanche solo una questione tecnica o medico-legale. È molto di più. È il luogo privilegiato per valutare le politiche sociali di uno Stato. È una questione di politica criminale. È il banco di prova della pena costituzionalmente intesa".

Giustizia: "La salute in carcere", messaggio del ministro Castelli

 

Ministero della Giustizia, 1 marzo 2006

 

Egregie Autorità, Signore e Signori, sono sinceramente dispiaciuto di non poter essere presente al Convegno Nazionale "La salute in carcere: parliamone insieme", promosso dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e dalla Direzione Generale Detenuti e Trattamento. In particolare ringrazio il presidente Giovanni Tinebra e il dr. Sebastiano Ardita per questo invito.

Mi è comunque gradita l’occasione di questo breve messaggio per indirizzare un cordiale e sentito saluto, unitamente ad alcune brevi considerazioni sul tema in oggetto, la tutela della salute nei nostri penitenziari.

Innanzitutto vorrei ribadire che questo Governo ha sempre avuto a cuore la salute in carcere. L’assistenza sanitaria ai detenuti a noi affidati è sempre stata garantita ponendo particolare attenzione verso i soggetti più disagiati, cercando di prevenire le malattie attraverso numerosi programmi d’azione. Ricordo in questa sede un dato che va a incidere nella bilancia della salute in carcere, e cioè i ben 16.000 detenuti tossicodipendenti sul totale della popolazione carceraria.

In materia sanitaria abbiamo quindi dato attuazione alle linee programmatiche del Ministero che il Dipartimento ha poi tradotto in numerose attività operative. Ne cito solo alcune.

D’intesa con il Ministero della Salute abbiamo dato l’avvio ad una commissione interministeriale Giustizia e Sanità da cui è scaturito un ventaglio di proposte per un rinnovamento della sanità penitenziaria. In ambito di prevenzione, in accordo con le Asl, è stato realizzato un programma di promozione della salute e di informazione sanitaria. Dal 2004 è stato attivato un progetto che mira a individuare lo stato di salute reale dei detenuti in modo da concentrare le risorse umane e finanziarie a favore dei detenuti che hanno esigenze di cura e di assistenza e fare invece attività di prevenzione, con il coinvolgimento delle Asl, verso coloro che non presentano patologie in atto. In collaborazione con la Regioni sono stati aperti due reparti ospedalieri a Milano e a Roma. Per la disabilità motoria sono stati realizzati due reparti appositi, a Parma e a Bari. Sono state realizzate delle sezioni, negli stessi istituti, specifiche per gli osservandi, cioè i detenuti sottoposti a osservazione psichiatrica. Tra i progetti all’avanguardia sono già in avanzato stato di sperimentazione la cartella informatizzata dei detenuti e la telemedicina.

Molto è stato fatto quindi, ma molto si può e si deve ancora fare. Quanto mai utili sono allora le occasioni di confronto offerte dal convegno odierno dal quale, sono certo, emergeranno idee e proposte interessanti. Del resto, la ragione condivisa è quella di un diritto alla salute omogeneo per i cittadini di ogni condizione, poiché maggiore salute significa anche maggiore sicurezza.

Quello che in ogni caso tengo a ribadire è che l’attenzione del Ministero della Giustizia verso la sanità nelle carceri italiane non è mai venuta meno anche attraverso la spinta al rinnovamento della sanità penitenziaria per il riconoscimento del lavoro svolto da tutti gli operatori sanitari per la salvaguardia della professionalità acquisita. Non è mancato neppure l’impegno di questo dicastero verso il mondo politico al fine di sensibilizzare la Regioni, nonché il Servizio Sanitario Nazionale, sulle problematiche legate alla medicina penitenziaria al fine di favorire rapporti di collaborazione tra i diversi enti. Nell’esprimere quindi il mio personale ringraziamento ai medici, agli infermieri, ai tecnici e agli operatori che prestano ogni giorno la loro opera professionale negli istituti di pena, invio i mie più sentiti saluti, augurando a tutti i convenuti buon lavoro.

Giustizia: dire addio a Giulio Salierno è impossibile…

 

Corriere della Sera, 1 marzo 2006

 

Dire addio a Giulio Salierno è impossibile. Troppa vitalità. Troppo amore per i libri e le discussioni. Troppa passione per la politica e le idee. Troppo desiderio di chiacchierare con gli amici, organizzare cene chiassose per mettere in contatto mondi lontani, bere buon vino. Un addio è una ridicola stonatura. Giulio è tutto questo, e un brutto singhiozzo del cuore a poco più di settant’anni non può cancellarlo né permettere di coniugare i verbi al passato. La stessa vita di Giulio è un romanzo umano contemporaneo, una sintesi delle vicende italiane (e non solo) del secondo Novecento. A 18 anni è un ragazzo di estrema destra: "Ero proprio un fascista", racconta senza giri di parole. Finisce coinvolto in un delitto, fugge e ripara nella Legione Straniera. Viene arrestato in Algeria e si schiera con gli arabi torturati, conosce molti condannati a morte. Comincia a cambiare pelle, insomma. Estradato in Italia finisce in carcere. E lì, grazie a centinaia di libri divorati e scelti con l’unico metro della curiosità, approda alla sinistra. Così nel 1968, quando viene liberato e riabilitato, si ritrova a fianco di Franco Basaglia contro le istituzioni manicomiali e totali. E quindi di Umberto Terracini per la riforma delle carceri.

Poi Giulio attraversa il 1977 da protagonista-osservatore. Uno dei suoi ultimi scritti comincia così: "Il movimento del ‘77 irruppe nella quiete claustrale del tradizionale conformismo del Paese, contestandone, alla radice, quel conformismo". Uno slogan che da solo vale una sintesi politica e ideologica. Perché Giulio, nel suo lavoro, è così: magari fluviale, ma capace di memorabili istantanee buone per uno slogan.

Infine arriva il Giulio sociologo, che collabora con l’Eni per la realizzazione di una banca dati macroeconomica o per un progetto sui Paesi del Sahel. E che poi lavora per il Consiglio nazionale delle ricerche. Ultimamente insegna sociologia universale all’ateneo di Teramo.

Questo sterminato materiale esistenziale ovviamente sbocca in una collana di libri. Racconta di sé in "Autobiografia di un picchiatore fascista" (Einaudi, 1976) o "La spirale della violenza" (De Donato, 1969). Quindi le inchieste-documento: "Il carcere in Italia" (Einaudi, 1971), "Il sottoproletariato in Italia" (Savelli 1972), "La violenza in Italia" (Mondadori, 1980), "Fuori margine-Testimonianze di ladri, prostitute, rapinatori, camorristi" (Einaudi, 2001).

Un’altra sua passione è il teatro, ovviamente legato alla sua personale ossessione, il carcere. Poco più di un anno fa mette in scena prima a Rebibbia e poi al teatro Vittoria "La gabbia. Il carcere come metafora della violenza quotidiana", con una compagnia nata da un’associazione di ex detenuti (Papillon - Rebibbia Onlus). L’operazione piace a tanti, per esempio a Vincenzo Cerami o Giorgio Albertazzi. Chi desidera salutarlo, può farlo oggi alle 10 in via Galilei, sezione di Rifondazione comunista. Ci saranno moltissimi suoi amici. Tutti increduli ma felici di apprezzarlo e amarlo, anche in futuro.

Varese: internato in comunità terapeutica evade e viene ripreso

 

Varese News, 1 marzo 2006

 

Stava trascorrendo un periodo di "licenza sperimentale" presso la Comunità terapeutica San Martino di Venegono Inferiore (VA), quando ieri sera, intorno alle 23,00, ha deciso di allontanarsi arbitrariamente. Si tratta di C.G. 43enne originario di Saronno, con precedenti per reati contro i minori e la famiglia, detenuto presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN) perché affetto da una forma di schizofrenia.

L’allarme è scattato quando i sanitari della comunità terapeutica di Venegono Inferiore, dove sta trascorrendo il periodo di licenza sperimentale per cure, si sono accorti della sua mancanza. Le ricerche sono immediatamente scattate avendo cura di tutelare la famiglia originaria, residente in un comune del saronnese, per timore che l’uomo, disturbato psichicamente, potesse commettere qualche azione irrazionale. Infatti, alle ore 07,30 di questa mattina, una pattuglia del nucleo radiomobile di Saronno, lo rintracciava mentre si aggirava nei pressi dell’abitazione dei genitori.

C.G. non ha opposto alcuna resistenza e docilmente è salito sull’auto dei militari che lo hanno condotto in caserma. Il magistrato di sorveglianza di Mantova, tempestivamente informato dai Carabinieri, ha subito revocato i benefici concessi, disponendo l’immediata traduzione di C.G. presso l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN).

Piacenza: "Oltre il muro", incontro dei volontari delle Novate

 

Libertà, 1 marzo 2006

 

"Capire il bisogno di relazioni profonde e positive dei detenuti e cercare di intervenire in questa direzione. È necessario operare sui valori umani. Se non si lavora su quelli il detenuto tornerà a delinquere". È questa la direttiva seguita da don Alfredo Stucchi, assistente spirituale al carcere Le Vallette di Torino, che ieri allo Svep ha aperto il primo incontro ufficiale di "Oltre Il muro", la neonata associazione dei volontari alla casa circondariale piacentina. Dopo anni di esperienza, don Alfredo ha elaborato una tecnica precisa di azione.

"Per ogni detenuto che incontro elaboro una scheda in cui raccolgo tutti i suoi bisogni e alla sua famiglia. E su quella quotidianamente lavoro", ha spiegato. Ma l’opera del parroco non si limita al colloquio in cella. "Mantengo contatti costanti con la famiglia, i giudici, gli psicologi, gli avvocati e gli assistenti - ha spiegato -. Come prete mi inserisco nel progetto che ruota attorno al detenuto e faccio del mio meglio per stare vicino a lui e alla famiglia esterna". Il lavoro che don Alfredo svolge assume una particolare importanza guardando al futuro di chi vive l’esperienza del carcere. "Quello che sarà di loro quando usciranno è strettamente connesso con le relazioni umane che avranno con il mondo esterno, in particolare con la loro famiglia - ha fatto notare -.

La cosa principale di cui mi devo preoccupare è il suo futuro reinserimento nella società". Don Stucchi lavora fianco a fianco con il detenuto per ricostruire le cause che lo hanno condotto al reato. "Cerco di aiutarli a prendere coscienza del peccato e del male commesso, cercando di aiutarlo ad essere il più possibile obiettivo con se stesso. Ma guai a togliere responsabilità di quello che è successo", ha puntualizzato. Le ragioni che spingono ad un gesto estremo, restano difficili da comprendere. "È il disprezzo di sé e della propria vita che conduce al reato", ha voluto ricordare.

In tanti anni di attività la sorpresa è ancora quella di riscoprire l’uomo. "È la gioia di cogliere la realtà dell’uomo e della donna detenuti, vedendolo lontano dagli stereotipi", ha spiegato al pubblico. Il parroco, con un passato da operaio e sindacalista in fabbrica, ha iniziato il suo percorso di assistenza alle anime con oltre vent’anni di esperienza alla parrocchia torinese di Porta Palazzo, quartiere malfamato della città piemontese. "Prima di arrivare al carcere ho conosciuto la realtà di chi ci arriva - ha fatto notare -. Oggi presto la mia opera in un carcere di 1.500 detenuti".

Genova: Radicali e Verdi chiedono garante regionale detenuti

 

Comunicato stampa, 1 marzo 2006

 

Questa mattina nel corso di una conferenza stampa il Gruppo Verdi in Regione ha presentato insieme all’Associazione Radicale "Adelaide Aglietta" una proposta di legge scritta dai radicali presentata in Liguria da Cristina Morelli e Carlo Vasconi: "Istituzione dell’ufficio del garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale".

La proposta mira alla creazione, presso il Consiglio regionale, di un organo di garanzia per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale e cioè detenuti negli istituti penitenziari o negli istituti penali per minori nonché stranieri collocati nei centri di prima accoglienza e di assistenza temporanea. L’obiettivo è quello di contribuire a trasformare le carceri da luoghi di punizione a sedi di riabilitazione.

"Il Garante – hanno spiegato Cristina Morelli, Carlo Vasconi (Verdi) e Alessandro Rosasco (Radicali) - dovrebbe essere un organismo monocratico, agile, finanziato in modo rigoroso, controllato dal Consiglio regionale. La sua funzione è assimilabile a quella svolta dal Difensore Civico regionale e vuole rappresentare un passo concreto nella direzione di un carcere come luogo di espiazione finalizzata al reinserimento civile, sociale e lavorativo."

"Quello che noi vogliamo - ha aggiunto Vasconi - è la certezza della pena, ma anche che sia caratterizzata da civiltà e che punti alla riabilitazione." "Il nostro - commentano - è un tentativo di dare una risposta a tutti quei detenuti, agenti penitenziari e direttori di carcere che in questi mesi hanno chiesto a gran voce al Parlamento e alla politica di occuparsi della più grande questione sociale del nostro Paese: il pianeta carcere".

Pesaro: incontro; il carcere visto "al di là dei muri"…

 

Go Marche, 1 marzo 2006

 

"Al di là dei muri - Percorsi d’incontro tra mondo esterno e mondo carcerario": così s’intitolano i due incontri sulla detenzione organizzati dall’associazione di volontariato "Officina" presso la sala del Consiglio comunale di Fano.

I luoghi di detenzione limitano la libertà di movimento ed insieme a questa e a quella personale, il carcere si porta via le relazioni affettive, le amicizie, il sesso, il lavoro, le prospettive di reinserimento professionale, spesso la salute, in alcuni casi la dignità. Con questo retroscena in mente, l’associazione di volontariato Officina, con la sua sezione officina-carcere, impegnata nel prestare opera di volontariato all’interno del carcere di Fossombrone, ha organizzato due incontri per superare il muro di silenzio ed indifferenza che spesso circonda queste problematiche.

Nella prima conferenza, che ha avuto luogo a febbraio, si è parlato delle normative nazionali che regolano le strutture detentive, delle tipologie dei detenuti attualmente reclusi e della situazione reale delle carceri. Con particolare attenzione al nuovo carcere di Pesaro: la casa circondariale di villa Fastigi, di cui l’ex direttore ha parlato del tentativo di "rieducazione" del detenuto, grazie alle attività che il carcere offre.

Il secondo ed ultimo appuntamento è per sabato 4 marzo, alle ore 17, presso la sala del consiglio comunale, in via Nolfi, a Fano. Ad affrontare la tematica: don Giancarlo Perego, membro della Caritas Italiana ed autore del sussidio "Liberare la pena - comunità cristiana e mondo del carcere: percorsi pastorali", Claudio Sarzotti, presidente dell’associazione Antigone Piemonte e coautore del terzo rapporto sulle condizioni di detenzione ed Enrichetta Vilella, direttrice dell’area pedagogica della Casa circondariale di Pesaro. La conferenza è organizzata dall’associazione di volontariato Officina, insieme alla Caritas diocesana, il Centro di servizi per il volontariato, il Comune di Fano, l’associazione di volontariato Isaia-volontari col carcere, un mondo a quadretti, l’osservatorio permanente sulle carceri, la conferenza regionale volontariato giustizia e la cooperativa sociale Irs l’Aurora. L’Officina, che nel frattempo ha anche realizzato un’indagine sulle condizioni dell’assistenza sanitaria negli istituti di pena delle Marche ed ha uno sportello stranieri, tuttora attivo, attraverso il quale fornisce un servizio di informazione, orientamento e consulenza per i detenuti immigrati, "farà partire a breve – come spiegano dall’associazione - anche un punto d’ascolto rivolto a tutti i detenuti presenti in istituto, con la finalità di individuare le problematiche dei singoli e di costruire un percorso per affrontarle e cercare di risolverle".

Droghe: Giovanardi; con la nuova legge si svuoteranno le celle

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

"La legge sulla droga aiuterà a svuotare le carceri". Lo ha affermato il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, a margine del convegno "La salute in carcere: parliamone senza censure", organizzato dal Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria (Dap). Giovanardi ha fatto notare che "è stata portata da 4 a 6 anni la gravità dei reati per cui non si va in carcere se si è in una comunità di recupero e se si può continuare il percorso". Inoltre, sul sovraffollamento delle carceri non inciderà "la ex-Cirielli perché - ha spiegato Giovanardi - per la tossicodipendenza abbiamo tolto la recidiva prevista dalla ex-Cirielli. Chi racconta che con gli spinelli si va in carcere racconta una grande bugia, perché in questi casi è prevista una sanzione amministrativa". Giovanardi, intervenendo al dibattito moderato dal giornalista Francesco Giorgino, ha annunciato che "entro pochissimi giorni" verranno pubblicate le tabelle che fisseranno i limiti in base ai quali si potrà distinguere l’uso personale di stupefacenti dallo spaccio. Le tabelle saranno stabilite "sulla base di un principio di buonsenso e di ragionevolezza. Facendo un esempio, Giovanardi ha detto che per ipotesi "fino a 20 spinelli si potrebbe parlare di consumo personale, mentre dai 21 in su si ha la presunzione che ci si trovi di fronte ad uno spacciatore. Se così non è, la persona trovata con un numero di spinelli superiore a 20 dovrà dimostrare il contrario".

Droghe: Mantovano; meno tossicodipendenti in carcere…

 

Apcom, 1 marzo 2006

 

"Con la legge sulla droga si ridurrà il numero dei tossicodipendenti nelle carceri". Lo ha dichiarato il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, a margine del convegno organizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) sulla salute in carcere.

"Vi è - ha detto Mantovano - un orientamento chiaro della nuova normativa verso il recupero dei tossicodipendenti e questo è possibile attraverso tre novità inserite nella nuova legge: innanzitutto la sanzione penale può essere sospesa in presenza di un percorso di recupero, abbiamo, infatti, portato da 4 a 6 anni il limite di gravità". "La seconda novità - ha aggiunto il sottosegretario - riguarda l’integrazione della sanzione 671 del Codice di procedura penale per cui si consente di ritenere unificata la continuazione dei reati che hanno come filo conduttore la droga. Infine - ha concluso Mantovano -, entro certi limiti, se i tossicodipendenti sono stati condannati per droga, hanno esaurito i benefici e non hanno voglia di ricorrere al percorso di recupero possono evitare il carcere con il lavoro sostitutivo di pubblica utilità".

Droghe: Manconi (Ds); per governo cura coatta a tossicodipendenti

 

Apcom, 1 marzo 2006

 

"Il fenomeno dei suicidi nelle carceri è terribilmente costante, sia rispetto a quando eravamo noi al governo sia ora che a governare è la Cdl". È quanto ha dichiarato Luigi Manconi, garante per i detenuti del Comune di Roma, a margine del convegno sulla salute nelle carceri in corso oggi a Roma. Inoltre per Manconi il ministro Giovanardi, anch’egli intervenuto alla manifestazione, "ha detto due enormità. Innanzitutto ha sostenuto la bontà giuridica dell’inversione dell’onere della prova: Giovanardi ha infatti affermato che se utilizziamo una entità virtuale fino a 20 spinelli si è considerati consumatori, oltre si è spacciatore a meno che non si dimostri il contrario.

Per Giovanardi cioè - ha detto Manconi - si è colpevole solo da una soglia in su". Secondo il garante per i detenuti questa è "una conseguenza di perverse volontà di indicare parametri medi molto rigidi che sono senza fondamento scientifico e opinabili". Altra obiezione che Manconi muove al ministro per i Rapporti con il Parlamento riguarda la sua affermazione sullo svuotamento delle carceri. "È stato proprio il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - ha spiegato Manconi - ad affermare il contrario, esprimendo una grande preoccupazione sul fatto che viene penalizzato il consumo e gli effetti di questa penalizzazione è l’aumento della popolazione detenuta. Per sottrarsi - ha aggiunto - al carcere bisogna dunque accettare la cura coatta: si può essere un consumatore appassionato senza essere dipendente. Però si è costretti ad andare in comunità di recupero per evitare il carcere".

Giordania: rivolta in carcere, guardie prese in ostaggio

 

Agr, 1 marzo 2006

 

Rivolta in un carcere alla periferia di Amman, in Giordania. Centinaia di detenuti protestano contro il trasferimento di alcuni estremisti islamici in un altro penitenziario. Alcune guardie sono state prese in ostaggio. Tra i prigionieri considerati più pericolosi nel penitenziario di Jweida c’è il giordano Azmi Jayousi, un collaboratore del capo di Al Qaida in Iraq Abu Musab al Zarqawi, condannato a morte lo scorso febbraio per il suo ruolo nel pianificare attentati chimici nel 2004.

Stati Uniti: condannati a morte, uno su 8 è innocente

 

Ansa, 1 marzo 2006

 

Quasi non passa giorno senza che la cronaca ci regali qualche nuovo raccapricciante particolare sull’uso della pena capitale negli Stati Uniti. Ieri il Death Penalty Information Center ha reso noto un calcolo fatto studiando il numero di condannati messi in libertà: almeno uno per ogni 8 imputati condannati a morte è innocente. Il calcolo è stato reso noto dopo che la Florida ha rilasciato John Ballard dal braccio della morte, dove era stato rinchiuso per tre anni. Ballard è stato il 20esimo detenuto in attesa di esecuzione messo in libertà in Florida. Ma appena qualche settimana prima, un altro detenuto, Harold Wilson, era stato rilasciato, in Pennsylvania. La sorte di quest’uomo è stata più dura: nel braccio della morte lui c’è stato 16 anni. A salvarlo è stato il Dna, che 16 anni fa non poteva essere analizzato e che oggi ha rivelato che gli omicidi di cui era era stato trovato colpevole erano stati compiuti da un altro uomo. E se la sorte di Ballard e Wilson sembrano terribili, quella di Derrick Jamison è anche peggiore: lui prima di essere rilasciato, nel braccio della morte in Ohio c’era stato 20 anni. A studiare la lista che il Dpic mette a disposizione nel suo sito c’è davvero da piangere di indignazione. Per fortuna, da un lato aumentano gli Stati che davanti questi fatti scelgono di fermare le esecuzioni, dall’altro diminuiscono le condanne. Ma, sottolineano al Dpic, il rischio che qualche innocente venga giustiziato rimane realistico.

 

 

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