Rassegna stampa 14 marzo

 

Lettere dal carcere: Livorno, un istituto piccolo e dimenticato

 

Radio Carcere, 14 marzo 2006

 

È piccolo il carcere di Livorno. Piccolo e dimenticato, ma dentro grande è la disperazione, l’abbandono. Le mura del carcere più che imprigionare noi sembrano voler impedire che si sappia cosa accade lì. Perché nel carcere di Livorno ne succedono di tutti i colori, ma nessuno ne parla. Io ho passato, non mesi, ma anni in una cella che sarà stata di dieci metri quadri. Dentro ci stavamo in 6 e a volte 7 detenuti. Uno sopra all’altro. Si stava in una condizione invivibile, lo spazio per muoverci era minino, si faceva a turni per alzarsi dalla branda ed eravamo costretti a stare chiusi in quella celle per 21 ore al giorno. Noi si passava la giornata a letto a dormire o a guardare la televisione. L’ora d’aria, che ce la facevano fare in un cortiletto, era l’appuntamento più atteso del giorno. Questa la nostra giornata nel carcere di Livorno. Io non sono uno stinco di santo e di carceri ne ho girate, ma una cella così schifosa non l’ho vista mai. Una stalla.

Dal cesso usciva la merda, soprattutto di notte come un rigurgito delle fogne, e la salsedine del mare faceva marcire tutto, mura, sbarre e noi stessi detenuti esposti a un’umidità che ci spaccava le ossa. Tra di noi, in quella cella, c’erano anche ragazzi stranieri. Poveracci. Sono loro che, senza neanche poter usare la parola, se la vedono peggio. Lì vedi in silenzio per giorni e giorni, poi all’improvviso te li trovi per terra in cella con le braccia tagliate, in una pozza di sangue. In carcere c’è un metodo per tutto, anche per farsi più male con una lametta. Lasciate a bagno con l’aglio per un po’ di ore, le lamette assicurano ferite più sanguinati. E così è.

Un capitolo a parte è il regime di disciplina che c’è nel carcere di Livorno. Alle guardie non si può chiedere nulla. Questa è la regola per sopravvivere lì dentro. Stare zitto. Se un detenuto domanda di avere anche un semplice foglio di carta o una medicina si rischia la cella liscia. La scena è questa: tu chiedi una cosa, l’agente arriva e ti risponde male. A quel punto se stai zitto va tutto bene ma e se tu reagisci, beh, loro o ti menano lì o ti portano nella cella liscia, quella di punizione.

Io una volta ho risposto e nella cella liscia ci sono stato. Una sera di novembre, sono arrivati in cinque, mi hanno preso, mi hanno portato giù nella cella liscia. Mi hanno fatto spogliare. Per sei giorni sono rimasto nella cella di isolamento in mutante. Dormivo su un materasso buttato a terra e senza neanche una coperta. Nudo, rannicchiato su quel materasso non sapevo più cosa ero.

In quella cella non puoi chiedere aiuto perché loro chiudono anche il blindato, che è una porta di ferro. Quando stai lì nessuno ti può sentire. O meglio, devi sperare che non ti senta nessuno, perché il peggio deve arrivare e sta lì ad aspettarti. Una notte io mi misi ad urlare e loro mi hanno sentito. Pochi minuti di silenzio, poi uno sbattere di cancelli e un rumore di passi pesanti che si faceva sempre più forte. Stavano venendo da me. Io mi sono messo in un angolo della cella per cercare riparo.

Sono entrati e mi hanno picchiato. Erano 6 o 7 guardie, con guanti e con gli scarponi che in cima hanno il ferro. E quelli fanno un po’ male. Sicché mi hanno spaccato la faccia. E si badi che il mio non è stato un caso isolato, non ero il solo nel carcere di Livorno a subire questo trattamento. Ho visto tanti detenuti presi e portati via. Quando tornavano in cella avevano i lividi addosso, spaccati in faccia e gli occhi pesti. Nel carcere di Livorno sono cose normali. Però una cosa va detta, ed è che il problema non sono le guardie. Il problema vero è che quando metti così tanta gente a convivere insieme è ovvio che si degeneri. Negli anni scorsi a Livorno eravamo in due per cella e al massimo volava qualche schiaffo (e pure meritato). Ora siamo in 6 o 7 per cella, e che t’aspetti i fiori la mattina? Insomma più detenuti e più severità, più violenza. Oggi i detenuti del carcere di Livorno hanno paura a parlare di queste cose e si riducono al silenzio. Ti ricordi la regola di prima? Devi stare zitto, altro che rieducazione. Silenzio o botte. Difficile in un posto come il carcere di Livorno capire chi è vittima e chi è carnefice, cosa è giusto o cosa non lo è. Ci si scontra, come auto nella nebbia.

 

Mario, 43 anni

 

Casa Circondariale di Livorno

Via delle Macchie, 9, tel. 0586.853044

Direttore: Anna Carnimeo

Data di costruzione: 1984

 

Detenuti

 

Capienza regolamentare: 273 detenuti

Capienza effettiva: 383 detenuti

212 sono condannati e 171 in attesa di giudizio

detenuti stranieri: 170

uomini: 349

donne: 34

90 sono tossicodipendenti e 5 affetti da Hiv

27 detenuti sono nella sezione di Elevato Indice di Vigilanza

39 nella sezione dell’Alta Sicurezza

ogni anno nel carcere di Livorno c’è un flusso di detenuti che va da 1.600 a 1.900 persone

 

Staff

 

Un Direttore

Polizia Penitenziaria: 275 ma effettivi 230

Educatori: 3

Assist. sociali: 3

Personale sanitario: 1 medico incaricato, medici specialisti in convenzione

Infermieri di ruolo: 1; non di ruolo 7

 

Struttura

 

L’istituto è nella periferia della città. Dalla stazione si è collegati con un servizio di autobus urbani. Il carcere ha un primo edificio esterno alla cinta muraria, dove ci sono gli uffici. Dentro le mura il carcere è diviso in tre padiglioni: il maschile, il femminile e quello dei semiliberi. La struttura è significativamente compromessa. Infissi e mura sono corrosi. Sia all’estero che all’interno il carcere è in cattivo stato.

 

Eventi critici

 

Ci sono spesso episodi di autolesionismo, specie per quanto riguarda gli stranieri. Negli ultimi due anni sono aumentati i casi di morte:

12 luglio 2003: Marcello Lonzi, 29 anni, muore in carcere per causa non accertata.

24 aprile 2003: M.D., giovane turco, si impicca con le stringhe delle scarpe legate alle inferriate della cella.

29 giugno 2004: D.B., 45 anni, si impicca con la cintura dei pantaloni.

31 luglio 2004: C.R., detenuto cileno di 50 anni, si impicca in cella

7 settembre 2004: L.V., 36 anni, si impicca con le lenzuola alla grata del bagno della sua cella.

27 dicembre 2004: Angelo Vincenti, 57 anni, di origini pugliesi, muore in cella durante la notte, forse ucciso da un infarto

 

Record

 

Il 60% circa dei farmaci distribuiti sono psicofarmaci.

Nuoro: abusi sui detenuti, rinviati a giudizio undici agenti

 

Il Manifesto, 14 marzo 2006

 

"Mettiti in ginocchio, prega la Madonna e bacia la bandiera italiana". Tanto sarebbe stato costretto a fare un detenuto maghrebino di fede musulmana, Boulaame Moustapha, detenuto nella colonia penale di Mamone, in provincia di Nuoro, da una guardia carceraria, Piero Sulas. Sulas è stato rinviato a giudizio dalla procura della Repubblica di Nuoro per violenza privata, "con l’aggravante - si legge nell’ordinanza firmata dai magistrati - della minore difesa, essendo la persona offesa detenuta e non in grado di difendersi in alcun modo".

L’episodio è stato riferito ai giudici nuoresi durante gli interrogatori seguiti all’avvio di un’inchiesta su una serie di furti avvenuti nel carcere barbaricino e commessi, secondo i magistrati, dalle stesse guardie. Un’inchiesta durante la quale sono poi emersi anche soprusi sui reclusi, violenze psicologiche, minacce e persino spedizioni punitive. L’episodio più grave è quello denunciato da Boulaame Moustapha. Ma il campionario degli abusi, stando ai verbali della polizia e agli interrogatori resi dai detenuti ai magistrati, sarebbe molto più ampio. Ad esempio, i magistrati contestano un altro episodio molto grave avvenuto nel maggio del 2002: "Due agenti hanno detto a un gruppo di detenuti: Noi qui siamo come una mafia. A Mamone comandiamo noi e voi dovete solo ubbidire". E ancora: due reclusi nordafricani, Rajovaoui Khalid e Gharbi Mansour, hanno dichiarato ai giudici che nell’ottobre del 2002 sono stati picchiati da un gruppo di agenti. Uno dei due maghrebini sarebbe stato punito a forza di botte soltanto per aver bussato alla porta della cella per richiamare l’attenzione della guardia. Nell’ordinanza di rinvio a giudizio si legge anche che un’altra guardia è addirittura arrivata a "minacciare di morte alcuni detenuti, dicendo loro che sarebbe stato facile farli sparire, denunciando poi una falsa evasione". Accuse pesanti, quelle quali il processo dovrà fare chiarezza. L’udienza preliminare è stata fissata per il 15 di giugno. Sono dieci le guardie carcerarie rinviate a giudizio insieme con Piero Sulas. La colonia penale di Mamone, a nord di Nuoro, in una zona montuosa e isolata, è una struttura carceraria aperta, dove i detenuti durante la giornata si dedicano ad attività economiche varie - agricoltura e pastorizia soprattutto - e poi la sera tornano in cella. La percentuale di extracomunitari è molto alta. La maggior parte di loro finiscono in prigione per piccoli traffici di droga.

Il carcere di Mamone è entrato nel mirino della magistratura nuorese il 22 ottobre del 2002, quando due guardie furono denunciate per furto dopo essere state pescate con le mani nel sacco. Furono bloccate da alcuni loro colleghi all’uscita della colonia penale mentre tentavano di portare fuori, nascosti in auto, formaggio, legna da ardere, mele, agrumi, castagne e ortaggi prodotti dai detenuti e normalmente venduti sui mercati sardi. Le due guardie furono arrestate. In un secondo tempo l’indagine avviata dalla magistratura nuorese portò alla luce altri episodi simili. Il titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore Maria Grazie Genoese, ipotizzò l’esistenza a Mamone di una vera e propria banda specializzata nel furto di prodotti stoccati nei magazzini del carcere. Durante le indagini i giudici hanno sentito anche i detenuti. Ed è così che sono venuti fuori gli episodi di violenza e gli abusi, tra i quali quello più grave: il nordafricano di fede musulmana costretto ad inginocchiarsi, a recitare una preghiera alla Madonna e poi a baciare il tricolore. Episodio particolarmente odioso perché alla violenza e all’umiliazione su un detenuto inerme si aggiunge l’offesa ai sentimenti religiosi di Boulaame Moustapha.

Ieri, dopo che è stata resa nota l’ordinanza di rinvio a giudizio, gli avvocati difensori delle dieci guardie carcerarie hanno diffuso una dichiarazione in cui respingono tutte le accuse, che sarebbero pure e semplici invenzioni dei detenuti. I magistrati nuoresi sono di tutt’altro avviso.

Alessandria: "Storie Recluse", racconti di vita dal carcere

 

Agenfax, 14 marzo 2006

 

"Storie Recluse: racconti di vita dal carcere" è il tema centrale dell’incontro, organizzato dagli Enti, Istituzioni e Associazioni che fanno parte del G.O.L. (Gruppo Operativo Locale), che intende dar voce alle esperienze di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti dei penitenziari alessandrini. L’appuntamento è per mercoledì 15 marzo, dalle ore 14.30 alle ore 18.30, presso l’aula 209, II piano, di Palazzo Borsalino, in via Cavour, 84.

L’incontro è promosso dal Comune di Alessandria, dalla Provincia di Alessandria, dall’Università del Piemonte Orientale, l’Istituto Tecnico Statale per Geometri "Nervi", il Centro di Formazione Professionale Casa di Carità, il Ministero della Giustizia (Ufficio di Sorveglianza, Casa di Reclusione di San Michele, Casa Circondariale Don Soria, Ufficio Esecuzione Penale Esterna), il Cissaca e l’Associazione Betel. Il programma del convegno prevede, dopo l’apertura e i saluti alle ore 14.30, tre momenti di testimonianza. Alle ore 15.00, si parlerà di esperienze di studio e formazione, insieme con carcerati che hanno affrontato e concluso percorsi di studio, con docenti che hanno realizzato i corsi, con gli operatori penitenziari e i volontari che hanno contribuito a realizzare le iniziative di formazione. Alle ore 16.00, si discuterà di lavoro con i detenuti che hanno lavorato all’esterno del carcere, con gli imprenditori, i Sindaci, gli operatori penitenziari e i volontari che hanno realizzato progetti per rendere possibili queste esperienze e ne hanno favorito la messa in atto. Infine, alle ore 17.00, si potranno ascoltare le esperienze di reinserimento sociale dalla voce di chi le ha vissute in prima persona e che, uscendo da una casa di reclusione, a dovuto ricostruirsi un nuovo progetto di vita.

Concluderanno i lavori le riflessioni di Maurilio Guasco, docente dell’Università del Piemonte Orientale, di Alberto Marcheselli, Magistrato di sorveglianza, del Presidente del Cissaca, e del Sindaco di Alessandria. "Trovo molto importante – afferma il Sindaco di Alessandria – riuscire a creare momenti di condivisione, rivolti all’intera cittadinanza, rispetto a esperienze che hanno portato risultati apprezzabili come quelle presentate. Penso che le testimonianze dei protagonisti di questi vissuti possano farci comprendere la complessità del disagio, la fatica del riscatto e l’importanza della fiducia per un percorso che porti al pieno reinserimento di queste persone all’interno della società. Mi fa piacere poter parlare di questi argomenti in un’aula universitaria, anche a studenti, che invito a partecipare numerosi, che qui si preparano ad affrontare professioni in ambito giudiziario o sociale: la loro formazione non deve limitarsi ai testi accademici, ma deve saper far tesoro delle testimonianze di chi quotidianamente vive i mille problemi di una detenzione carceraria."

Venezia: Vincenzo Pipino; in carcere è un lento marcire…

 

Il Gazzettino, 14 marzo 2006

 

Vincenzo Pipino (63 anni di cui 25 trascorsi in galera) difende i diritti dei detenuti: "Il male della società non sono loro". "In carcere è un lento marcire".

"Togliete tutto ai detenuti, ammassateli in dieci per cella, frustateli pure tutti i giorni, ma non togliete mai a costoro la parvenza di potersi reinserire un giorno nella società". A lanciare l’accorato appello è Vincenzo Pipino, veneziano della Giudecca e ladro di professione, un uomo che di carceri se ne intende avendo trascorso venticinque dei suoi sessantatre anni nelle prigioni di mezza Europa.

"Oggi le carceri non si trovano più nelle condizioni critiche registrate negli anni 90 - aggiunge l’"Arsenio Lupin della laguna" - ma versano in una situazione disperata: i detenuti vivono in uno stato di promiscuità assoluta. Una volta entrati vengono lasciati marcire, senza che sia data loro la possibilità di progettare un reinserimento nella società come prevede l’articolo 27 della Costituzione. Nelle carceri del nostro Paese i detenuti sono stipati in sei o sette dentro piccole celle create per una sola persona e in quei pochissimi metri quadrati sono costretti a rimanervi per 22 ore al giorno.

"Ci sono molti suicidi - ricorda Pipino - e numerosi sono i decessi per interventi sanitari tardivi. Tante, inoltre, le auto-mutilazioni. Anche per questo le "galere" italiane vengono paragonate a Guantanamo".

Il capo di quella banda che una notte di ottobre ‘98 "prelevò" da Palazzo Giustiniani, abitazione dell’industriale Alberto Falk, il "Fontegheto della Farina" del Canaletto e una veduta del Marieschi (per questo fatto, conclusosi con la restituzione dei due capolavori, aveva patteggiato un anno di reclusione), non ha dubbi: "Grazie all’introduzione della legge Cirielli e alla modifica della legge del 1992, l’attuale governo ha spezzato il patto penitenziario che era stato votato all’unanimità dal Parlamento con la legge 663 del 10 ottobre 1986, la cosiddetta "Gozzini", che cercava di rendere l’ordinamento penitenziario più umano".

Un accordo davvero importante, racconta Pipino, che con gli anni ha dato risultati straordinari: "Ricordo che al Rebibbia Penale a Roma furono molti i ricercati, talvolta anche per gravissimi reati, che suonarono al campanello del carcere per costituirsi. La legge 663 prevedeva, infatti, la socializzazione del condannato all’interno delle carceri e l’applicazione di misure diverse e alternative rispetto alla detenzione, con la possibilità per il soggetto di pensare ad un reinserimento nella società dopo l’espiazione della pena".

In Italia su una popolazione di 40 milioni di persone adulte, i detenuti sono 60mila: ciascuno costa al contribuente oltre 100 euro al giorno, quindi la spesa giornaliera è di 6 milioni di euro, 180 al mese e ben 2 miliardi e 160 milioni all’anno. "Per questo la pena deve avere come obiettivo il loro miglioramento, non deve più possedere solo carattere repressivo ma un contenuto di rieducazione. Forse però - sussurra - quello dei detenuti è un male necessario per la società"

Pipino, sguardo furbo e occhialini tondi, da professore, parla a ruota libera. D’altronde per lui il codice penale non ha segreti. Ha cominciato a studiarlo in carcere (e dove altrimenti?) ma, col tempo, quella che doveva essere "pura nozionistica per la sopravvivenza" è diventata una vera passione tanto da permettergli di gestire, negli anni ‘90 a Rebibbia, un vero e proprio ufficio legale per i detenuti che richiedevano assistenza. "In un anno, grazie alle mie istanze, sono stati tolti 700 anni di carcere a detenuti che stavano espiando una pena senza titolo: vuoi per cumuli di pena, vuoi per calcoli sbagliati, vuoi per la negligenza degli avvocati". Oggi, tornato libero, dedica gran parte delle sue giornate a rispondere alle tante lettere di detenuti che gli arrivano da ogni parte d’Italia e sogna di dar vita a un’associazione con annesso studio legale e garante che punti alla soluzione concreta dei loro problemi, al loro reinserimento e alla restituzione della dignità perduta. Al momento ancora non c’è ma ha già un nome: "Car.Di.Viola.", carcere diritti violati.

Forlì: agente di polizia penitenziaria condannato per lesioni

 

Corriere della Romagna, 14 marzo 2006

 

Condannato a 8 mesi un agente di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Forlì. Era accusato di aver dato un calcio in un occhio a un giovane marocchino. L’extracomunitario era stato arrestato per violenza sessuale, in seguito scagionato e dopo 48 ore di carcere aveva tentato il suicidio tra un cappio e del fuoco appiccato a giornali e stracci. Il detenuto fu salvato in tempo e trasferito in infermeria. Al momento di riportarlo in cella diceva di non riuscire a camminare. Non venne creduto e picchiato con un calcio. All’indomani, lo straniero di nazionalità marocchina, aveva un grande ematoma all’occhio. Scattò la denuncia e l’indagine fu portata avanti dal commissario Claudio Di Marco, ascoltato come teste ieri in aula. Il pubblico ministero era Fabio Di Vizio. L’accusa era di abuso di ufficio e lesioni. Il Tribunale collegiale presieduto da Luisa Del Bianco, a latere Mirko Margiocco e Roberto Evangelisti, ha condannato l’agente di Polizia penitenziaria a otto mesi (pena sospesa) soltanto per il capo di imputazione delle lesioni.

Giustizia: i difensori di Angelo Izzo; è seminfermo di mente...

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 14 marzo 2006

 

Due donne uccise e sepolte nel giardino della loro casa, legate alle caviglie e con le teste avvolte in sacchetti di plastica. Una delle due aveva solo 14 anni e prima della morte erano state torturate, denudate e violentate. Questo lo scenario della villetta degli orrori, quella villetta dove il 30 aprile dello scorso anno furono trovati i corpi di Maria Carmela Maiorano e della figlia Valentina. Per quel massacro fu arrestato Angelo Izzo, già autore di un altro massacro, quello del Circeo. La procura di Campobasso sostenne che Izzo insieme a Luca Palaia agì con "particolare crudeltà". E, oggi, secondo il difensore di uno dei massacratori del Circeo, quel massacro sarebbe stato fatto da un uomo seminfermo di mente.

Angelo Izzo, uno degli aguzzini di Rosaria Lopez e di Donatella Colasanti, sarebbe, quindi secondo uno psichiatra nominato dall’ avvocato Filomena Fusco, seminfermo di mente. E per questo motivo il legale chiederà una consulenza psichiatrica alla procura di Campobasso che indaga sugli omicidi di Maria Carmela e di Valentina Maiorano e che, dopo dieci mesi di indagine, si avvia a chiudere l’inchiesta.

Oggi Angelo Izzo è stato ascoltato nel carcere di Velletri su delega della procura di Campobasso, dal pm Giambattista Bartolini, un interrogatorio voluto proprio da Izzo. E dopo quasi novanta minuti di interrogatorio l’avvocato Fusco ha detto che "occorre fare luce sulla sua personalità: Izzo appare sereno, troppo sereno". L’avvocato ha sottolineato un aspetto che, a suo dire, "dovrebbe condizionare il proseguimento del procedimento giudiziario". "Izzo è apparso sereno - ha detto il legale giunto a Velletri da Campobasso - troppo sereno. Questo ci preoccupa e deve preoccupare. Per di più, considerato il fatto che, a noi come a tutti, non risulta alcun movente alla base del duplice omicidio. Occorre, quindi, scavare nella sua mente e fare piena luce sulla sua personalità. E ciò sarebbe bene che a farlo non fossimo solo noi, che siamo di parte, ma soprattutto l’autorità giudiziaria". E lo psichiatra nominato dalla difesa è arrivato alla conclusione della seminfermità di Izzo dopo averlo esaminato e monitorato per circa dieci mesi. Da qui la decisione dell’ avvocato Fusco, suffragata anche dal tenore delle risposte date oggi nel corso dell’ interrogatorio al quale il suo assistito è stato sottoposto a Velletri, di sollecitare nei prossimi giorni l’ accertamento medico affinché anche la procura del capoluogo molisano prenda atto delle condizioni di salute dell’ uomo.

Roma: va all’ospedale, lo arrestano per evasione dai domiciliari

 

Garante Regionale detenuti, 14 marzo 2006

 

Agli arresti domiciliari per una forte crisi ansioso-depressiva, è stato arrestato per evasione e condotto di nuovo in carcere per essersi recato al Centro di Igiene Mentale per le cure del caso, nonostante avesse le autorizzazioni necessarie. Protagonista della vicenda - segnalata dal Garante Regionale dei diritti dei Detenuti Angiolo Marroni al magistrato di Sorveglianza di Roma - un uomo di 32 anni residente a Segni, Pietro M., ora rinchiuso nel carcere di Velletri.

Dal 3 agosto del 2005 a Pietro M. sono stati concessi gli arresti domiciliari. Al verificarsi di crisi depressive l’uomo, per disposizione del Magistrato, ha la facoltà di recarsi al Centro di Igiene Mentale (CIM) di Segni, previa segnalazione ai carabinieri del paese. Lo scorso 24 gennaio, dopo una forte crisi, Pietro M. ha avuto la necessità di andare al Centro, ha telefonato alla stazione dei carabinieri di Segni. Non rispondendo nessuno, la chiamata è stata trasferita alla compagnia dei carabinieri di Colleferro che, secondo quanto raccontato dallo stesso detenuto, lo avrebbero tranquillizzato dicendogli che si sarebbero occupati di avvertire i colleghi di Segni.

"Ma così non è stato - ha detto il Garante Angiolo Marroni - Pietro è stato raggiunto dai carabinieri al CIM, dove gli è stata verbalizzata l’evasione e la revoca dei domiciliari. A segnalarci il caso sono stati gli agenti di polizia penitenziaria di Velletri, preoccupati dello stato psicofisico del detenuto. Spero che chi di dovere possa, al più presto, valutare quanto accaduto e ripristinare gli arresti domiciliari. Qui è in gioco la vita di un uomo, che non può essere segnata da una mancata comunicazione o da un disguido burocratico".

Avezzano: appello degli avvocati contro la chiusura del carcere

 

Il Messaggero, 14 marzo 2006

 

Chiusura carcere San Nicola: il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Avezzano con un ordine del giorno approvato il 13 marzo invita i sindaci della Marsica, le associazioni professionali, i partiti politici, le organizzazioni sindacali, l’amministrazione provinciale e regionale, le associazioni operanti nel territorio e i cittadini tutti a prendere posizione "al fine di scongiurare detta chiusura ed evitare così l’ennesima spoliazione del territorio Marsicano di una struttura avente validità sociale". Il Consiglio evidenzia anche che la funzione svolta dalla casa circondariale è da ritenersi primaria sia con riferimento al personale occupato e all’indotto economico, sia con riferimento alle presenze della popolazione carceraria che rappresentano il 50% dell’intera provincia. Come si sa il ministro di Grazia e giustizia Castelli ha firmato il decreto di chiusura della casa circondariale di pena del San Nicola di Avezzano. Il documento è stato trasmesso al Provveditorato alle Opere pubbliche e, ovviamente, la notizia è arrivata ufficialmente anche ad Avezzano. Ne è stata informata la Procura della Repubblica per quanto di competenza.

Il carcere, dunque, sarà chiuso per permettere lavori di ristrutturazione che, come abbiamo avuto già occasione di scrivere, risultano molto più onerosi e costosi di una ricostruzione. Come dire, insomma, che è possibilissimo, anzi ragionevolmente ipotizzabile che il carcere di Avezzano sarà chiuso e non verrà più riaperto. Il personale è destinato altrove e la vicenda avrà un suo epilogo entro l’anno. Il tempo che occorrerà per sistemare gli ospiti nei carceri dell’Aquila e di Sulmona, presumibilmente. Per quanto riguarda poi il nuovo edificio è ormai assodato che l’Amministrazione comunale di Avezzano pur avendo individuato il terreno sul quale dovrebbe sorgere la nuova casa circondariale di pena non ne ha dato la disponibilità. A giorni è previsto un sopralluogo del Provveditorato regionale per capire se è possibile tenere aperta almeno un’ala dell’edificio in modo da scongiurare la chiusura totale della casa circondariale.

Medio Oriente: le forze israeliane irrompono nel carcere di Gerico

 

Adnkronos, 14 marzo 2006

 

Forze israeliane hanno fatto irruzione nel carcere di Gerico in Cisgiordania. Lo riferisce il sito di Haaretz, aggiungendo che un poliziotto palestinese è stato ucciso. Fonti palestinesi riferiscono che alcuni bulldozer hanno iniziato ad abbattere i muri del carcere. Una folla di palestinesi si è intanto riunita attorno al carcere e vi sono stati lanci di molotov e pietre contro i soldati israeliani, giunti sul posto con mezzi corazzati, tank e due elicotteri.

Gli israeliani intendono trasferire in un carcere sotto loro controllo Ahmed Saadat e altri quattro membri del Fronte popolare della Palestina, condannati per l’assassinio del ministro israeliano del Turismo Rehavam Zèevi nel 2001, oltre a Fuad Shobaki, accusato dell’invio di un carico d’armi illegale nei Territori. La settimana scorsa il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas aveva detto che avrebbe liberato presto Sadat, provocando dure reazioni israeliane.

Le guardie americane e britanniche, che controllavano la detenzione di Sadat, hanno dal canto loro lasciato il carcere prima dell’arrivo degli israeliani. Una ‘mossà che non è piaciuta all’Anp. "I soldati americani e britannici sono responsabili moralmente per le vittime dell’assalto israeliano al carcere dell’Anp di Gerico": è quanto affermato Tawfiq Abu Khusa, portavoce del ministero degli Interni dell’Autorità nazionale palestinese, nel corso di un collegamento telefonico con la Tv di stato palestinese. "Sappiamo che i soldati americani e britannici responsabili della difesa del carcere si sono ritirati 15 minuti prima dell’assalto - ha affermato il funzionario palestinese - hanno quindi una responsabilità morale e giuridica per le vittime di questo attacco, perché loro sono in contatto continuo con i soldati israeliani e quindi sapevano cosa stava accadendo". Secondo l’esponente dell’Anp l’assalto al carcere di Gerico deve essere considerato come un’iniziativa propagandistica in vista delle prossime elezioni israeliane previste per il 28 marzo.

Le guardie di Londra e Washington avevano tuttavia preannunciato la loro partenza a metà marzo, apparentemente in seguito alla decisione palestinese di liberare presto i detenuti. "Riteniamo americani e britannici responsabili della sicurezza di Sadat. Il loro ritiro è una violazione degli accordi con l’Anp", ha affermato intanto Ahmed Abdel Rahman, consigliere di Abbas, citato su Haaretz online.

Intanto è stata diffusa l’attesa dichiarazione del ministro degli Esteri, Jack Straw. "L’Autorità palestinese ha regolarmente disatteso ai suoi obblighi" in base all’accordo raggiunto sull’internamento di Sadat. Di conseguenza la Gran Bretagna "ha concluso il suo coinvolgimento nella missione", afferma il capo della diplomazia britannica.

 

 

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