Rassegna stampa 15 maggio

 

Giustizia: basta con i balletti di una politica cinica e sorda

di Sergio Cusani e Sergio Segio

 

La costante attenzione della Chiesa ai problemi del carcere e alla necessità di un provvedimento umanitario e di clemenza - rievidenziata in questi giorni dalle alte parole del presidente del Consiglio per la Giustizia e la Pace, cardinale Renato Martino - è come una goccia che scava tenace sulla roccia. Peccato che molta parte della politica sia del tutto impermeabile a quelle gocce e a ogni sollecitazione. Più dura e sorda di qualsiasi pietra.

L’appello del cardinal Martino, che non è solo iniziativa personale ma espressione di volontà ampie e corali, rischia già di venire svilito nel balletto dei distinguo, degli schieramenti pregiudiziali, delle parole vuote e di quelle insincere, del gioco delle parti e di quello degli equivoci.

Un déjà vu che si ripete a cicli regolari dal 2000. Una finzione di cui i detenuti hanno imparato a diffidare, avendo segnato in profondità la loro pelle e ucciso le loro speranze. Qui sì c’è una inescusabile recidiva delle forze politiche.

L’amnistia e l’indulto (non l’indulto senza amnistia e tanto meno le leggi-truffa degli indultini e indulticchi) erano e rimangono una pressante necessità: non un semplice gesto di clemenza, ma, al tempo stesso, una precondizione per riforme serie e strutturali e un risarcimento per le condizioni in cui decine di migliaia di persone chiuse in cella sono costrette a vivere e decine di migliaia di operatori sono costretti a sopportare nel loro quotidiano lavoro dentro gli istituti penitenziari.

Ma non ha veramente senso fingere di discuterne quando ancora non è insediato un governo e neppure si è deciso quale debba essere il ministro della Giustizia.

Al di là della persona, noi vogliamo dire quali dovrebbero essere le caratteristiche del suo mandato: un radicale e tempestivo cambio di rotta rispetto alle politiche sin qui seguite. E non solo riguardo lo sciagurato "Castellismo", che, al di là delle amnistie, del caso Sofri o di misure strutturali, non ha voluto neppure attuare il regolamento penitenziario e garantire condizioni di vita minimamente dignitose e accettabili.

Il cumulo di problemi che strangola le carceri viene da lontano e ha responsabilità diverse.

Cambio di rotta significa innanzitutto buttare nel cestino la legge sull’immigrazione, quella sulle droghe, quella che ha aggravato il trattamento sulle recidive (legge "ex Cirielli") e ucciso la legge Gozzini: vale a dire le normative (e le filosofie sottostanti) che hanno portato le carceri al tracollo con gli oltre 60.000 reclusi e il crescere della disperazione (14 i suicidi solo nei primi tre mesi del 2006, almeno 57 quelli dello scorso anno, decine e decine sono i decessi per mancata assistenza sanitaria, mentre sono decine di migliaia le manifestazioni di protesta e i gesti di autolesionismo).

Cambiare rotta significa smettere di pensare al sistema carcerario come a un business o a un deposito di vite a perdere e cominciare a riformarlo con rapidità, coerenza, decisione, efficacia.

Cambiare rotta significa individuare una figura di ministro che garantisca per davvero queste diverse direttrici di marcia, al di là dei veti delle corporazioni (che già hanno provocato la messa da parte di una figura autorevole e capace come Giuliano Pisapia), al di là degli equilibrismi di coalizione e i tatticismi e mercanteggiamenti di partito.

Cambiare rotta significa smetterla con le parole vuote e false che troppi esponenti politici stanno diffondendo ancora in questi giorni.

Per parte nostra, assieme ad associazioni e volontari, in queste settimane stiamo lavorando alla ricostituzione di un "cartello" di forze per rimettere sul tavolo delle priorità e delle cose concrete quel "piccolo Piano Marshall" per le carceri che avanzammo nel 2000, assieme alla proposta di amnistia e indulto, e che rimane precondizione vera per l’effettivo reinserimento sociale. Un complesso di iniziative che avrà da subito al centro la complessiva proposta di riforma dell’ordinamento elaborata da Alessandro Margara, già a capo del DAP, e dal magistrato di Milano Francesco Maisto e di cui discuteremo anche il 26 maggio in una grande assemblea che si terrà dentro il carcere di Padova.

Giustizia: il cardinale Martino chiede un gesto di clemenza

 

Radio Vaticana, 15 maggio 2006

 

"La chiesa italiana non ha perso la speranza che venga realizzato un atto di clemenza nei confronti dei detenuti": lo ha affermato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, il cardinale Renato Raffaele Martino, visitando il carcere San Benedetto di Arezzo. Il servizio di Paolo Scappucci. "Nella forma che l’autorità politica riterrà più opportuna, un atto di clemenza nei confronti dei reclusi - come auspicato da Giovanni Paolo II nel discorso al Parlamento italiano del novembre 2002 - resta una viva speranza per cui prega e si adopera la Chiesa italiana": è quanto ha ripetuto il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, visitando stamani, insieme al vescovo di Arezzo, il locale carcere di San Benedetto, nell’ambito delle manifestazioni in preparazione al Convegno della Chiesa italiana, che si terrà in ottobre a Verona. Di fronte alla dura realtà del carcere, in cui i diritti umani dei detenuti vengono spesso calpestati, il porporato ha definito come "intollerabile" che oltre alla pena della privazione della libertà si aggiungano abusi di ogni genere. "La reclusione - ha detto il cardinale Martino - come ogni esperienza umana negativa, non ci separa mai dall’amore di Dio e dalla dignità dell’uomo, per cui l’uomo non è mai irrimediabilmente segnato dal contesto in cui vive. I carcerati - ha aggiunto - sono nel carcere, ma non sono del carcere e lo sguardo deve andare sempre oltre". Il cardinale Martino, citando il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, ha concluso auspicando una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso.

Prato: carenza del 30% tra gli agenti di polizia penitenziaria

 

Toscana TV, 15 maggio 2006

 

Alcuni rappresentanti della funzione pubblica della Cgil e degli agenti in forza alla Dogaia di Prato hanno tenuto questa mattina una conferenza stampa auspicando che su questa autentica emergenza vi sia un’iniziativa forte da parte degli organi preposti dell’amministrazione centrale, delle istituzioni cittadine e dei parlamentari pratesi per garantire le risposte concrete che gli operatori penitenziari attendono da lungo tempo.

La situazione delle carceri toscane è analoga a quella pratese, è stato spiegato, ma nell’istituto della Dogaia le condizioni degli agenti sono particolarmente pesanti perché si tratta di un carcere di massima sicurezza e come tale complesso nella gestione. Attualmente la struttura conta 586 detenuti, su una capienza regolamentare prevista di 326 unità.

L’organico della polizia penitenziaria previsto è di 345 agenti, mentre le forze effettivamente in servizio nella struttura sono circa 241. I turni di lavoro per queste ragioni sono diventati molto duri: nel 2005 la polizia penitenziaria di Prato ha effettuato 65 mila ore di straordinario e le previsioni per il 2006 sono ancora superiori. Una pianta organica così esigua - è stato detto - rischia di produrre minore sicurezza all’interno del carcere, maggiore usura psicologica e fisica del personale in servizio, con difficoltà di gestione della popolazione detenuta, in costante aumento.

Giustizia: Castagnetti; sì alla clemenza, se c’è un accordo

 

Il Messaggero, 15 maggio 2006

 

Onorevole Pierluigi Castagnetti, condivide la proposta del presidente della Camera Bertinotti in favore dell’amnistia?

"Credo si possa finalmente affrontare seriamente il tema della concessione di un provvedimento di clemenza, ma occorre individuare una sede dove si possa veramente arrivare a una decisione condivisa, per evitare di alimentare nuove speranze, alle quali può seguire una delusione cocente. La cosa migliore sarebbe che il governo prepari due disegni di legge, uno sull’amnistia, escludendo, di comune accordo con l’opposizione, i reati gravi e particolarmente odiosi, e un altro, sulla riforma della giustizia, che deve procedere di pari passo".

 

Insomma, lei spera di evitare la disillusione del gennaio scorso, quando la Camera sono state bocciati sia l’amnistia che l’indulto. Per colpa di chi?

"Ognuno ha avuto la sua responsabilità. Nel centrodestra, come è noto, si sono messe di traverso An e Lega e anche nel centrosinistra ci sono state frenate, dovute forse anche al clima pre elettorale. Ora si possono lasciare alle spalle le polemiche e si può creare sull’amnistia una vasta intesa, dando anche il segnale di voler svelenire il clima politico, come ha già raccomandato il presidente Napolitano".

 

E perché ora maggioranza e opposizione dovrebbero collaborare?

"Perché l’inizio di una legislatura è il momento migliore per varare un provvedimento di clemenza, senza il timore di scontentare il proprio elettorato. Ma, sia chiaro, l’amnistia può essere concessa solo se seguita da una riforma complessiva della giustizia, alla quale si vuole dedicare anche Prodi, che più volte ha detto di ritenere indispensabile l’accelerazione dei processi, la cui durata è indegna di un Paese civile. Anzi, ritengo che indicherà questo come uno degli obiettivi prioritari del governo".

 

Per arrivare a emanare rapidamente l’amnistia, l’onorevole Boato propone un’intesa bipartisan per abbassare il quorum necessario in Parlamento. Lei è d’accordo?

"No, perché credo che, se come mi auguro, verrà respinto il referendum confermativo della devolution, dovremo occuparci di tutta la seconda parte della Costituzione, quindi anche della materia complessiva dei quorum per le leggi costituzionali. Inoltre, credo che soltanto se l’opposizione è consapevole che i suoi voti sono decisivi, potrà convergere sull’amnistia".

 

Onorevole Castagnetti, secondo lei l’Unione questa volta voterebbe compatta?

"Le resistenze ci sono, non lo nego, soprattutto perché qualcuno contesta lo stesso istituto dell’amnistia. Ma sono 15 anni che non viene concesso un provvedimento di clemenza. Credo che questo sia il momento giusto, anche per prevenire il terribile avvertimento del Guardasigilli Castelli, che dopo l’approvazione della legge ex Cirielli, disse che le carceri sarebbero scoppiate. Il centrosinistra può e deve prevenire questo rischio".

Giustizia: Pecorella (Fi); l’indulto da solo non serve a nulla

 

Apcom, 15 maggio 2006

 

"Storicamente è un passo indietro perché la proposta di un’amnistia e di un indulto da fare insieme ha attraversato tutta la scorsa legislatura ed è naufragata solo dopo Natale". Gaetano Pecorella, parlamentare di Forza Italia, intervistato da Repubblica, stronca sul nascere ogni possibilità di dialogo sull’amnistia. "I Ds - afferma - votarono contro, oggi ci ripensano, perché si accorgono che con i tribunali intasati e le carceri che scoppiano la giustizia non sarà gestibile".

D’altro canto "l’indulto da solo non serve a nulla". Per Pecorella, inoltre, Forza Italia "è contraria a separare le due misure per una ragione logica e politica. Se si approva l’indulto, e non l’amnistia, si fanno inutilmente i processi per poi dichiarare la pensa estinta. Fi si è sempre battuta per l’unità del provvedimento, perché la misura della pena da condonare deve tener conto di che amnistia si vuol fare".

Giustizia: Bertinotti; sì all’amnistia, d’accordo anche Fi e Udc

 

La Stampa, 15 maggio 2006

 

Amnistia: molti sì dalla nuova maggioranza (pur con qualche resistenza nei Ds e il no di Antonio Di Pietro), mentre il centrodestra si spacca fra Forza Italia, Udc favorevoli e An contraria. Con le carceri che esplodono per il sovraffollamento, si riapre la spinosa questione dell’atto di clemenza finora sempre negato e stavolta appare possibile una soluzione positiva, considerato anche che il futuro premier Romano Prodi la considera una questione della massima urgenza. "Toccherà al legislatore, nella sua autonomia, decidere se e come intervenire: io sono favorevole ad un provvedimento di clemenza verso i detenuti", chiarisce il presidente della Camera Fausto Bertinotti sposando la proposta, rilanciata sabato anche dal Vaticano, di aprire la strada all’amnistia.

"È una richiesta che arriva dalla società civile, dalle forze politiche, dal volontariato, da autorità laiche e religiose - afferma Bertinotti -.Per la condizione in cui sono tenuti, i detenuti subiscono un aggravio di pena rispetto a quella loro comminata dalla magistratura. Lo stesso personale che opera nelle carceri è costretto al grande disagio prodotto dal sovraffollamento". Il presidente della Camera, dunque, dà il proprio sostegno alle "sollecitazioni che si manifestano da più parti a favore di un segno di clemenza a vantaggio dei detenuti". Tale provvedimento, concorda la Rosa nel Pugno, è la premessa per la riforma della giustizia. "Si può cominciare subito con un indulto già il 2 giugno per la festa della Repubblica e avere poi il tempo per incardinare riforme strutturali come carcerazione preventiva, depenalizzazioni, interventi su droga e altro - puntualizza il segretario dei Radicali, Daniele Capezzone -.

Altrimenti resteremo nel dramma attuale: reati impuniti e 300 mila prescrizioni l’anno (per chi può permettersi una difesa adeguata), e in carcere solo immigrati, tossicodipendenti e piccolissimi criminali. Cioè una giustizia di classe: forte con i deboli, debolissima con i forti". La battaglia per l’amnistia trova una sponda significativa nell’asse Forza Italia-Udc. Il vice coordinatore "azzurro" Fabrizio Cicchitto auspica un atto di clemenza sotto forma di amnistia o indulto. "Occorre mettere mano subito a questi provvedimenti dal forte impatto sociale - precisa Francesco Giro di FI - l’ostilità a qualsiasi gesto di clemenza non aiuta a risolvere un problema reale, posto dalla stragrande maggioranza dei direttori delle carceri. Un grido d’allarme che la Chiesa ha raccolto ma che la politica non riesce a tradurre in proposte concrete e fattibili".

Il centrista Maurizio Ronconi invoca "iniziative parlamentari serie per evitare nuove disillusioni a migliaia di carcerati e alle loro famiglie" e anche il senatore Gianfranco Rotondi, segretario della Democrazia Cristiana, si schiera "senza se e senza ma" per l’amnistia. "Si è fatto poco negli ultimi quattro anni, dall’appello papale a Montecitorio, ora bisogna accelerare i tempi e dare un segnale concreto", spiega. È "bipartisan" però, pure il fronte del no. "Contrasteremo ogni atto di clemenza verso i detenuti - annuncia il leader dell’Italia dei valori, Di Pietro - non è serio usare l’amnistia e l’indulto come strumenti contro il sovraffollamento.

Serve una vera riforma giudiziaria: agire a suon di clemenza è un’offesa alla certezza della pena e alle vittime dei reati". Intanto i Verdi, "intenzionati a dare un impulso ad una soluzione politica capace di chiudere le stagioni dell’emergenza giudiziaria e carceraria", ipotizzano un tavolo maggioranza-opposizione per l’atto di clemenza e la grazia ad Adriano Sofri. "Mille volte no ad amnistia ed indulto - ribadisce Maurizio Gasparri di An - sarebbe una scelta pro-criminali, dissennata e criminogena, con conseguente aumento del numero dei reati. In modo trasversale difenderemo in Parlamento legge e ordine per sbarrare la strada ad un provvedimento che conferma come la sinistra preferisca i delinquenti agli onesti". An rivendica di "aver già impedito atti di clemenza nella scorsa legislatura" ed assicura che utilizzerà pure l’ostruzionismo "per impedire un colpo di spugna a favore di chi ruba e uccide".

Amnistia: Finocchiaro; verificare prima possibilità di intesa

 

Apcom, 15 maggio 2006

 

"Ancora una volta, nel giro di pochi anni, si torna a parlare di amnistia e indulto. Apprezzo gli appelli pubblici avanzati da autorità laiche e cattoliche. Le forze politiche però dovrebbero a mio avviso sobriamente e seriamente verificare le possibilità di raggiungere in Parlamento il quorum richiesto su di un testo condiviso". Lo dichiara Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo al Senato. "Troverei irresponsabile - sottolinea Finocchiaro -, altrimenti, alimentare, ancora una volta, una discussione che riguarda la speranza di libertà di migliaia di detenute e detenuti".

Sulmona: volontariato; i detenuti danno voce ai "libri parlati"

 

Il Messaggero, 15 maggio 2006

 

I detenuti della Casa di reclusione di via Lamaccio "prestano" la loro voce alle persone con difficoltà di lettura. Questo pomeriggio alle 16 si conclude il primo Laboratorio di letture espressive, organizzato dall’Agenzia per la promozione culturale (Apc), dalla Casa di reclusione, dalla sezione provinciale dell’Unione italiana ciechi e dalla comunità montana Peligna. L’iniziativa rientra nel progetto di letture espressive dal titolo "Ti dò la mia parola" finalizzato alla ricerca di nuovi lettori-volontari che desiderano donare la propria voce per registrare libri che faranno parte dell’archivio dei Centri del libro parlato. In questo caso 15 detenuti hanno seguito il corso e hanno partecipato alla registrazione dei libri da destinare all’archivio. Numerose le autorità che parteciperanno alla manifestazione.

Cagliari: risolvere la "vertenza agenti" di Buoncammino

 

Ad Majora, 15 maggio 2006

 

"La vertenza degli Agenti della Polizia Penitenziaria dell’Istituto Circondariale di Buoncammino deve essere risolta tempestivamente. Lo "sciopero bianco" in atto si ripercuote non solo sul funzionamento del carcere, ma coinvolge per diverse attività i detenuti e i loro familiari. Gli agenti sono insomma i garanti della correttezza e dell’equilibrio del sistema e devono essere messi in condizione di lavorare serenamente". Lo sostiene la consigliere regionale dello Sdi-RnP Maria Grazia Caligaris che nei giorni scorsi ha manifestato solidarietà agli agenti penitenziari.

"La Regione, che ha sottoscritto un protocollo d’intesa con il Ministero della Giustizia, non può - ha aggiunto Caligaris - non intervenire affinché l’insufficienza del personale sia colmata con nuove assunzioni. Senza questo presupposto, non sarà possibile garantire il rispetto del principio della territorializzazione sancito dall’accordo con cui si prevede anche il trasferimento in altri Istituti dei detenuti giunti dalla Penisola".

"Riportare serenità tra gli Agenti è quindi un dovere così come è opportuno che il Presidente della Regione e la Giunta assumano un’iniziativa forte a favore di un indulto subito e comunque prima del 2 giugno, giorno in cui ricorre la Festa della Repubblica quando la Rosa nel Pugno sarà in piazza a sostegno di un’amnistia straordinaria. Il provvedimento di clemenza, su cui si è espresso favorevolmente il Presidente della Camera Fausto Bertinotti, costituirebbe il primo atto propedeutico ad una grande riforma della giustizia".

Pianosa: è stata due volte supercarcere, ora visitabile dai turisti

 

Toscana Tv, 15 maggio 2006

 

Il carcere di Pianosa oggi è di nuovo un carcere normale, dopo due periodi da supercarcere. Il primo nel 1970, quando per volontà del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ospitò i terroristi delle Brigate rosse. La seconda volta nel 1992 quando la legislazione d’emergenza, varata dal Guardasigilli Claudio Martelli, previde di trasferire all’Asinara e a Pianosa tutti i detenuti per mafia e ‘ndrangheta sottoposti al 41-bis. A Pianosa fu costruita la sezione Agrippa, circondata dal "Muro Dalla Chiesa": una stella con cinque bracci, al centro dei quali, coperto da una rete, il cortile dell’ora d’aria. Era la sezione destinata a supercarcere, fino al 2000 quando fu dichiarata cessata l’esigenza del supercarcere. Intanto, nel 1997 il ministero dell’Ambiente aveva inserito l’isola nel Parco nazionale dell’arcipelago toscano. Finita l’era del supercarcere, l’isola è tornata visitabile. Nel periodo estivo sono possibili gite di una giornata. Non ci sono né alberghi, né case in affitto.

Lucera: il disagio dei parenti in visita ai detenuti

 

Lucera Web, 15 maggio 2006

 

Non è facile essere un detenuto e non è semplice neanche essere un parente di un uomo o una donna a cui è stata tolta la libertà. Lo sanno bene quelle persone che periodicamente, nei pressi della chiesa di San Francesco, vedono stazionare davanti al cancello della Casa Circondariale decine di donne. Talvolta si tratta di anziane signore, altre volte di giovani ragazze con prole al seguito. Sono le compagne, le mogli e le madri dei carcerati.

Quando arrivano a Lucera, per incontrare la persona cara e portarle un po’ di conforto, la maggior parte di loro ha compiuto un viaggio di molte ore. Chi arriva in treno, a Foggia, e poi giunge a Lucera in pullman, ha un problema: prima di poter accedere nella sala dei colloqui, all’interno del carcere, spesso deve aspettare molto tempo all’esterno della struttura. Capita d’inverno, quando fa freddo e in strada si gela o si è esposti a vento e pioggia, ma succede anche d’estate, quando i disagi sono di segno opposto.

Le famiglie delle persone recluse nel carcere di Lucera hanno chiesto alla direzione del penitenziario di non essere più sottoposte a quei disagi, magari potendo usufruire di un luogo al coperto dove aspettare le 8.30, l’orario di visita ai detenuti. Qualche giorno fa, chi scrive è stato raggiunto da una telefonata di una persona molto sensibile alla particolare condizione vissuta dai carcerati e dalle loro famiglie.

Lina D’Aloia è una educatrice che lavora stabilmente all’interno della casa circondariale e in questi giorni, tra gli altri impegni da onorare, si sta occupando anche di dare pubblicità a una bella manifestazione che vedrà protagonista tutta la comunità carceraria (non solo i detenuti). "Ci stiamo occupando da tempo del problema evidenziato dalle famiglie dei detenuti - spiega - ma finora non siamo riusciti a trovare una soluzione".

Il cappellano del carcere, don Giovanni, non fa mai mancare il suo sostegno a quelle donne che aspettano di riabbracciare figli e mariti. Porta loro delle sedie e le esorta a pazientare. Ma non basta. Della questione è stata informata anche l’Amministrazione comunale di Lucera. E sembrava che la soluzione fosse a portata di mano: un ampio garage preso in fitto dal Comune, allestito come necessità richiede, sarebbe andato più che bene. All’ultimo momento, però, non se n’è fatto più nulla. In questi giorni, i familiari dei detenuti sono tornati a chiedere che la questione sia presto risolta.

Giustizia: Cicchitto; condivido in pieno appello card. Martino

 

Ansa, 15 maggio 2006

 

"Il sottoscritto appartiene a quel filone della cultura laica che per un verso reputa che la Chiesa ha il diritto di esprimersi su qualunque argomento reputi opportuno e che per altro verso il singolo cittadino o i partiti politici hanno il diritto di consentire o di dissentire su ciò che la gerarchia ecclesiastica sostiene. Nello specifico, condivido pienamente l’appello del cardinal Renato Martino, che ripropone ciò che Giovanni Paolo II affermò davanti al Parlamento italiano, e cioè l’auspicio di un atto di clemenza sotto forma di amnistia o indulto". Lo afferma in una nota il vice coordinatore nazionale di Forza Italia Fabrizio Cicchitto.

Giustizia: Di Pietro; no all’amnistia, non è una cosa seria

 

Ansa, 15 maggio 2006

 

"Siamo stati, siamo e saremo sempre contro ogni atto di clemenza verso i detenuti, se non dopo una vera riforma giudiziaria. Usare l’amnistia e l’indulto come strumenti contro il sovraffollamento non risolve i problemi, se prima non si mette in pratica una riforma, perché tra qualche anno ci ritroveremo ad affrontare ancora gli stessi problemi e non è serio agire a suon di clemenza, non lo è prima di tutto per la certezza della pena e per le vittime dei reati". Lo sostiene Antonio Di Pietro, leader di Italia dei Valori. "Oggi - aggiunge - il Parlamento si ritrova a dover affrontare una questione ben più importante che non quella di far uscire di galera dei delinquenti. Il nuovo Guardasigilli ha solo 10 giorni di tempo per mettere mano ad una parte della riforma di Castelli che prevede la responsabilità civile dei magistrati e la separazione delle carriere, due questioni serie e che ha concluso Di Pietro - al più presto devono essere riprese affinché l’ennesimo scempio lasciato in eredità dal centrodestra possa essere modificato".

Il lavoro nobilita l’uomo e non lo rende simile all’animale

di Francesco Seminerio, carcere di San Gimignano

 

www.informacarcere.it, 15 maggio 2006

 

Da alcune settimane usufruisco di un beneficio che per la moltitudine delle persone "comuni" non significa nulla, cioè l’articolo 21 esterno, che ad un detenuto cambia radicalmente la vita. Sinceramente ancora oggi non riesco a crederci, poiché vivo continuamente delle bellissime sensazioni, come se fossi rinato nuovamente. È stupendo svegliarsi la mattina con la consapevolezza di andare a lavorare fuori, come una "persona normale" e per un tot di ore abbandonare il carcere.

A scanso si equivoci, per coloro che leggono il nostro periodico, tengo a precisare che non sono assolutamente libero, ma ho delle regole a cui devo scrupolosamente attenermi!

Come dicevo prima, di botto mi è cambiata la vita in modo positivo, perché impegno il mio tempo in modo diverso e costruttivo e dopo anni ho un lavoro continuo che mi permette di non essere più un peso economico per i miei familiari.

Quando mi comunicarono questa lieta notizia ho avuto alcuni dubbi perché, ovviamente, sconvolgeva positivamente la mia vita ed avevo alcune incertezze di fondo, del tipo: il confronto con i miei nuovi compagni di lavoro. Oggi rispetto a ciò sono molto sicuro perché ho un buon rapporto con gli altri ed il tempo passa molto velocemente. Alle volte, la sera quando rientriamo con il mio compagno di lavoro, ceniamo per spirito di sopravvivenza in quanto siamo molto stanchi, considerando che facciamo molti km al giorno.

Però sono felicissimo di essere stanco di fatica e di poter condurre una parvenza di vita normale; ed almeno al lavoro posso non essere considerato diverso. Sembrerà paradossale ma nessuno, almeno all’apparenza, si è accorto che ero un detenuto, perché lì dopo i convenevoli ognuno pensa a lavorare senza perdersi in chiacchiere.

A volte durante il viaggio penso a questo beneficio ottenuto che mi da molta fiducia per il futuro e paradossalmente sono invaso da due sentimenti opposti: cioè sono felice per me, perché finalmente posso iniziare a vivere, a pianificare e programmare il mio futuro, però sono dispiaciuto per gli altri che non hanno ancora ottenuto questa concessione. In merito mi rivolgo a tutte le aziende che hanno bisogno di operai perché in carcere ci sono molti ragazzi volenterosi che hanno voglia di lavorare, anche per un proprio riscatto personale.

Spero che questo mio pensiero venga analizzato da qualcuno, perché lavorare è un diritto sancito dalla Costituzione e non si dovrebbero avere pregiudizi.

Secondo la mia esperienza personale, ognuno nel corso della vita ha dei frequenti periodi di evoluzione e senza un lavoro su cui fare affidamento è veramente difficile essere fiduciosi. Oltre all’aspetto economico, è fondamentale il confronto con gli altri perché ci si arricchisce a vicenda e, fuori, si può parlare di altri argomenti di vita che in carcere neanche pensi.

Come ho detto poc’anzi, tutto ciò ti cambia la vita, perché devi organizzarti in modo diverso dal passato, però allo stesso tempo sei sereno perché vivi con maggiore intensità la giornata. Se dovessi esprimere un giudizio su questo beneficio, non avrei dubbi a dire che è più che positivo e ringrazio coloro che mi hanno concesso ciò, perché mi stanno permettendo di riscattarmi e di costruirmi un futuro nuovo.

Oggi posso affermare che è veritiero il motto che sostiene che: il lavoro nobilita l’uomo, perché anche se lavoro in un’azienda di smaltimento rifiuti, ne sono felice perché lavorare non è assolutamente una vergogna, a prescindere da qualsiasi impiego, anzi…

Concludendo spero che questi progetti di lavoro all’esterno, vengano maggiormente ampliati in modo da permettere a più detenuti di uscire dal tunnel del carcere e di vivere una realtà diversa e migliore, perché tutti abbiamo il diritto di avere una seconda chance!

Roma: nel carcere di Cassino odontoambulanza visita i detenuti

 

Garante Regionale dei detenuti, 15 maggio 2006

 

Nel carcere di Cassino medici ed infermieri della Società Italiana Maxillo Odontostomatologica (S.I.M.O.) hanno visitato numerosi detenuti affetti da malattie dei denti e del cavo orale. Quello di stamattina è il primo atto concreto del Protocollo d’intesa siglato, nelle scorse settimane, tra Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) e S.I.M.O. per l’effettuazione di interventi clinici e terapeutici sui detenuti di tutto il Lazio per rilevare e curare malattie della bocca e dei denti. Si tratta della prima iniziativa del genere in Europa. Questa mattina le visite a Cassino sono state effettuate con l’ausilio di una odontoambulanza (ambulanza attrezzata per curare i problemi dentari) gestite dalla S.I.M.O. su progetto della Regione Lazio. Alle prime visite erano presenti, oltre al Garante Regionale dei diritti dei Detenuti Angiolo Marroni, le dottoresse Di Paola e Di Marzio del Prap e il professor Mauro Orefici, presidente della S.I.M.O..

Lo screening di questa mattina è servito è servito a valutare l’idoneità dei reclusi a ricevere un trattamento di igiene dentale o di cure odontoiatriche. È stato individuato un primo elenco di 15 detenuti che settimanalmente, ogni lunedì, saranno sottoposti a cure per risolvere le patologie di cui soffrono e ad attività di prevenzione delle malattie del cavo orale. Soddisfazione per il primo atto concreto di attuazione del Protocollo d’intesa è stata espressa dal Garante Regionale dei Diritti dei detenuti Angiolo Marroni. "Fra le priorità del Garante c’è la tutela del Diritto alla salute dei reclusi - ha detto Marroni - e le patologie del cavo orale sono al terzo posto per numero di incidenza in carcere. Il miglioramento della qualità della vita negli istituti di pena passa anche attraverso misure di cura e prevenzione come quelle che andremo ad attuare grazie a questo Protocollo".

Teatro: a Fossombrone detenuti in scena con "Il Marinaio"

 

Comunicato stampa, 15 maggio 2006

 

 

Lo spettacolo, liberamente tratto da "Il marinaio" di Fernando Pessoa e curato da Cristian Della Chiara e da Ciro Limone dell’Associazione Culturale Vissidarte di Pesaro, rappresenta l’evento finale di un anno di laboratorio teatrale con i detenuti della Casa di Reclusione di Fossombrone.

Questa esperienza si colloca nell’ambito di un progetto di ricerca della Facoltà di Scienze Motorie, finalizzato a valutare l’efficacia dell’attività teatrale nel ridurre il disagio psichico di chi vive la realtà detentiva. Il progetto è stato realizzato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro e dell’Ambito Territoriale Sociale n. 7 di Fossombrone.

Lo spettacolo, interpretato dai detenuti, avrà luogo giovedì 15 giugno con inizio alle ore 9.00 nella sala teatro della Casa di Reclusione di Fossombrone. Le testate giornalistiche che intendono partecipare all’evento dovranno far pervenire la richiesta, su propria carta intestata, entro il giorno 20 maggio per poter espletare le formalità burocratiche necessarie per l’ingresso nella Casa di Reclusione. Tale richiesta, completa di nome e cognome, luogo e data di nascita, indirizzo di residenza, recapiti telefonici e di posta elettronica, dei giornalisti che si intendono accreditare, dovrà essere inviata alla dr.ssa Elisa Delsignore, tel e fax 0721.372097, email elisadelsignore@libero.it.

Giustizia: ed ora dove metteremo tutti i detenuti?, di Marco Cafiero

 

Progetto Uomo, 15 maggio 2006

 

Da molto tempo non assistevamo ad un fenomeno così rilevante nelle aule di giustizia. La legge ex Cirielli è stata approvata da poco tempo e Magistrati ed Avvocati si interrogano reciprocamente sulla sua applicazione. A Genova ha favorito l’incontro di queste due categorie, pronte a supportarsi e confrontarsi su temi molto delicati. Mi pare di comprendere, con evidente chiarezza, come questa normativa piaccia a pochi. Probabilmente anche a parte di coloro che l’hanno approvata, ma questa è un’altra storia. Si respira un forte odore di reazione contro coloro che reiterano un comportamento criminoso.

Sarà certamente un luogo comune pensare ed affermare che la maggioranza delle persone che affollano le patrie galere faccia parte, proprio, di questa categoria, ma è così. È gente che nasce e vive nel disagio ed, inevitabilmente, torna a commettere delitti della stessa, o altra, specie. Questo legislatore, alla fine del mandato, con urgente bisogno di affermare quello che sta alla base della propria cultura, di matrice anglosassone, emana la legge ex Cirielli, che disconosce, perfino colui che le ha dato il nome, e sta per approvare la riforma della normativa sugli stupefacenti.

Sono due momenti importanti che determinano fondamentali cambiamenti nell’approccio alla criminalità. La normativa ex Cirielli, da una prima approssimativa lettura, sembra non provocare particolari sconvolgimenti. L’avvento della modifica sembrava, infatti, dovesse incidere fondamentalmente sui termini di prescrizione privilegiando una categoria di autori identificata con i cosiddetti "colletti bianchi". In realtà le modifiche attengono anche all’aspetto sanzionatorio ed alla esecuzione penale, vanificando l’ottica riabilitativa della pena e limitando il ricorso alle misure alternative.

 

La prescrizione del reato

 

L’istituto della prescrizione del reato trova il suo fondamento nell’attenuarsi dell’interesse dello Stato a punire quei reati il cui ricordo sociale si è affievolito per il decorso del tempo. Risponde, anche, all’esigenza di garantire all’imputato una durata ragionevole del processo, secondo quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge, e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto o quattro se si tratta di contravvenzione. Questa rappresenta la prima modifica essenziale che introduce un criterio estremamente semplice nella sua determinazione. Laddove, infatti, prima di tale novella, per definire il tempo si consultava il codice per vedere in quale ambito rientrasse il reato in questione, ora ci si limita semplicemente a vedere quale pena edittale massima il codice preveda. Quella corrisponderà al termine di prescrizione.

Per valutare la bontà di tale riforma, sul punto, purtroppo, è necessario esaminare ogni singolo reato ed operare un raffronto con i termini previsti dalla norma abrogata. La lettura, in questo, senso conferma il dato allarmante secondo il quale sono sempre i reati ascrivibili ai colletti bianchi (reati societari, tributari, alcuni contro la Pubblica amministrazione) a trarre giovamento. Non è così, invece, per i reati inquadrabili nella criminalità comune. Innanzitutto, perché la nuova norma che determina i termini di prescrizione si premura di sottolineare come nel calcolo non si debba tenere conto delle diminuzioni di pena previste per le circostanze attenuanti. Ecco che la criminalità comune viene a subire il primo affondo e a vedersi nettamente differenziata da quella privilegiata.

 

Circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.

 

La riformulazione dell’art. 62 bis del codice penale, rappresenta il primo momento in cui si introduce il riferimento al concetto di recidiva. In particolare a quella reiterata prevista dall’art. 99 comma quarto, laddove, con particolare riferimento ai delitti dell’art. 407 c. 2 c.p.p., non consentirà la serena applicazione di attenuanti fondate sull’intensità del dolo o sulla personalità del reo.

 

Recidiva reiterata ex art. 99 c. 4

 

È recidivo il soggetto che dopo essere stato condannato per un reato incorre nuovamente nella commissione di un illecito penale. Ai sensi del quarto comma dell’art. 99, si ritiene recidivo reiterato, quel soggetto che, già dichiarato recidivo, commette un altro reato.

La reiterazione nel reato, nella nuova normativa, viene a connotarsi come aspetto di una personalità talmente compromessa da impedire al Giudice una valutazione benevola a fronte di circostanze, strettamente inerenti l’individuo, che potrebbero, invece, consentire l’applicazione di una sanzione mitigata.

L’innovazione non permette al Magistrato di procedere agevolmente nel giudizio di comparazione, soprattutto considerando la delicata opera di bilanciamento tra circostanze non omogenee. Infatti, il quarto comma del nuovo testo, redatto in modo alquanto ambiguo ed impreciso, sembrerebbe impedire al Giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva. Per cui se un autore di reato, gravato da numerosi precedenti, a cui obbligatoriamente deve essere riconosciuta la recidiva, commette una fattispecie delittuosa in presenza di situazioni che, anche oggettivamente, richiederebbero l’attenuazione della pena, non potrà usufruire di una sanzione mite che il Giudice, altrimenti, irrogherebbe.

Bisogna precisare che la normativa limita la facoltà del Giudice di ritenere la prevalenza di fattori attenuanti ad un soggetto recidivo, non di considerare gli stessi aspetti in modo equivalente. Ciò consente di affermare che in talune situazioni il risultato potrà essere ugualmente apprezzabile dal punto di vista sanzionatorio. Tuttavia, tale limitazione è frutto dell’affermazione di un principio di rigore, figlio del tempo in cui viviamo e del senso di insicurezza percepito dal cittadino.

 

L’esecuzione penale

 

Il dato più allarmante, infine, proviene dalla lettura delle norme che modificano l’ordinamento penitenziario. Desta, infatti, perplessità veder sfumare la possibilità di ricorrere alle misure alternative per i soggetti recidivi di cui parlavamo prima. La riforma, quindi, limita per tali soggetti la possibilità di richiedere l’affidamento in prova al servizio sociale ad una sola volta nella loro "carriera".

Per questo motivo anche la norma introdotta dalla legge Simeone, che consentiva la sospensione dell’esecuzione della pena per trenta giorni, al fine di consentire la richiesta di una misura alternativa, viene a comprimersi. Il Pubblico Ministero non potrà più sospendere l’ordine di esecuzione nei confronti dei recidivi e, mi pare di capire, neppure a quei recidivi che, secondo la novella, avrebbero la possibilità di usufruire dell’affidamento, mai concesso prima. Questo porta, inevitabilmente, all’arresto selvaggio, anche perché la categoria dei recidivi è non solo ampia, ma tenderà ad allargarsi in modo vertiginoso.

Si sono salvati i tossicodipendenti, per i quali, inizialmente, la legge ex Cirielli, aveva ridotto ad un’unica possibilità, anziché a due, il ricorso all’affidamento terapeutico e ne aveva ridotto i limiti per i soggetti recidivi.

La Conferenza di Palermo sulla tossicodipendenza ha fatto emergere con prepotenza la contraddizione con la prospettiva di riforma della legge sulla droga. Grazie a ciò il Governo, in un momento di consapevolezza ha fatto marcia indietro abrogando questa nuova norma e lasciando le cose come stavano. Il soggetto tossicodipendente, però, continua a risentire, a dispetto dei "buoni propositi" dello stralcio Giovanardi, dell’emanazione della Cirielli, perché ci sono altre previsioni che inficiano il raggiungimento degli obiettivi di recupero.

Mi limito ad evidenziare come al momento esista molta confusione intorno all’applicazione dell’art. 73 c. 5 DPR 309/90 ai tossicodipendenti cui è contestata la recidiva reiterata (direi quasi tutti): questa interpretazione, ancora nebulosa, divide gli operatori del diritto.

Sulla detenzione domiciliare vi è da dire che è passata la norma cosiddetta "salva Previti" che introduce il diritto alla detenzione domiciliare per chi ha superato gli anni settanta e per qualunque pena riportata; per il resto aumenta il rigore nei confronti di chi, recidivo e no, ha violato le prescrizioni delle misure alternative. Anche al soggetto tossicodipendente verrà dunque a mancare il supporto dell’istituto della detenzione domiciliare. Tale misura rappresentava di una ulteriore chance per il recupero.

La legge ex Cirielli sbarra, quindi, a costoro, quasi sempre recidivi, tale opportunità alla detenzione domiciliare, prevista per pene sotto i quattro anni ed in particolari condizioni personali e sanitarie, il recidivo potrà accedere solo se la pena o il residuo della stessa, ancora da scontare, non superi i tre anni. Anche la semilibertà subisce un affondo: se la norma prevede che possa esser concessa dopo aver scontato metà della pena, ai recidivi tale computo viene portato allo scadere dei due terzi della stessa.

 

Considerazioni finali

 

Le considerazioni, in realtà, sono già contenute nell’esposizione appena conclusa. Tuttavia uno slogan appare evidente: ma dove metteremo tutti i detenuti e che fine farà tutta l’attività di sostegno sociale e supporto al reinserimento lavorativo?

Per la maggior parte dei detenuti si limiterà ad aiutare il dimettendo, alla fine dell’esecuzione della pena, a reperire risorse, solo sulla scorta di un’idea che non può tramontare: se manca il sostegno sociale, per il meccanismo della porta girevole, il detenuto farà all’esterno solo una breve vacanza!

 

 

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