Rassegna stampa 19 giugno

 

Giustizia: nelle carceri sale la tensione per l’amnistia

 

L’Unità, 19 giugno 2006

 

Sale la tensione all’interno delle carceri e i detenuti, "costretti a vivere in condizioni limite" fanno lo sciopero della fame, mentre rientra lo sciopero a Rebibbia dopo un incontro con i rappresentanti del governo. A protestare ancora anche se in maniera silenziosa sono oltre 1200 detenuti distribuiti in una ventina di carceri non è che l’ultima puntata di una lunga vicenda. Quella della speranza chiamata "amnistia e indulto". Per questo motivo, e cercare di intervenire al più presto i rappresentanti di Radiocarcere (in onda su radio Radicale ogni martedì dalle 21) hanno lanciato una proposta provocatoria. Un disegno di legge, redatto da un gruppo di docenti universitari su amnistia e indulto accompagnata da un migliaio di firme.

"Il disegno di legge, che vuole essere prima di tutto provocatorio - spiega Riccardo Arena, conduttore della trasmissione - è stato firmato da pubblici ministeri, giudici, professori universitari, avvocati e rappresentanti delle associazioni". Ovvero coloro che ogni giorno si occupano dell’assistenza a chi sta dietro le sbarre. Che la situazione, in mancanza di provvedimenti, possa degenerare ne è convinto anche Lillo di Mauro, rappresentante della Consulta penitenziara del Comune di Roma: "siamo ormai allo stremo - dice - ed è necessario dare subito un segnale". Vittorio Antonini, responsabile dell’associazione Papillon lancia un appello alle istituzioni. "Tutti devono essere consapevoli che come ogni forte investimento emotivo davanti a un’ulteriore delusione la rabbia salirebbe. E salendo potrebbe arrivare fin sui tetti". Non nasconde disappunto neppure Fabrizio Rossetti, responsabile del settore penitenziario della funzione pubblica della Cgil. "Non ci sono soldi per far funzionare le strutture, i detenuti che lavorano prendono stipendi sempre più ridotti". Le ricerche della Funzione pubblica parlano di "spazi sempre più ridotti per i detenuti che crescono".

I dati elaborati da Radiocarcere parlano di "quasi 63mila i detenuti che affollano le 205 carceri d’Italia". Valori preoccupanti se si considera che il limite della tollerabilità delle strutture non potrebbe superare quota 45mila detenuti. Il risultato? In molti penitenziari i reclusi devono vivere in spazi ridotti. Non è certo un caso come denuncia anche il dossier sulle carceri di Antigone, "vedere 18 detenuti nella stessa cella", o ancora far vivere i carcerati in prigioni che "non hanno neppure l’acqua calda".

In questi anni poi è cresciuto anche il numero dei morti di galera. Lo studio effettuato da Ristretti parla di 1191 persone morte negli ultimi cinque anni. Di queste, 455 per suicidio mentre gli altri per malattia o, in alcuni casi, per cause da accertare. I numeri forniti poi dalla Funzione pubblica della Cgil non sono più confortanti. "L’80 per cento della popolazione carceraria è recidiva, e circa il 10 per cento di questi sconta condanne per fenomeni di criminalità organizzata - spiegano i responsabili - . Dei detenuti il 30 per cento sconta condanne per reati contro il patrimonio e altrettante per droga". Senza dimenticare poi che, come rimarcano i sindacati "l’entrata in vigore della Giovanardi Fini fa crescere la popolazione detenuta di 1000 unità a bimestre".

Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia, annunciando l’impegno totale del ministero precisa. "Riteniamo che l’amnistia e l’indulto, due provvedimenti correlati siano non solo indispensabili ma è scontato che da soli non bastino". Manconi spiega. "È scontato che ci sono direttrici di fondo di radicale riforma di struttura che possono e devono essere adottate, innanzi tutto nella direzione della depenalizzazione prima e decarcerizzazione". Ovvero? "Nel corso del 2005 sono entrati nelle carceri italiane 9619 stranieri, responsabili solo ed esclusivamente di un illecito amministrativo diventato nel corso dell’iter giudiziario reato penale ovvero infrazioni alle leggi sull’ingresso". Non è tutto. "In un mese di applicazione della Giovanardi-Fini - spiega ancora Manconi - già decine di consumatori di derivati della canapa indiana sono stati associati al carcere per una valutazione di polizia perché detentori di una quantità di sostanza pena superiore alle tabelle prescritte. Si tratta in un caso come nell’altro di misure prima ancora che ingiuste orribilmente ottuse".

Manconi: detenuto obeso; reclusione non è l'unica sanzione

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

"Aristide Angelillo ha avuto giustamente gli arresti domiciliari per scontare altrimenti e altrove la sua pena. Ciò ha un importante significato e cioè che la reclusione in una cella non è necessario che sia, e non deve essere, la sola e prevalente forma di sanzione". A commentare così la decisione del tribunale di sorveglianza di Firenze nei confronti del detenuto obeso rinchiuso nel carcere di Pisa è il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi che sottolinea come esista "un amplio ventaglio di sanzioni diverse dalla reclusione in carcere".

Manconi, che da tempo si è occupato del caso Angelillo, esprime soddisfazione perché "la magistratura di sorveglianza ha riconosciuto come motivato l’impegno che ho assunto prima sotto il profilo politico e successivamente nella mia veste istituzionale". Il sottosegretario si dice anche sollevato per la positiva conclusione della vicenda Angelillo, visto che "un caso non troppo dissimile di una persona affetta dalla stessa patologia si è concluso, in un altro carcere, con la morte dell’interessato".

Quello di Aristide Angelillo, aggiunge Manconi "è stato un caso estremo ma esistono molti altri casi non estremi ma capaci di produrre altrettanta sofferenza che si riproducono all’ infinito all’interno del carcere. Riguardano in particolare soggetti che aspettano la classificazione di incompatibilità o, pur avendola ottenuta, non riescono a fare in modo che sia messa in pratica". "In questa vicenda - conclude il sottosegretario - è possibile, e non sto formulando un’accusa, vi siano state responsabilità soggettive che hanno prodotto il ritardo nell’adozione del provvedimento. Ma ciò che più frequentemente emerge è l’irrazionalità del sistema carcerario che produce effetti perversi quando (e in questo caso va verificato se vi siano state o meno) responsabilità precise sono ancora da verificare".

Corleone: sì all’amnistia, perché i penitenziari sono fuorilegge

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

"L’amnistia e l’indulto sono necessari non per questioni di clemenza, umanità, giustizia, ma per un fattore fisiologico. Le carceri italiane sono fuorilegge, non rispettano il regolamento penitenziario, sono sovraffollate e mancano delle norme igieniche. Per renderle legali, vanno svuotate". A dirlo è il garante per i diritti dei detenuti di Firenze Franco Corleone a margine di un convegno sulle carceri. "Chi dice che l’indulto e l’amnistia sono inutili perché dopo due anni la situazione torna tale e quale - commenta - dovrebbe riflettere sul fatto che in quei due anni possono essere messe a norma le carceri, approvato un nuovo Codice civile per sostituirne uno vecchio di 75 anni, abrogare leggi". Corleone definisce "leggi criminogene la Bossi-Fini e la Cirielli che da sole provocano la metà delle carcerazioni. E la situazione è destinata a peggiorare, dato che gli effetti diretti di queste due leggi ancora non si sono manifestati. In questo modo la funzione del carcere viene stravolta, diventando una discarica sociale e non un luogo dove si va in seguito a gravi delitti".

L’ex sottosegretario ha commentato anche la vicenda della scarcerazione del detenuto di 270 chili che era recluso a Pisa. "L’attesa per la decisione sul caso di Aristide Angelillo è durata troppo. Chiunque lo abbia visto, sapeva che la detenzione per lui era impossibile. Si è trattato di una decisione doverosa perché questa situazione era un segno di disumanità: nelle sue condizioni non si può restare in una cella".

Giustizia: Associazione Yairaiha; amnistia e indulto subito

 

Comunicato stampa, 19 giugno 2006

 

Questo lo slogan che partirà nella prossima settimana dalla Calabria. La campagna è promossa dall’Associazione Yairaiha Onlus per i diritti dei detenuti attiva da qualche mese in Calabria. La necessità di un provvedimento generalizzato di amnistia e indulto è oggi più che mai necessario. Le carceri sono diventate una discarica umana in cui vengono reclusi i bisogni sociali che lo Stato non riesce a fronteggiare. Primo fra tutti il disagio dato dalla precarietà diffusa in tutta la nazione che in qualche modo "costringe a delinquere" ma, in particolare al Sud, diventa una condizione strutturale e spesso inevitabile. Non si intende con questo giustificare la criminalità organizzata ma non possiamo più credere alla favola che le Mafie sono solo quelle che "sparano" per le strade della Calabria, della Sicilia o della Campania.

Le Mafie governano, dirigono banche (anche all’estero nei cosiddetti "paradisi fiscali"), ospedali e industrie. Sono presenti nell’edilizia e nel mercato immobiliare, nelle catene commerciali e nelle multinazionali. Insomma, quanto è "colluso" il pane che quotidianamente consumiamo? Non si intende "assolvere" i grandi crimini di mafia ma sicuramente si deve tener conto delle realtà sociali in cui si nasce e si cresce: a Scampia, come altrove, la mafia da "pane e lavoro". E lo Stato? Dov’è? La presenza dello Stato non si può tradurre nella militarizzazione dei territori in nome di una "sicurezza" che nessuno percepisce anzi, è proprio l’insicurezza del quotidiano che rende fertile il terreno per le Mafie e la criminalità.

E tanto nella prima quanto nella seconda Repubblica abbiamo visto Onorevoli Ministri con i divani imbottiti di Bot, Cct e banconote verdi ma Poggiolini, per motivi di salute, ha trascorso la detenzione nella propria villa circondato dall’affetto dei propri familiari mentre l’ultimo contrabbandiere di Napoli, a 74 anni e cardiopatico è ancora in cella per reati commessi negli anni ‘60. Se la Legge fosse realmente uguale per tutti pensiamo che ci sarebbe sicuramente una maggiore Giustizia Sociale, se lo Stato fosse realmente di Diritto avremmo sicuramente meno criminali.

Gli articoli della Costituzione relativi alla detenzione vanno difesi e soprattutto applicati: le pene non devono essere afflittive ma devono tendere al recupero e al reinserimento cosa che, nella realtà, soprattutto al Sud, non succede. Manca un vero processo di apertura e confronto della Società con la realtà carceraria. Mancano i percorsi di reinserimento e risocializzazione. Belle parole che rischiano di rimanere sulla carta se come società non si "apre" al carcere realizzando, di fatto, ciò che la nostra Costituzione sancisce.

Le carceri italiane, più volte ammonite dalla Corte Costituzionale Europea, traboccano di tossicodipendenti, migranti, piccoli spacciatori e ladruncoli, non sono "criminali". Sono portatori di disagi che di altre risposte necessiterebbero, non si può "carcerizzare preventivamente" il disagio ma, è ampiamente dimostrato che il Sistema Carcere avanza laddove perde terreno lo Stato Sociale. Lanciamo questa campagna ben consci che è solo il primo passo, necessario, per risolvere parzialmente i problemi legati al pianeta carcere, il prossimo dovrà, per forza di cose, essere una revisione del sistema e dell’ordinamento penitenziario.

 

Associazione Yairaiha Onlus

Giustizia: Osapp; rischio "esplosione" per istituti toscani

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

Gli istituti penitenziari toscani sono a rischio "esplosione". Lo afferma il sindacato della polizia penitenziaria Osapp che denuncia "ancora una volta lo stato di abbandono" degli agenti di custodia e la "grave situazione" in cui versano le carceri della Toscana, definite "bombe disseminate sul territorio". Ribadendo lo stato d’agitazione del personale, l’Osapp preannuncia a breve manifestazioni di protesta in tutta la regione. In una nota firmata dal segretario nazionale di Osapp, Canio Colangelo, si parla di grave carenza di personale, con punte che sfiorano il 40%, sovraffollamento di detenuti, assenza di risorse finanziarie e carenze strutturali.

Un insieme che determina "condizioni da terzo mondo sia in termini di sicurezza che di diritti del personale nonché garanzie per l’utenza". A tutto ciò si aggiunge "l’assoluto immobilismo delle autorità politiche e amministrative del ministero di giustizia che, limitandosi a pubblicizzare possibili provvedimenti di clemenza per i detenuti, non fanno altro che incrementare ed esasperare ancor di più gli animi generando i primi fenomeni di insofferenza e aggressività". Allo stesso modo, "l’amministrazione periferica si limita a provvedimenti approssimativi, scriteriati e non sempre corrispondenti alle reali esigenze degli istituti". Il "perdurare della situazione - afferma Colangelo - potrebbe comportare, come già per il passato, l’esplosione di tutti gli istituti della Toscana, con gravissime ripercussioni per l’ordine e la sicurezza di tutta la collettività".

Giustizia: arrestato Vittorio Emanuele di Savoia

 

La Repubblica, 19 giugno 2006

 

Manette a Vittorio Emanuele di Savoia. Il figlio dell’ultimo Re d’Italia è stato arrestato a Varenna, un paese sulla sponda del lago di Como. I giudici di Potenza lo accusano di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al falso, e di sfruttamento della prostituzione. Insieme al principe, sono stati arrestati anche il portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile, e il sindaco di Campione d’Italia.

Sembra che Vittorio Emanuele fosse coinvolto in un vero e proprio "mercato" dei nulla osta per i videogiochi e in un giro che reclutava ragazze da offrire ai clienti del casinò di Campione d’Italia. Gli investigatori avrebbero pure scoperto legami con esponenti della criminalità organizzata siciliana. L’arresto del principe sembra sia legato alla cosiddetta "banda delle truffe", la gang specializzata nelle truffe milionarie agli imprenditori di mezza Italia sgominata nel maggio scorso da quello stesso pm di Potenza che oggi ha chiesto le manette per il principe Emanuele di Savoia, Henry John Woodcock, già soprannominato il "giudice dei vip" per via di un’inchiesta che tre anni fa travolse un’ottantina di celebrità tra ministri, personaggi dello spettacolo e del giornalismo.

Tredici arrestati, tra loro il portavoce di Fini. In totale le persone indagate in varie parti d’Italia su disposizione dell’autorità giudiziaria di Potenza sono 24: 7 sono detenute, 6 agli arresti domiciliati. Gli altri 11 sono indagati in stato di libertà. Agli arresti domiciliari è finito Salvatore Sottile, portavoce di Gianfranco Fini (il presidente di An è del tutto estraneo alla vicenda). Secondo l’accusa, avrebbe ottenuto prestazioni sessuali promettendo carriera e successo ad una show-girl di origini calabresi. Indagato a piede libero anche un funzionario della Rai, complice nelle malefatte di Sottile. Coinvolti alti dirigenti del Monopolio.

Nella rete dei giudici sono finiti tra gli altri due dirigenti dei Monopoli di Stato, il direttore generale Giorgio Tino, e la dirigente dell’ufficio apparecchi da intrattenimento, Anna Maria Lucia Barbarito. Secondo l’accusa i due dirigenti hanno qualcosa a che fare con il mercato dei nullaosta. Tino e Barbarito avrebbero favorito il rilascio di alcune centinaia di autorizzazioni per installare videogiochi: in cambio, sempre secondo l’accusa, Anna Maria Barbarito avrebbe ricevuto denaro e altri regali, anche preziosi, e Tino, il direttore generale del Monopolio, la nomina nel consiglio di amministrazione della Scuola nazionale del cinema e la promessa della conferma nell’incarico ai Monopoli di Stato. In carcere anche il sindaco di Campione d’Italia, Roberto Salmoiraghi che si dice però "del tutto estraneo ai fatti".

Emanuele Filiberto "esterrefatto". Il figlio di Vittorio Emanuele di Savoia, Emanuele Filiberto, è "esterefatto": "È l’ennesimo colpo pubblicitario di Henry John Woodcock. Spero che il giudice sia certo delle accuse che muove altrimenti sarà l’ultima volta che farà qualcosa", ha detto con fare minaccioso. "Lo hanno trattato come un bandito", ha aggiunto il figlio del principe raggiunto dai cronisti in una località lontana dall’Italia. "Non si tratta così un uomo di 70 anni che ha anche problemi di salute. Parto subito per l’Italia. I capi di accusa che hanno iscritto i giudici in calce al mandato d’arresto non hanno niente a che vedere con mio padre".

 

Emanuele Filiberto: non ha senso

 

"Vedo capi d’accusa che non hanno niente che vedere con mio padre, è un fatto molto grave, spero che Woodcock sia certo di quello che sta facendo" perché altrimenti è "l ‘ultima cosa che farà". È il commento di Emanuele Filiberto, figlio di Vittorio Emanuele di Savoia, arrestato questa sera e contattato dal Tg5. "Lo hanno preso come un bandito - ha aggiunto - e lo stanno portando a Potenza. Non si tratta così un uomo di 70 anni che tra l’altro ha dei problemi di salute. Sono esterrefatto. Adesso gli avvocati se ne stanno occupando ma è una cosa che non ha nessun senso".

 

Stupore e solidarietà

 

È di "stupore" la reazione del Movimento monarchici italiani alla notizia dell’arresto. A Vittorio Emanuele di Savoia, l’associazione esprime "solidarietà". E "scioccato" si è detto Amedeo di Savoia, cugino di Vittorio Emanuele: "Siamo cugini, abbiamo lo stesso cognome e voglio esprimere a Vittorio Emanuele tutta la mia solidarietà - ha commentato -. Malgrado tutto quello che è stato scritto sugli screzi che possiamo avere avuto, in questo momento io voglio dimenticare tutto e manifestare affetto verso mio cugino. Voglio aggiungere che ho molta fiducia in chi gestisce la legge in Italia".

 

Le accuse

 

L’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al falso fa riferimento ad un vero e proprio "mercato" dei nulla osta per i videogiochi ed altri apparecchi elettronici utilizzati per il gioco d’azzardo. Nella vicenda gli investigatori hanno scoperto legami con esponenti della criminalità organizzata siciliana. L’altra accusa, quella di associazione per delinquere finalizzata alla prostituzione, riguarda il reclutamento di ragazze da offrire a clienti del casinò di Campione d’Italia. Raggiunto telefonicamente, il pubblico ministero di Potenza Henry John Woodcock, titolare dell’ inchiesta non rilascia dichiarazioni: "Non ho niente da dire, non parlo con nessuno. Non parlo mai delle mie inchieste".

 

L’inchiesta

 

L’arresto è avvenuto per ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Potenza, Alberto Iannuzzi. L’operazione - a quanto si è appreso dagli ambienti della procura di Potenza - interessa un alto numero di persone, verso le quali sono in corso di attuazione gli stessi provvedimenti di custodia cautelare. L’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia è legato ad un’inchiesta coordinata da Woodcock che, il 6 maggio scorso, portò all’arresto della cosiddetta banda delle truffe, un’organizzazione specializzata nel truffare imprenditori di varie regioni italiane, che ci hanno rimesso centinaia di migliaia di euro. In particolare, sono coinvolti il presunto capo della banda, Massimo Pizza, e il faccendiere Achille De Luca, entrambi detenuti in carcere. Pizza e De Luca hanno ricevuto nel pomeriggio un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere, la stessa con cui è stato arrestato il principe di casa Savoia.

 

Altri indagati

 

Tra le persone per le quali sono state disposti gli arresti domiciliari vi è Salvatore Sottile, portavoce di Gianfranco Fini, Presidente di Alleanza Nazionale. Fini è estraneo all’inchiesta. Nell’inchiesta sono stati disposti gli arresti domiciliari anche per il sindaco di Campione d’Italia (Como) Roberto Salmoiraghi. Il gip, inoltre, ha deciso alcune misure interdittive.

 

Il Procuratore: ampio quadro probatorio

 

Si tratta di un’ inchiesta delicata, che, al di là nei nomi che propone, riguarda reati molto gravi, rispetto ai quali è stato raccolto un amplissimo materiale probatorio": così il Procuratore della Repubblica di Potenza, Giuseppe Galante, raggiunto per telefono dall’ Ansa, risponde riguardo alle indagini preliminari che coinvolgono il principe Vittorio Emanuele di Savoia.

"Non è un caso - sottolinea Galante che l’ ordinanza di custodia cautelare si componga di 2.200 pagine. Non posso entrare nel dettaglio delle accuse per rispetto al segreto di indagine, ma posso dire che ogni capo di imputazione è supportato da un ampio capitolo di prove accusatorie".

 

Il portavoce: ha dormito poco, è provato

 

"Vittorio Emanuele non ha dormito molto stanotte. Sta bene, ma è stanco e provato". A dirlo stamani a Potenza è il segretario dell’ associazione monarchica Valori e Futuro, Filippo Bruno di Tornaforte. "Stamani - ha aggiunto Tornaforte - gli hanno fatto visita il suo avvocato Lodovico Isolabella e il figlio di questo, Luigi. Credo che gli abbiano portato le medicine di cui ha bisogno". Che il principe sia in buone condizioni viene confermato anche dal direttore del carcere di Potenza, Francesco De Martino. "Stamani ho parlato con il personale - ha detto il dirigente - e mi hanno detto che non ci sono stati problemi".

"So - ha poi detto Bruno di Tornaforte - che i monarchici di varie parti d’ Italia stanno organizzando pullman per venire qui a Potenza a manifestare solidarietà a Vittorio Emanuele. Sui siti di casa Savoia www.valoriefuturo.it e www.disavoia.org abbiamo ricevuto da ieri migliaia di mail, dall’Italia e dall’ estero, di persone che manifestano la loro simpatia per il principe".

Secondo Tornaforte, i famigliari del principe non raggiungeranno Potenza né oggi né domani. Fino all’ interrogatorio di garanzia con il gip, previsto per martedì prossimo, non potrebbero incontrare il detenuto. "Verranno qui sicuramente martedì - spiega il portavoce - quando potranno vederlo".

 

Sono assolutamente innocente

 

"Sono innocente, assolutamente innocente, estraneo a tutte queste accuse che mi sono rivolte": così Vittorio Emanuele di Savoia - secondo quanto si è appreso - si è rivolto questa mattina, in una saletta del carcere di Potenza, ai suoi legali, Donatello Cimadomo e Piervito Bardi, che ha incontrato per circa mezzora.

 

Sono fiducioso nella magistratura

 

"Sono fiducioso nella magistratura e sono convinto che riuscirò a dimostrare la mia innocenza". Lo ha detto nel pomeriggio il principe Vittorio Emanuele di Savoia a due consiglieri regionali di Forza Italia della Basilicata, Sergio Lapenna e Franco Mattia, che gli hanno fatto visita nel carcere di Potenza. A riferire le parole è lo stesso consigliere Mattia. "Ci è apparso in buone condizioni - ha detto l’ esponente politico lucano -. Il suo comportamento è composto e dignitoso, dimostra carattere e forza. Ha detto di attendere che la magistratura faccia il proprio corso. Ha rimarcato anche l’ efficienza del carcere di Potenza e ha detto di aver trovato personale all’ altezza del compito". I due consiglieri di Forza Italia sono andati a visitarlo "per portargli la nostra solidarietà umana - ha spiegato Mattia - nell’ ambiente carcerario in cui è costretto a vivere. Lo abbiamo incontrato per alcuni minuti nei pressi dell’ infermeria del carcere, dove si sottoponeva a controlli medici. Indossava jeans e una polo azzurra".

 

Caduto dal letto a castello, illeso

 

Il principe Vittorio Emanuele di Savoia stanotte è caduto dal letto a castello della sua cella nel carcere di Potenza, senza riportare danni. Lo ha reso noto stamani uno dei suoi legali, l’avvocato Piervito Bardi, al termine del colloquio in carcere. Secondo il legale il principe sta bene e mangia regolarmente. Una circostanza confermata anche dal deputato della Democrazia Cristiana Giampiero Catone, che stamani gli ha fatto visita "per portargli i saluti - ha detto - del figlio Emanuele Filiberto". "È stato strattonato un po’ al momento dell’arresto - ha detto Catone all’uscita dal carcere - ma mi ha detto che adesso lo trattano meravigliosamente bene. L’ho trovato molto bene, moralmente e fisicamente. Manda i saluti alla famiglia, un pensiero ai nipotini, soprattutto al nascituro. È tranquillo e fiducioso nella giustizia. Fa solo il commento che forse avrebbero potuto anche convocarlo, un commento che a livello personale condivido".

Vicenza: al San Pio X sciopero del vitto per l’amnistia

 

Giornale di Vicenza, 19 giugno 2006

 

Sono quelli che vivono in tre in uno spazio di 6 metri quadri, quelli che convivono con tossicodipendenti e malati psichici, quelli che guardano passare il tempo mentre il tempo non passa mai. Sono i detenuti di Vicenza, che con un atto simbolico chiedono a chiare lettere un atto di clemenza, quell’amnistia che lo stesso ministro della Giustizia Clemente Mastella, ha promesso qualche settimana fa in visita al "Regina Coeli" di Roma.

I detenuti del San Pio X hanno rifiutato il vitto giornaliero, niente pasti per due giorni; loro sono decisi a porre la questione con forza, respirando la possibilità di uscire dal carcere e rifarsi una vita. Ci sperano e non vogliono essere illusi da chiacchiere sulla loro pelle, sanno che ora la questione aperta dal governo può arrivare ad una soluzione. Una soluzione attesa dai tempi della visita di Giovanni Paolo II in Parlamento, quando il Papa invitò le forze politiche a discutere e approvare l’amnistia per migliorare la condizione carceraria.

Una lettera giunta al nostro giornale, firmata: "detenuti dell’alta sicurezza e comuni", mostra quale sia l’atmosfera nella casa circondariale di Vicenza. Parole scritte da "uno di loro", Franco Napoletano che con semplicità spiega: "In questo periodo in cui il nuovo governo si è insediato ci sono molti problemi da affrontare. L’economia, il deficit, il precariato e la guerra. Ma ora che tutti si muovono per rilanciare il nostro paese con nuove soluzioni, nuove prospettive e nuovi sistemi, crediamo che sia veramente ora di affrontare anche il "problema carceri", partendo proprio da questo atto di clemenza di cui tanto si parla".

La lettera poi fa riferimento al rapporto con il mondo esterno: "Sappiamo di essere visti non in modo positivo fuori da queste mura, di essere gli ultimi della classe, ma vorremmo poter essere aiutati a vivere in situazioni igienico sanitarie migliori, ad abitare nelle nostre stanze senza sovraffollamento, avere la possibilità di vedere altre prospettive. Ma per fare questo bisogna che qualcuno decida veramente di sedersi intorno ad un tavolo per migliorare tutto il sistema carcerario. È inutile - continua la lettera - che vengano fatte le solite promesse solo per illuderci. La popolazione detenuta deve trovare una via per ricominciare, abbiamo bisogno che il governo trovi veramente delle nuove soluzioni per darci la possibilità, sempre per chi si mostra intenzionato al reinserimento".

E ancora: "In carcere scontano la pena tossici, alcolisti, immigrati. Per le due categorie ci sono delle strutture esterne che danno il loro contributo al recupero, ma per i molti stranieri chi dà aiuto?" Un atto di clemenza per mettere ordine a tutto il sistema carcerario, questo l’obiettivo della protesta pacifica in carcere, dove molti dei detenuti hanno rifiutato pranzo e cena.

Tra le righe della lettera spedita al giornale si legge soprattutto la volontà di ricominciare da parte di chi sa di aver sbagliato. "Vorremmo dimostrare che qui dentro si può rinascere, si può ricominciare una nuova vita e dopo aver fatto il percorso di reinserimento, uscire di qua con la voglia di seguire la strada giusta e non cadere più in certi sbagli". "Con l’amnistia si può da una parte dare sollievo ai detenuti e dall’altra parte, con l’uscita di un certo numero di carcerati, diminuire il sovraffollamento. Più si perde tempo e più la situazione carcere diventerebbe incontrollabile, il governo deve prendere questa importante decisione. Anche qui dentro ci sono persone con cuore, sentimenti e anima e con la voglia di ricominciare veramente una nuova vita".

Trento: a confronto sulla situazione drammatica delle carceri

 

Comunicato stampa, 19 giugno 2006

 

Giovedì 22 giugno inizia a Levico Terme, all’Hotel Du Lac, il 28° Seminario di Studi organizzato da questo Coordinamento Nazionale dal titolo "Controllati e controllori (Dentro e fuori il carcere)", in collaborazione con lo Sportello Giustizia dei Centri di Servizio per il Volontariato del Veneto, l’Apas di Trento, la Caritas Diocesana di Trento, le Conferenze Regionali Volontariato Giustizia del Veneto e Trentino Alto Adige e il Centro Documentazione Due Palazzi di Padova, che si concluderà sabato 24. L’incontro si colloca in un momento storico particolare, dove a fronte di una situazione pesante in cui versano le carceri italiane il nuovo ministro della giustizia Mastella ha dato segnali di disponibilità ad atti di clemenza e a nuove politiche per l’esecuzione penale.

"È un momento storico drammatico - sottolinea Livio Ferrari - per i bollettini di morte che ogni giorno provengono dalle carceri: suicidi, come anche quello avvenuto nel carcere cittadino la scorsa settimana, atti di violenza e autolesionismo costantemente in crescita, come il sovraffollamento che non ha mai toccato queste cifre: oltre 61.000 detenuti a fronte di una capienza di circa 42.000 posti. Sono luoghi invivibili sia dal punto di vista umano e soprattutto igienico, dove la giustizia lascia il posto alla vendetta sociale". "I volontari - conclude Ferrari - si confronteranno in queste giornate con magistrati, professori universitari, operatori del settore e rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria per comprendere quali sono le priorità, le cose da fare urgentemente in concreto per uomini e donne che sono sempre più abbandonati al loro destino, in un carcere che continua ad essere una pattumiera umana".

Fossombrone: Sappe contro direttore, deve essere avvicendato

 

Il Messaggero, 19 giugno 2006

 

"Bloccherò tutti i rapporti sindacali e chiederò l’avvicendamento di Pantaleone Giacobbe, direttore del carcere di Fossombrone. Quell’uomo non può continuare a negare l’aggressione avvenuta qualche giorno fa nella sua struttura penitenziaria" L’attacco è deciso. Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, non ci sta. "La versione che il direttore ha raccontato dell’accaduto è sconcertante - rincara la dose il sindacalista - lo stesso detenuto che l’altro giorno ha aggredito l’agente a novembre si era reso protagonista di un altro episodio simile". E non è tutto. "Il signor Giacobbe dice che è "una brutta cosa abbinare l’evento teatrale che si è svolto in carcere e l’aggressione che non c’è stata". Io dico solo che il direttore è stato sfortunato che le due cose siano accadute nello stesso giorno. Nessuno vuole mettere in relazione l’applaudita rappresentazione dei detenuti con quanto accaduto poi. Nessuno nega l’importanza del trattamento rieducativo, che passa anche attraverso l’arte del teatro. Ma rieducazione e garanzia di sicurezza, in carcere, devono andare avanti di pari passo".

Roma: Liberanti, una docu-fiction dal carcere di Rebibbia

 

Dg Mag, 19 giugno 2006

 

Se c’è un luogo in cui si parla molto di libertà è il carcere proprio perché in quel luogo la libertà è assente. Qui alla libertà non si attribuisce un significato simbolico: qui la libertà è espiazione, ricordo e agognata riconquista. Dal 28 giugno ogni mercoledì alle 21.55 Fox Crime presenta in anteprima assoluta Liberanti, la docu-fiction girata nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso.

In 10 puntate, Liberanti racconta il passaggio di un gruppo detenuti dalla vita dietro le sbarre alla libertà, l’impatto di ognuno di loro col mondo esterno, l’attesa, la trepidazione per quel fatidico giorno. Francesco, Raimondo, Luca e Andrea sono alcuni dei protagonisti delle puntate. Dopo un lungo periodo di detenzione stanno per uscire dal carcere di Rebibbia. Uomini che hanno pagato il loro prezzo alla giustizia, ma non sono ancora del tutto liberi: sono appunto dei Liberanti.

La serie ripercorre i loro ultimi giorni di detenzione, i sogni, le paure e le aspettative di questi uomini sospesi tra la vita del carcere e la vita esterna. Le telecamere accompagneranno ogni liberante fino alla soglia della porta carraia di Rebibbia, l’enorme portone di metallo che si chiuderà alle loro spalle, e seguiranno la ripresa della vita fuori dal carcere, le tentazioni del passato e le difficoltà del reinserimento in società.

Al centro del racconto c’è anche la vita dei detenuti nella propria cella: fare un nodo particolare alle lenzuola perché sul letto della propria cella si vive tutto il giorno, cucinare gli spaghetti con un fornelletto a gas, fare una partita a briscola, poter fare la spesa in alcuni giorni della settimana, scrivere una domandina anche solo per l’acquisto di un profumo. Gesti quotidiani che raccontano bene cos’è il carcere. Con un profondo senso del rispetto che sempre si rivolge a chi soffre nell’anima (così come a chi soffre nel corpo), Liberanti presenta la realtà della vita carceraria senza però lasciare traccia di quella ambigua diffidenza verso chi ha sbagliato.

Immigrazione: Amato e Mastella; sarà difficile chiudere i Cpt

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

Sui Cpt, i centri di permanenza temporanea per i clandestini, il ministro degli Interni Giuliano Amato promette una commissione d’inchiesta composta da "persone particolarmente sensibili alle ragioni umane" come lo scrittore Claudio Magris e il regista Gianni Amelio. "Da cattolico laico" il Guardasigilli Clemente Mastella si augura "in prospettiva" la chiusura di quei centri e chiede che nel frattempo vengano resi "più accoglienti".

A Mosca per una vertice G8, i due ministri italiani affrontano lo spinoso problema il giorno dopo che il cardinale Renato Raffaele Martino ha sparato a zero contro i Cpt ("ridotti ormai a vere prigioni dove si violano sistematicamente i diritti dell’uomo") e ha sollecitato "soluzioni alternative". Dalle parole di Amato e Mastella sembra chiaro che trovare soluzioni alternative non è affatto facile. "È tristissimo - dice il ministro degli Interni - vedere arrivare tanti poveri cristi, capire chi sono e rimandarli a casa loro. Però, se non lo facessimo che cosa accadrebbe? Le organizzazioni criminali che organizzano questi viaggi avrebbero disco verde e allora ci sarebbe una moltiplicazione di questo fenomeno".

I Cpt sono ad ogni modo nel mirino di Amato, che aspetta soltanto il "via libera" del segretariato generale dell’Onu per il varo di una commissione ispettiva. Il nulla-osta è necessario perché a capo della commissione Amato ci vuole un dipendente delle Nazioni Unite, Staffan De Mistura. "Sono alle prese con la burocrazia Onu. Appena avrò la risposta - assicura - formalizzerò questa commissione che avrà al massimo sei mesi di tempo per verificare le condizioni dei centri di accoglienza e dirci che cosa ne pensano. Preferisco che siano persone particolarmente sensibili alle ragioni umane. È uno dei problemi che mi sento di più sulla coscienza".

"Parlare - sottolinea il ministro - è sempre facile ma noi sappiamo che gli immigrati non possiamo non averli. Dobbiamo essere realistici. Arrivano, li dobbiamo identificare e dobbiamo avere il tempo per identificarli e dobbiamo trattenerli per farlo. Arrivano senza documenti o con documenti falsi. Il tempo necessario oscilla sui 40 giorni. Se io potessi, mi metterei su un qualche pulpito e direi che è una vergogna che il mondo sia così. Ma questo equivale al Fermate il mondo, voglio scendere. Vorrei che quella gente vivesse nel modo migliore possibile quei 40 giorni ma a volte assieme a tanta brava gente ci sono autentici delinquenti che si sono infilati nel viaggio. Io, quando entrano nel centro, non so chi è delinquente e chi brava persona". Secondo Amato i clandestini che finiscono nei "vituperati Ctp" possono in effetti essere considerati dei "fortunati": stando ad una stima "ottimistica" soltanto dieci su cento riescono infatti ad arrivare dai loro paesi in Europa, i più muoiono in viaggio.

"L’eliminazione dei Cpt - commenta da parte sua Mastella - può essere la prospettiva. Per intanto bisogna, nel limite della disponibilità, rendere accogliente quello che c’è. Certo, se ne arrivano cinquecento a settimana come a Lampedusa il problema è grosso. Dipende anche da centro a centro. Torino è una cosa quasi da eliminare". Per il Guardasigilli la chiusura del Cpt è ipotizzabile se si riesce a "contrarre i flussi" grazie a rapporti e iniziative con i paesi della sponda sud e grazie a sostanziosi finanziamenti. "L’Europa - sostiene a questi proposito Mastella - deve fare uno sforzo e stanziare grosse risorse e tanto vale impiegarle di là in maniera massiccia. L’unica cosa certa è che la via autarchica al problema dell’immigrazione non c’è. nessun paese è in grado di risolvere il problema da sé. Anche il Giappone ha 40.000 clandestini all’anno".

Droghe: Cnca; basta guerra ideologica, la sperimentazione aiuta

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

Basta con le discussioni ideologiche, apriamo una discussione attenta esclusivamente al benessere della persona tossicodipendente: dopo le polemiche degli ultimi giorni, il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) rivolge oggi questo invito a tutte le forze politiche e sociali. Il modo in cui, negli ultimi giorni, è stato condotto il dibattito sulle shotting room (sale in cui potersi somministrare droghe con un’assistenza che riduca al minimo gli effetti negativi della sostanza sulla persona), secondo Cnca non aiuta un tale percorso di riflessione.

L’organizzazione ricorda che in Italia ci sono 300 mila eroinomani, 1 milione 300mila consumatori di cocaina e un numero alto e imprecisato di consumatori di nuove sostanze. "Per tutti costoro - affermano - dobbiamo pensare strumenti differenziati e molteplici che abbiano un obiettivo prioritario: migliorare le loro condizioni di vita, ridurre i rischi a cui vanno incontro. Il Cnca si rende quindi disponibile ad avviare sperimentazioni - scientificamente monitorate ed esattamente definite nei loro contesti di attuazione - su due punti che potrebbero configurare nuove opportunità di aiuto alle persone tossicodipendenti: aggancio di persone che si trovano in situazione di tossicodipendenza grave: interventi di riduzione del danno, somministrazione di metadone ed eroina; luoghi protetti di auto somministrazione di oppiacei.

Questi interventi, sottolineano, possono evitare morti, infezioni e, più in generale, un aggravamento della situazione socio-sanitaria. Accanto a queste misure, occorre anche predisporre un sistema capace di più risposte personalizzate, che preveda anche nuove sperimentazioni di residenzialità "leggera" (appartamenti di presa in carico), nuovi trattamenti per i cocainomani (comunità del fine settimana, gruppi di auto aiuto, comunità per policonsumatori), nuove modalità preventive nei luoghi del divertimento e nei grandi eventi destinati al mondo giovanile (unità di strada per i giovani, etilometri). Il coordinamento invita perciò i ministri della Solidarietà sociale e della Salute a promuovere gruppi di lavoro che permettano di ragionare su vecchi e nuovi consumi, sugli stili di vita, sulla costruzione di un sistema di intervento molto differenziato al suo interno e aperto alle sperimentazioni.

Droghe: il consumo di cocaina aumenterà del 40%

 

Ansa, 19 giugno 2006

 

I consumi di cocaina sono destinati a salire del 40% nei prossimi anni. È il dato emerso lo scorso 5 giugno in apertura del Congresso nazionale sulla cocaina. Secondo Riccardo Gatti, del dipartimento dipendenze patologiche dell’Asl di Milano e docente all’Università Statale, siamo nell’era dell’addiction e il problema è socio-culturale, legato ai tempi e agli spazi evolutivi sociali: a differenza delle patologie classiche, caratterizzate da dis-sincronicità (perché contrastano il tempo), la dipendenza è una patologia sincronica e il consumo di droga fa parte appieno della cultura dominante, che comprime sempre più gli spazi e i tempi della vita.

Ma la comprensione del fenomeno nella sua complessità ci sfugge di continuo e la legislazione non è al passo coi tempi: le categorie che usiamo sono oramai inadeguate, gli stessi termini droga e tossicodipendenze (e allo stesso modo il nome che si portano addosso i servizi preposti, i Sert, ossia servizi per le tossicodipendenze) sono anacronistici. Secondo Gatti, vi è dunque un profondo gap tra ciò che accade e ciò che si comprende. Già oggi, stando a uno studio dell’Istituto Mario Negri di Milano, il consumo medio di cocaina in Italia è pari a circa 30 dosi al giorno per ogni mille abitanti, tanto che nel fiume Po arrivano ogni giorno dalle fognature delle case circa quattro chili di "neve".

Cambogia: evasione fallita, muoiono 9 detenuti e 1 guardia

 

Peace Reporter, 19 giugno 2006

 

Nove detenuti e un agente penitenziario sono morti oggi in un carcere di Battambang, nel nord-ovest della Cambogia a 200 chilometri da Phnom Penh, durante un fallito tentativo di evasione. I detenuti, armati con un fucile e alcune bombe a mano, hanno sequestrato la guardia e si sono barricati in una cella. La polizia, dopo una serie di trattative, ha sparato dei gas lacrimogeni nella cella. "A quel punto, uno dei detenuti ha messo una bomba a mano sotto la guardia e l’ha fatta esplodere", ha detto alla Reuters il responsabile della polizia locale. "Hanno deciso di uccidersi piuttosto che arrendersi", ha aggiunto. Le carceri cambogiane sono notoriamente sovraffollate. Già l’anno scorso nel Paese la polizia penitenziaria aveva ucciso 16 detenuti che stavano cercando di evadere.

Iraq: detenuti incatenati e nutriti a pane e acqua

 

La Repubblica, 19 giugno 2006

 

Prigionieri rinchiusi in celle grandi non più di uno scatolone, con gli occhi coperti da nastro isolante e assordati da musica ad altissimo volume diffusa dagli altoparlanti: sono solo alcuni degli abusi che i detenuti in Iraq sono stati costretti a subire da parte dell’esercito statunitense, secondo il rapporto stilato dal generale di brigata Richard Formica in risposta alla richiesta di informazioni presentata dalla magistratura federale al Pentagono.

Gli inquirenti hanno avviato il procedimento in seguito a un’azione legale intentata oltre due anni fa dall’associazione umanitaria Aclu, (American Civil Liberties Union) sulla scia dello scandalo scoppiato in quel periodo per le sevizie inflitte ai detenuti nel carcere di Abu Ghraib. Secondo quanto risulta dal rapporto, i detenuti potevano essere alimentati a pane e acqua anche per 17 giorni consecutivi, e non avevano accesso a servizi igienici: di uno, in particolare, è stato accertato che era sempre nudo poiché in precedenza "non aveva fatto che orinare incessantemente sui propri indumenti".

Denunciati anche casi in cui i prigionieri sono stati denudati, immersi nell’acqua fredda e poi interrogati in stanze con l’aria condizionata. Il generale Formica ha ammesso nel rapporto che i membri dei Navy Seals hanno usato questa tattica con il detenuto morto dopo l’interrogatorio a Mosul nel 2004, ma ha sottolineato di non aver specifici elementi che possano provare un collegamento. Anzi ha escluso che la salute dei detenuti possa essere stata danneggiata in modo serio da questo tipo di comportamenti. Testimoni hanno "confermato che i prigionieri erano incatenati al pavimento" e che le catene misuravano circa un metro, tanto da consentire loro di alzarsi in piedi, sedersi o sdraiarsi, ma non di muovere un passo.

Il documento si riferisce a fatti avvenuti fra il 2003 e lo stesso 2004, l’anno di Abu Ghraib: conta ben un migliaio di pagine, ma è pesantemente censurato; sono infatti cancellati nomi, indicazioni di luogo ed elementi che permettano di identificare le unità militari coinvolte. L’intento del generale Formica non è accusatorio, nega che i detenuti fossero sottoposti a torture o altri abusi fisici, oppure che fossero umiliati psicologicamente. Il generale arriva persino a giustificare l’adozione delle micro-celle di 1,2 metri di altezza e larghezza per 50 centimetri di lunghezza, in quanto "necessarie alla protezione" dei componenti delle cosiddette forze tattiche, nonché per "impedire ai reclusi di fuggire".

Eppure, lo stesso estensore del rapporto ammette: "È ragionevole concludere che ciò sarebbe stato accettabile per brevi periodi, 24-48 ore, coincidenti con la cattura e fino a che non divenisse logicamente fattibile il trasferimento in strutture idonee. Due giorni", sottolinea, "sarebbero stati ragionevoli. Da cinque a sette, no". Formica riconosce altresì che, in almeno uno dei centri di detenzione sottoposti a indagine, "le condizioni di custodia non erano conformi allo spirito dei principi sanciti nelle Convenzioni di Ginevra" sul trattamento dei prigionieri.

Secondo uno degli avvocati della Aclu, la signora Amrit Sing, la relazione, al pari di altri documenti analoghi, "dimostra come il governo non abbia preso davvero sul serio le indagini riguardanti gli abusi contro i prigionieri", che "in Iraq, nella baia di Guantanamo e in Afghanistan erano generalizzati e sistematici"; dimostra inoltre come "le forze speciali fossero ripetutamente coinvolte in casi di sevizie a danno dei detenuti".

 

 

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