Rassegna stampa 9 gennaio

 

Amnistia: digiuni e sit-in, il testo arriva alla Camera

 

Corriere della Sera, 9 gennaio 2005

 

Ieri la giornata di "digiuno di dialogo", oggi e domani i presidi permanenti davanti alla Camera dei deputati, martedì una manifestazione e sit-in di fronte alle carceri. È fitta di iniziative l’ultima offensiva dei Radicali e delle altre associazioni promotrici della Marcia di Natale per l’amnistia. Ore cruciali, perché il 10 gennaio la commissione Giustizia di Montecitorio si riunirà per decidere le sorti del provvedimento di clemenza per i detenuti.

Don Mazzi e Don Gallo, la comunità di Sant’Egidio e Nessuno tocchi Caino, il Gruppo Abele ed Exodus. E poi tanti esponenti radicali e della Rosa nel pugno, insieme ai responsabili dei principali sindacati di polizia penitenziaria. Un sabato di digiuno per "dialogare" con la commissione Giustizia in vista dell’importante appuntamento di martedì: una delegazione verrà ricevuta dal presidente Gaetano Pecorella prima dell’inizio dei lavori.

I parlamentari troveranno sul tavolo un testo unificato che risale al 2003 e prevede solo l’indulto. Lunedì a mezzogiorno scadono i termini per la presentazione degli emendamenti per introdurre l’amnistia, martedì pomeriggio inizierà l’esame in commissione: "Intendo definire il provvedimento per passarlo all’Aula, a costo di lavorarci tutta la notte", spiega l’azzurro Pecorella. Ma la seduta è a rischio ostruzionismo. An e Lega restano contrarie a qualsiasi misura di clemenza, Margherita e Ds sono favorevoli solo all’indulto. "Il testo che è in commissione è frutto di un faticoso lavoro che si rischia di buttare a mare con gli emendamenti", avvisa Angela Finocchiaro (Ds). I Verdi, però, hanno già deciso altrimenti: "Presenterò un emendamento per inserire l’amnistia e un altro per escludere dal provvedimento i reati contro il risparmio", conferma Paolo Cento.

Una volta uscito dalla commissione, il testo dovrebbe passare all’esame dell’Aula. Una corsa contro il tempo, perché le Camere verranno sciolte il 29 gennaio. Roberto Giachetti non nasconde l’amarezza: "La verità è che non hanno voluto arrivare in Aula perché i partiti al loro interno sono spaccati". Daniele Capezzone chiede chiarezza: "Mi auguro che il Parlamento finalmente decida".

Sul fronte dei rapporti con l’Unione, intanto, gli appelli dei Radicali cominciano a sortire qualche effetto: un gruppo di esponenti diesse (Lanfranco Turci, Franca Chiaromonte, Luigi Manconi, Enrico Morando, Fabio Mussi, Magda Negri, Stefano Passigli, Cesare Salvi, Lalla Trupia e Katia Zanotti) ha inviato a Fassino e D’Alema una lettera aperta, pubblicata dall’Unità, per inserire nell’agenda della prossima direzione del partito anche il tema dei rapporti con la Rosa nel pugno. "Nei confronti di questo soggetto politico - è scritto nel testo - c’è un’insofferenza che traspare dagli atteggiamenti e soprattutto dai silenzi di tutti i membri dell’Unione e del suo leader Romano Prodi". Secondo gli esponenti diessini, invece, la Rosa nel pugno può arricchire la cultura politica e il programma del centrosinistra. "Mi aspetto che in questi giorni la forza politica del popolo ds possa portare la direzione a decisioni forti e democratiche" auspica Marco Pannella.

Frosinone: violenza a detenuto, agente rinviato a giudizio

 

Agi, 9 gennaio 2005

 

Indagini concluse e richiesta di rinvio a giudizio per un agente di custodia accusato di violenza sessuale, due funzionari e il vice direttore del carcere di Frosinone che, secondo l’accusa, potrebbero rispondere d’omissione d’atti d’ufficio. Secondo quanto riferito dalla vittima, un detenuto di Verona in carcere a Frosinone per furto, i tre dirigenti del penitenziario non avrebbero voluto raccogliere la denuncia per violenza sessuale che lo stesso voleva sporgere nei confronti dell’agente di polizia penitenziaria, colpevole, a suo dire, di averlo sottoposto a violenze sessuali. L’esposto venne poi presentato dal detenuto in un altro carcere, in Toscana, dov’era stato successivamente trasferito. Sulla vicenda vige il massimo riserbo. La Procura di Frosinone, nei giorni scorsi ha concluso le indagini e si attende ora che il Gup fissi la data dell’udienza preliminare a carico dei quattro indagati.

Taranto: nel comune di Sava detenuti curano verde pubblico

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 9 gennaio 2005

 

Il progetto ha fatto centro. L’idea dell’assessore all’Ambiente e all’Ecologia, Adriano Decataldo, di coinvolgere un gruppo di detenuti dell’istituto penitenziario di Taranto in lavori di manutenzione del verde, si è rivelata vincente. "Sei detenuti (uno di Manduria, uno di Grottaglie, uno di Fabbiano, uno di Maruggio e due di Taranto) hanno lavorato gratuitamente, per venti giorni, per il Comune di Sava" ricorda Adriano Decataldo. "Loro hanno sfruttato i giorni di licenza premio: originariamente 15, poi prolungati a 20. In queste tre settimane erano, in sostanza, liberi, con il solo obbligo di pernottare nelle proprie abitazioni. Il loro comportamento, da uomini liberi, è stato ineccepibile". Naturalmente la direzione dell’istituto penitenziario ha scelto detenuti ormai sulla via del recupero completo. A questa gente è stata offerta la possibilità di uscire fuori dalle celle e di iniziare a confrontarsi nuovamente con il mondo esterno, e, più nello specifico, con il mondo del lavoro. "Sono soddisfatto" è il commento dell’assessore Decataldo. "I sei detenuti hanno provveduto alla manutenzione del verde ed alla pulizia di diverse aree: la villa comunale, l’area delle Suore Bianche, l’area del campo di calcetto ed altre ancora. La gente ha molto apprezzato la loro opera". Il progetto dovrebbe proseguire anche nell’anno appena iniziato. "Abbiamo tante idee con il futuro, che vanno perfezionate con l’istituto di pena di Taranto" annuncia Adriano Decataldo. "Intendiamo proseguire nel rapporto di collaborazione che è stato instaurato, e che è già ottimale. Col nuovo anno vi potranno essere nuove esperienze di proficua collaborazione fra il nostro Comune e l’istituto penitenziario di Taranto".

Belluno: detenuti in sciopero della fame contro sovraffollamento

 

Il Gazzettino, 9 gennaio 2005

 

Digiuno in carcere, ieri, per i circa 140 detenuti, nel 60 per cento di casi extracomunitari, rinchiusi a Baldenich. Solo uno gode della semilibertà.Sono il 30 per cento in più di quanti possa contenerne la vecchia struttura datata 1936. Sei detenuti per cella, e non c’è nemmeno l’acqua calda. Da quando è stata poi realizzata la sezione transessuali, che accoglie 25 unità, gli spazi si sono ulteriormente ridotti. E il sovraffollamento delle carceri, che secondo i detenuti sarà aggravato dalla recente approvazione della legge Cirielli che vanifica la legge Gozzini sulle pene alternative, è stato al centro della protesta.Il cibo rifiutato, per volere dei detenuti, è stato donato ai frati Cappuccini. L’adesione al digiuno è stata del 70 per cento, spiega il rappresentante sindacale Cisl-Fp di Belluno, Roberto Augus. Una protesta che ha coinvolto, a macchia di leopardo, molte carceri italiane, nel tentativo di riportare all’attenzione del governo le difficili condizioni di vita dietro alle sbarre. A riaccendere il fuoco del malcontento, proprio la Cirielli che impone misure restrittive per i recidivi, ovvero quelli che ricadono negli stessi reati. Per loro non ci saranno affidamento ai servizi sociali, semilibertà e altre misure di pena alternativa che vennero introdotte con la legge Gozzini anche allo scopo di sfoltire le carceri. Oggi la popolazione carceraria "recidiva" rappresenta ben il 70 per cento, percentuale alla quale si accosta anche Belluno. Senza contare che la stragrande maggioranza è detenuta non per scontare una pena definitiva, ma semplicemente in attesa di giudizio.

La Cisl, spiega Augus, si è sempre battuta per la depenalizzare i reati minori e per aumentare la possibilità di pene alternative, nell’ottica non solo di un miglior recupero del soggetto, ma anche di abbattere il numero ormai esorbitante di detenuti: sono 67 mila a fronte 44 mila posti nelle carceri. Belluno, carcere di massima sicurezza, non fa eccezione. "Da anni c’è un progetto per ristrutturare due ali dell’immobile - dice Augus -, ma non ci sono fondi". Sul tappeto anche l’emergenza medica dovuta alla carenza di personale che costringe spesso a spostare i detenuti negli ospedali con un aggravio per la polizia penitenziaria ritenuta insufficiente per le necessità di Belluno. "125 unità - spiega Augus - sono poche, anche se rispettano la pianta organica. Ne servirebbero almeno 175. Basterà pensare che ogni mesi accumuliamo 3000 ore di straordinario". Non è la prima volta che a Baldenich scoppia la protesta, anche se stavolta al clamore di striscioni e gavette sbattute sulle sbarre, si è preferito il sacrificio del digiuno.

Verona: amnistia ed ex Cirielli, circa 200 detenuti rifiutano il cibo

 

L’Arena di Verona, 9 gennaio 2005

 

Una manifestazione pacifica per protestare contro il sovraffollamento del carcere di Montorio. È stata messa in atto ieri, da 200 detenuti della casa circondariale, che l’hanno concretizzata rifiutando il vitto dell’amministrazione. Nella maggioranza, visto che in carcere ieri c’erano 670 persone, la protesta non è stata messa in atto. Ma vale la pena che tra i detenuti molti sono persone immigrate, che partecipano - verosimilmente - con meno passione alle vicende politiche italiane: al centro della protesta, infatti, c’è il problema aperto dalla ex Cirielli e dal flop del dibattito parlamentare sull’amnistia.

I detenuti hanno raccolto le firme soprattutto nella quarta sezione, che è quella in cui vengono ristretti gli italiani, e nella quinta, quella destinata ad albanesi e romeni. Non hanno aderito i detenuti marocchini e dell’area nordafricana in genere. Questa protesta non significa che i detenuti abbiano messo in atto uno sciopero della fame, poiché nelle celle ci sono generi di sopravvitto. È però un atto significativo.

Nella lettera di informativa consegnata alla direzione della polizia penitenziaria si sottolinea che la protesta vuole essere di supporto per il movimento di Marco Pannella, contro l’approvazione dell’ex Cirielli e per solidarietà per la richiesta di indulto e amnistia.

"I detenuti ci hanno informato dell’iniziativa l’altro giorno", spiega Luca Bontempo, il commissario che è a capo della polizia penitenziaria in servizio a Montorio, "e noi abbiamo avvisato, come prevede il regolamento, il ministero e abbiamo però chiesto ai detenuti di garantire i servizi per dare modo a chi voleva invece mangiare di avere i pasti. Molti detenuti, infatti, lavorano in mensa, altri sono addetti alla pulizia: per questo è stato necessario chiedere di non astenersi dal lavoro". E i detenuti, a dimostrazione che la protesta ha carattere generale e non locale hanno assicurato il loro lavoro.

Roma: mostra fotografica sui bambini che vivono a Rebibbia

 

Redattore Sociale, 9 gennaio 2005

 

Volti, sorrisi, sguardi, giochi: sono venticinque scatti, belli e intensi, rigorosamente in bianco e nero, quelli che propone la mostra "Sabati di libertà", nata dalla collaborazione tra l’associazione di volontariato "A Roma, Insieme", che da dodici anni lavora con le donne e i bambini ospiti della Sezione Nido del carcere romano di Rebibbia, e il fotografo Giuseppe Aliprandi, che per alcuni mesi ha seguito, documentandole attraverso il suo obiettivo, le attività dell’associazione. La mostra è stata realizzata grazie al sostegno della presidenza della Provincia di Roma e dall’assessorato alle Politiche del Lavoro e della Qualità della Vita e sarà visitabile, dal 10 al 21 gennaio, nella sede della Provincia a Palazzo Valentini, via IV Novembre 119/A, Roma.

Le foto esposte raccontano le giornate del sabato, quei Sabati di libertà trascorsi fuori dal carcere dai bambini e dalle bambine che vivono nel Nido di Rebibbia, con i volontari e le volontarie di A Roma, Insieme. Ed ecco allora, negli scatti in mostra, i bambini al mare, in campagna, nei parchi cittadini o nelle case che li ospitano, durante le ore del gioco, per vivere momenti di normalità, fuori dalla difficile realtà del penitenziario. In venticinque immagini Giuseppe Aliprandi da, attraverso la sua personale sensibilità, un volto a questi bambini che, da 0 a 3 anni, vivono in carcere con le madri detenute e che, grazie al lavoro dell’associazione "A Roma, Insieme", aprono ogni sabato gli occhi su nuovi scenari e ricevono stimoli e sollecitazioni che li aiutano nella crescita.

Domani mattina, in sede di presentazione della mostra (ore 12, sede della Provincia di Roma) sarà presentato alla stampa il catalogo della mostra per il quale ha scritto un testo anche lo scrittore e magistrato Giancarlo De Cataldo, autore di Romanzo Criminale. Sempre domani, alle ore 17.30, la mostra sarà inaugurata e aperta al pubblico. Sarà visitabile fino al 21 gennaio, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18; il sabato dalle 9 alle 13; chiuso i giorni festivi. Per ulteriori informazioni rivolgersi all’associazione A Roma, Insieme, telefax: 06.68136052 - Via Sant’Angelo in Pescheria 35, 00186 Roma - email: aromainsieme@libero.it.

Padova: se il carcere diventasse scuola di relazioni sociali

 

Avvenire, 9 gennaio 2005

 

Ho tra le mani un piccolo opuscolo, una tra le innumerevoli pubblicazioni, riviste, libri, siti Internet che pullulano nell’universo carcerario, a testimonianza del desiderio struggente, oserei dire primario, di bucare la solitudine, di trasformare il tempo vuoto in tempo pieno, lo spazio chiuso in uno aperto in cui anche altri possano entrare, il presente immobile in un movimento verso il futuro. Si intitola "Cose dell’altro mondo". Sono "voci dal carcere" dei detenuti della Casa circondariale di Padova: brevi testi nati intorno ai disegni - semplici, efficaci - di Branko, croato, e con le parole di Nelly, liberiano, Onuegha, nigeriano, Walid, tunisino, Adrian, romeno, Stefano, italiano, Fernandes, olandese, Vincenzo, italiano… e tanti altri.

Raccontano lo smarrimento del primo giorno: "Tutto è cominciato così: mi sono trovato con un materasso, una coperta, ciò che serve per mangiare"; le giornate vuote: "Tempo e uomini persi"; l’oppressione del fare tutto insieme agli altri: "Ho perso l’intimità, non posso nascondere niente"; la ricerca di un pò di silenzio: "A volte rimango solo in cella, per starmene un po' con me stesso"; l’attesa dell’ora di visite: "Per me non è arrivato ancora nessuno "; la paura della vita futura: "Cosa faccio fuori? Dove vado? E il cerchio della vita si richiude nel nulla". Sono sessantamila oggi i detenuti in Italia, aiutati e sostenuti da un popolo meraviglioso di operatori, volontari, pastori d’anime, insegnanti, ma intralciati nel loro recupero da un sistema di leggi e di regolamenti – si pensi che il 36 per cento di loro è in attesa di giudizio, il 30 per cento sono stranieri, ancora il 30 per cento sono tossicodipendenti bisognosi di cure – che, avendo come obiettivo immediato più la sicurezza che il diritto, di fatto non riesce ad assicurare né l’una né l’altro.

Entrare in un carcere da semplici visitatori, prendere contatto con quell’altro mondo che raccoglie uomini e donne dei nostri sottosuoli, significa attraversare porte che si aprono e immediatamente si richiudono alle nostre spalle, udire in una straordinaria amplificazione rumori di chiavi, voci confuse che risuonano nei corridoi, sostare in interminabili attese per avere i permessi. Si entra, magari, nel primo pomeriggio, si esce che fuori è già buio, e pare di aver attraversato un tempo sospeso, dopo aver incontrato uomini (o donne, o ragazzi, o ragazze) che sono esattamente come noi, ma nello stesso tempo diversi da noi. Questa è una percezione fortissima che si avverte le prime volte: ci si aspetta di incontrare qualcosa di oscuro: il crimine e l’illegalità, giustamente, spaventano.

Poi si incontrano volti di uomini (o donne, o ragazzi, o ragazze) che sono in tutto e per tutto come i nostri volti, come i volti delle persone che abitualmente incontriamo, se non fosse per una sorta di impronta, inconfondibile, di qualcosa che nel passato è accaduto, e che la vita carceraria ha sedimentato, impresso a fuoco, come un marchio indelebile, perché ha impedito o almeno tentato di impedire – a volte, per fortuna o per grazia, senza riuscirci – quello che accade in ogni altra vita: lo sviluppo, la trasformazione, il mutamento.

Dimenticare questo popolo che ci vive accanto – o ricordarcene soltanto ogni tanto, in un sussulto di umanitarismo – e dimenticare quanto i loro errori possano essere simili ai nostri errori, magari rimasti inespressi o semplicemente meglio occultati, significa qualcosa di molto grave: significa mentire, a noi stessi innanzitutto, ogni volta che parliamo di "etica", di "diritti", di "umanità". Non si tratta, naturalmente, di abdicare all’esigenza di sicurezza che fa sì che chi delinque debba essere allontanato dal corpo sul quale potrebbe infierire. Né di sottovalutare la gravità del crimine – contro la persona o contro la proprietà. Il crimine è orribile, e, quando accade, è legittimo, credo, anche sottolinearne l’orrore con un tempo di separatezza, e forse dunque di reclusione. Ma affinché la risposta al crimine non sia semplicemente vendetta, pura riproduzione di male su male, è fondamentale poter dare – in tempi e luoghi che lo consentano – almeno una chance di ricominciare. Che significa riattivare una responsabilità, là dove sia stata sopita; destare un libertà là dove non sia mai nata; permettere l’apprendimento di una grammatica di quelle relazioni sociali e umane che sono state infrante. Ne va della nostra civiltà e, in definitiva, della nostra umanità.

Dap: 2.771 detenuti lavoranti grazie alla legge Smuraglia

 

Ansa, 9 gennaio 2005

 

È aumentato, anche se non nella stessa misura in cui è cresciuto il sovraffollamento nelle carceri, il numero di detenuti lavoranti non alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria: da 2.263 nel giugno del 2004 sono passati a 2.771 l’anno successivo (compresi i semiliberi). Ad assumere sono in particolare imprese e cooperative sociali che beneficiano della Smuraglia, la legge che nel 2000 introdusse benefici fiscali e contributivi per le aziende che offrono lavoro ai detenuti. È quanto emerge dall’ultima relazione al Parlamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. "Nelle realtà territoriali più problematiche - viene sottolineato - ci si è attivati per sensibilizzare maggiormente gli enti locali, il mondo imprenditoriale e le associazioni di categoria". I dati relativi al 30 giugno del 2005, però, mostrano realtà lavorative differenti: c’è stata una leggera flessione dei detenuti impiegati alle dipendenze del Dap in attività di tipo industriale (632 unità contro le 665 al 30 giugno del 2004), mentre vi è stato un importante incremento dei detenuti assunti da imprese e cooperative (634 detenuti, contro i 450 di giugno 2004 e le 346 di dicembre 2004). Il part time e il lavoro a tempo determinato sono i tipi di lavoro alle dipendenze del Dap più diffusi per le attività che non richiedono particolare qualificazione: a metà 2005, su 59.125 detenuti, in 9.682 erano addetti ai lavori domestici o non qualificati, e 902 alla manutenzione ordinaria del fabbricato. A far registrare un trend positivo negli ultimi anni è stato soprattutto il lavoro alle dipendenze di cooperative sociali e imprese, grazie soprattutto ai benefici della legge Smuraglia: nel corso del 2004 737 detenuti (644 nel 2003 e 436 nel 2002) hanno lavorato alle dipendenze dei datori di lavori esterni al Dap. "Si rivela pertanto - si legge nella relazione - un certo maggior interesse nei confronti della manodopera detenuta, ma risulta ancora poco significativa la presenza del mondo imprenditoriali all’interno del carcere, dissuaso dalla scarsa produttività e dalla limitata professionalità dei soggetti presenti negli istituti penitenziari". Nel corso del 2005, il Dap ha proseguito in sei istituti ad affidare in gestione a cooperative sociali il servizio di cucina delle carceri ponendo come condizione minima l’assunzione e la formazione di un numero di detenuti almeno pari a quello che era già impiegato nella preparazione dei pasti. E ancora: iniziative sono state assunte nel settore delle bonifiche agrarie, così da avviare attività specializzate utili alla creazione di figure professionali specifiche tra i detenuti lavoranti.

Pisa: detenuto di 270 kg chiede differimento pena…

 

Ansa, 9 gennaio 2005

 

Il tribunale di sorveglianza di Firenze ha nominato un perito, al quale verrà affidato l’incarico il 16 gennaio prossimo, per valutare le condizioni di salute di un detenuto per reati di droga e strage, afflitto da una gravissima obesità. L’ uomo, infatti, pesa 270 chili ed è invalido al 90%. Il detenuto, assistito dall’ avvocato Francesco Virgone, ha chiesto un differimento di pena. Secondo quanto appreso, il tribunale di sorveglianza di Pisa aveva già rigettato la richiesta del detenuto, dichiarando la situazione dell’ uomo "ingestibile ma non incompatibile".

Stamani si è recato nel carcere Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti, che ha definito le condizioni di vita del detenuto "impressionanti proprio a causa della sua incredibile mole. Il medico del carcere ha già dichiarato incompatibile la condizione dell’ uomo con la detenzione, ma il tribunale di sorveglianza ha voluto nominare un perito che dovrà pronunziarsi a favore o contro la richiesta del differimento di pena". L’ uomo è accusato di reati inerenti gli stupefacenti (per i quali era stato arrestato nel 2001) e di strage, per la confezione di un pacco bomba che venne inviato in un commissariato di Perugia la cui apertura causò lesioni gravissime a un poliziotto.

Amnistia: Casini; non ho ignorato Papa, ma serve l’accordo

 

Repubblica, 9 gennaio 2005

 

Pierferdinando Casini risponde all’Osservatore Romano che ha criticato la mancata risposta del Parlamento alla richiesta di Giovanni Paolo II di un atto di clemenza. "Mi amareggia che non si voglia tenere in considerazione che il Parlamento non è stato sordo, non si è limitato a mettere una targa", ha detto oggi ai microfoni di Telepace. "Io stesso - ha spiegato il presidente della Camera - sono stato al centro di una polemica violenta e ringrazio il card. Martino per il senso misura mostrato nell’intervista di oggi al Corriere". Proprio dagli schermi della "Tv del Papa", Casini ha poi aggiunto: "vorrei dire con chiarezza che cerco di tutelare il mondo delle carceri, che è mondo di sofferenza, da aspettative infondate. Non posso non tenere conto delle diversità di posizioni, sarebbe alimentare aspettative irresponsabili". Infine il punto della situazione: "la Commissione Giustizia - ha ricordato - si riunisce domani ed arriverà comunque a un testo che sarà immediatamente portato a calenderizzazione, ma ci sono solo 20 giorni effettivi, se non c’è ampio accordo non sarà possibile portarlo avanti".

Amnistia: Bertinotti; non ottimista, ma impegno continua

 

Apcom, 9 gennaio 2005

 

La marcia di Natale, proposta dal leader dei Radicali Marco Pannella, "ha in qualche misura rotto il silenzio" sulla questione dell’amnistia ma "la reazione a quella iniziativa lascia adito a troppi elementi di preoccupazione" nonostante "il grande coinvolgimento con cui hanno aderito alcune forze politiche". Lo ha detto il segretario del Prc Fausto Bertinotti intervenendo a Radio Radicale, sulla convocazione della commissione Giustizia di Montecitorio che domani avrà il compito di mettere a punto un testo sull’amnistia. "Lo schieramento - ha aggiunto - che si è delineato sull’eventualità di un provvedimento di clemenza non induce a facili ottimismi ma noi manterremo il nostro impegno". Bertinotti ha ricordato il lavoro del responsabile Giustizia di Rifondazione comunista, Giuliano Pisapia, che "sul tema dell’amnistia si è distinto e continuerà a farlo". Tuttavia "se le cose non dovessero andare per il verso giusto in Parlamento bisogna continuare a discutere per riprendere un’iniziativa nel Paese".

Usa: appello Amnesty International a governatore Schwarzenegger

 

Sesto Potere, 9 gennaio 2005

 

Usa, pena di morte: Amnesty International lancia un appello per salvare Clarence Ray Allen, la cui esecuzione è prevista il 17 gennaio in California. Il prossimo 16 gennaio in California, Clarence Ray Allen, conosciuto anche come "Orso che corre", compirà 76 anni. Il giorno dopo, il 17 gennaio, è prevista l’esecuzione della sua condanna a morte. Allen ha seri problemi di salute, è diabetico e quasi cieco e può spostarsi solo su una sedia a rotelle. Lo scorso settembre ha avuto un attacco di cuore. Amnesty lancia un appello per salvarlo al governatore della California Arnold Schwarzenegger, che l’altra mattina ha dichiarato di escludere la possibilità di un’udienza per esaminare la richiesta di clemenza per il detenuto. Allen è stato condannato a morte nel 1982, accusato di aver commissionato gli omicidi di Bryon Schletewitz, Josephine Rocha e Douglas White. I tre avevano testimoniato contro di lui in un precedente processo per omicidio, per il quale Allen stava scontando la pena all’ergastolo.

Secondo i suoi avvocati Allen, un indiano Choctow, è stato condannato a morte in un processo fortemente dominato dal pregiudizio razziale. Inoltre, alcuni testimoni dell’accusa, coinvolti negli omicidi su commissione, hanno ritrattato in seguito la loro testimonianza. Durante il processo hanno dichiarato il falso perché sarebbe stato promesso loro che non sarebbero stati accusati dei tre omicidi. Alla fine del 2005 ricorda Amnesty International sono stati pubblicati i risultati di uno studio sull’applicazione della pena di morte in California, che ha dimostrato che la razza dell’imputato e la contea in cui si è processati sono fattori determinanti nei casi capitali, fattori che possono condizionare in modo negativo la sentenza. Per questo motivo dovrebbe essere presentata a breve una proposta di legge per una moratoria sulle esecuzioni durante la quale verrà istituita una commissione che indaghi sul sistema penale californiano.

Iran: a 17 anni uccise per difendersi, condannata a morte

 

Il Tempo, 9 gennaio 2005

 

Una ragazza iraniana è stata condannata a morte in Iran per avere ucciso, all’età di 17 anni, un giovane che, ha affermato, voleva violentarla. Il fatto è avvenuto lo scorso marzo nei pressi di Karaj, una città satellite una trentina di chilometri a ovest di Teheran. La ragazza condannata, che si chiama Nazanin, ha oggi 18 anni. Secondo la sua ricostruzione, lei e una sua nipote, di 16 anni, si erano fermate con due amici in un posto isolato durante un giro in motocicletta. Qui il gruppo è stato avvicinato con fare minaccioso da tre giovani uomini, che hanno detto di volere avere rapporti sessuali con le ragazze. I due ragazzi che erano con loro sono fuggiti con le moto, lasciandole sole. È stato allora che Nazanin, secondo quanto ha raccontato durante il processo, ha estratto un coltello che aveva in tasca per difendere lei e la nipote. Ma i tre, ha affermato, hanno continuato a inseguirle anche dopo che lei ne aveva ferito uno a un braccio. Allora lo ha colpito ancora, provocandone la morte. "Non volevo ucciderlo - ha detto la ragazza - ma non sapevo cosa fare, e nessuno è venuto ad aiutarci". Il caso ricorda quello di Afsaneh Nowrouzi, una donna liberata nel gennaio del 2005, dopo quasi otto di carcere e una condanna a morte poi cancellata, per avere ucciso un agente degli apparati di sicurezza che, aveva detto, cercava di violentarla. Il fatto era avvenuto nell’isola di Kish, luogo di vacanza nelle acque tropicali del Golfo. Sempre ieri un quotidiano ha riferito che un giovane con handicap fisici, condannato a morte per un duplice omicidio quando aveva 18 anni, è stato impiccato in pubblico nella città di Masjed Soleyman, nel sud-ovest dell’Iran. L’impiccato, Behrouz Behranpour, di 22 anni, era stato riconosciuto colpevole di avere ucciso quattro anni fa, durante un litigio, lo zio e la moglie di questi. Secondo il giornale, il ragazzo soffriva di menomazioni della vista e dell’udito. La sospensione delle esecuzioni capitali di persone minorenni, o che erano minorenni all’epoca dei fatti per i quali sono state condannate, è una delle richieste avanzate dall’Ue nell’ambito di un dialogo sui diritti umani avviato da diversi anni con la Repubblica islamica. Un primo risultato è stata, nel 2003, la sospensione delle sentenze di morte tramite lapidazione, previste per gli adulteri, anche se la pena non è stata cancellata. Un altro caso che fece scalpore fu, l’estate scorsa, l’annuncio dell’impiccagione sulla pubblica piazza a Mashhad di due giovani di 18 e 20 anni, condannati per avere violentato un ragazzo di 13 anni.

Afghanistan: polemica su super-carcere finanziato dall’Italia

 

Ansa, 9 gennaio 2005

 

Il deputato verde, Paolo Cento, vice presidente della commissione Giustizia della Camera, ha annunciato la presentazione di un’interpellanza in merito alla notizia pubblicata dal Financial Times e ripresa da quotidiani italiani, sul finanziamento deciso dal governo italiano per la ristrutturazione delle carceri di Kabul. "Altro che contributo per ammodernare le carceri di Kabul secondo un progetto dell’Onu. In realtà, stando alle notizie riportate da Ft, ci troviamo - ha detto Cento in una nota - di fronte ad un vero e proprio finanziamento del governo italiano per realizzare, su ordine degli Stati Uniti, un carcere di massima sicurezza, simile a quello di Guantanamo, dove poter detenere presunti terroristi afghani". Fonti della Farnesina hanno smentito seccamente mentre l’ambasciatore italiano in Afghanistan, Ettore Sequi, ha reso noto che "vigilerà su tutti gli standard formali e sostanziali del carcere".

Turchia: sparò al Papa, torna libero dopo 25 anni

 

Ansa, 9 gennaio 2005

 

Sei anni fa era stato graziato e aveva lasciato l’Italia per entrare nel penitenziario di Kartal, in Turchia. Adesso Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II, torna libero. Sono i giudici di un tribunale del suo Paese a restituirlo ad una vita normale: ha scontato la sua pena e ha tenuto una buona condotta - dicono - può lasciare il carcere. "Giustizia è fatta", dichiara il suo avvocato Dogan Yildirim. E dunque giovedì prossimo il "lupo grigio" che ancora tanti misteri custodisce su quel che avvenne prima e dopo il 13 maggio 1981, quando con due colpi di pistola tentò di uccidere il Pontefice, uscirà definitivamente dalla sua cella dove era rimasto per scontare il residuo di una condanna a dieci anni per l’assassinio del giornalista Abdi Ipekci, avvenuto nel 1979. "È un sogno, non riesco a crederci e adesso voglio farmi dimenticare da tutti", aveva detto la mattina del 13 giugno 2000 prima di imbarcarsi sull’aereo che da Roma doveva riportarlo in Turchia. Per due volte il Papa lo aveva pubblicamente perdonato, ma soltanto dopo aver scontato 19 anni di pena aveva ottenuto la grazia dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Un percorso lungo e complicato dalla sua evidente determinazione a non rivelare la verità sull’attentato, ma anzi a cercare di nascondere i veri retroscena del suo gesto.

Perché più volte Ali Agca si è finto pazzo, arrivando a proclamarsi come "il nuovo Messia". Più volte ha cercato di depistare le indagini, comprese quelle sulla sparizione di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana della quale non si hanno più notizie dal 22 giugno del 1983.

La prima richiesta di grazia risale al 1987. L’istruttoria è breve: due mesi dopo il tribunale di sorveglianza e la Procura generale di Roma comunicano il parere negativo e la pratica viene chiusa. Agca ci riprova nel 1994, l’esito non è differente. Ma tre anni dopo, esattamente nel novembre 1997, il segretario di Stato del Vaticano "non solleva obiezioni ad un eventuale atto di clemenza". È il primo passo, anche se non definitivo. Le autorità turche chiedono infatti che il provvedimento sia condizionato all’estradizione visto che Agca deve scontare nel suo Paese la condanna per l’uccisione del giornalista.

Nel 2000, durante il Giubileo, c’è la svolta. L’allora ministro della Giustizia Piero Fassino media con la Santa Sede e con il governo di Ankara. Ottiene dal Pontefice una lettera di perdono e poi vola a Londra per trattare con i turchi la consegna del detenuto. Sul giudizio del presidente Ciampi, sino allora apparso poco entusiasta di fronte alla possibilità di liberare Agca, certamente pesa il fatto che il "lupo grigio" continuerà a scontare la sua pena, sia pur nel Paese d’origine. E così decide di firmare la grazia.

"La vita di Alì Agca - dichiara l’ex giudice di Roma Ferdinando Imposimato, adesso legale della famiglia Orlandi - è gravemente in pericolo perché è depositario di molte verità sul complotto ordito contro il Papa e anche sul sequestro di Emanuela, che di quel complotto è stato la continuazione".

 

 

Precedente Home Su Successiva