Rassegna stampa 23 gennaio

 

La dignità dei profughi e le scelte della politica

di Sergio Segio

 

La Repubblica, 23 gennaio 2006

 

Bruno Ferrante (La Repubblica di giovedì scorso) ha ragione: la questione dei rifugiati, che a Milano sta lacerando politica e opinione pubblica, non va considerata come singola emergenza, ma come parte di un fenomeno strutturale che richiede risposte adeguate. Altrettanti fondati motivi ha Ferrante quando sottolinea l’errore e il rischio di trasformare il problema in scontro ideologico o in occasione da utilizzare strumentalmente. Si tratta di un’autorevole e competente sollecitazione a trovare soluzioni in un quadro di responsabilità e responsabilizzazione che non può essere elusa. La stessa solidarietà che Dario Fo ha portato in via Lecco rischia di rimanere fatto encomiabile ma anche sterile, se non contribuisce a produrre soluzioni concrete. Che non sono mai semplici e che appunto comportano la buona volontà di tutti, rifugiati compresi.

Ma la buona volontà non è sostitutiva delle buone politiche e dell’amministrazione pubblica, alla quale tocca principalmente di delineare le risposte adeguate, avendone l’onere istituzionale e anche le materiali possibilità.Quello che le leggi nazionali e internazionali definiscono "diritto d’asilo" non può essere tramutato in "favore d’asilo". Non si tratta dunque di concessioni da elargire o addirittura di privilegi da accordare ma di fornire protezione a vittime di persecuzioni. Né di più, né di meno. Per assolvere a questo dovere legale e morale non basta però fornire una branda, un piatto di minestra e un minimo di cure: occorre rispettare la dignità di queste persone, che in assenza di alternative le autorità locali possono magari alloggiare in inadeguati dormitori ma certo non debbono voler piegare, con logica ritorsiva e punitiva (ma di che, poi, debbono essere punite queste persone? Non lo sono state già abbastanza dalle vicissitudini della vita?), a regole e orari penalizzanti che vigono negli ostelli pubblici per i senza dimora, e che peraltro costituiscono il motivo per cui molti dei senza casa preferiscono dormire per strada, non di rado trovandovi la morte per assideramento. Certo, in alcuni casi le regole e gli orari sono necessari, perché non sempre gli ospiti sono rispettosi e responsabili, ma ricordando sempre che i servizi pubblici (tali sono anche i dormitori) devono appunto servire l’utenza, adeguarsi ai bisogni dei cittadini che vi ricorrono. Non viceversa.

È ben vero che il caso milanese rimanda a questioni più generali e a un sistema che non funziona (e a un centro che scarica oneri e responsabilità sugli enti locali). Ma altrettanto è vero che di fronte al bisogno immediato necessita il pronto soccorso. E per i profughi di via Lecco qualcosa va fatto, con urgenza. Prima di tragedie, prima che si smarrisca il merito del problema: che è quello della vita e della dignità di persone, che non devono essere trattate come postulanti fastidiosi.ICS-Consorzio italiano di solidarietà ha pubblicato il primo Rapporto sul diritto d’asilo in Italia, dal titolo "La protezione negata". Se vi sarà una successiva edizione, la vicenda milanese occuperà molte pagine. Ci permettiamo di consigliarlo ai responsabili degli enti locali: il libro (Feltrinelli) costa solo 9 euro.

Lodi: colloqui vietati, denuncia contro la direzione del carcere

 

Agenzia Lodi, 23 gennaio 2006

 

Una denuncia in questura contro la direzione del carcere di Lodi: l’ha depositata sabato mattina la convivente di un uomo detenuto da due anni in via Cagnola. Giovanna D’Addetta ha 39 anni, vive a Milano. In passato non le è mai stato negato il colloquio con il suo compagno, una volta alla settimana. Ora non può più vederlo: una decisione assunta dalla direttrice Caterina Ciampoli (in servizio a Lodi dall’estate scorsa dopo un periodo burrascoso a Busto Arsizio), che ha stabilito di concedere i colloqui solo ai familiari "in regola". E Giovanna e il suo compagno, a quanto pare, non sarebbero a posto perché non sono sposati. Dal 10 dicembre, quando per la prima volta le è stato proibito l’accesso al carcere, Giovanna ha prodotto tutta la documentazione disponibile, incluso il certificato di residenza che attesta che lei e il suo compagno vivono insieme dal ‘99. Non basta, secondo regole rigide che non si sa chi abbia scritto. Non basta nemmeno a far entrare in carcere il solito cesto di vivande e regali (qualche salame, del vestiario nuovo) che Giovanna consegnava regolarmente al suo compagno per Natale: quest’anno gliel’hanno restituito, intatto. Lei ora non ce la fa più, e ieri ha presentato una denuncia in questura. In lacrime, ci prega di trasmettere un messaggio al suo Giuseppe, se potrà leggere questo ed altri articoli sulle testate che in questi giorni stanno prendendo a cuore la situazione assurda del carcere di Lodi: "Io amo mio marito, non siamo sposati è vero, ma io lo considero mio marito. Fateglielo sapere che non mi fanno entrare, diteglielo che non l’ho abbandonato".

 

Le tensioni con la direzione

 

Ma il divieto di accesso a Giovanna D’Addetta è solo l’ultimo giro di vite imposto dalla direzione. Una norma restrittiva che limita ulteriormente i contatti tra chi sta dentro e chi sta fuori. E il carcere di Lodi sembra aver imboccato la strada dell’isolamento, dopo gli ultimi, clamorosi divieti imposti nei mesi scorsi: ad esempio, la sostanziale chiusura del mensile "Uomini liberi", che veniva scritto e prodotto dai detenuti con l’aiuto di un gruppo di volontari. Niente più giornale, niente più tornei di calcetto, ridotti all’osso i contatti con il mondo esterno, che fino a qualche mese fa prevedevano anche dibattiti in carcere (ospitando ad esempio la tappa lodigiana della Carovana antimafia, a cui è stato negato l’accesso nell’ultima edizione). Ci si chiede come sia possibile, in un isolamento simile, sperare davvero nel reinserimento di un detenuto, una volta scontata la pena, magari inflitta per qualche reato minore.

 

"Sospesi" i volontari

 

Ora le restrizioni riguardano gli stessi volontari: nei giorni scorsi è stato comunicato dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia il provvedimento di sospensione sine die dei permessi per otto volontari che da tempo operavano all’interno della struttura di via Cagnola. Le motivazioni della sospensione del permesso sarebbero da attribuire proprio al clamore suscitato dai recenti interventi dei volontari sulla stampa, per denunciare la difficile situazione all’interno del carcere a seguito dell’arrivo della nuova Direttrice.

Risultato: anche i volontari non colpiti dal provvedimento hanno deciso di auto sospendersi in segno di solidarietà con i "colleghi". "È un provvedimento che ci amareggia molto, ci impedisce una attività che ci sta a cuore – commenta Andrea Ferrari, uno dei fondatori del giornale "Uomini Liberi" e uno dei portavoce dei volontari del carcere -. Speriamo che questa posizione temporanea serva a fare chiarezza e a ristabilire un dialogo produttivo con la direzione della struttura".

 

Un’ispezione da Milano

 

Nel frattempo, è attesa a giorni un’ispezione al carcere di Lodi, da parte del responsabile del dipartimento di Milano dell’amministrazione penitenziaria. Un’ispezione che potrebbe essere stata stimolata, tra l’altro, dall’interrogazione a risposta scritta presentata al ministro della Giustizia Roberto Castelli da due senatori del territorio, il lodigiano Gianni Piatti (DS) e il cremasco Lamberto Grillotti (AN). Nella loro interrogazione, i due parlamentari chiedono se il Ministro non intenda acquisire una maggiore conoscenza della situazione della casa circondariale lodigiana e se non ritenga utile assumere eventuali iniziative che possano contribuire a ristabilire un clima di collaborazione tra il carcere stesso ed il territorio. Collaborazione che a Lodi sembra saltata da mesi. Come era saltata in precedenza a Busto Arsizio, la sede a cui Caterina Ciampoli era stata assegnata come direttrice prima di approdare a Lodi. Se è sacrosanto sperare nel pentimento e nella riabilitazione di un detenuto, una volta scontata la pena, tanto più è lecito sperare che le tensioni già vissute a Busto Arsizio non debbano ripetersi anche a Lodi.

Venezia: ai "domiciliari" senza riscaldamento, torna in carcere

 

Il Gazzettino, 23 gennaio 2006

 

Finisce in cella, come reo confesso, con l’ipotesi d’accusa di rapina a varie tabaccherie. L’avvocato di fiducia Pierluigi Del Col riesce a fargli ottenere i domiciliari, ma l’uomo - con lo sfratto esecutivo e rimasto senza luce e gas per morosità - chiede di tornare in carcere, senza successo. Decide allora di attendere la visita dei carabinieri del Nucleo Radiomobile di Portogruaro, che ogni giorno controllavano che non si allontanasse da casa, per scappare. In realtà si rifugia il pomeriggio ai bar del paese. E così con l’accusa di evasione, per Marino Mion, 47 anni, di Gruaro, ma domiciliato a Summaga di Portogruaro, si sono nuovamente spalancate le porte del carcere di Pordenone. L’uomo, con il fratello Livio, 42 anni, di Azzano Decimo, era balzato ai clamori delle cronache a novembre del 2005 quando venne arrestato dai carabinieri di Azzano Decimo e Pordenone. Nei confronti dei fratelli c’erano prove schiaccianti che li collegavano a quattro rapine messe a segno in tabaccherie e farmacie. Tra settembre e ottobre 2005 i commercianti della Bassa Pordenonese e del Portogruarese avevano vissuto settimane di grande angoscia. Una coppia di malviventi - armati di pistola, taglierino e travisati - avevano rapinato vari esercizi commerciali. In verità erano riusciti a racimolare pochi spiccioli: complessivamente 3-4 mila euro e qualche pacchetto di sigarette. L’inchiesta decollò grazie all’auto usata per le rapine, sempre la stessa, risultata rubata a Portogruaro. Durante un pattugliamento notturno, i carabinieri la intercettarono. A bordo c’erano i fratelli Mion che, bloccati e condotti in caserma, ammisero subito le proprie responsabilità. Emerse poi che avevano preparato i colpi davanti a un boccale di vino al bar, praticamente improvvisando ogni mossa. Non a caso vivevano una situazione di grande disagio sociale.

Belluno: la Cisl contro Castelli, il carcere sta scoppiando

 

Il Gazzettino, 23 gennaio 2006

 

"Le carceri italiane scoppiano. La casa circondariale di Baldenich, a Belluno, non fa eccezione. Ma secondo il ministro Castelli, il disastro delle carceri italiane è solo una fantasia". La Cisl Fps di Belluno ha emanato un duro comunicato per commentare il recente intervento alla Camera del ministro della Giustizia, Castelli. "La situazione di Baldenich - spiega Angelo Costanza, portavoce bellunese della Cisl Fps - va inquadrata nel contesto generale". E fornisce alcuni dati: "Lo scorso mese - ricorda - è stato toccato il record storico italiano di detenuti, sessantamila. E poi vi sono milioni di processi arretrati e una prospettiva di incremento della popolazione detenuta per effetto della legge ex Cirielli pari a non meno di cinquemila detenuti l’anno. Grave è il paragone che il ministro fa tra il numero di addetti della polizia penitenziaria italiana e quelli del sistema americano, oltre a quello europeo. Forse il ministro dimentica che in Italia la Costituzione prevede che il carcere, custodendo, rieduchi il condannato: tale norma obbliga l’amministrazione penitenziaria a organizzare una moltitudine di attività trattamentali che consentono di non segregare, per l’intera durata dell’espiazione della condanna, il detenuto nella sua cella. Forse il ministro dimentica che il personale di polizia penitenziaria garantisce la presenza ogni giorno, nei servizi di traduzione e piantonamento, di non meno di seimila unità".

Droghe: Muccioli sarà l’imprenditore sociale dell’anno

 

Ansa, 23 gennaio 2006

 

Andrea Muccioli, figlio del fondatore di San Patrignano, è l’imprenditore sociale dell’anno per l’Italia, secondo quanto deciso dalla Fondazione Schwab assieme al settimanale Panorama. La proclamazione avverrà a Davos al World economic forum, come anticipa il settimanale nel numero in edicola domani. "Siamo orgogliosi, soprattutto per i ragazzi della comunità, che il nostro progetto educativo e di recupero sia apprezzato a livello mondiale", ha commentato Muccioli.

Droghe: Unione; pronti a una valanga di sub emendamenti

 

Ansa, 23 gennaio 2006

 

Alle 19 di stasera - ha spiegato il senatore dei Verdi Gianpaolo Zancan - scadono i termini per la presentazione degli emendamenti per l’aula al dl sulle Olimpiadi. Boatos parlamentari annunciano che nel decreto, che ha tutti i requisiti della necessità e dell’urgenza perché altrimenti le Olimpiadi non si possono fare, saranno inseriti, in forma di emendamento all’articolo 4, 18 articoli del ddl Fini sulla droga. Se l’ufficio di Presidenza del Senato avesse un sussulto di dignità, direbbe che per le norme sugli stupefacenti non c’è né necessità né urgenza". "Ci rivolgiamo a Pera - ha incalzato Leopoldo Di Girolamo (Ds) - perché non siano violate le regole parlamentari e non si produca un grave vulnus". Per Giuseppe Ayala (Ds), che ha detto di avere "qualche speranza sul ruolo della Presidenza del Senato", quello del governo è "uno spot elettorale" e un "uso strumentale del Parlamento". "Misureremo la fedeltà della Presidenza ai regolamenti" ha concluso, mentre Mario Cavallaro, della Margherita, ha denunciato il "tentativo del ministro Giovanardi di operare un colpo di mano". "Vogliamo lanciare un grido d’allarme preventivo" ha aggiunto il senatore Dl, che ha definito "inadeguati" i principi del ddl Fini e ha preannunciato l’impegno del centrosinistra, per la prossima legislatura, a "costruire un sistema fondato sulla prevenzione e il recupero". C’è già, è stato spiegato, un ddl dell’Unione alternativo alla proposta Fini-Giovanardi.

Alla conferenza stampa hanno partecipato anche operatori del settore ed esponenti del Cartello "Non incarcerate il nostro crescere". Franco Corleone, presidente di Forum droghe, ha annunciato che martedì - giorno in cui presumibilmente dovrebbe andare in aula il dl - prenderà il via un presidio davanti al Senato e decine di persone cominceranno uno sciopero della fame per protesta. Quello promosso da Giovanardi, ha detto l’ex sottosegretario, è uno "stralcio raffazzonato", con "norme esilaranti dal punto di vista del diritto". "Norme confuse" ha aggiunto, "e anche la quantità che definisce lo spaccio non è definita e viene demandata a un decreto del Ministero della salute, che quindi deciderà chi deve andare in galera e chi no". Francesco Piobbichi, responsabile nazionale droga del Prc, ha definito il ddl Fini "la più cattiva tra le leggi messe in opera dal governo", mentre Lucio Babolin, del Cnca (coordinamento comunità di accoglienza) e Maurizio Coletti di Itaca (operatori delle tossicodipendenze) hanno accusato Giovanardi di aver "mentito" dando agli operatori garanzie di dialogo e di confronto che poi "non sono state rispettate". Ferma contrarietà al ddl anche da Giuseppe Bortone della Cgil e Silvia Stefanovic della Cisl.

Droghe: denuncia operatori; 5 milioni dati a comunità inesistenti

 

Ansa, 23 gennaio 2006

 

La Finanziaria 2006, approvata dal Parlamento a dicembre, contiene un comma che istituisce un "Fondo nazionale per le comunità giovanili" per "favorire le attività dei giovani in materia di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno delle tossicodipendenze e dota il fondo di 5 milioni di euro per il 2006, destinati per il 95% a "comunità giovanili". Lo rendono noto operatori del settore delle tossicodipendenze e sindacati, che denunciano un "tentativo di fare un regalo a qualcuno". "Di fronte a un taglio di 1 miliardo di euro del Fondo per le politiche sociali - ha detto Silvia Stefanovic della Cisl, nel corso di una conferenza stampa al Senato - si inventano comunità inesistenti".

"Non esistono comunità giovanili - ha fatto eco Maurizio Coletti di Itaca - è chiaro che i 5 milioni sono un regalo a qualcuno". E di "regalo a non si sa chi" parla anche Franco Corleone, ex sottosegretario alla giustizia e presidente di "Forum droghe". Il provvedimento, che istituisce anche un "Osservatorio per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze" presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, rinvia l’individuazione delle "comunità giovanili" a cui destinare i fondi a un decreto del Presidente del Consiglio, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della Finanziaria. Con il decreto, "di natura non regolamentare", vengono anche determinati i criteri per l’accesso al fondo e le modalità di presentazione delle istanze.

Immigrazione: Fanelli (Legacoop); noi non possiamo gestire i Cpt

 

Il Manifesto, 23 gennaio 2006

 

Caterina Fanelli è presidente di Legacoop, "costituita - dice, raggiunta telefonicamente sul treno Firenze-Roma - per dare più forza di tipo politico alla cooperazione sociale e alla Legacoop, e per questo l’atteggiamento della cooperativa Minerva di Sagrado, aderente alla Legacoop del Friuli Venezia Giulia, che ha vinto l’appalto per la gestione del cpt di Gradisca, mi sembra ancora più incoerente e in netta contraddizione con quella che è la missione politica e sociale della Legacoop, tutta volta all’accoglienza, all’integrazione, ai contenuti etici delle nostre politiche".

Sta di fatto che Gigi Bettoli, presidente di Legacoop del Friuli Venezia Giulia, dopo aver ribadito che tutte le cooperative della regione avevano assunto già in ottobre una netta posizione contro il cpt di Gradisca e avevano escluso una loro partecipazione alle gare d’appalto, abbia poi denunciato che vi hanno partecipato, oltre alla Minerva, realtà appartenenti a tutte e tre le confederazioni cooperative (Legacoop, Confcooperative e Agci).

Bene ha fatto Bettoli a denunciare il fatto e a far vedere che la nostra politica è esattamente l’opposto di quella della Minerva, anche perché a livello nazionale nessuna delle nostre coop sociali ha partecipato a simili gare.

 

Ci saranno dei provvedimenti contro la Minerva?

Provvedimenti interni sicuramente no, anche perché la realtà della cooperativa appare poco significativa. Ribadisco che in altri territori questo non è mai avvenuto. Bisogna capire che noi, come coop sociali, non siamo dei semplici "gestori", abbiamo una responsabilità sociale che abbiamo già dimostrato in molte lotte degli anni scorsi, come quella contro i manicomi o come quella della proposta alla cooperazione sociale di gestire i servizi delle carceri.

 

La cooperazione sociale come supporto delle istituzioni…

Il nostro rifiuto di partecipare a operazioni di istituzionalizzazione coatta, come nuovi manicomi o carceri, è coerente con la nostra missione sociale. Mai infatti potremmo occuparci di cpt, che sono veri e propri luoghi di detenzione per immigrati. Noi vorremmo discutere di politiche di accoglienza ben diverse, fuori dalla legge Bossi-Fini, basata sull’emergenzialità e sull’ordine pubblico. E contro la quale abbiamo subito ribadito il nostro "no" secco, senza se e senza ma.

 

Quindi come vi muovete?

A noi interessa, in questo settore, stare in progetti di integrazione e inserimento degli immigrati: Partecipiamo già a progetti nazionali per l’accoglienza che porti a vere politiche di inserimento in tutti gli ambiti sociali. Come situare allora una vicenda come quella della Minerva è una contraddizione in termini con le nostre scelte politiche e ideali. Una coop sociale non gestisce certo il contenimento coatto degli immigrati o l’ordine pubblico nelle galere e nei cpt.

 

La Minerva può insegnare qualcosa?

Sicuramente a non farci dimenticare i principi di responsabilità e coerenza da cui sono nate le coop sociali, e potrebbe costituire anche un motivo per fare il punto su tutto il mondo della cooperazione sociale in Italia. Chiediamo a tutti quella coerenza che noi abbiamo sempre avuto, che nasce dalla legge 381 e che è sempre stata anche di Legacoop. Non ci sono altre vie che quelle della dell’etica sociale e della responsabilità. Noi agiamo in base ai principi da cui siamo sorti e ci distinguiamo profondamente da qualsiasi gestore cooperativo privato e speculativo che vede il sociale solo come mercato e profitto. Ecco, questo è un tema che merita di essere dibattuto ampliandolo a tutto il mondo della cooperazione.

 

 

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