Rassegna stampa 24 gennaio

 

Giustizia: varata la legge che riforma la legittima difesa

 

Corriere della Sera, 24 febbraio 2006

 

D’ora in avanti se il ladro entra in casa si potrà sparargli senza correre il rischio di finire in carcere, neanche se si uccide il malvivente. La Camera ha infatti approvato la legge sulla legittima difesa, che prevede la possibilità per i cittadini di usare le armi in casa per difendere se stessi o i propri beni. Il provvedimento fortemente sostenuto dalla Lega è passato con 244 voti a favore e 175 no.

La riforma varata dal Parlamento, infatti, autorizza l’uso di armi per difendere la vita e la "borsa". Nell’ipotesi di violazione di domicilio, in altri termini, non sarà più punibile (in quanto il rapporto di proporzione tra difesa e offesa è ora presunto ex lege) chi spara contro il malvivente o lo colpisce con un coltello per difendere la propria o altrui incolumità. E non sarà più punibile nemmeno se gli spara per difendere i (propri o altrui) beni, a due condizioni però: che vi sia pericolo d’aggressione e che non vi sia desistenza da parte dell’intruso. Ossia che di fronte all’intimazione del proprietario di casa, ad esempio, invece di scappare reagisca minaccioso. Le nuove norme sulla legittima difesa valgono non solo all’interno delle abitazioni privata, ma anche nei negozi e in ogni luogo dove sia svolta attività commerciale e imprenditoriale.

Giustizia: Italia-Far West, sparare ai ladri non più reato

 

Liberazione, 24 febbraio 2006

 

Far West all’italiana, in discussione ieri alla Camera dei deputati. Risultato del retroterra prepolitico che sottende al concetto di "legittima difesa", per così dire. Di fatto si tratta di un altro colpo alla convivenza civile - quello dell’autodifesa "fai da te" - che la destra porta avanti; "illegittimo" nel principio, nella forma e nella sostanza in uno stato di diritto. Ma tale l’Italia non è - si avvia a non essere più - a mano a mano che gli ultimi colpi di coda del governo Berlusconi vanno a segno.

Nonostante la richiesta di Giuliano Pisapia, avvocato di punta e deputato di Rifondazione comunista, che l’Assemblea di Montecitorio accolga la pregiudiziale di costituzionalità sulla proposta di legge che vuole snaturare e dilatare l’articolo 52 del Codice penale, una maggioranza ottusa e incarognita la respinge e va avanti per la sua strada melmosa, tesa a rendere "impunibile" ogni cittadino che usi strumenti personali (armi o altri mezzi idonei, recita la proposta, tanto per non rimanere nel vago) con l’ausilio di una legge "più comprensiva" con le presunte vittime di potenziali aggressioni, sulla scorta di codici di giustizia privata made in Usa, per garantirsi da sé una condizione di sicurezza che lo Stato non sarebbe in grado di assicurare, in contraddizione grave con gli spot del presidente del Consiglio sull’aumentata sicurezza nel Paese e nelle città in forza dell’avvento dei poliziotti di quartiere.

Prima e al di là della pregiudiziale avanzata dal Prc, firmata anche da molti esponenti dell’Unione, Pisapia ha anche ricordato ai deputati presenti, in un lunedì a scartamento ridotto per il freddo polare e le incertezze nel trasporto aereo, che "siamo pienamente convinti che lo Stato, con gli strumenti di prevenzione e di repressione previsti dal nostro ordinamento, abbia il dovere giuridico, politico e morale di difendere chiunque subisca un’aggressione ed ovunque la subisca, e che, tra aggredito e aggressore, siamo dalla parte dell’aggredito, così come tra perseguitato e persecutore, siamo, saremo, e sempre siamo stati, dalla parte del perseguitato".

"Pertanto - insiste Giuliano Pisapia - non possiamo accettare accuse strumentali secondo cui noi non saremmo dalla parte delle vittime. Si tratta di accuse strumentali e false, come dimostrano le nostre battaglie parlamentari e il nostro impegno sociale a favore dei soggetti più deboli".

Il problema vero, secondo il parlamentare del Prc, è che l’attuale norma sulla legittima difesa, quella già in vigore e che si vuole modificare con questo provvedimento, è "equa ed equilibrata, e la sua formulazione è una perfetta sintesi - come riconoscono tutti i giuristi e i più autorevoli docenti di diritto penale - tra i limiti della legittima difesa e la possibilità che ha ogni cittadino di difendersi quando, per i motivi più diversi, lo Stato non è presente e non ha la possibilità concreta di adempiere al proprio dovere di tutelare la vita e l’incolumità personale".

La maggioranza non vede, non sente, e purtroppo parla. Sulla questione intende forzare la legge, come ha già fatto tante altre volte, in risposta alle sollecitazioni di padroncini, gioiellieri, tabaccai, commercianti, privati abbienti, per rispondere con il metodo della "giustizia a fisarmonica", alla constatazione, secondo il relatore della proposta del centrodestra Guido Giuseppe Rossi, che "a una serie di fatti di cronaca, riguardanti violente aggressioni in abitazioni private o in pubblici esercizi a scopo di furto, è corrisposta, alla prova dei fatti, una lacunosa applicazione della scriminante" (della legittima difesa, ndr). Secondo il relatore "la magistratura interpreta sempre più spesso l’articolo 52 del Codice penale in maniera "tanto rigorosa" da arrivare a una sostanziale inapplicabilità della esimente da essa prevista".

Ma cosa dice il testo della proposta già approvata al Senato? Dice che nei casi di violazione del domicilio "sussiste il rapporto di proporzione se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi indicati dall’articolo 614 del Codice penale usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o altrui incolumità o i beni propri o altrui, quando... vi è pericolo di aggressione fisica. considerato che le stesse esigenze che hanno portato ad ampliare i casi di legittima difesa nell’ipotesi di violazione di domicilio ricorrono anche quando l’aggressione avviene all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale".

Colpiscono da un lato quel "pericolo di aggressione fisica", per la labilità con cui ciascuno può interpretare i segnali di pericolo, e dall’altro quel "beni propri o altrui", da difendere con l’uso delle armi o "altro mezzo idoneo", ancorché "legittimamente detenuto", non solo presso l’abitazione privata ma anche in "esercizi commerciali, professionali e imprenditoriali".

È il via libera, tra l’altro, all’acquisto a man salva di armi da parte di qualsiasi bottegaio, professionista, sciur brambilla che a torto o a ragione si senta minacciato? E la cosiddetta "legittima difesa" riguarda non più e non solo la difesa della vita e incolumità propria o dei propri famigliari ma "la roba"?

Nessuna risposta dalla destra, né cedimento alle pressioni forcaiole della Lega, per bocca di Carolina Lussana, e all’interstardimento del forzista Antonio Leone che piglia fischi per fiaschi e cerca di gabbare la difesa della "roba" per i "diritti inviolabili dell’uomo".

Respinta la pregiudiziale di Rifondazione ed anche la richiesta di Giovanni Russo Spena di sospendere la discussione del provvedimento, richiamando l’attenzione dell’Aula su una questione dirimente: che l’automatismo tra dimensione della presunta offesa e la reazione di difesa, come nel celeberrimo film di Michel Moore "Bowling A Columbine", possa essere deciso in totale arbitrio dall’aggredito e non più sottoposto alla valutazione del magistrato, che dovrebbe così non più entrare nel merito ma limitarsi ad attestare tale "legittima difesa".

La discussione continuerà oggi, ma il clima sordo e cupo e i toni di scontro al di là di "ogni ragionevole dubbio" con cui il centrodestra rivendica il diritto dei "cittadini onesti" di farsi giustizia da sé fa venire la pelle d’oca.

Minori: Omar; chi dovrebbe aiutarmi, mi condanna

 

Secolo XIX, 24 febbraio 2006

 

Sono parole scritte a mano su un foglio di carta, come quelle di Omar all’amico prete che si rivolge con la prospettiva di una lungo periodo di reclusione e la consapevolezza di aver bruciato la gioventù nel giorno del delitto orribile di Novi Ligure. Oppure le confidenze raccontate da chi ha provato il carcere per i minori e ne è già uscito, affidato ai percorsi di reinserimento e rinascita dei servizi convenzionati con il Tribunale. Eccoli, i messaggi in bottiglia che escono dal mondo delle carceri minorili nel giorno del convegno a Palazzo Tursi. Per trasmettere un quadro più completo e vero della realtà degli istituti di pena per i minorenni. "Per me è un periodo molto duro - scrive Omar - ho molta voglia di parlare e confidarmi. Con il dottor (...) ci riesco benissimo, ma lui è veramente l’unico. Anche se ci sono diverse persone che mi seguono, mi sento abbandonato. E ciò che più mi pesa è il sentirmi condannato proprio da chi dovrebbe aiutarmi nel mio reinserimento".

Il carcere per i minori non è la realtà estrema della prigione degli adulti, però è privazione di libertà e, per chi lo vive, una esperienza lacerante. Tanto che il procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Genova, Ettore Siniscalchi, premette: "Nel nostro lavoro, il processo rieducativo è essenziale: già vent’anni fa, le cosiddette "regole di Pechino" fissate dall’Onu hanno posto l’attenzione sul rischio che comporta il contatto con la giustizia penale per un minorenne, indicando la necessità della rapida uscita del minore dal processo".

Chi entra in cella da sbandato, rischia di uscirne da criminale: il rischio è reale e ben conosciuto. "C’era un ragazzino slavo, era stato recluso per un breve periodo al Ferrante Aporti di Torino - racconta Luciano Marcello, responsabile dell’Uisp (Unione italiana sport per tutti) per due progetti educativi rivolti al mondo del carcere - e all’arrivo tra noi per un periodo di "messa in prova" stabilito dal Tribunale, era quasi strafottente: io sono stato in cella, diceva. Per significare: sono davvero un uomo". Quasi che il carcere fosse un passaggio essenziale per diventare adulto, nel mondo dove era cresciuto.

"Però è stato sufficiente conoscerci, conquistare la sua fiducia - riprende l’operatore - e dopo qualche tempo si è sciolto". Confidenze scambiate in un parco, ripulendo gli spazi verdi da immondizia e erbacce, sotto il sole. "La cosa più difficile, per lui, era stata accettare la solitudine all’interno della cella". L’altra faccia del problema è l’impiego, da parte di organizzazioni criminali senza scrupoli, dei minorenni sotto i quattordici anni, per la legge non imputabili. Usati come "cavalli" per lo spaccio, capaci di sfuggire ai controlli e comunque, se presi in fallo, destinati a fare rientro a casa nel giro di poche ore.

Bambini che, appena più grandi, vengono immancabilmente catturati dalla rete della giustizia e percorrono la lunga trafila che li porta, quasi immancabilmente, fino al carcere degli adulti. Se qualcosa non spezza la catena di degrado.

Roma: clochard picchia a sangue i suoi cani, arrestato

 

Agi, 24 febbraio 2006

 

Li teneva al guinzaglio con una corda mentre li prendeva ripetutamente a calci. Questo il trattamento riservato da un romano di 25 anni ad una coppia di cani nella centralissima via dei Pontefici. L’uomo si serviva dei due animali per chiedere l’elemosina; secondo quanto acquisito dai testimoni, all’improvviso ha iniziato a picchiarli selvaggiamente senza apparente motivo. I carabinieri sono stati attivati da una telefonata fatta da un passante al 112: il pronto intervento di una pattuglia del nucleo radiomobile ha permesso di interrompere il maltrattamento e di evitare alle bestie conseguenze più gravi. Il clochard, tra l’altro, era ricercato per espiare una condanna per maltrattamenti in famiglia e non ancora scontata: per cui, oltre a denunciarlo per maltrattamento di animali, i carabinieri gli hanno messo le manette ai polsi e lo hanno accompagnato in carcere. I due cani sono stati portati dal veterinario.

Casal del Marmo: i primi diplomati del corso di computer

 

Ansa, 24 febbraio 2006

 

Il corso, partito lo scorso novembre, è durato tre mesi. Il garante Marroni: "È stata una occasione positiva per tentare di dare un futuro a questi ragazzi e a insegnare loro che si può avere un avvenire anche comportandosi onestamente". Lunedì, intanto, è partito il secondo corso, riservato a cinque ragazze. Si chiamano Saad (dal Marocco), Mauro (dalla ex Jugoslavia), Marco (un italiano nomade sinto) e Andrei (un rumeno), hanno fra i 16 e i 17 anni e sono i ragazzi dell’istituto Penale Minorile di Casal del Marmo ad aver completato il primo corso di computer patrocinato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni.

A consentire la realizzazione del corso è stata la donazione, da parte della cooperativa sociale Pantacoop di Mauro Pellegrini, di 5 computer compresi di stampanti a Casal del Marmo. E dopo il completamento del primo corso, lunedì scorso è partito il secondo corso, riservato a cinque ragazze.

Il corso, iniziato lo scorso novembre, è durato complessivamente 70 ore, con lezioni di tre ore al giorni il lunedì, martedì, mercoledì e venerdì. I ragazzi che hanno partecipato alla prima edizione del corso sono stati scelti in base al loro livello di istruzione. Le lezioni sono state strutturate su moduli di breve durata per consentire - considerato anche l’elevato turn-over di Casal del Marmo - una partecipazione maggiore. Sotto la guida del tutor Simone Vagnarelli, i ragazzi hanno appreso, con l’ausilio di dispense e altro materiale cartaceo, le nozioni di base del sistema operativo Windows e, in particolare delle applicazioni legate al pacchetto Office e di quelle maggiormente utilizzate nel mondo del lavoro (Word, Excel, Win Zip, Acrobat WordPad).

Il corso è stato concluso da un esame finale e, questa mattina, dal rilascio di un attestato di partecipazione nel corso di una breve cerimonia cui hanno preso parte il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni, il presidente di Pantacoop Mauro Pellegrini e la direzione dell’Istituto di Casal del Marmo. "Su Casal del Marmo stiamo investendo energie umane e materiali - ha detto Angiolo Marroni - Abbiamo donato degli arredi scolastici e poi promosso questo corso perché siamo convinti della bontà di sostenere i ragazzi di Casal del Marmo. Questo corso, in particolare, ha una valenza per noi fondamentale: quella di dare ai ragazzi uno strumento per potersi affacciare al mondo del lavoro. Puntiamo a far capire a tutti che l’istruzione è un diritto primario soprattutto per giovani rinchiusi in una struttura carceraria. Oggi ho detto ai ragazzi che spero comprendano che gli stiamo dando una opportunità: con il lavoro e l’onestà si può costruire un futuro".

Como: un progetto ha tolto dalla strada 124 senza tetto

 

Corriere di Como, 24 febbraio 2006

 

Ospiti fissi e presenze temporanee, legate a situazioni di emergenza. Complessivamente, ben 124 persone che in un anno sono state letteralmente tolte dalla strada grazie al cosiddetto Drop-In di viale Innocenzo, un progetto promosso dalla Lila (Lega Italiana per la Lotta all’Aids) in collaborazione con i Servizi sociali del Comune di Como e la comunità Il Gabbiano.

Tra gli utenti, non soltanto tossicodipendenti o individui con problemi di etilismo, ma anche persone senza fissa dimora, ex detenuti o emarginati. "Si sono rivolte a noi persone dai 27 ai 55 anni, in prevalenza maschi italiani, in costante aumento - spiega il presidente della Lila, Bruno Vegro - I nostri operatori hanno verificato che esiste una realtà sommersa, in gran parte sconosciuta, composta da individui adulti che per svariati motivi hanno perso la speranza di un reinserimento nella società".

Una realtà che il Drop-In vuole rovesciare. "Il contatto con operatori e volontari - sottolinea Vegro - offre ai frequentatori del centro l’opportunità di entrare in una rete che, dai Servizi sociali comunali alle comunità, fino a imprese e attività sul territorio, è in grado di offrire una concreta via d’uscita dal tunnel della droga, della povertà o dell’emarginazione. Abbiamo verificato che la maggior parte degli utenti che ha una seconda possibilità ottiene una casa e un lavoro, riesce a risollevarsi dalla propria condizione e a riconquistarsi un ruolo nella società".

Tra gli ospiti, 45 sono permanenti e restano per lunghi periodi nel centro di viale Innocenzo. Nell’ultimo anno, poi, si sono alternati 79 ospiti cosiddetti temporanei, rimasti nella struttura per brevi periodi per situazioni di emergenza. Tra questi, l’87% proveniva direttamente dalla strada. E proprio in questa categoria si registra una presenza maggiore di donne, esattamente il 13%, originarie soprattutto di Moldavia, Ucraina e Romania. La collaborazione tra associazionismo e Comune sul fronte prevenzione e lotta alla droga dura ormai dal 1996, con l’avvio dell’unità mobile contro la droga. "Abbiamo intenzione, malgrado i tagli di bilancio pesino sulla nostra attività - assicura il vicesindaco e assessore ai Servizi sociali, Paolo Mascetti - di proseguire in questa collaborazione. Sia per avere una città più ordinata, sia perché è giusto dare a queste persone l’opportunità di rientrare nella società. Tramite gli operatori è più facile entrare in contatto con questi individui in difficoltà e questo ha effetti benefici per l’intera comunità". "Chiediamo al Comune e agli enti pubblici un impegno per continuare a finanziare questi interventi - conclude Vegro - Si tratta di interventi magari poco visibili e nell’ombra, ma i benefici sono molteplici e si ripercuotono sul territorio e sui cittadini".

Pedofilia: Associazione Meter soddisfatta per la nuova legge

 

Help Consumatori, 24 febbraio 2006

 

Don Fortunato Di Noto, presidente dell’ Associazione Meter (Onlus impegnata contro la pedofilia e lo sfruttamento sessuale dei bambini)e membro scientifico di Ciclope, Coordinamento interministeriale per la lotta alla pedofilia, oltre che promotore dell’iter di legge che ha visto ieri sera l’approvazione in sede deliberante della commissione giustizia della Camera, dichiara "Grande soddisfazione per la nuova legge contro la pedofilia, una legge che migliora la precedente, e offre buoni strumenti per contrastare con forza e determinazione un fenomeno transnazionale, complesso, deprecabile e vergognoso quale è la pedofilia e lo sfruttamento sessuale dei bambini ".

L’Associazione Meter, che ha seguito tutto l’iter della legge, è impegnata da più di 15 anni nel contrasto alla pedofilia. Un fenomeno che appare sempre più preoccupante, come attesta il Rapporto 2005 dell’Associazione, dal quale emerge un "aumento di pedofili a viso aperto che abusano di bambini e anche di donne; aumento dell’infantofilia, in gergo bambini con il pannolino, che significa la preferenza di bambini di tenerissima età (da pochi giorni a 2 anni); aumento di bambini seviziati (in alcuni casi rapporti necrofili); violenze a bambini disabili; aumento dei blog come canali di promozione e contatti pedofili". "Un fenomeno - ha aggiunto don Di Noto - evidente e che richiede la partecipazione di tutti per diffondere la cultura del rispetto e della tutela dei bambini. La pedofilia e la pedopornografia hanno avuto un aumento esponenziale, nell’anno 2005, e ciò richiede una nuova e rinnovata strategia di prevenzione e di contrasto.La impunibilità favorisce la normalizzazione". Nel corso del 2005 l’associazione Meter ha effettuato 9.044 segnalazioni di siti pedofili e pedopornografici. Dal protocollo di intesa con la polizia postale e delle comunicazioni, nel dettaglio sono 3.672 i siti formalmente denunciati al compartimento della polizia postale e delle comunicazioni di Catania, di cui 21 con riferimenti italiani.

Droghe: maggioranza tenta di approvare lo stralcio al ddl Fini

 

Redattore Sociale, 24 gennaio 2006

 

Lo stralcio Giovanardi al ddl Fini sulle droghe dovrebbe essere discusso (e forse approvato) oggi pomeriggio al Senato, ma l'Unione annuncia la presentazione di emendamenti e la richiesta di verificare il numero legale dei votanti, quindi l'approvazione con la "fiducia" potrebbe slittare a domani o dopodomani. Critico il cartello di associazioni "Non incarcerate il nostro crescere", che da questa mattina alle 12, fino alle 15, ha manifestato davanti al Senato con un sit-in. "Siamo stati contrari fin dall'inizio al ddl, poi ai contenuti dello stralcio, e ora questo iter parlamentare impedisce ogni confronto con la società civile e che viene usate strumentalmente per fini elettorali, non essendoci caratteristiche per un’approvazione urgente", afferma Lucio Babolin, presidente del Cnca, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, auspicando che lo stralcio non giunga alla Camera per essere approvato; ma i tempi ci sarebbero, se slittasse la fine della legislatura di una settimana, come richiesto dal presidente del Consiglio Berlusconi.

"Dopo la Cirielli il disegno di legge Fini-Giovanardi sulle droghe costituisce l’ennesimo attacco al nostro sistema penale e penitenziario – ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone -. Gli aumenti di pena previsti per consumo e spaccio di stupefacenti, nonché l’equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti, rischia di mandare in galera per lunghi anni giovani e ragazzi che non hanno mai avuto esperienze devianti nella loro vita". Secondo Gonnella, "questa è una legge contro le famiglie e contro il buon senso. Per questo oggi protestiamo davanti al Senato insieme alle altre associazioni che si occupano di droghe, nella speranza che la legislatura non finisca producendo come ultimo atto questo ennesimo provvedimento (che fa il pari con quello della legittima difesa) liberticida e repressivo".

Il cartello "Non incarcerate il nostro crescere" – che riunisce oltre 40 organizzazioni nazionali dei servizi pubblici e del privato sociale, dei sindacati, dell’associazionismo, degli operatori della giustizia – continuerà la sua mobilitazione nei prossimi giorni con altre iniziative di presidi (in vista di una mobilitazione permanente) per contrastare l'esecutivo e la maggioranza parlamentare e di autodenuncia: alcuni membri del Cartello, infatti, pensano all’ipotesi di autodenunciarsi, facendosi trovare con qualche grammo di droga addosso. "La legge colpevolizza i tossicodipendenti, che hanno paura di essere schedati; così si allontanano dai servizi sia i vecchi utenti eroinomani, sia i nuovi poliassuntori e i cocainomani, nuovi consumatori di sostanze che vengono contattati per strada ma poi ci chiedono di incontrarli nelle loro case", ha riferito Germana Cesarano, psicologa, presidente della cooperativa Magliana 80, condannando anche alcuni interventi delle Forze dell’Ordine "su ragazzi trovati con pochi grammi di hascisc addosso: un problema comportamentale diventa un problema penale".

Droghe: sit-in di protesta contro il ddl Fini-Giovanardi

 

Redattore Sociale, 24 febbraio 2006

 

Prosegue la protesta delle associazioni e delle forze politiche d’opposizione contro la decisione di votare in Parlamento, all’interno del decreto sulle Olimpiadi invernali, il disegno di legge Fini-Giovanardi sulla tossicodipendenza. Domani il cartello "Non incarcerate il nostro crescere" che riunisce oltre quaranta organizzazioni nazionali dei servizi pubblici e del privato sociale, dei sindacati, dell’associazionismo, degli operatori della giustizia ha organizzato a Roma, alle ore 12 una conferenza stampa per esporre le ragione del proprio no al ddl ed un sit-in di protesta davanti al Senato. "Riteniamo un fatto di enorme gravità l’idea del governo di inserire il cosiddetto stralcio Fini-Giovanardi sulle droghe all’interno del decreto legge che dovrà essere approvato in merito alle olimpiadi invernali. – sottolineano i Giovani Comunisti.

I principi sanciti dal ddl Fini in materia di droghe hanno incontrato la ferma opposizione della maggioranza delle realtà che da sempre lavorano su un tema difficile come la dipendenza da sostanze. Il ddl è in particolare portatore dell’idea criminale e scellerata per cui la dipendenza è una colpa da punire, sempre e comunque, con la pena carceraria o con la costrizione in comunità fondate sull’autoritarismo. In materia di informazione, prevenzione e riduzione del danno, questo provvedimento sarebbe poi quanto mai dannoso, dato l’assurdo principio che tende ad equiparare tutte le sostanze ed i loro consumatori, dall’eroina alla cannabis". Non solo nei contenuti la critica del Giovani Comunisti che giudicano "scellerata l’intenzione di portare avanti un provvedimento così importante con lo strumento del decreto legge con il ridicolo escamotage di inserirlo, quasi a volerlo mascherare, in un altro provvedimento che dal parlamento deve essere necessariamente votato". I Giovani Comunisti parteciperanno al presidio di protesta.

"Faccio appello a tutte le forze dell’Unione ed ai sindacati affinché partecipino al presidio indetto domani davanti al Senato dai cartelli e dai movimenti contro il giro di vite repressivo sulle droghe. - ha detto Russo Spena (Prc) - Un governo in crisi di consenso nel paese tenta in questi giorni di portare avanti un’ulteriore stretta autoritaria verso i soggetti sociali deboli, al di fuori dei principi costituzionali. An e Lega, dopo aver legalizzato i reati delle classi dominanti, oggi fanno a gara per portare lo scettro della zero tolleranza contro i più deboli, "mascherando" i fenomeni sociali in questioni di ordine pubblico. L’Unione deve sviluppare nel paese una mobilitazione massiccia per respingere la filosofia delle politiche penali che promuove il governo Berlusconi, producendo già a partire dal programma un’inversione di tendenza significativa per quanto riguarda il fenomeno delle droghe". "Dopo aver bocciato l’amnistia e l’indulto, il Centrodestra si appresta a votare in Parlamento, addirittura confondendolo all’interno del decreto sulle Olimpiadi invernali, la legge Fini-Giovanardi secondo la quale anche i consumatori di qualunque sostanza e i tossicodipendenti verranno criminalizzati e condannati come spacciatori con pene dai sei a venti anni di reclusione - commenta Gianluca Borghi, Consigliere Verdi per la Pace della Regione Emilia-Romagna - La proposta del Ministro Giovanardi pone le sue radici su di un articolato dal quale trapela distintamente il disprezzo per coloro che vivono i problemi delle dipendenze patologiche e per i giovani e i loro stili di vita, confermato anche dalla penalizzazione della cannabis che viene equiparata nella repressione all’eroina e alla cocaina. Uniche alternative previste al carcere saranno, se passa lo stralcio, le comunità autoritarie e di pseudo-recupero". "Con questa legge si vuole distruggere il sistema integrato dei servizi pubblici e del privato-sociale e ogni politica, anche timida, di riduzione del danno, rimandando sulla strada le persone in trattamento e inserite nella società attraverso il lavoro o lo studio, spezzando positive relazioni di inserimento. – ha concluso - Per questo ho aderito all’appello del cartello "Non incarcerate il nostro crescere" e sostengo le azioni politiche di contrasto all’autoritarismo di Giovanardi e Fini".

I colloqui visivi dei detenuti

di Luigi Morsello, Ispettore Generale dell’Amm.ne Penitenziaria

 

Agenda Lodi, 24 gennaio 2006

 

Scrivo congiuntamente al Cittadino e ad Agenda Lodi avendo letto ieri la notizia della denuncia (abuso d’ufficio per motivi non patrimoniali) presentata da una persona convivente con un detenuto.Conosco entrambi i soggetti. Com’è noto io sono quel direttore che "fino a pochi mesi fa" autorizzava i colloqui fra le due persone in questione ed oggi mi trovo nella scomoda posizione (siccome ho preso alloggio e residenza in Lodi) di passare presso l’opinione pubblica come un, nel migliore dei casi, "incompetente". "Il troppo stroppia" recita un antico adagio. Allora desidero chiarire qual è il regime dei colloqui visivi, in diritto ed in giurisprudenza.

Le norme di riferimento sono le seguenti:

1) art. 18 legge 26 luglio 1975 n. 354, contenente "Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà";

2) art. 37 d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, contenente il "Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure restrittive e limitative della libertà".

Dell’art. 18 cit. giova riportare solo i commi specifici relativi all’argomento:

- comma 1: "I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e o n altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici.";

- comma 3: "Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari.

- ultimo comma,seconda alinea: "Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell’istituto."

Quindi, la legge ha stabilito che dopo la pronuncia della sentenza di I° grado la competenza a concedere colloqui visivi (e non solo) demandata al direttore del carcere, al quale tale competenza è sottratta solo nella nelle fasi del giudizio di I° grado ed antecedenti.

Si tratta di una modifica successiva al regime dei colloqui, intesa da una parte a snellire l’attività della magistratura inquirente e giudicante, dall’altra ad individuare nel direttore del carcere l’organo proprio per velocizzare ed approfondire la concessione dei colloqui.

Naturalmente il legislatore è favorevole ad incrementare i rapporti dei detenuto con i familiari e con "altre persone".

Va conosciuta la filosofia che governa l’intero impianto della legge e del regolamento di esecuzione della medesima, filosofia contenuta nell’art. 1 (Trattamento e rieducazione) che giova riprodurre integralmente:

"Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto delle dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla condanna definitiva. Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.

La sottolineatura di alcune parole ed espressioni con il grassetto sono di chi scrive ed hanno lo scopo di evidenziare quali sono i principi fondanti della legge penitenziaria, che desidero ribadire:

a) l’umanità e la dignità della persona;

b) l’imparzialità del trattamento, con riguardo, fra l’altro, ad "opinioni politiche" e "credenze religiose";

c) l’attuazione, nei confronti dei condannati e degli internati di un trattamento rieducativo, che si avvale anche dei "contatti con l’ambiente esterno".

d) anche gli imputati hanno diritto ad un "trattamento", che tenga però conto della presunzione di innocenza.

Ebbene, si valuti come l’art. 1, comma 1 e 2 del Regolamento di Esecuzione interpretatali principi:

"1. Il trattamento degli imputati sottoposti a misure privative della libertà consiste nell’offerta di interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e professionali.

2. Il trattamento rieducativo dei condannati e degli internati è diretto, inoltre, a promuovere un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo a una costruttiva partecipazione sociale."

Ancora una volta l’uso del grassetto è di chi scrive.

Ma vediamo come il R.E. interpreta la legge, all’art. 37, commi 1-8-9-13:

"1. I colloqui dei condannati, degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado sono autorizzati dal direttore dell’istituto. I colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando ricorrono ragionevoli motivi.

7. Per i detenuti e gli internati infermi i colloqui possono avere luogo nell’infermeria.

9. Ai soggetti gravemente infermi, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a dieci anni ovvero quando ricorrano particolari circostanze, possono essere concessi colloqui anche fuori dei limiti stabiliti nel comma 8. I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell’art. 4 bis della legge e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui non può essere superiore a quattro al mese.

13. Nei confronti dei detenuti che svolgono attività lavorativa articolata su tutti i giorni feriali, è favorito lo svolgimento dei colloqui nei giorni festivi, ove possibile."

La sequenza delle norme regolamentari fa capire come il legislatore delegato abbia dovuto rispettare lo spirito della legge penitenziaria, per la quale:

possono essere autorizzati colloquio con persone diverse dai familiari e congiunti e conviventi;

il che pone le persone congiunte e conviventi in una posizione di particolare favore, che però non penalizza gli estranei i quali possono essere ammessi a colloquio quando ricorrano "ragionevoli motivi";

i colloqui degli ammalati possono avere luogo presso l’infermeria detenuti: in questo caso va detto che non tutti gli istituti penitenziari hanno una infermeria detenuti e sono quelli di vecchia costruzione e di piccole dimensioni: Lodi non ce l’ha l’infermeria detenuti, era in costruzione a gennaio 2005, i lavoro sono stranamente fermi;

per i detenuti gravemente infermi ed in caso di prole di età inferiore ai dieci anni o quando ricorrano particolari circostanze, possono essere concessi colloqui anche fuori dei limiti di sei al mese per i detenuti comuni di quattro al mese peri detenuti sottoposti a regime di sorveglianza particolare.

Questo è, a grandi linee, l’impianto normativo, nel quale si incastona la situazione oggetto dei vs. articoli odierni:il diniego di colloqui fra due persone conviventi.

Il concetto di convivenza è, a giudizio di chi scrive, tanto ampio da includere i familiari conviventi, le persone conviventi "more uxorio", gli estranei conviventi per motivi i più svariati. Ovviamente conviventi con il detenuto o l’internato.

Lo stato di convivenza può essere dimostrato mediante stato di famiglia o, quando non se ne è in possesso (gli interessati non sono attivati, anche per ignoranza, presso l’ufficio di stato civile per dichiarare tale situazione), mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, la quale soggiace ai medesimi controlli, od analoghi, della dichiarazione di convivenza a qualsiasi titolo.

Inoltre, le decisioni del direttore al riguardo soggiacciono a gravami:

1) i provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e telefonici dei detenuti e degli internati, in quanto incidenti su diritti soggettivi, sono sindacabili in sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide secondo la procedura indicata nell’art. 14 ter l. n. 354 del 1975 con ordinanza ricorribile per cassazione. (Cassazione penale, sez. un., 26 febbraio 2003, n. 25079);

2) i reclami contro i provvedimenti dell’amministrazione penitenziaria che incidono sui diritti dei detenuti, tra cui quelli relativi ai colloqui e alle conversazioni telefoniche, danno origine a procedimenti che si concludono con decisioni del magistrato di sorveglianza munite della forma e del contenuto della giurisdizione. Ne consegue che in mancanza di forme procedurali speciali relative alla materia dei reclami contro gli atti dell’amministrazione lesivi dei diritti dei detenuti, l’attuazione della tutela giurisdizionale deve necessariamente realizzarsi attraverso l’ordinario modello procedimentale delineato dall’art. 678 c.p.p., che attraverso il rinvio all’art. 666, comma 6, dello stesso codice, rende ricorribili per cassazione le ordinanze emesse dalla magistratura di sorveglianza.(Cassazione penale, sez. I, 15 maggio 2002, n. 22573).

 

 

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