Rassegna stampa 22 gennaio

 

Roma: come vivono ragazze e ragazzi nel carcere minorile

 

Il Manifesto, 22 gennaio 2006

 

Sveglia alle otto, apertura delle celle, attività della mattina, chiusura delle celle (12.30-16.00), apertura delle celle, attività del pomeriggio, chiusura delle celle (19.30), tutti i giorni. Circa il 40 per cento dei ragazzi sono tossicodipendenti; la quasi totalità, recidivi. Alcuni finiscono dentro anche 10, 12 volte

Sono ragazzi che vestono le scarpe da ginnastica della marginalità e hanno in testa il gel dell’esclusione sociale. Che portano la maglia di un paese lontano, spesso dell’est europeo, in qualche caso maglie di nazionali che non esistono più, e in Italia si trovano senza famiglia e senza amici. Ragazze rom 14enni con i figli al seguito, che dormono dentro passeggini recuperati, ex bambini costretti a stare dietro i banchi dei peggiori quartieri di Roma, unica insegnante la vita. Italiani, rom della ex Jugoslavia, romeni, albanesi, una città dei ragazzi dietro le sbarre. Sono gli ospiti forzati, dai 14 ai 21 anni, dell’Istituto penale minorile di Roma Casal del Marmo. Ad oggi si tratta di 53 ragazzi, 35 maschi (8 gli italiani, 4 minorenni e 4 giovani adulti dai 18 ai 21 anni) e 18 femmine (1 italiana minorenne) che vivono la vita scandita dal metronomo della detenzione: sveglia alle 8, apertura delle celle, attività della mattina, chiusura delle celle (12.30-16), apertura delle celle, attività del pomeriggio, chiusura delle celle (19.30), giorno dopo giorno. Circa il 40 per cento dei ragazzi si dichiara tossicodipendente, la quasi totalità è fatta di recidivi.

 

Lo zoccolo duro

 

"Chi entra qua una volta ci rientra di sicuro la seconda, e quando cresce è probabile che finisca in un istituto per maggiorenni" - dice Liana Giambartolomei, direttrice dell’area pedagogica di Casal del Marmo, quella degli educatori. "Qui arriva lo zoccolo duro, e trattare con lo zoccolo duro è difficile". Questo perché in linea di massima - esistono eccezioni - chi arriva in un istituto penale per minori è passato attraverso tutta una serie di misure esterne, come l’affidamento ai servizi sociali o ad associazioni di volontariato, oppure la detenzione domiciliare, senza alcun esito. "Sono ragazzi strutturati, recidivi - dice Liana - che entrano qua dentro anche 10, 12 volte. Oppure si tratta di stranieri, per i quali il ricorso alla custodia cautelare è più frequente. Senza documenti, senza famiglia, senza casa, senza una rete sociale di riferimento, come le applichi le misure alternative?".

Casal del Marmo è una struttura di circa 12mila metri quadrati molti dei quali verdi, però dentro ti ci muovi liberamente solo a patto di essere un agente, un educatore, uno psicologo, un gallo (o gallina) un’oca o un gatto. I detenuti per svolgere le attività della mattina o quelle del pomeriggio, o lo sport, si muovono accompagnati. Dormono in due o tre per cella - si cerca di evitare sia il sovraffollamento che l’isolamento - al primo piano di tre palazzine color mattone, sbarre alle finestre dello stesso colore, due maschili e una femminile. Al piano terra di ciascuna la "mensa detenuti" e alcuni spazi comuni destinati a sabati, domeniche e giorni di festa: niente educatori, niente attività, vengono i volontari e con loro lo spirito d’iniziativa. Una delle palazzine ospita la cucina, che funziona anche da laboratorio di pizzeria.

Le attività della mattina iniziano un’ora dopo la sveglia. Prima la pulizia della cella e la colazione. Alle nove gli ospiti di ciascuna palazzina vengono radunati e portati alla "palazzina attività", una lunga C rossa con una cappella a un’estremità e una sala più grande con un palco per il teatro (due volte la settimana) o i concerti, se ci sono, e la festa di fine anno scolastico all’altra estremità. In mezzo il lungo corridoio con le aule. Dentro, un po’ di tutto. Le scuole: elementari, medie e Ctp - centro territoriale permanente, per chi ha passato l’età dell’obbligo scolastico (18 anni) ma non ha la licenza media - il laboratorio di sartoria, di disegno, quello dove si lavora il cuoio. C’è anche una biblioteca, gestita dal comune di Roma. I libri non li prende mai nessuno, però c’è qualche ragazzo che si mette a catalogarli.

Non ci sono più di tre, quattro ragazzi per stanza, qualcuna, tipo quella di disegno, è vuota. Alcune attività, come la scuola o il teatro, sono miste, altre no: il laboratorio di sartoria lo fanno le ragazze, quello di falegnameria o il giardinaggio (che si fa la mattina) i maschi. Bigliettini, sguardi, ammiccamenti, lettere (interne: missili d’amore a corta gittata) sono a malapena tollerati. Più oltre non si va nella maniera più assoluta.

"L’affettività è un problemone, da noi - dice Francesco D’Ortenzi, comandante, a capo dell’area sicurezza del minorile romano - uno sguardo e una lettera vanno bene, però poi basta. Certo, sono tutti adolescenti, tenergli a bada gli ormoni non è semplice. Per l’ultima festa di fine anno scolastico abbiamo organizzato una piccola discoteca, con ragazzi e ragazze. Si facevano certi sguardi. Volevano tenere le luci spente".

In questi giorni c’è una ragazza che non partecipa alle attività. Gli agenti la portano nelle celle-aula, e lei si ferma sulla soglia. È una giovane romena arrivata da meno di una settimana, non fa che piangere. Cammina e piange. Insieme ad un agente, ad una delle tre psicologhe di ruolo del carcere, ad un educatore, gira per il perimetro dell’istituto. È depressa. La psicologa chiederà per lei un esame tossicologico.

 

Rivotril e Roipnol

 

Molti ragazzi arrivano con problemi di dipendenza da Rivotril e da Roipnol. Sono benzodiazepine, psicofarmaci che hanno effetti simili a quelli di robuste quantità di alcool. Sicurezza e calma in pillole, alla portata di scippatori o rapinatori alle prime armi. Piccole età, grandi storie e poco spazio sono gli ingredienti di un mix che i primi giorni, soprattutto, è difficile da mandare giù.

Autolesionismo e suicidi sono i segni forti di un malessere che spesso viene da più lontano. Lo dice Giovanna Serafini, da tre anni psicologa a Casal del Marmo: "Da noi ci sono adolescenti che hanno storie di uso e abuso di sostanze, che soffrono di attacchi di panico o ansia. Molte donne rom hanno attacchi di isteria, c’è qualche borderline. E non dovrebbero star qua. Un ragazzo psichiatrico dovrebbe stare in una struttura di cura. Però non ce ne sono, e se ci sono non sempre sono adatte a contenerlo. E allora finiscono dentro".

L’ultimo suicidio dietro il muro coperto di graffiti di Casal del Marmo - il venerdì pomeriggio c’è il corso di cultura hip-hop - è dell’anno scorso. Un’"accoglienza", l’ingresso di un ragazzo la mattina, si trasforma in dramma alle 5 e mezza di pomeriggio. Nessuno ha fatto in tempo a registrare una storia, un pericolo, un perché. "Negli ultimi 6 mesi - dice il comandante - ci sono stati due o tre tentativi più seri. Un paio a carattere più che altro dimostrativo, non con l’effettiva volontà di togliersi la vita. Nel primo caso una ragazza ha cercato di impiccarsi con un maglione, troppo morbido. Nel secondo un ragazzo ci ha provato con un laccio troppo ruvido, il nodo del cappio non scivolava. In entrambi i casi, poi, siamo intervenuti".

 

Tre mesi o tre giorni

 

Nella faticosa scalata alla libertà, il tempo è una roccia che si sgretola sotto le mani. Casal del Marmo funziona soprattutto come carcere giudiziario, per (giovani) detenuti in attesa di una sentenza definitiva. Vuol dire che un ragazzo ci rimane in media tre mesi, tre mesi e mezzo. Nel caso di ragazze madri, spesso il limite scende a tre giorni. "Con un periodo così breve a disposizione - spiega la direttrice, Laura Grifoni - anche le attività che proponiamo hanno un valore relativo. Servono soprattutto come aggancio, a dare uno strumento in più nella speranza che qualcuno lo sfrutti. Magari seminiamo un interesse che fuori diventa una carta in più".

Il pomeriggio - che a Casal del Marmo, a gennaio come ad agosto, va dalle 4 alle 7 - è tempo di sport. Il minorile romano ha tradizionalmente, in barba alla breve media di permanenza, una discreta squadra di calcio che si allena su un campo un pò meno discreto, e una seconda squadra mista agenti-ragazzi da cui ci si aspettano faville. E poi c’è un bel campo da basket all’aperto e una grande palestra. Vuota, per "esigenze di sicurezza". Niente pesi, attrezzi, panche. Ci sono dentro solo la rete per la pallavolo (femminile) e i canestri per il basket al coperto. Dieci ragazzi si affrontano, cinque contro cinque, davanti al pubblico delle grandi occasioni: sei reclusi, un agente e un educatore. E mentre la partita si infiamma, tra improbabili lanci lunghi e virtuosismi vietati da qualunque regolamento, si compie il miracolo di questo paese dei balocchi al contrario, in cui detenuti adolescenti svezzati dalla strada giocano come semplici ragazzi.

Giustizia: Castelli; rimpiango di non avere chiuso alcune carceri

 

Agi, 22 gennaio 2006

 

Roberto Castelli, ministro della Giustizia, si confessa ai microfoni della trasmissione televisiva "Studio Aperto". Ammette, in materia di carceri di avere un rimpianto: "quello - dice - di non essere riuscito ancora a chiudere dei penitenziari che ritengo indegni per il nostro Paese". Sull’amnistia Castelli sottolinea di aver "sempre chiesto che non venissero ingannati i detenuti, gente che soffre". "Mi ha stupito, ad esempio - aggiunge il ministro -, la posizione del presidente D’Alema che a Natale è andato alla marcia per l’amnistia e dopo pochi giorno il suo partito, i Ds, ha votato contro". Castelli rileva inoltre che "in questi anni abbiamo dovuto fronteggiare un consistente aumento della popolazione penitenziaria: la soddisfazione è che siamo riusciti a farlo garantendo la sicurezza dei cittadini e anche la pace all’interno dei penitenziari. Infatti, questi cinque anni sono passati senza proteste".

Bologna: il Garante; il diritto al voto per i detenuti…

 

Redattore Sociale, 22 gennaio 2006

 

"Facciamo in modo che i detenuti che hanno mantenuto il diritto al voto riescano a praticarlo". È quanto chiede l’avvocato Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna. Con l’approssimarsi delle elezioni politiche, in programma in aprile, vista la presenza "all’interno della locale casa circondariale di persone detenute, sia in esecuzione pena che in custodia cautelare, che hanno mantenuto il diritto di voto, invito – scrive il Garante in una nota diffusa – il prefetto di Bologna, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice della casa circondariale e il sindaco di Bologna, ognuno per la parte organizzativa che gli compete, che venga tempestivamente predisposto un sistema capillare di comunicazione alle persone detenute, esteso anche a quelle che faranno successivamente ingresso, con le informazioni e le operazioni indispensabili all’esercizio del diritto di voto". L’avvocato Bruno ricorda come le persone detenute al momento della consultazione elettorale possono esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione, come previsto dagli articoli 8 e 9 della legge 136 del 23 aprile 1976, tramite la costituzione di un seggio elettorale speciale.

"L’esercizio di tale diritto – prosegue il Garante – è però subordinato ad alcuni adempimenti, che richiedono tempo e che non possono essere utilmente espletati se non attraverso un’anticipata conoscenza degli stessi", ovvero la necessità per il detenuto di far arrivare al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trova, con in calce l’attestazione del direttore dell’istituto che prova la sua detenzione, "al fine di consentire al sindaco l’iscrizione del richiedente nell’apposito elenco e di essere altresì munito della propria tessera elettorale". Conclude l’avvocato Bruno: "La tempestiva informazione può favorire l’esercizio di un diritto fondamentale per la partecipazione alla vita politica del nostro paese delle persone detenute, che mai come in questo momento hanno bisogno di sentire riconosciuto il loro diritto di cittadinanza".

Treviso: volontari ascolteranno i familiari dei detenuti

 

Il Gazzettino, 22 gennaio 2006

 

Sarà la sala d’aspetto delle famiglie dei detenuti e il luogo di solidarietà dove chi entra troverà sempre una parola di conforto. È stato inaugurato ieri mattina il nuovo locale di accoglienza della Casa circondariale di Santa Bona donato dalla Caritas e destinato ai familiari che vanno a trovare un parente in carcere. Un prefabbricato, posizionato proprio davanti all’ingresso, con una trentina di posti a sedere per ospitare chi finora si doveva fermare fuori in piedi, ad attendere il suo turno d’entrata per le visite senza alcun riparo:

"L’opera era necessaria da quando sono arrivato, 18 anni fa - ha dichiarato il direttore del carcere Francesco Massimo - era stata richiesta più volte invano una ristrutturazione per accogliere i familiari in visita ai detenuti". Ora un locale c’è ed è stato finanziato per metà dalla Caritas diocesana e per l’altra metà da Caritas italiana, attingendo dai fondi dell’8 per mille destinato alle opere della Chiesa cattolica. Alla cerimonia di benedizione del locale e al taglio del nastro erano presenti oltre al direttore, il vescovo Andrea Bruno Mazzocato, il prosindaco Gentilini, il sindaco di Villorba Liviana Scattolon, i parroci delle parrocchie vicine: "Con la collaborazione delle istituzioni, della Caritas e del volontariato possiamo creare cose piccole che per molti possono diventare di grande sollievo - ha detto il vescovo - il carcere è un ambiente difficile per natura. Ma la carità ha plasmato i rapporti sociali della nostra tradizione".

Il locale non è stato pensato solo come luogo dove trovare un posto a sedere al riparo dal freddo e dal caldo, ma anche come spazio per le buone relazioni con i familiari e l’animazione dei bambini. Due operatori saranno presenti nella struttura per ascoltare le richieste dei familiari e intrattenere con giochi e attività i più piccoli. Secondo le stime sono circa 250 le persone, adulti e bambini, in visita per i colloqui. Sono invece oltre 250 i detenuti. La capienza della Casa circondariale di Santa Bona ne potrebbe giusto accogliere la metà. Sul problema del sovraffollamento Gentilini ha le sue idee: "Lo Stato deve ripristinare o creare nuovi carceri. Siamo in un periodo storico particolare dove i fenomeni criminali e delittuosi sono in aumento". Quanto all’urgenza di pensare a un nuovo minorile per Treviso il vice di Gobbo invita a "fare di dover virtù". "In un periodo di vacche magre, dove le risorse statali vengono tagliate, bisogna adattare le strutture attuali".

 

Comunicato stampa della Caritas Tarvisina

 

Al via anche il nuovo progetto della Caritas di Treviso "Oggi visite"per le famiglie delle persone ristrette. Prevede uno spazio di accoglienza, di ascolto e di orientamento.

Un nuovo impegno per la Caritas di Treviso nell’ambito del carcere. Dopo la struttura di accoglienza per 12 ex detenuti e dopo altre iniziative come l’Adozione a vicinanza e il laboratorio di falegnameria, parte ora il progetto denominato "Oggi visite", rivolto alle famiglie dei detenuti.

Prevede l’accoglienza di donne e bambini che la mattina vengono a trovare i familiari detenuti.

Davanti all’ingresso del carcere infatti, poco prima di Natale, è stato sistemato un prefabbricato per ospitare coloro che, altrimenti, dovrebbero fermarsi ad attendere, pressoché senza riparo, il loro turno di entrata, che ci sia pioggia, vento o neve.

Il locale viene inaugurato oggi nella Casa circondariale di Treviso dal Vescovo, mons. Andrea Bruno Mazzocato, alla presenza del direttore del carcere, delle autorità cittadine, dei parroci delle comunità parrocchiali vicine, degli operatori e dei volontari Caritas.

La Caritas ha pensato a questo luogo non solo per alleviare un evidente disagio, ma anche come uno spazio per le buone relazioni con i familiari e l’animazione dei bambini. Due operatori saranno infatti presenti nella struttura con una certa regolarità. Il progetto è condiviso dalla Direzione dell’Istituto e dai responsabili dell’area educativa del carcere. Secondo la più recente analisi sulla realtà carceraria trevigiana, circa 1/3 dei detenuti ha una famiglia con cui mantiene i contatti. Sono soprattutto gli italiani a ricevere le visite dei parenti, mentre per gli stranieri la situazione si complica, dal momento che non sempre i familiari sono presenti nel nostro Paese. Gli operatori penitenziari hanno stimato che sono oltre 250 le persone, adulti e bambini, complessivamente in visita ai detenuti. Il progetto, come previsto dalle finalità stesse della Caritas, si pone pertanto come un ponte tra famiglie e detenuti, tra Casa Circondariale e territorio. L’obiettivo è di favorire il più possibile lo sviluppo di quella rete sociale che permette di affrontare meglio i problemi e di individuare possibili soluzioni.

Dal punto di vista economico (costo della struttura, attrezzature, operatori Caritas, giochi per bambini…) il progetto è stato finanziato per metà dalla Caritas diocesana e per l’altra metà da Caritas Italiana, attingendo dai fondi 8 per mille che la Conferenza Episcopale Italiana destina ogni anno alle opere-segno della Chiesa cattolica. Il costo degli allacciamenti e dei consumi di luce-acqua-gas, sono sostenuti dalla Direzione del carcere.

 

L’impegno della Caritas in carcere

 

Da anni la Caritas promuove opere segno rivolte ai detenuti, agli ex detenuti e alle loro famiglie, tentando anche di sensibilizzare la comunità locale e di avviare percorsi di tutela della dignità umana ed integrazione sociale. La Caritas diocesana di Treviso ha rivolto da tempo la sua attenzione verso i detenuti con alcuni progetti significativi di recupero e reinserimento sociale.

All’interno della struttura penitenziaria opera una cooperativa che offre lavoro di falegnameria a circa 15 detenuti. La Caritas ha sostenuto il progetto, riformulandolo nel 2004 in accordo con la Direzione e gli educatori del carcere nella prospettiva di una azione formativa rivolta alle persone ristrette. Le competenze e il supporto tecnico sono offerti dalla cooperativa Alternativa che opera sul campo da oltre 15 anni. La Caritas fornisce i volontari per l’assistenza al lavoro di falegnameria e il sussidio terapeutico, mentre per il materiale provvede il Centro di Servizio del Volontariato. L’anno scorso sono state prodotte 8.000 cassette in legno per l’ortofrutta (attività che sarà ripresa anche quest’anno), mentre la cooperativa realizza anche arnie per le api, giochi in legno ed altri oggetti richiesti direttamente da acquirenti esterni.

Dal 2001 è attivo inoltre un progetto giubilare che ha permesso di aprire una struttura di accoglienza presso una parrocchia. La capacità è di 12 posti letto per ex detenuti in fase di inserimento lavorativo e abitativo nel territorio. I volontari che si alternano nel sostegno e nell’accompagnamento degli ospiti, rappresentano una risorsa importante per tutta la comunità.

Infine dal 2004 il progetto "Minori alla porta" della Caritas diocesana gestisce l’iniziativa "Adozioni a vicinanza" per il sostegno dei figli dei detenuti e per bambini in grave stato di necessità. In collaborazione con l’équipe educatori del carcere, le assistenti sociali e il cappellano, sono stati individuati alcuni nuclei familiari con minori in situazioni di difficoltà economica ed emarginazione sociale. La adesioni al progetto sono andate oltre le aspettative: 96 adozioni sottoscritte, 5 offerte anonime, 5 bomboniere di nozze, per un totale di 24.379 euro; 12 incontri di info-formazione con gruppi (Caritas locali, gruppi giovanili, gruppi famiglia, scout), 3 incontri pastorali (1 a livello diocesano e 2 a livello vicariale), 2 interventi nelle scuole; per le visite a domicilio verso le famiglie interessate al progetto, è stato contattato direttamente il parroco e sono state attivate la Caritas locale, i gruppi scout o acr, i servizi sociali territoriali ed, in alcuni casi, la scuola; recentemente il progetto è stato condiviso e assunto anche dalla Caritas diocesana di Vittorio Veneto; produzione materiale informativo (2 depliant "Gli occhi guardano lontano, il cuore vicino" in più ristampe, 1 calendario, 5 fogli di collegamento con chi ha sottoscritto l’iniziativa, 1 cd-rom "Figli come i nostri", 1 locandina invito all’incontro "Famiglie e detenuti: dentro e fuori il carcere").

Verona: il Vescovo; faremo centro accoglienza per detenuti

 

L’Arena di Verona, 22 gennaio 2006

 

"Si può fare di più per i detenuti. La chiesa locale darà vita ad una casa accoglienza proprio per aiutare quanti si trovano in difficoltà nel reinserimento sociale". Queste sono in sintesi le conclusioni espresse dal vescovo padre Flavio Carraro al convegno promosso dalla Caritas "Liberare la pena, il carcere di Verona interpella le comunità cristiane" che si è svolto al teatro della Santissima Trinità. Non è stata da meno la proposta del Comune fatta per voce del consigliere comunale Riccardo Milano, delegato alle associazioni e servizi sociali per le politiche del carcere, che ha annunciato imminente l’avvio di un centro di ascolto che fornirà le informazioni di base a quanti usciti da Montorio non hanno né un lavoro, né un alloggio.

Si fa strada un nuovo modo di pensare e di vedere quello che è a tutti gli effetti un mondo a parte, quello fatto di carcerati, per lo più emarginati già nella vita esterna. I dati li ha forniti il procuratore capo Guido Papalia: nelle carceri nazionali i tossicodipendenti sono il 30 per cento. Uguale la percentuale per gli immigrati clandestini. E proprio proponendo l’attuale percorso che porta alla detenzione che Papalia ha chiesto se "chi commette un reato deve per forza essere punito con la detenzione. Nel nostro Paese la clandestinità non è considerata un reato", ha evidenziato, "come si può punire chi ha bisogno di lavorare?. Tuttavia la legislazione ha creato una situazione che porta immancabilmente all’arresto". L’iter di quanti arrivano prima nei centri di permanenza temporanea e poi passano al carcere, è ormai noto a tutti. Ma non tutti sanno che le pene alternative non possono riguardare i clandestini. A questo proposito Papalia ha auspicato nuovi interventi in fatto di leggi ma anche la nascita di una cultura sociale che accetti la pena alternativa. "Il carcere non è una struttura obsoleta ma va utilizzato per reati gravi".

Ecco dunque che il filmato proposto nel corso del convegno e girato da Telepace all’interno della struttura detentiva di Padova ha reso bene l’idea di come l’impegno sociale porti al recupero: sono nati un giornale, Ristretti Orizzonti, un telegiornale interno e un sito internet. Esperienze queste che hanno portato detenuti e volontari a conseguire il premio nazionale della solidarietà 2003. E la casa circondariale di Verona? Per Salvatore Ermino, direttore del carcere cittadino, la situazione del carcere di Montorio non è lontana dalle altre. L’unica differenza sta in quell’80 per cento di detenuti per lo più clandestini. "Sono solo il due per cento ad usufruire delle pene alternative", precisa Ermnio, "il carcere è sì sovraffollato ma con la legge attuale lo sarà ancora di più. Il problema grave sta in quei clandestini che scontata la pena se gli va bene tornano alla clandestinità e se gli va male tornano nei loro paesi di origine". Che fare? Don Virgilio Balducchi, della conferenza regionale di volontariato della Lombardia come primo passo ha indicato una trasformazione del pensiero comune, ma anche una rivisitazione di quello cristiano: "Basta pensare che da un male nasce sempre un male", ha affermato, "il carcere così come è distrugge le persone. Ricordiamoci che dentro ci sono tante persone colpevoli ma anche tante innocenti. La mia prima esperienza mi ha visto a contatto con un uomo che venne dichiarato innocente dopo sette anni di detenzione". L’esempio del comune di Torino dove è attivo un centro di aiuto per i detenuti è stato più volte evidenziato. Molte le proposte e le sollecitazioni arrivate dal pubblico affinché si sviluppino iniziative nuove per il reinserimento sociale di coloro che hanno finito di scontare la pena. Padre Flavio non ha avuto esitazioni e ha invitato le associazioni a sottoporre le proprie idee alla Caritas e agli uffici della diocesi: "Dobbiamo ridisegnare il nostro impegno per dimostrarci credenti cattolici".

Treviso: lettere minatorie, la Digos "incastra" un detenuto

 

Il Gazzettino, 22 gennaio 2006

 

È stato lui: Gerardo Deganutti, sospettato fin dal primo momento visti i suoi trascorsi molto simili, è stato trovato in possesso di ritagli di giornale della stessa natura di quelli contenuti nelle lettere al finto antrace inviate nei giorni scorsi a Luca Zaia, vicepresidente della Regione, a Maria Gomierato, sindaco di Castelfranco e al vicepresidente della Provincia di Venezia Davide Zoggia.

Erano in casa sua? No, erano nella sua cella, perché Deganutti, 49 anni, triestino, è detenuto al Due Palazzi di Padova, il carcere dove sta scontando una pena definitiva. E i reati si ripetono negli anni: lesioni, aggressioni, minacce, procurato allarme. Il Pubblico ministero di Treviso che si occupa della vicenda, Giovanni Francesco Cicero, ha disposto la perquisizione e ha fatto centro.

Non solo il triestino è detenuto, ma visto il suo vizio, è anche sottoposto a censura della posta: e lui cosa ha fatto? Ha indicato come mittente il nome di un detenuto che non fosse sottoposto alla censura, tanto semplice.

Il vizietto Deganutti ce l’ha da sempre: gli piace spaventare la gente e farle avere paura; in un supercarcere hanno altro da fare che stare a vedere giorno per giorno che i detenuti non si divertano "giocando", e lui ne ha approfittato ancora una volta: dopo Andreotti - che ha preso di mira prima del ‘90 - e Antonio Di Pietro, tre giorni fa ha spedito in ospedale Luca Zaia, e chissà quanto si è divertito a leggere sui giornali pagine e pagine sui fatti. Adesso si sa che non è stato nulla, ma per l’irritazione agli occhi che il politico della Lega ha subìto, Zaia è finito ricoverato nientemeno che in isolamento, visto che nella lettera anonima c’era scritto che la polverina bianca che ne usciva era antrace, carbonchio, ricina.

"Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino ad euro 51". Nel caso di Deganutti il reato sarà aggravato dall’anonimato della missiva e dal fatto di aver agito per conto del gruppo - creato da lui e probabilmente composto da lui solo - "Prima organizzazione triestina".

Quanto al "procurato allarme" contestato al detenuto triestino, è previsto l’arresto fino a sei mesi o all’ammenda fino a 516 euro: nient’altro. Un processo Deganutti l’ha subìto per fatti del tutto simili in dicembre; un altro lo subirà per i fatti di questi giorni, ma si tratterà di cose da poco, anche se il vice presidente della Regione Luca Zaia decidesse di denunciare le lesioni, vista la dimissione dall’ospedale in due giorni.

Nell’elenco delle sue "vittime" ci sono sindacalisti Uil, comuni, politici, magistrati, ma il potenziale aggressivo del personaggio è nullo - dice la Questura di Treviso: "Non vi sono motivazioni politiche relative alla spedizione delle missive, poiché anche nella circostanza della perquisizione, il Deganutti è risultato fortemente alterato nella percezione della realtà e nella comprensione degli eventi che lo riguardano". Insomma, la cosa finirà con una perizia psichiatrica: tutto è bene quel che finisce bene.

 

Zaia: "Non lo denuncio"

 

Luca Zaia è sconcertato: "È un detenuto che mi ha mandato la lettera, minacciando che ci fosse dentro l’antrace? Un detenuto sottoposto a censura? C’è da vergognarsi". L’annuncio è stato dato dalla Questura con un breve comunicato ieri: vi si dice di aver rintracciato inequivocabilmente - dopo la perquisizione della cella del supercarcere di Padova Due Palazzi, disposta dal Pm Giovanni Cicero - in tale Gerardo Deganutti l’autore delle lettere minatorie. Le lettere piene di polvere bianca sono state recapitate nei giorni scorsi al vicepresidente della Regione Zaia, al sindaco di Castelfranco Maria Gomierato e al vicepresidente della Provincia di Venezia, Davide Zoggia. La polvere è finita negli occhi di Zaia che è stato ricoverato un giorno e mezzo nel reparto infettivi.

"Apprendo dal Gazzettino ora quello che è avvenuto: da quello che ha fatto questo signore penso abbia una bella confusione in testa". Il comunicato della Questura dice: "Deganutti, nonostante la censura sulla corrispondenza, utilizzava il nominativo di un altro detenuto, nel mittente. Il detenuto è risultato fortemente alterato nella percezione della realtà e nella comprensione degli eventi che lo riguardano". Zaia riflette: "In carcere succedono cose che non dovrebbero succedere... Finirà che sono io che non dovevo aprire la lettera. Faccio i miei complimenti, mi pare che non sia la prima volta che questo signore fa una cosa del genere... lettere minatorie, che hanno bloccato medici, poliziotti, magistrati... È sconcertante". Magari gli agenti di polizia penitenziaria a un personaggio così, sostanzialmente innocuo, non gli davano importanza. "Ma bastava non dargli carta e penna!", sbotta Zaia che, però, sta elaborando le notizie che riceve e dice subito: "C’è una tragedia umana, insomma, dietro tutto questo. Questo signore va avanti da anni...". Dagli anni ‘80. Se l’è presa con Andreotti - l’ha minacciato con una pistola giocattolo - con Di Pietro, con la Dal Lago, con il Pm Luisa Napolitano; ha appiccato incendi e spedito proiettili cal. 9. "Mi ero accorto vedendo la lettera che era scritta anche sui bordi, come fanno le persone disturbate. La polvere bianca che mi è finita negli occhi era cemento... chissà che scavando buchi nei muri del carcere non finisca anche per scappare". Forse non dovrebbe stare in un supercarcere, ma in un reparto ospedaliero adeguato. "In certi casi sarebbero necessarie strutture protette. Non lo denuncerò; ma questa storia è ingiustificabile".

Opera: il carcere più grande d’Europa, con 1.300 condannati

 

L’Arena di Verona, 22 gennaio 2006

 

Carcerati eccellenti, da Totò Riina (condannato a 12 ergastoli e che passa le giornate giocando a carte con un altro mafioso alternando questo passatempo all’esercizio fisico, alla lettura e alle preghiere) al pentito Antonino Giuffrè (accusatore di Bernardo Provenzano), dal leader della banda della Uno bianca Roberto Savi a Marco Mariolini, l’antiquario bresciano che annunciò in un suo libro, "Il cacciatore di anoressiche", il delitto che avrebbe commesso, quello della fidanzata che costrinse a un digiuno forzato, perché diventasse pelle e ossa. Un omicidio per il quale fu condannato a 30 anni e ora vive in carcere con mezza testa rasata e mezza con chioma fluente.

Un percorso "guidato" e blindato quello riportato su Panorama (in edicola questa settimana) che passa attraverso i piccoli cortili su cui si affacciano le celle della casa di reclusione più grande d’Italia e d’Europa. Una prigione modello dove cento celle hanno la doccia privata e il centro clinico conta su un’ottantina tra medici e infermieri con sale operatorie all’avanguardia.

Pietro Maso qui, alle porte di Milano, fa l’istruttore in palestra insieme al suo compagno di cella, al-Assadi Jabbar, un gigante alto poco meno di due metri (una delle guardie del corpo di Saddam Hussein) che scappò da Baghdad alla fine della prima guerra del Golfo e in Italia è stato condannato per omicidio. Muscolato, tonico, Maso e al-Assadi oltre a gestire il fitness degli altri reclusi mantengono la palestra. Un percorso, quello del giovane di Montecchia di Crosara che il 19 aprile 1991, a 19 anni, massacrò - aiutato da tre amici - i genitori Antonio e Maria Rosa a colpi di padella e bloccasterzo, che a Opera ha conosciuto altri passaggi importanti, come quello di protagonista nel recital "Jesus Christ superstar" in cui interpretava l’angelo. Le critiche non mancarono e gli organizzatori vietarono l’accesso (dapprima concesso) alla stampa. Fitness e teatro ma non solo. Dipinge, scrive poesie che vengono pubblicate sui giornali cattolici, prega moltissimo e non perde una messa, segue i consigli della sua guida spirituale, don Guido Todeschini direttore di Telepace. Non ha mai usufruito di benefici, aveva chiesto invero di poter avere un permesso ma il magistrato di sorveglianza glielo negò. Tutta colpa di alcune lettere che lui scrisse all’ex capo dei Nar, Gilberto Cavallini. Un’"amicizia" pericolosa e scomoda perché quelle confidenze e quei commenti sui giudici furono considerate un ostacolo alla concessione di benefici. E dopo quel rifiuto non ha più chiesto nulla. "Voglio pagare tutto fino all’ultimo giorno", sostiene ora.

Marco Furlan si era laureato in fisica con il massimo dei voti il 20 luglio 1988, quando era "obbligato" a dimorare a Casale di Scodosia, nel Padovano. Era uscito da poco più di un mese dal carcere di Padova (quando ancora era in centro città, a pochi passi dalla Specola) perchè tra il processo di primo grado e l’appello erano scaduti i termini di custodia per lui e per Wolfgang Abel. Entrambi accusati di aver commesso 15 delitti "celandosi" dietro la sigla Ludwig. Studente modello all’epoca, carcerato modello ora e a Opera è facile trovarlo in biblioteca dove passa le ore studiando ingegneria, con profitti ottimi. E al cronista di Panorama ha confessato il suo sogno: studiare un dispositivo elettronico in grado di estirpare la radice del male dal cervello. "Angeli vendicatori" furono soprannominati lui e Abel. E alla morte di tre religiosi si aggiunsero quelle dei clienti del cinema a luci rosse Eros di Milano a cui diedero fuoco. Incendiarono anche la Sex Diskothek Liverpool di Monaco e tentarono di bruciare anche la discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere: era il 4 marzo 1984 e in quell’occasione furono arrestati. Seguirono i processi e le condanne: 30 anni di carcere in primo grado ridotti in Appello a 27, condanna confermata in Cassazione nel febbraio del 1991. E fu dopo quella data che Furlan sparì. Venne "trovato" nell’isola di Creta nel maggio del ‘95 dove a Heraklion gestiva, sotto il nome falso "Marco Furlani", un’agenzia di noleggio auto per turisti. E proprio un turista lo aveva fotografato e riconosciuto.

Gianfranco Stevanin a Opera è arrivato da poco rispetto agli altri due veronesi, dopo essere stato nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in quello di Montelupo Fiorentino e infine nel supercarcere di Sulmona. Ora è un "altro uomo", e proprio a Sulmona nel luglio del 2004 salvò la vita ad un compagno di cella che voleva suicidarsi. È stato, condannato all’ergastolo perché ritenuto responsabile degli orrori avvenuti nelle campagne legnaghesi, là a Terrazzo dove i carabinieri trovarono i poveri resti di 5 donne, quelle che lui uccise, all’interno del cascinale di famiglia, al termine di rapporti sessuali. Una storia che iniziò il 16 novembre 1994, al casello autostradale di Vicenza Ovest, quando fu arrestato, e che è terminata il 7 febbraio 2002, data in cui la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo. Anche lui carcerato modello al punto che il tribunale de L’Aquila nel dicembre del 2002 gli riconobbe uno sconto di pena pari a due anni proprio in ragione del suo comportamento. Quello che gli operatori definiscono di "un detenuto esemplare, un uomo totalmente diverso".

Pesaro: pomeriggio di musica nel carcere di Villa Fastiggi

 

Coriere Adriatico, 22 gennaio 2006

 

Un pomeriggio di musica per chi vive quotidianamente un’esistenza privata della libertà. Per chi è costretto in carcere a espiare una colpa precedente, una volta tanto con la testa sgombra dai pensieri e il cuore gonfio di quella spensieratezza che solo la musica sa fornire. Grande successo i giorni scorsi nella casa circondariale di Villa Fastiggi per il duo Cinzia Pennesi & Viola Pennesi. Un concerto di Capodanno organizzato come momento di socialità comune per duecentoventi detenuti dalla direzione del carcere e dalla Circoscrizione "Le tre Ville". Vario e articolato il programma proposto dal duo Cinzia Pennesi & Viola Pennesi, viola e pianoforte. È stato un momento indimenticabile per i duecentoventi detenuti che hanno assistito al concerto in due momenti differenti. L’auditorium del carcere può contenere al massimo centocinquanta-centosessanta persone, così si è resa necessaria una doppia performance di Cinzia Pennesi & Viola Pennesi. Alla presenza del direttore Roberto Festa, del commissario Riccardo Secci e di tutti gli operatori sociali della struttura carceraria, i due gruppi di spettatori hanno vissuto il pomeriggio in musica con molta partecipazione. Molti - in particolar modo le donne - non hanno resistito ai ritmi spagnoli tenendo il tempo con battimani a ripetizione. Insomma un pomeriggio spensierato per chi - per forza di cose - ha dovuto lasciare al di fuori della cella allegria e buonumore. Complimenti alla casa circondariale di Villa Fastiggi del direttore Roberto Festa e alla quarta circoscrizione del presidente Christian Terenzi per l’organizzazione.

Gorizia: 75 euro ad "ospite"; il Cpt in gestione a una cooperativa

 

Il Manifesto, 22 gennaio 2006

 

La Minerva, che aderisce a Legacoop, gestirà il nuovo centro per immigrati di Gradisca: 75 euro per "ospite" I Verdi gettano dubbi sulla gara d’appalto: la richiesta massima era di 35 euro. Loro ne chiedevano invece più del doppio e hanno vinto comunque.

La cooperativa Minerva di Sagrado d’Isonzo (Gorizia), aderente alla Lega delle Cooperative, si è aggiudicata la gara d’appalto per la gestione del Centro di permanenza temporanea per immigrati clandestini di Gradisca (Gorizia), realizzato nell’ex caserma Polonio e che dovrebbe entrare in funzione fra pochi giorni. Si tratta del primo caso in Italia di una cooperativa "rossa" che va a gestire i servizi all’interno di un cpt, strutture di detenzione per persone che non hanno commesso alcun tipo di reato e che da anni sono al centro delle lotte dei movimenti e delle reti antirazziste di tutto il paese, che si battono per la chiusura di questi veri e propri lager, già previsti dalla legge Turco-Napolitano.

E proprio i cpt di Gradisca e di Bari - sui 17 centri previsti dal ministero dell’interno - sono stati oggetto, nell’ultimo anno, di diverse manifestazioni per impedirne l’apertura, diventando nel contempo il simbolo delle azioni di coloro che si battono contro la presenza di questi centri in Italia e ne chiedono l’immediata chiusura. Sulla costruzione del centro a Gradisca si sono sempre detti contrari anche il comune della cittadina, la provincia di Gorizia e la regione Friuli Venezia Giulia, che insieme hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio contro la realizzazione del cpt di cui è atteso l’esito il 23 febbraio prossimo. Questo, comunque, non ha impedito che l’amministrazione di centrosinistra di Gradisca, non più tardi di qualche mese fa, concedesse l’autorizzazione dell’allacciamento dell’ex caserma Polonio al sistema fognario comunale.

"Mi sembra paradossale e nello stesso tempo emblematico - rileva Alessandro Metz, consigliere regionale dei Verdi, che ha partecipato a numerose azioni contro il cpt di Gradisca e gli altri sparsi per il Paese - che una cooperativa, aderente alla Lega delle cooperative (ma anche all’Unione degli industriali), abbia partecipato e vinto un bando d’appalto per la gestione dei servizi interni di una simile struttura, dimostrando quanto il business e il profitto possano sull’impegno e l’idealità che dovrebbero essere alla base della filosofia e della politica di simili cooperative". La Minerva è stata costituita nel 1980, presa in mano nel 1990 dall’attuale presidente, Adriano Ruchini, quando aveva solo due dipendenti. "La cooperativa agisce nel settore delle pulizie civili e industriali e dell’assistenza alla persona, della manutenzione del verde, delle sanificazioni ospedaliere, della gestione di strutture residenziali e altre attività correlate. Attualmente - come si legge sul sito della cooperativa - essa occupa circa 200 lavoratori".

"Che attorno alla partita della gestione dei servizi dei cpt ci sia un grosso giro di affari e interessi - continua Metz - è ormai risaputo da anni, anche se, nonostante le richieste di numerosi parlamentari di centrosinistra, questo governo non ha mai voluto fornire le cifre dei finanziamenti che vanno a chi si assume l’onere di svolgere il compito di aguzzino in simili strutture". Solo tre mesi fa un blitz degli "invisibili" nella sede della Croce Verde gradiscana aveva fatto sì che la stessa si ritirasse dalla gara d’appalto, all’epoca ancora in corso e alla quale partecipavano, oltre alla Minerva, una decina di altri soggetti. "In questa vicenda - secondo Metz - colpisce soprattutto il grande presenzialismo del presidente Ruchini, il quale non manca di essere attivo in numerosi settori, che vanno dal culturale allo sportivo, dal sociale all’economico. Infatti - prosegue - lo vediamo presente, ad esempio, nel comitato d’onore del circolo del tennis di Grado assieme al prefetto di Gorizia, al presidente della regione, Riccardo Illy, al presidente della provincia di Gorizia, Giorgio Brandolin, all’assessore alla cultura e allo sport, Roberto Antonaz, e ad altre personalità regionali". Solamente sei mesi fa, Adriano Ruchini aveva ricevuto, assieme ad altre persone, un avviso di garanzia per la morte di un operaio sloveno, D. B., di 34 anni, che lavorava alle Fornaci Giuliane di Sagrado, prima per la cooperativa Minerva e poi per la cooperativa Alba - a quel che risultò al magistrato inquirente strettamente legate l’una all’altra - di cui lo stesso Ruchini era vicepresidente. Il giovane, schiacciato da una tritasassi, era stato inviato dalla cooperativa allo stabilimento di Sagrado per occuparsi delle pulizie, ma le indagini condotte subito dopo il mortale infortunio avrebbero fatto sorgere il sospetto che in realtà egli, assieme ad altri dipendenti della cooperativa Alba, fosse stato impiegato direttamente sulla linea di produzione delle Fornaci.

La cooperativa Minerva, inoltre, ha vinto - come risulta sempre dal suo sito, www.minerva.it - la gara d’appalto per l’affidamento dell’assistenza domiciliare nei 16 comuni che fanno parte dell’ambito Alto Isontino. "A questi comuni - spiega ancora Metz - tutti di centrosinistra, non appena ho saputo che la Minerva si era aggiudicato l’appalto per l’ex caserma Polonio, ho inviato una lettera in cui chiedo agli amministratori di recedere immediatamente da tutti i contratti di servizio con la stessa cooperativa, come atto concreto e conseguente alla loro più volte manifestata opposizione alla costruzione del cpt". "Last but not least - precisa il consigliere verde - il fatto che crea i maggiori interrogativi sulla gara d’appalto è che, mentre gli altri soggetti partecipanti, a fronte di una richiesta massima di 35 euro al giorno per "ospite" e avendo quasi tutti i necessari requisiti e i profili professionali richiesti dal ministero dell’interno, hanno perso la gara, la Minerva, pur con molte carenze in tal senso e chiedendo ben 75 euro al giorno per persona, l’abbia invece vinta. Se calcoliamo che il Cpt di Gradisca è stato realizzato per poter contenere una media di 200 immigrati clandestini al giorno - conclude Metz - possiamo prefigurare introiti annuali per la cooperativa che si aggirano sui 5 milioni e mezzo di euro. In base a questi fatti ho chiesto ufficialmente al prefetto di Gorizia di rendere pubblici tutti gli atti relativi alla gara d’appalto. Se non c’è niente da nascondere... mi risponderà".

Gran Bretagna: schedato il Dna di 24mila minori incensurati

 

Corriere della Sera, 22 gennaio 2006

 

In Gran Bretagna i dati del Dna di 24.000 minorenni incensurati, mai neppure incappati in una diffida, sono conservati negli schedari delle autorità di sicurezza. Lo ha scoperto e denunciato un parlamentare conservatore, Grant Shapps, e la Bbc ne ha fatto stamattina la notizia di apertura del suo sito internet.

 

Dati conservati anche se scagionati

 

Il caso è venuto alla luce perché nella schedatura genetica di massa è incappato anche il figlio di un parlamentare del collegio di Shapps. Il giovane è stato arrestato per uno scambio di persona e il suo Dna inserito nell’archivio della polizia. Il parlamentare, che ha assunto la difesa del ragazzo, è riuscito a far rimuovere i suoi dati genetici dallo schedario e contemporaneamente ha appreso dal ministero dell’Interno le cifre della schedatura di massa: nell’archivio ci sono i dati del Dna di 24.000 giovani dai 10 ai 18 anni. Shapps ha annunciato una campagna per ottenere che questi dati vengano cancellati dagli schedari.

 

Impronte genetiche

 

In Gran Bretagna le autorità prendono i dati del Dna di tutte le persone sospettate che vengono fermate per un qualunque reato che preveda il carcere, e i dati vengono conservati anche se la persona è scagionata da ogni accusa. Il ministero dell’Interno questo mese aveva annunciato che nel giro di due anni il 7% della popolazione della Gran Bretagna verrà schedato in quello che è già ora l’archivio più grande del mondo: vi è già inserito il profilo del Dna di oltre il 5% dei residenti nel Regno Unito, in confronto all’1,13% della media Ue e dello 0,5% degli Usa. Entro il 2008, ha annunciato il ministero, il numero di impronte genetiche salirà a 4,24 milioni. Attualmente, dei tre milioni di profili di Dna schedati, 139.463 appartengono a incensurati. Ci sono anche i dati di più di 150.000 volontari, comprese vittime di crimini, che hanno risposto a appelli lanciati dalla polizia.

Turchia: scarcerazione annullata, Alì Agca di nuovo detenuto

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 22 gennaio 2006

 

L’attentatore di Papa Giovanni Paolo II - Mehmet Ali Agca - è stato nuovamente arrestato in Turchia dopo alcuni giorni di libertà. Ali Agca esce dal carcere di Istanbul. L’arresto è stato eseguito ad Istanbul, nel quartiere di Kartal, da un gruppo di forze speciali della polizia, su ordine del procuratore che pochi minuti prima aveva annunciato di intendere dare immediata esecuzione alla sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato la sentenza in base alla quale Agca era stato scarcerato il 12 gennaio scorso. Nel giro di 10-15 minuti, e per via di tempestivi fax, i vari organi della giustizia turca hanno comunicato tra loro e si è giunti così ad un arresto lampo, seguendo tutte le regole giudiziarie, dell’attentatore del Papa, di cui si temeva una fuga.

"Agca non ha opposto resistenza all’arresto", ha affermato poco fa in diretta Tv il governatore di Istanbul, Muammar Guler. L’avvocato di Agca, Mustafa Demirbag, aveva preannunciato che Agca avrebbe rispettato le decisioni della giustizia turca. "Agca, dopo l’arresto, avvenuto senza che vi siano stati problemi di sorta, è stato portato nella sede principale della polizia di Istanbul ed è stato interrogato" - ha dichiarato lo stesso governatore di Istanbul, Muammer Guler, in diretta televisiva.

Agca sparò a Karol Woytila in piazza San Pietro il 13 maggio 1981. Il Papa fu gravemente ferito ma fu salvato; lui fu arrestato sul posto. Fu condannato in Italia all’ergastolo il 22 luglio 1981. Graziato, fu estradato in Turchia il 13 giugno 2000, dove fu subito rinchiuso in carcere per l’omicidio di un giornalista e per una rapina a mano armata.

 

 

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