Rassegna stampa 18 gennaio

 

Quando la cura aggrava i mali della giustizia…

 

Il Gazzettino, 18 gennaio 2006

 

Che il sistema giudiziario non goda di buona salute è noto da molto tempo. Ciò che però preoccupa di più è l’interventismo esagerato (una sorta di accanimento terapeutico) della politica, che sembra assolutamente determinata sotto ogni profilo a peggiorarne lo stato. Mi limito solo a segnalare gli ultimi provvedimenti che non gioveranno ai giudici né agli avvocati, ma che soprattutto non gioveranno ai cittadini che vedono sempre più allontanarsi, fino a diventare chimerica, la prospettiva della giustizia per tutti.

Dopo lungo dibattere è stata approvata la nuova legge sull’Ordinamento Giudiziario che certamente non brilla per praticità ed efficientismo. Condanna i magistrati a passare da un esame all’altro, a volte inutili non di rado addirittura dannosi senza prendere in alcuna considerazione le esigenze vere della giustizia che sono, come tutti sanno, la semplicità di gestione e i tempi delle procedure. I magistrati hanno fatto quanto in loro potere per opporsi, per indurre i politici a ragionare, spesso sostenuti, ciò che accade di rado, dagli avvocati. Tutto è stato vano.

La legge è prossima a entrare in vigore. Prevedere che aggraverà lo sfascio è facile, ma si teme anche il peggio. Più recentemente si è approvata la cosiddetta ex Cirielli che si occupa di molti aspetti della giustizia, in particolare di circostanze, di recidiva e di prescrizione. La legge abbrevia i termini di prescrizione per i reati di media gravità e li prolunga (inutilmente) per quelli più gravi e per i minori. In pratica, favorirà i ricchi e i potenti, che non ne hanno alcun bisogno, e affonderà i poveri e gli inermi.

Avremo, per effetto del nuovo regime della recidiva, un ulteriore affollamento delle carceri che è già oltre ogni limite di decenza. Non è solo un mio giudizio, è il giudizio della stessa maggioranza che dopo pochi giorni si è vista costretta a sopprimere una disposizione della legge che altrimenti avrebbe impedito o ostacolato ogni tentativo di recupero dei tossicodipendenti, riservando loro un unico disumano trattamento: il carcere, certamente controindicato per qualunque terapia o riabilitazione. Quando è sembrata impossibile la gestione della popolazione carceraria ormai a livelli record, si è pensato all’amnistia e all’indulto, certamente provvedimenti non strutturali, di emergenza, alla lunga negativi e dannosi se non sostenuti da una rettifica razionale dell’intero sistema. Ovviamente non se ne è fatto nulla per l’impossibilità più che prevedibile di raggiungere le maggioranze indispensabili.

Il sovraffollamento continuerà a crescere, e tuttavia non si mette mano alla riforma del sistema, come e quanto si dovrebbe. Da ultimo la legge sull’inappellabilità dell’assoluzione e sulla riforma del giudizio di Cassazione. L’accusato potrà appellare contro la condanna, il Pm non potrà farlo contro l’assoluzione, con tanti saluti alla parità delle armi e all’obbligatorietà dell’azione penale.

Il guaio più grosso, però, è l’eliminazione degli attuali limiti al ricorso per Cassazione. Malgrado questi, la nostra Cassazione era il giudice di legittimità col maggior numero di ricorsi in tutti i Paesi d’Europa. Era, tuttavia, il solo giudice italiano in regola con i tempi e proprio in virtù della disposizione che consentiva alla Corte di dichiarare inammissibili i ricorsi per vizio di motivazione laddove questo non figurasse nel testo della sentenza impugnata. Oggi proprio qui si innova e si ammette il ricorso senza alcun limite. Impossibile sbagliare: la Corte sarà sommersa di ricorsi, e a questi occorrerà aggiungere anche quelli del Pm che impossibilitato ad appellare cercherà ora di ottenere l’annullamento dell’assoluzione per vizio di motivazione.

Il danno non è solo quantitativo, perché l’eccesso sicuro e inevitabile di ricorsi comporterà lo snaturamento totale del giudizio, oggi rigidamente di legittimità, domani aperto fraudolentemente o meno anche ai fatti e alle prove (diventando quindi un terzo giudizio di merito).

Di male in peggio, si potrebbe commentare, ma senza sorridere. La giustizia non potrebbe stare peggio, soprattutto perché il medico si rifiuta di curarne i veri mali ma interviene erroneamente sui pochi aspetti che ancora funzionano spingendo il malato verso l’agonia.

Milano: malato di cancro, famigliari non possono assisterlo

 

Ansa, 18 gennaio 2006

 

Il tribunale di sorveglianza ha rinviato la decisione sulla richiesta di sospensione della pena per motivi di salute fatta dai legali di Angelo Gammino, 55 anni, ora ricoverato a Niguarda per le complicanze dovute a un intervento per l’asportazione di un tumore al cavo orale. A Gammino è stato amputato anche l’avambraccio sinistro. Ma il direttore del carcere vuole trasferirlo nell’infermeria del carcere. Il direttore non ha permesso nemmeno che dopo l’operazione gli fosse accanto un familiare.

 

Mio fratello detenuto e ammalato di tumore deve essere assistito

 

"Mio fratello è ammalato di tumore, è ricoverato all’ospedale di Niguarda ed è molto grave. Chiedo possa essere assistito dai suoi familiari come è diritto di ogni persona umana". Questo l’appello di Giovanna Gammino, sorella di Angelo, 55 anni, detenuto nel carcere di Parma e da martedì ricoverato in chirurgia vascolare. Angelo Gammino, secondo il racconto della congiunta, scoprì otto mesi fa di avere un tumore al cavo orale, ed è stato operato il 4 dicembre all’ospedale di Parma, intervento in seguito al quale ha rischiato di perdere un arto. "Secondo il chirurgo per una complicazione sopraggiunta - afferma sua sorella - ma secondo le mie informazioni per un errore del medico che ha toccato l’arteria sbagliata". In seguito all’aggravarsi delle sue condizioni i familiari hanno ottenuto di farlo ricoverare d’urgenza in Chirurgia vascolare al Niguarda. "Qui è curato bene - dice Giovanna Gammino - ma le sue condizioni sono molto gravi: non può alimentarsi in modo naturale, non può parlare, è intollerante alla morfina, si agita, si strappa i sondini, gli aghi delle flebo. E in queste condizioni non possiamo stargli vicino se non negli orari di visita perché è piantonato. Chiediamo al magistrato di sorveglianza del tribunale di Reggio Emilia: non può esserci pericolo di fuga, sospendete la pena, allontanate il piantone in modo che come per ogni persona umana anche mio fratello in queste ore possa essere assistito dai familiari".

Giustizia: Castelli; sicurezza dei cittadini è la Stella Polare

 

Ansa, 18 gennaio 2006

 

Inaugurare nuovi istituti, come quello di Barcaglione ad Ancona, che sarà un carcere modello dove i detenuti potranno lavorare, studiare e dedicarsi anche ad attività florovivaistiche, è nella linea d’impegno del Governo per garantire ai cittadini il bene della sicurezza, ma significa anche, per il ministro della Giustizia Roberto Castelli, "dare un senso compiuto al dettato costituzionale, che prevede non soltanto la pena ma soprattutto il recupero del detenuto". Giunto ad Ancona nella tarda mattinata, dopo essere stato a Bergamo per l’apertura dell’anno accademico dell’Accademia della Guardia di Finanza, Castelli, dopo il taglio del nastro, ha visitato la nuova struttura - che ospiterà 160-180 detenuti con pene superiori ai 5 anni, e dove è previsto anche un progetto fattoria per lavorazioni agricole, ulivi in primo luogo - accompagnato dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Giovanni Tinebra. Nel suo intervento, il ministro ha più volte richiamato il tema della dignità. Inaugurando un nuovo carcere non bisogna pensare, ha detto, a uno Stato "che vuole applicare estremo rigore, ma anzi a uno Stato clemente che vuole garantire ai detenuti condizioni di vita migliori". Tuttavia, ha ammonito, nel campo dell’edilizia penitenziaria "il nostro Paese soffre ancora di gravi ritardi: abbiamo troppi istituti che risalgono all’800, costruiti quando l’idea della pena era molto diversa da quella di oggi, malgrado Beccaria avesse già scritto i suoi fondamentali testi". E si tratta di situazioni sicuramente "non consone a quei livelli di dignità che invece occorre garantire ai detenuti". Senza contare le lungaggini per la realizzazione di nuovi penitenziari: "alcuni sono stati progettati addirittura negli anni ‘70 e la costruzione è cominciata negli anni ‘80". Anche se quella di Barcaglione è una storia a parte: concepito inizialmente - siamo alla fine degli anni Ottanta - come carcere minorile, finì nel mirino della Procura che aveva avviato indagini sul carcere ‘gemellò di Montacuto dopo l’evasione di tre tunisini. L’inchiesta si spostò su Barcaglione ed emersero irregolarità di natura contabile per un ‘bucò di tre miliardi di vecchie lire. Oggi era presente Vincenzo Luzi, il pm - ora procuratore della Repubblica di Ancona - che si occupò della vicenda dando il via alle grandi inchieste sulla Tangentopoli marchigiana. Castelli non ha poi negato che vi sia un problema di sovraffollamento nelle carceri, anche se l’ Italia "è un Paese clemente", perché a fronte di una popolazione virtualmente penitenziaria di 170 mila unità, "solamente 60 mila persone sono detenute". È "adeguato" invece il personale: "un addetto di polizia penitenziaria ogni 1,3 detenuti, quando la media europea è di un agente ogni 3 detenuti e quella americana addirittura un agente ogni 7". Inevitabile un riferimento al tema dell’amnistia, possibile strumento di decongestionamento: "Prendo atto - ha ribadito Castelli - che il Parlamento ha bocciato l’ipotesi di amnistia o indulto. Credo che questo tema sia ormai definitivamente archiviato, almeno per qualche tempo. Noi abbiamo elaborato il nuovo codice penale, che spero possa essere portato in Consiglio dei ministri il più rapidamente possibile, che depenalizza una serie di reati minori". Ma bisogna sempre tenere "come stella polare l’esigenza di giustizia che i cittadini hanno, e soprattutto di sicurezza. Non si può risolvere questo problema scaricandolo sui cittadini e quindi semplicemente aprendo i penitenziari". Da qui il richiamo al problema dell’immigrazione clandestina, che "alimenta" la criminalità erroneamente definita minore e che invece "vessa i cittadini indifesi". Castelli non si è infine sottratto alle domande dei giornalisti su temi d’attualità: le ispezioni relative alle intercettazioni dei dialoghi tra l’ex presidente di Unipol Consorte e Fassino? "Non sono state disposte con un intento persecutorio ma per fare chiarezza sulla vicenda". I 50 milioni di euro a Consorte?. "Certamente esiste un problema di alcuni fondi notevoli che Consorte ha gestito. È un problema su cui concordo con Berlusconi che si deve fare chiarezza". L’attacco del procuratore aggiunto di Milano Spataro? "Si può non concordare con le leggi, ma se un magistrato si abbassa a dire che è una legge vergogna una legge fatta dal Parlamento, ha capito poco del rispetto per le istituzioni".

Giustizia: Tinebra; preoccupante aumento popolazione detenuti

 

Ansa, 18 gennaio 2006

 

L’inaugurazione del carcere di Barcaglione è la "testimonianza concreta per dimostrare ancora una volta che manteniamo fede agli impegni presi", per dotare l’amministrazione penitenziaria di risorse in grado di far fronte alle tante e complesse esigenze": lo ha affermato, dopo il taglio del nastro della casa di reclusione di Barcaglione, ad Ancona, il capo del Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria Giovanni Tinebra. Tinebra ha osservato che "l’aumento della popolazione detenuta è un dato sicuramente preoccupante", ma che si stanno mettendo in campo tutte le risorse per far fronte al problema. "Il problema delle strutture penitenziarie - ha aggiunto - è comunque un punto fondamentale dell’amministrazione, e lo abbiamo dimostrato portando a termine la costruzione di carceri progettati decenni fa". Anche il ministro della Giustizia Roberto Castelli ha parlato di un impegno mantenuto, e ha ricordato un curioso aneddoto: giunto diverso tempo fa per un sopralluogo a Barcaglione, trovò la struttura completamente abbandonata, fatta eccezione per un barbagianni che vi aveva trovato rifugio: "non so - ha scherzato il ministro - se il barbagianni sia stato sfrattato, o se abbia trovato una congrua sistemazione alternativa", sta di fatto che "avevamo assunto l’impegno di aprire il carcere in tempi rapidi e lo abbiamo mantenuto". Parlando di strutture come quella inaugurata oggi, mirata al recupero - attraverso laboratori, scuola e attività agricole - dei detenuti, Castelli ha ribadito: "Sappiamo che questo è il sistema per restituire alla società cittadini che siano in grado di affrontare le difficoltà della società stessa senza necessariamente delinquere. Perché è vero che una certa consistente parte della nostra popolazione penitenziaria sconta deficienze di carattere sociale. Io non credo al detto che la colpa è sempre della società, ma che ci siano persone più sfortunate nei nostri penitenziari è assolutamente vero. Con questi istituti noi li aiutiamo facendo il nostro dovere".

Giustizia: Butti (An); il 30% dei detenuti è in attesa giudizio

 

Agi, 18 gennaio 2006

 

"La vera nefandezza è che il 30% dei detenuti è in attesa di giudizio Quanti di loro potrebbero essere innocenti?". È quanto si è chiesto stasera l’onorevole Alessio Butti (An) intervenendo ad un dibattito televisivo su "Espansione tv" di Como in tema di carceri, amnistia e indulto. Secondo il parlamentare comasco, tra gli altri, vi sono due modi per risolvere il sovraffollamento carcerario: "Far scontare la pena detentiva nei loro Paesi d’origine agli extracomunitari e ridurre i tempi per arrivare al giudizio finale". Butti ha invitato giudici e magistrati "a perdere meno tempo in polemiche a sfondo politico e a prestare più attenzione alle esigenze di chi si trova in carcere con il diritto di vedere dimostrata al più presto la propria eventuale innocenza".

Giustizia: ogni detenuto costa 131 euro al giorno…

 

Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2006

 

Le carceri scoppiano e costano troppo rispetto agli altri Paesi: lo sottolinea il ministro della Giustizia Castelli nella sua relazione al Parlamento. Ieri la prima tornata al Senato, oggi è la volta della Camera. Dalla relazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria emerge che alla data del 30 novembre 2005, a fronte di una capacità di 45.490 posti, erano reclusi 60.483 detenuti, di cui 2.919 donne, 44 con figli al seguito dietro le sbarre. Un aspetto, quello dei bambini detenuti al seguito delle mamme che, sia pur numericamente ridotto, è sconcertante. Sul fronte dei numeri il ministro Castelli ha dichiarato che la rilevazione al 15 gennaio 2006 segnala 59.500 detenuti dietro le sbarre. Fino agli anni ‘90, sottolinea il Guardasigilli, la popolazione penitenziaria è stata tenuta sotto controllo con periodici provvedimenti di amnistia e indulto. "Soluzioni - dice il ministro Castelli - accettate dai cittadini se aventi carattere straordinario, ma non condivise se usate come strumento usuale di governo del fenomeno. Il costante ricorso a provvedimenti di natura clemenziale contraddice alcuni capisaldi dell’esercizio di una giustizia percepita come equa dall’opinione pubblica. Viola il principio della certezza della pena e insinua soprattutto nelle classi sociali più deboli, che sono quelle che pagano il prezzo più alto ai cosiddetti crimini minori, un inaccettabile senso di insicurezza e di abbandono da parte dello Stato".

 

I costi per lo Stato

 

Altissimi i costi delle carceri: ogni detenuto costa allo Stato 131,67 euro al giorno, contro i 63 dollari degli Stati Uniti (poco più di 76 euro). "Lo Stato spende pro capite per la salute dei detenuti - dice Castelli - il doppio che per i cittadini liberi". Il ministro sottolinea che a fronte di un organico di 43mila unità di agenti di polizia penitenziaria, c’è un agente ogni 1,4 detenuti, contro una media europea di un agente ogni 3 detenuti e quella americana di uno ogni 7 reclusi. Il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria è passato da 2.312 milioni di euro del 2000 a 2.807 previsti per il 2006.

 

Un terzo sono stranieri

 

Circa un terzo dei detenuti (20.177), in costante aumento dal 2001 (erano 16.294) sono stranieri, provenienti soprattutto da Marocco, Albania, Tunisia e Romania. Le espulsioni, disposte in base alla legge Fini-Bossi sono state 3.890, di cui 1.038 nel 2004 e 1.161 nel 2003 e hanno interessato soprattutto albanesi, rumeni e sudamericani.

Un trend di crescita quello dei detenuti, che tranne un calo nel 2003, ha registrato un aumento costante dei reclusi, dai 55.275 del 2001, ai 55.670 del 2002, ai 54.237 del 2003, fino ai 56.068 del 2004. Risultano in esecuzione penale esterna 38.270 persone: 19.385 in affidamento in prova al servizio sociale, 5.514 in affidamento in prova tossicodipendenti e alcooldipendenti, 10.661 agli arresti domiciliari e 2.710 in semilibertà. L’emergenza sovraffollamento non è aiutata dalla lentezza dei processi: dietro le sbarre 36.757 condannati, 22.568 imputati, di cui 13.001 in attesa di primo giudizio, 6.777 appellanti e 2.790 ricorrenti. Sono, invece, 1.158 gli internati. Continua ad essere rilevante il mal di carcere: nel 2005 sono stati registrati 53 suicidi dietro le sbarre. Undici quelli che nella prima metà del 2005 sono evasi (18 in tutto il 2004).

 

Edilizia penitenziaria

 

Sul fronte dell’edilizia penitenziaria dal 2001 a oggi sono entrati in funzione alcuni nuovi istituti a Caltagirone, Castelvetrano, Sant’Angelo dei Lombardi, Laureana di Borrello, Perugina, Spinazzola. L’ultimo, inaugurato all’inizio della settimana dal Guardasigilli, è quello di Ancona Barcaglione: ospiterà 180 detenuti con condanne definitive. È in fase di completamento, invece, la nuova casa di reclusione di Reggio Calabria. Dei 25 nuovi istituti programmati per ora ne sono stati finanziati 13. Per fronteggiare il sovraffollamento sono in atto interventi di adeguamento e risanamento delle strutture esistenti: una goccia nel mare del sovraffollamento. Sono state cercate anche vie innovative, sottolinea il ministro Castelli, come lo strumento del leasing e la costruzione di una società, la Dike Aedifica, che potesse impiegare fondi derivanti dalla dismissione di carceri obsoleti.

 

Lavoro e studio dietro le sbarre

 

Per pubblicizzare le attività svolte dai detenuti è stato avviato un progetto di vendita sul web di prodotti artigianali realizzati dietro le sbarre. È stato anche attivato un programma di recupero del patrimonio ambientale in collaborazione con gli enti locali. Siglati una serie di protocolli d’intesa con Comuni e Regioni per dare lavoro ai detenuti. Fra i progetti da segnalare "Argo", dove cani randagi vengono assistiti da 600 detenuti in 45 carceri, e "Un libro, una voce", nel quale mille reclusi in 98 istituti sono impiegati a titolo volontario leggendo e registrando libri in favore di non vedenti, ipovedenti o analfabeti. Sul fronte dell’istruzione, accanto ai corsi di alfabetizzazione e di scuola media inferiore e superiore, sono stati attivati poli universitari a Torino, Alessandria, Prato, Padova, Sassari, Catanzaro, Lecce, Pescara e Reggio Emilia. C’è anche la possibilità di far ricorso alla videoconferenza per gli esami universitari.

Giustizia: Anm; le carceri scoppiano e Castelli è contento

 

Apcom, 18 gennaio 2006

 

La proposta del ministro Roberto Castelli di istituire un "organo indipendente" che sovraintenda all’attività dei giudici non piace all’ex presidente dell’Anm Edmondo Bruti Liberati. Intervistato dal Corriere della Sera, spiega: "Non si capisce nemmeno cosa abbia in mente. Sembra di capire che auspichi dei tribunali speciali, scelta che non ha precedenti e porrebbe a forte rischio l’indipendenza della magistratura. Chi li nomina, il Parlamento? E come, con quali maggioranze?". Per Bruti Liberati "le tensioni tra magistratura e politica sono derivate soprattutto dal fatto che alcuni soggetti, tra cui un imprenditore privato che poi è diventato presidente del Consiglio, sono finiti sotto processo. Tutto nasce da lì, compresa gran parte della legislazione varata da questa maggioranza: dal falso in bilancio, allo scudo fiscale; dalle rogatorie, alla legge Cirami; dal lodo Schifani, alla legge Cirielli". Il ministro, secondo Bruti Liberati, "elude tutti i problemi reali, parla d’altro. L’efficienza del sistema giudiziario continua ad avere grandi difficoltà, le carceri scoppiano, ma lui è contento. Contento lui...".

Livorno: detenuto morto in cella, la parola al giudice

 

Il Manifesto, 18 gennaio 2006

 

Nel 2003 Marcello Lonzi, 29 anni, venne trovato senza vita. Per la famiglia il giovane morì per le conseguenze di un pestaggio. Dal tribunale di Genova non filtra al momento alcuna indiscrezione. Il gip Roberto Fenizia si è preso, infatti, dieci giorni di tempo per valutare se riaprire o archiviare definitivamente la vicenda di Marcello Lonzi, il ragazzo livornese di 29 anni morto l’11 luglio del 2003 nel carcere di Livorno. Bisogna quindi attendere qualche giorno, una settimana, forse, e poi si saprà se esiste la volontà, anche politica, di fare luce sul caso. L’istanza al tribunale di Genova è stata presentata infatti da Maria Ciuffi, la madre di Marcello, grazie alla contro perizia di parte effettuata dal medico legale Marco Salvi. Una relazione che, a differenza dell’esame autoptico eseguito dal medico legale Alessandro Bassi Luciani il giorno dopo il rinvenimento del cadavere, dimostra come le ferite riscontrate sul cadavere di Lonzi non siano compatibili con l’ipotesi di un malore e di una conseguente caduta al suolo, ma piuttosto con una violenta aggressione. L’avvocato Trupiano, il legale di Maria Ciuffi, oltre a produrre la perizia che esclude la possibilità di una morte per cause naturali, ha chiesto spiegazioni sul motivo per cui l’agente penitenziario Nicola Giudice abbia firmato un verbale, il giorno della morte di Lonzi, con il nome di Nicola Nobile (non esiste, nel carcere, alcun agente con questo nome). E non solo: Nicola Nobile, alias Nicola Giudice, secondo gli atti, sarebbe stato in servizio contemporaneamente, nello stesso giorno, alla IV, alla V e alla VI sezione del penitenziario. "Senza contare poi - continua Trupiano - una serie di inadempienze sui soccorsi e le clamorose discordanze di orari". "Sono soddisfatta di questa evoluzione della vicenda - ha detto Maria Ciuffi - peccato non sia possibile mettere agli atti anche un’audio cassetta in cui uno degli addetti al cimitero dove mio figlio fu portato dopo la morte, diceva che erano evidenti sul corpo i segni di manganellate". "Il tempo di questa loro giustizia -commenta lo spazio antagonista Newroz di Pisa - l’abbiamo imparato seguendo le tristi vicende della famiglia di Marcello. Non scorre mai allo stesso ritmo di chi, dall’altra parte, con angoscia, aspetta le decisioni di un giudice come una delle poche ragioni per continuare a vivere, a tirare avanti, cercando di compensare con la solidarietà dei tanti compagni di strada e con un incredibile forza interiore, la perdita di un figlio, massacrato a manganellate e a calci in prigione a 29 anni". Di questa vicenda si è personalmente occupata anche Haidi Giuliani: "Ormai, purtroppo, non sono io che vado a cercare le storie ma sono le storie, quelle terribili, come la morte di Marcello o quella più recente di Federico Aldrovandi, il 18enne di Ferrara, che arrivano da me. Io cerco semplicemente di raccogliere tutte le storie passate di morti senza verità (invito a visitare il sito internet www.reti-invisibili.net). Metto in rete i comitati e le associazioni che ricordano ragazzi uccisi in piazza, come Carlo Giuliani". Secondo l’associazione "Dentro e fuori le mura", un gruppo di lavoro permanente sulle tematiche carcerarie, "Marcello potrebbe essere stato ucciso durante un pestaggio come quelli che sistematicamente sono stati effettuati a Sollicciano nei mesi di ottobre e novembre 2005". "Del resto - dicono gli attivisti dell’associazione - il primo elemento di continuità è rappresentato da Oreste Cacurri, direttore del carcere Le Sughere al tempo della morte di Marcello e direttore di Sollicciano. Un atteggiamento che, se può essere comprensibile da parte della direzione e degli agenti, lo è molto meno da parte di altri soggetti che in carcere entrano quotidianamente, ci riferiamo a medici, infermieri, educatori ed assistenti sociali".

Bologna: sovraffollamento e sporcizia, l’Ausl lancia l’allarme

 

Il Resto del Carlino, 18 gennaio 2006

 

Più passa il tempo, più i problemi nel carcere della Dozza di Bologna, ma anche al minorile del Pratello, peggiorano. Lo storico sovraffollamento, poi, sembra davvero inarrestabile: la Dozza è nata per ospitare 437 persone, ma a fine 2005 c’erano 1.045 detenuti (cioè 608 di troppo); 558 sono i reclusi immigrati (il 53,39%) e 286 i tossicodipendenti (27,36%). In particolare, c’è un’eccedenza di carcerati del 127% nella sezione giudiziaria maschile (557 persone), del 30% in quella penale (23) e del 57% nel "braccio" femminile.

La fotografia della situazione emerge dal secondo rapporto semestrale dell’Ausl di Bologna che certifica come il sovraffollamento delle celle "peggiora ad ogni sopralluogo": le celle di 10 metri quadrati previste per una persona sono "effettivamente occupate da 2-3 detenuti". Questo, dice l’Ausl, "oltre a peggiorare le condizioni di vita e di privacy dei reclusi, fa sì che gli alimenti e le attrezzature di cottura (fornelli a gas) vengano depositati nel bagno con evidenti problemi igienici". Così come precaria è l’igiene delle docce, i cui vani vedono macchie di umidità, distacchi di intonaco per via della scarsa aerazione; un problema già segnalato a giugno. Ora l’Ausl chiede l’installazione di ventilatori.

Anche al Pratello c’è sovraffollamento: 16 detenuti (15 stranieri) contro i 12 ammessi, ma siccome una cella è usata per chi deve restare da solo, le altre tre "sono occupate da 5-6 persone con materassi posti sul pavimento, mancanza di arredi ed il conseguente aggravamento del disagio sia per quanto attiene gli spazi comuni e di relazione che sotto il profilo igienico-sanitario: effetti personali appesi dovunque, precarie le condizioni di ordine e pulizia".

Alla Dozza poi c’è un’area infestata da topi, piccioni e scarafaggi: sono i cortili davanti alla sezione giudiziaria, "da anni ricettacolo di rifiuti di ogni tipo", per lo più alimentari, gettati dai detenuti. "Un grave degrado igienico-ambientale", per l’Ausl, che attira "animali e insetti nocivi".

Nel 2005, poi, alla Dozza ci sono stati 8 casi di sospetta scabbia (un solo focolaio per due persone nel secondo semestre), 3 casi di Tbc (una detenuta si è contagiata da un’altra reclusa); malattie tubercolari sono state riscontrate anche al Pratello. In carcere poi sono rinchiusi anche 24 sieropositivi, un malato di Aids. L’Ausl segnala poi che non sono state eliminate le barriere architettoniche e ci sono una serie di carenze rilevate nel bar e nelle cucine (anche quelle che fanno da mangiare per gli agenti). Al carcere minorile, invece, "l’ora d’aria viene fruita, nelle giornate piovose o d’inverno, nel corridoio posto al piano terreno privo di impianto di riscaldamento e di alcuni vetri alle finestre; nella palestra - si legge nel rapporto Ausl - mancano vetri alle finestre e l’unico servizio igienico è pressoché inutilizzabile". Inoltre, "permane l’impossibilità degli spazi di relazione dovuta ai gradini e corridoi che impediscono il passaggio autonomo di persone disabili o di impedita capacità motoria".

L’Ausl conclude dunque dicendo che la situazione strutturale al Pratello "a seguito dei lavori di ristrutturazione, che peraltro pare si protrarranno per ancora un lungo periodo, risulta peggiorata rispetto all’ispezione precedente in quanto nulla si rileva sia stato fatto per quanto attiene gli aspetti manutentivi dei locali". Inoltre, "è da tenere in debita considerazione la problematica del sovraffollamento delle celle risolvibile, se non strutturalmente, allontanando temporaneamente in altre strutture parte dei detenuti". La cucina è inagibile per ristrutturazione, mentre l’area esterna è inutilizzabile per il cantiere e inoltre non sono possibili attività sportive. L’Ausl segnala problemi pure in lavanderia dove i percorsi di capi sporchi e puliti non sono adeguatamente separati. Promossi, invece, in entrambe le strutture i servizi sanitari, le biblioteche, le sale di culto.

Pisa: Sofri dimesso dall’ospedale, a casa ma non guarito

 

La Repubblica, 18 gennaio 2006

 

Adriano Sofri è stato dimesso dall’ospedale di Pisa ed è già tornato nella sua abitazione di Tavarnuzze, in provincia di Firenze. A casa è arrivato intorno alle 13.30, in auto, accompagnato dal figlio Nicola e dalla moglie Randi. "Mio padre sta relativamente meglio, ma essere tornato a casa non vuol dire che sia guarito; diciamo che la prima fase è passata, ora ha bisogno di rimettersi in forze", ha detto Nicola Sofri. "È molto debilitato - ha aggiunto - Ha ancora un problema ad un polmone e per questo, probabilmente, dovrà essere operato. Ma prima dell’intervento deve rimettersi in forze perché nelle condizioni in cui è ora non può affrontarlo". In questo periodo di "convalescenza", Sofri, ha spiegato Nicola, si sottoporrà a una serie di controlli all’ospedale di Pisa. Questo periodo potrà avere una durata da un minimo di una ventina di giorni ("se già fosse così sarebbe un ripresa velocissima") a una fase più lunga. Alla domanda su quale sia lo stato d’ animo di suo padre, Nicola ha risposto: "Alti e bassi". L’ex leader di Lotta continua, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, era stato ricoverato nella notte fra il 25 e il 26 novembre per forti dolori allo stomaco ed era stato operato all’esofago. La malattia di Sofri aveva riaperto la questione della grazia ma alla fine il ministro della Giustizia Roberto Castelli aveva confermato il suo no al provvedimento di clemenza.

Caserta: detenuti protestano per vitto, igiene e colloqui

 

Caserta Sette, 18 gennaio 2006

 

In un documento fatto pervenire alla stampa i detenuti del carcere sammaritano scrivono: "Noi detenuti della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere informiamo per correttezza la Direzione dell’ istituto, ed i vari organi competenti che : il giorno 15.01.2006 avrà inizio una forma di protesta pacifica a tempo indeterminato volta a migliorare la nostra vivibilità ed i nostri diritti di esseri umani. Non staremo qui a citare leggi per il riconoscimento dei nostri diritti, ci limitiamo solo ad elencare alcune richieste che ci vengono sistematicamente rigettate. La cosa che più di tutte ci addolora è che alle nostre richieste negate non viene data una spiegazione ragionevole, il più delle volte ci sentiamo dire che è la nostra condizione a inibirci la possibilità di operare richieste. Vi elenchiamo, pertanto, alcuni dei motivi per i quali attiveremo questa protesta, che ribadiamo, del tutto pacifica.

1) Diversificare e migliorare la lista dei generi di sopravvitto: riteniamo ingiusto che la direzione ci imponga l’ acquisto di prodotti soprattutto alimentari per i quali non vi è corrispondenza in termini di qualità-prezzo, e persino è limitativa la scelta degli stessi. In particolare per le bevande, chiediamo di poter scegliere tra Uliveto e la Lete. Per i primi piatti,di poter diversificare tra la Barilla, la De Cecco e poter qualche volta assaporare i cannelloni e le lasagne, e in ultimo per la frutta di diversificare tra quella di stagione e quella secca e magari qualche dolce, caramelle.. Quest’ultima richiesta non solo è posta per poter qualche volta addolcire i nostri palati ma anche per poterci presentare dinanzi ai nostri figli o fratelli piccoli con un dolcetto e vederli sorridere.

2) Assicurare l’igiene personale: chiediamo di far coincidere l’accesso alle docce in corrispondenza dei colloqui con i nostri familiari, per poterci in tal modo consentire di avere un aspetto più ordinato dinanzi ai nostri familiari, ma soprattutto dinanzi ai nostri figli;Inoltre di poter usufruire di prodotti igienici almeno commerciali e di qualche profumo pubblicizzato in TV, per avere l’idea di continuare a far parte di una collettività.

3) Assicurare la pulizia dei luoghi: In particolare richiediamo prodotti altamente disinfettanti per poter pulire i sanitari e soprattutto per limitare le possibili infezioni che ne derivano;

4) Prolungare l’orario dei colloqui: soprattutto per i cari che arrivano da lontano e che molte volte sono impossibilitati a presentarsi quella sola volta al mese, riteniamo giusto prolungare l’orario.

5) Diritto alla salute: chiediamo di poter indossare indumenti adeguati alle stagioni; in particolare per l’inverno al fine di non ammalarci di continuo e di non soffrire sempre il freddo, la richiesta di giubbini imbottiti non appare eccessiva nonché quella di richiedere indumenti di lana.

6) Attività di reinserimento: chiediamo di poter impegnare il nostro tempo libero nel praticare dello sport, di poter continuare a perseguire qualche nostra passione come l’arte in tutte le sue manifestazioni; in effetti, oltre alla sala polivalente e del calcetto nei passeggi (a condizione che ci siano i palloni e solo nei giorni feriali), nessun’ altra attività ci è permessa espletare.

7) Sala colloqui: poiché già la nostra condizione ci costringe a vivere i rapporti con i nostri figli in maniera diversa e restrittiva anche sotto il profilo delle affettuosità e dei gesti carini, non vediamo perché negarci la possibilità quando vediamo i nostri bambini di poter dare loro un cioccolatino o una caramella che sebbene sia poco è per noi però il modo di dimostrargli il nostro affetto. A ciò aggiungiamo il disagio dei nostri familiari i quali sono costretti a stare in attesa anche ore prima di poter avere un colloquio con noi, e di essere poi accolti in salette che raggiungono le 50 unità,con dei divisori di oltre un metro da dove diventa difficile anche solo scambiarsi un saluto.

8) Acqua in tetra-pack: da qualche mese ci viene consegnata acqua in tetra-pack non richiudibile, ragion per cui oltre che per un fatto igienico ma anche alla luce dei fatti accaduti di recente chiediamo,la sostituzione di dette confezioni con le normali bottiglie di plastica anche alla luce di una circolare ministeriale che appunto ne consente l’ acquisto.

9) Assistenza medica dovuta: chiediamo maggiore presenza dei medici . Facciamo presente di come le visite mediche non avvengano quasi mai,o al limite tramite sola consultazione della cartella clinica ma mai attraverso esame diretto . In particolare il più delle volte le terapie e la somministrazione dei farmaci viene decisa dagli infermieri e non dal medico.

10) Assenza del dirigente sanitario: le nostre domandine al Dirigente per avere un colloquio sono sempre respinte, diverse sono le domande ma nessuna di esse viene risposta, le poche parole sono sempre le stesse" andare in isolamento".

L’ultima annotazione che ci preme sottolineare è diretta alle istituzioni alle quali rivolgiamo il nostro appello, con la speranza che saremo esauditi nelle nostre richieste. Siamo perfettamente consapevoli che alla fine di questa protesta molti di noi saranno sballottati in altre carceri d’Italia; ma siamo pronti a correre questo rischio pur di veder assicurato il rispetto, la dignità, ed i diritti che a ciascuno spettano come essere umano prima ancora che come detenuto. Nella certezza di un vostro interessamento cogliamo l’occasione per porgervi distinti saluti e ringraziarvi anticipatamente".

Reggio Calabra: appello di ex detenuti della Locride

 

Vita, 18 gennaio 2006

 

Sono in attesa di risposte concrete alcuni ex detenuti di Africo, quasi tutti operai forestali che hanno perduto il posto. Da giorni in stato d’agitazione per chiedere che venga loro garantito un posto di lavoro per poter mantenere le proprie famiglie. Nei giorni scorsi il sindaco del centro jonico reggino, Giuseppe Maviglia, dopo aver ricevuto gli operai ex detenuti, che gli hanno spiegato le ragioni della loro protesta, ha inviato un fax alla Prefettura di Reggio Calabria ed alla Giunta Regionale per segnalare quanto dovuto. "Questo Ente - ha scritto Maviglia nel documento - non è in grado di assorbire tale forza lavoro né di concedere un sussidio, atteso l’asfittico bilancio comunale, anche alla luce dei tagli ai trasferimenti erariali determinati dalle ultime leggi Finanziarie, e non esistendo sul territorio comunale attività produttive". Da qui la richiesta del sindaco di Africo di "un intervento atto a garantire il reinserimento sociale di tali soggetti" che non vogliono certo ricadere negli errori commessi in passato e per i quali hanno scontato il loro debito. "Non posso manco lontanamente pensare - ha commentato coi giornalisti il sindaco Maviglia dopo avere ascoltato gli ex detenuti - che in una società in cui si parla di voglia di riscatto, di legalità, di giustizia, le istituzioni competenti sbattano la porta in faccia a quanti dimostrando di essersi redenti e di voler seguire la strada dell’onesto lavoro. Qui - aggiunge - non solo manca il lavoro normale, ma non si dà la possibilità di favorire a ritrovarlo a chi, con moglie e figli, lo aveva, lo ha perduto ed ora cerca disperatamente di riconquistarlo. Non si possono lasciare in mezzo ad una strada tanti padri di famiglia che paradossalmente non vogliono essere "obbligati" a tornare a sbagliare"

Venezia: Zanon (An); le carceri scoppiano, la Regione si muova

 

Il Gazzettino, 18 gennaio 2006

 

"La commissione Sanità del Consiglio regionale si attivi quanto prima per verificare le condizioni igienico-sanitarie esistenti nelle carceri del Veneto". A chiederlo è il consigliere regionale di Alleanza Nazionale Raffaele Zanon, che aggiunge: "Gli istituti veneti di pena necessitano di interventi urgenti sia per risolvere il problema del sovraffollamento sia per migliorare le spesso disumane condizioni igienico-sanitarie. Non si possono negare gli sforzi compiuti dagli enti locali e dalle istituzioni coinvolte, ma credo che molto si possa ancora fare per dare al carcere quel ruolo che gli è dato dalla normativa, cioè essere luogo di recupero e di riabilitazione per il reinserimento della persona nella società". Zanon sottolinea che gli istituti di pena del Veneto, come conferma la ricerca condotta da Eurispes pubblicata ieri dal "Gazzettino", sono al limite della saturazione. Nei giorni scorsi, però, "Striscia la notizia" ha dimostrato come in Italia esistano decine di strutture carcerarie ultimate e complete di ogni servizio che non sono mai state utilizzate. "Quello delle carceri piene è un problema che non è possibile risolvere, almeno parzialmente, con provvedimenti come l’amnistia o l’indulto, ma che potrebbe essere ridotto se si iniziassero ad utilizzare tutti quegli istituti di pena da decenni lasciati abbandonati a se stessi", sostiene Zanon.

Infine, secondo il consigliere, che sta programmando una visita ai principali istituti di pena del Veneto, "bisogna intervenire per risolvere il problema del sovraffollamento senza però mai dimenticare che il corpo di Polizia penitenziaria svolge spesso i propri compiti con organici inadeguati rispetto alla popolazione carceraria".

Torino: Radicali Buemi e Mellano visitano carcere delle Vallette

 

Comunicato stampa, 18 gennaio 2006

 

L’onorevole Enrico Buemi, membro della commissione giustizia della Camera e presidente del Comitato Carceri del Parlamento italiano, accompagnato da Bruno Mellano, segretario dell’Associazione Radicale "Adelaide Aglietta" e membro del coordinamento regionale provvisorio della Rosa nel Pugno, ha visitato la casa circondariale "Lo Russo e Cutugno" di Torino.

La visita presso la struttura di via Pianezza 300 alla Vallette è stata effettuata sabato 14 gennaio, dalle ore 13 alle ore 14.30; Buemi e Mellano hanno incontrato la vice direttrice Sidoni ed il comandante degli agenti di polizia penitenziaria, Contu, ai quali hanno chiesto una breve fotografia della situazione del carcere.

Sabato erano presenti 1374 detenuti, di cui 1190 uomini e 136 donne (con 5 bambini!), più 48 semiliberi; il 47% sono extracomunitari, circa il 70% sono in attesa di giudizio.

Gli agenti di polizia penitenziaria sono 675, a cui si devono aggiungere 200 agenti delegati al nucleo traduzioni, 40 occupati presso il Prap - provveditorato regionale amministrazione penitenziaria, 91 sono i distacchi, formalmente in carico alla struttura piemontese, ma incaricati ad altri uffici: il personale previsto per le Vallette sarebbe di 1051 unità!

L’onorevole Buemi, anche alla luce di una precisa segnalazione giunta al Presidente della Commissione Giustizia della Camera, Gaetano Pecorella, ed lui personalmente, come Presidente del Comitato Carceri, ha chiesto di visitare in particolare le sezioni di Alta Sicurezza. Buemi e Mellano sono stati quindi accompagnati nella sezioni 1° e 4° dell’AS, che ospitano complessivamente 77 detenuti per reati di associazione mafiosa o connessi al traffico internazionale di droga. Dato l’orario di visita, pochi detenuti erano nella celle, mentre la maggior parte di loro era al passeggio dell’ora d’aria. La delegazione della Rosa nel Pugno è stata quindi accompagnata al cortile interno riservato all’Alta Sicurezza. Qui Buemi e Mellano, interrompendo una appassionata partita di calcio, hanno potuto parlare con una trentina di persone, italiane, albanesi e magrebine.

Alla delegazione che chiedeva notizie sulle reazioni alla vicenda dell’Amnistia, la dottoressa Sidoni ed il Comandante Contu hanno informato Buemi e Mellano che nelle giornate del 6 e del 7 gennaio gran parte delle donne detenute hanno effettuato la rinuncia al vitto della mensa carceraria, come segno di sostegno alla iniziativa di Marco Pannella.

Kenia: due italiani nell’inferno delle galere keniote

 

Corriere della Sera, 18 gennaio 2006

 

"Violenze, angherie, cibo scadente. Umiliazioni e provocazioni, ma anche botte, nessuna assistenza sanitaria e continue richieste di soldi". La denuncia di Estella Dominga Furuli è pesante. Lei è stata arrestata con il marito Angelo Ricci oltre un anno fa, ma l’accusa è stata formalizzata solo pochi giorni prima del processo, cominciato lunedì scorso: traffico di droga. Oltre una tonnellata di cocaina pura. I due rischiano l’ergastolo e intanto giacciono in una galera keniota.

"Prima eravamo in undici in una cella, ora siamo in cinque", racconta Angelo Ricci. "Noi siamo in quattro donne, ma in più ci sono due bambini", gli fa eco Estella. I due detenuti italiani sono stati intervistati al tribunale di Nairobi. Prima dell’udienza sono sceso nella cantina del Palazzo e, grazie alla consistente mancia nelle mani di un secondino, sono stati fatti uscire dalla camera di sicurezza, dove si trovavano assieme a una ventina di detenuti in attesa di giudizio, e portati in un corridoio. Seduti su una scomoda panca hanno raccontato la loro storia. . "Queste celle sono un paradiso, quelle, dove ci hanno sbattuto nelle galere, sono l’inferno", esplodono amareggiati i due.

Non sembrano in cattiva salute. Me li aspettavo molto più magri e emaciati. Vivere per un anno in una galera keniota deve prostrare chiunque. Lui indossa una camicia caki, un paio di jeans e scarpe da tennis rosse; lei un pantalone sahariano, una camicetta con disegni azzurri e ai piedi snickers blu. "Estella è quella che sta peggio - si affretta a spiegare Angelo – io in qualche modo sopravvivo. Una mancia di qua e una mancia di là, riesco a procurarmi un po’ di cibo alternativo a quello che ci danno, una scatoletta di tonno, un pezzo di formaggio. Noi uomini nella Kamithi Prison usiamo i nostri vestiti; loro non possono". Angelo e un po’ restio a raccontare la vita in galera, teme ritorsioni, di perdere quei pochi privilegi che si è conquistato con le mance. Vuole solo ricordare a Pompeo Rocchi, uomo d’affari possessore di partecipazioni in alberghi lussuosi, tra cui il Villa d’Este di Cernobbio, e proprietario della villa dove era stata stivata la droga sequestrata: "Non mi aspettavo che mi abbandonasse così in una putrida galera. Lavoravo per lui e immaginavo che avrebbe fatto qualcosa, che mi avrebbe sostenuto. Invece è sparito".

Estella, al contrario del marito, ha voglia di parlare, raccontare le umiliazioni e le angherie: "È vero, non possiamo usare i nostri vestiti. Ci danno un camicione che da indossare e togliere davanti a tutti. E lì, a guardare, ci sono anche i bambini. Per parlare con le secondine dobbiamo togliere le ciabatte obbligatorie e, a piedi scalzi, stare accucciate per terra. Le regole prevedono che noi dobbiamo sempre essere a un livello più basso di loro e non possiamo guardarle in faccia. Quando abbiamo le mestruazioni chiediamo gli assorbenti, ma loro tardano appositamente a darceli, così sanguiniamo sulle gambe e loro si divertono a prenderci in giro".

Il penitenziario femminile dove hanno sbattuto Estella è il "Langata Prison Women", non lontano dal centro di Nairobi. "Le celle sono fredde e umide. Tre mesi fa ho preso questa maledetta tosse, che non mi passa perché non ci sono medicine - racconta la donna e, presa la scatola di aspirina che le allunga il suo avvocato, John Khaminwa, mostrandola, con la mano tesa in aria, continua -. Vedete? Questa non possiamo tenerla; la dovrò nascondere, ma se me la trovano me la sequestrano. Siamo in 300, ognuna di noi in attesa di giudizio. Siamo stipate assieme: chi ha il tifo, chi la tubercolosi, chi l’aids, chi la sifilide. Tutte nella stessa traballante, disgustosa e ripugnante barca. La vita si svolge così. Possiamo uscire in cortile dalle 6,30 alle 10. Quindi ci rimandano in cella e ci danno da mangiare, un pretesto per fare la conta. Alle 15 ci rimandano in cortile fino alle 17. Da quel momento e fino alla mattina successiva, restiamo rinchiuse.

La nostra stanza di sicurezza sarà si e no sei metri per sei. Siamo in quattro più due bambini. Non c’è bagno e per i nostri bisogni corporali, da espletare anche davanti a loro, lì, in un angolo, ci hanno dato un bidone cilindrico da quattro litri che in origine, conteneva olio o margarina. Ci sediamo su. Ho stampata in testa la marca stampigliata sul fianco: Kasuku". "Non parliamo del mangiare. Uno schifo - e qui la voce di Estella si indigna ancora di più -. A colazione ci danno un pugno di semolino poco cotto e un bicchiere di latte. Il tutto forma una palla nello stomaco e blocca la fame. A pranzo e a cena verdure e un po’ di pane. Non sono lavate, ma piene di insetti che dobbiamo togliere uno per uno. Ogni tanto ci sono i fagioli e tre volte alla settimana un pezzo di carne durissima e immangiabile. In segno di spregio, a Natale ci hanno tolto anche il pane e il latte. Dormiamo su materassi alti si e no tre centimetri: in realtà sono stuoie sporche e macere. Di notte fa freddo (Nairobi si trova a 1500 metri sul livello del mare, n.d.r.) e a disposizione abbiano tre coperte. Sono popolate da insetti strani che non avevo mai visto prima. Quando ci assaltano macerano la carne". "Lavarsi diventa un dramma. C’è un solo lavandino, basso con acqua fredda. Non possiamo possedere niente, quindi dobbiamo usare il sapone comune. Una volta mi hanno trovato dello shampoo che avevo sistemato in una scatoletta di vaselina. Volevano sequestrarmelo, ma alla fine ho convinto quasi in lacrime la guardiana a lasciarmelo. Non c’è assistenza sanitaria. Una mia compagna di cella stava male e solo dopo due anni hanno acconsentito a far entrare un medico: gli ha diagnosticato la tubercolosi. Io avevo un nodulo a seno. Ho dovuto implorare per farmi fare un’ecografia in ospedale".

Ieri in tribunale, quando è entrata una poliziotta nell’aula, Estella si è agitata ed è riuscita a far arrivare un messaggio ai giornalisti: "È lei che in carcere mi ha picchiata senza motivo sulla spalla con il manganello". Prima durante l’intervista aveva raccontato che ogni tanto, apparentemente senza alcun motivo, le poliziotte picchiano le detenute forse per farle star buone e evitare preventivamente proteste. Venerdì ci sarà la sentenza. I due coniugi sono fiduciosi e così non ho osato chiedere cosa faranno se il verdetto sarà per loro negativo. "Chi c’è dietro quella enorme partita di droga sequestrata? Forse qualche politico ben protetto anche da potenti amicizie internazionali? - il dubbio si affaccia nella mente del loro avvocato, John Khaminwa, che di una cosa è certo – I miei clienti sono dentro senza uno straccio di prova". . In attesa di un verdetto che considerano scontato, i due coniugi fanno progetti per il futuro: "Appena usciamo cercheremo di capire perché siamo finiti in cella e chi ci ha fatto fare da capro espiatorio di questa storia. Non la passerà liscia".

 

 

Precedente Home Su Successiva