Rassegna stampa 17 gennaio

 

Ex Cirielli: sciopero Camere penali, è una legge incostituzionale

 

La Repubblica, 17 gennaio 2005

 

"Una legge fuori-legge", "fuori dal nostro sistema costituzionale", ma soprattutto "una resa evidente all’ingiustizia di una giustizia differenziata". Così, "con vivo allarme", definisce la ex Cirielli (quella che modifica i tempi di prescrizione del reato e le norme sulla recidiva) l’avvocato Ettore Randazzo, presidente dell’Unione delle Camere penali, la più importante unione dei penalisti con 8500 iscritti. Proprio contro la ex Cirielli i penalisti hanno indetto tre giorni di sciopero, a partire da domani - fino a mercoledì - con una manifestazione a Firenze alla quale prenderanno parte anche docenti universitari. "Si tratta di una legge che ha avuto una bocciatura multipla - spiega Randazzo - oltre che da parte nostra, dai magistrati, dai direttori delle carceri, dagli studiosi di diritto e dagli agenti di custodia cautelare, e la cui illegittimità costituzionale è evidentissima". L’astensione dalle udienze è stata decisa per denunciare "la devastante gravità di un regresso incompatibile con la nostra civiltà".

Secondo il presidente dell’Unione Camere penali, gran parte dei cittadini "continua a ritenere che questa legge sia soltanto la salva- Previti. A noi non importa se questa legge vada in favore di questo o quel deputato di destra, o di sinistra, a noi interessa soltanto che le leggi siano utili a tutti i cittadini". Secondo la delibera approvata dalla giunta dell’Unione delle Camere penali lo scorso 23 dicembre, saremmo di fronte a "una gravissima regressione del sistema penale nel suo complesso sorretta da una concezione del diritto penale tanto sorpassata nel pensiero giuridico quanto propria dei sistemi autoritari". È la settima volta in quattro anni che l’Unione delle Camere penali chiama gli avvocati ad astenersi dalle udienze e da tutte le attività giudiziarie. Una protesta che, questa volta, potrebbe costringere la Cassazione a rinviare l’udienza del processo Imi-Sir che vede tra gli imputati l’ex ministro e deputato di FI, Cesare Previti, fissata proprio per domani.

Ex Cirielli: scioperano i penalisti e saltano anche processi Vip

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 17 gennaio 2005

 

Aule giudiziarie vuote, processi rinviati: la prima delle tre giornate di sciopero degli avvocati penalisti contro la ex Cirielli, la legge "fuorilegge" che taglia la prescrizione per gli incensurati, ma la allunga per i recidivi, (che vengono anche esclusi dai benefici penitenziari) ha quasi paralizzato la giustizia italiana. L’adesione è stata "piena", esulta Ettore Randazzo presidente dell’Unione delle Camere penali, l’organizzazione che rappresenta 8500 avvocati e che ha proclamato la protesta, la seconda (il primo sciopero è stato il 19 settembre) contro la ex Cirielli. E gli effetti si sono fatti sentire: se la conseguenza destinata a far più rumore è il rinvio del giudizio in Cassazione che vede imputato Cesare Previti per la vicenda Imi-Sir, sono stati tanti i processi minori saltati in tutta Italia. Proprio sugli effetti della protesta scoppia la polemica tra l’Anm e l’Ucpi. Mentre il ministro della Giustizia - che si trincera dietro un no comment- incassa la risposta risentita del leader dei penalisti.

Il caso più clamoroso è quello della udienza Imi-Sir: la Sesta sezione della Cassazione avrebbe dovuto decidere se confermare o meno la sentenza della Corte d’appello di Milano dello scorso luglio che ha condannato Previti a sette anni e l’ex capo dei gip di Roma Renato Squillante a cinque anni. Ma per lo sciopero dei difensori è tutto slittato a data da destinarsi, che, nella migliore delle ipotesi, non potrà essere prima di un mese.

A Roma sono state decine i processi rinviati: tra gli altri quello all’ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Lorenzo Necci e all’ex patron di Parmalat Calisto Tanzi, a giudizio. Nella capitale è saltata anche l’udienza davanti al gip sulla richiesta della procura di processare per omicidio colposo sei persone per i decessi per leucemia riscontrati dal ‘94 al 2000 nelle zone di Cesano e La Storta in relazione alla ubicazione degli impianti di Radio Vaticana e della Marina Militare; se ne riparlerà a febbraio.

Se a Firenze e Palermo, come nel resto d’Italia l’adesione è stata totale (celebrate solo le udienze con detenuti e poche altre, garantite dal codice di autoregolamentazione dei penalisti) nell’aula bunker del capoluogo toscano si è invece tenuta l’udienza del processo che vede tra gli imputati il presidente della regione siciliana Salvatore Cuffaro. I difensori non hanno aderito all’astensione consentendo l’audizione in trasferta del neo-collaboratore di giustizia Francesco Campanella.

Nonostante lo sciopero degli avvocati, una sezione della Corte d’Appello di Torino ha deciso che venissero ugualmente celebrate un paio di cause che, in primo grado, erano state discusse con rito abbreviato. La decisione è stata adottata in base a una pronuncia della Cassazione.

"Sarà il quinto, il decimo... fanno sciopero, prendo atto. Non ho alcun commento da fare": sollecitato dai giornalisti il ministro Castelli liquida così lo sciopero dei penalisti. "Comprendiamo che il ministro ha poco da dire visto che quale soluzione al sovraffollamento delle carceri che deriverà dalla ex Cirielli sta progettando la costruzione di nuove carceri -gli replica da Firenze, dove i penalisti tengono la loro manifestazione nazionale, Randazzo- Invece di attuare il precetto costituzionale della rieducazione del reo e dunque delle sanzioni alternative alla detenzione".

Il sindacato delle toghe dice di condividere con le Camere penali la contrarietà sulla ex Cirielli ma non lo sciopero e parla, a proposito del rinvio del processo a Previti, di "sfortunata coincidenza" che si poteva evitare. "Probabilmente l’Anm ritiene che le uniche astensioni giustificabili siano quelle corporative" risponde Randazzo, che ribadendo l’impermeabilità dei penalisti a "condizionamenti di qualunque tipo", accusa indirettamente il sindacato delle toghe di "improntare le proprie decisioni a scopi politici".

Sciopero dei penalisti: presidente Roetta; no al giustizialismo

 

Il Gazzettino, 17 gennaio 2005

 

Si sono riuniti nell’aula grande al primo piano del tribunale. All’esterno lo striscione di sostegno di "Utopie fattibili", l’associazione di volontariato penitenziario di Vicenza, guidata da Claudio Stella. All’interno la solidarietà anche dei magistrati, con la presenza di Vartan Giacomelli, responsabile della sottosezione cittadina dell’Anm. Una ventina gli avvocati penalisti vicentini, che ieri, accompagnati dal presidente Lino Roetta, hanno partecipato all’assemblea organizzata nel primo dei tre giorni di sciopero indetti a livello nazionale contro la legge "Ex Cirielli" accusata di aver rimodulato la prescrizione inasprendola per i recidivi e accorciandola per gli incensurati. Una protesta pacata nei toni ma durissima nei contenuti. "Si tratta di una legge catastrofica - dichiara Retta - che non condanna in base alla gravità del reato commesso bensì in base alla qualità soggettiva di chi commette il reato. Così dalla giustizia si passa al giustizialismo". "In questo modo - gli fa eco il collega Paolo Mele senior, sollevando anche questioni di anticostituzionalità - si moltiplica l’ingiustizia: con tre oltraggi si finisce in galera, mentre se rubi miliardi resti libero. È una pugnalata alle norme sull’affidamento, sui percorsi alternativi al carcere: si fa carta straccia del recupero, della rieducazione e del reinserimento sociale, internando i detenuti in prigioni che già ora sono sovraffollate". Nemmeno Lucio Zarantonello, presidente dell’ordine degli avvocati va per il sottile: "Siamo al macello della giustizia penale". Seguìto e apprezzato anche il contributo di Vicenzo Balestra, dirigente del Sert dell’Ulss 6: "È la stessa Organizzazione mondiale della sanità a definire la tossicodipendenza come malattia cronica recidiva. La paura della pena non è un sentimento evolutivo tanto più per un drogato che con tale legge verrà punito in maniera pesantissima proprio a causa della sua patologia. È assurdo e profondamente iniquo".

Giustizia: il necessario addio al libero convincimento del giudice

 

Gazzetta del Sud, 17 gennaio 2005

 

Le recenti norme, modificatrici del codice di procedura penale, note come "legge Pecorella", approvate definitivamente dal Parlamento, ma non ancora promulgate e pubblicate, rappresentano, a mio parere, una convincente e valida strategia legislativa per rendere congruente, celere e obiettiva la funzione giudiziaria. Esse segnano, innanzitutto, la soluzione di un antico e tormentato dilemma delle ragioni del decidere, talvolta dibattute fra la debolezza della prova a carico e il "libero convincimento del giudice". Il nuovo art. 533 del codice di procedura penale dispone che la sentenza di condanna possa essere pronunziata se l’imputato risulti colpevole del reato contestatogli non più solo avanti la coscienza del giudice, ma anche "al di là di ogni ragionevole dubbio". Rimane da vedere se aumenteranno le sentenze di assoluzione, ma viene acquisito un più rigoroso criterio di oggettività dalla cui applicazione dovrebbe discendere la eliminazione di tortuose vicende processuali che disorientano la pubblica opinione, specie per i più gravi reati, quando nello stesso procedimento si stratificano, sorprendentemente, decisioni assolutamente antitetiche. Certamente, la funzione giudiziaria perderà un essenziale riferimento ideale senza che venga meno la sostanziale e autentica libertà morale del decidere, diventerà un poco burocratica e, forse, potrà scandalizzare, talvolta, la pubblica opinione, ma questo è il prezzo da pagare inevitabilmente al prudenziale raziocinio, talvolta solo teorico, del principio secondo il quale è preferibile che cento imputati colpevoli siano assolti, piuttosto che un solo innocente venga condannato. Se ne va, tuttavia, un pezzo della nostra civiltà giudiziaria avanti all’incalzare di una globalizzazione che non conosce frontiere neanche concettuali. Il rafforzato punto della oggettività si coglie anche in altri precetti, particolarmente importanti, enunciati nella nuova normativa. Il pm, una volta che abbia esercitato la obbligatoria azione penale e abbia compiutamente addotto le prove raccolte a carico dell’imputato, non potrà più appellare le sentenze di assoluzione pronunziate a conclusione del giudizio di primo grado, ponendo una salutare regola di linearità della complessiva funzione giuridica e ponendo fine ad accanimenti giudiziari che il nuovo codice ancor oggi legittima consentendo che il pm del primo grado del giudizio abbia la facoltà di partecipare anche al giudizio di secondo grado, così anche sottraendo al pm di grado superiore qualunque attività di revisione critica dell’accusa. Altra riforma, la cui conseguenzialità è assolutamente evidente, è quella che impone al pm di chiedere l’archiviazione del procedimento, e non il rinvio a giudizio dell’imputato, quando, come spesso accade nei processi con indagati detenuti, la Corte di cassazione abbia, incidentalmente, statuito con sentenza la insussistenza degli indizi di responsabilità a carico della persona perseguita. Anche su questo piano, l’azione del pm viene ricondotta alla plausibilità e conseguenzialità della complessiva funzione giudiziaria mentre sin qui, in moltissimi casi, si è dovuto registrare il dissonante rinvio a giudizio dell’imputato del quale la Cassazione aveva già affermato la non dimostrata colpevolezza. Infine, viene restituita alla ragionevolezza e alla sostantiva processualità la cognizione della Corte di cassazione quando l’imputato o il pm deducano, a sostegno del ricorso, la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della sentenza impugnata. Nella riforma del 1989, innovando rispetto al regime previgente e allo scopo, di basso profilo, di ridurre il carico della Corte suprema, era stato infatti previsto che i vizi motivazionali della sentenza potessero essere dedotti unicamente "dal testo del provvedimento impugnato". In tal modo il magistero della Cassazione era risultato monco e limitatissimo e per rigettare o dichiarare inammissibile un ricorso era sufficiente l’aspetto letterale, esteriore e formale del provvedimento impugnato, prescindendo del tutto dai risultati probatori, sino a consentire, senza riparo, nei casi estremi, che potessero rimanere senza critiche gravi e decisivi vizi del decidere, quali il travisamento del fatto o la mancata valutazione delle prove, anche di quelle a carico. Con le nuove norme, il giudizio avanti la Cassazione consentirà, sia pure nell’ambito della legittimità, un più convincente esame della sentenza impugnata, della quale quindi potrà essere verificata la effettiva corrispondenza rispetto alle risultanze probatorie e alle deduzioni delle parti. È innegabile che quest’ultima riforma imporrà alla Cassazione un maggior impegno nel decidere, ma è dubbio che aumenterà il numero dei ricorsi che oggi, proposti quasi sistematicamente avverso tutte le sentenze di condanna, vengono in larga misura respinti, o ancor più spesso dichiarati inammissibili, da una Sezione, la VII, creata ad hoc, solo in conseguenza di un esame letterale e formale della sentenza impugnata. Le quattro fondamentali innovazioni così introdotte dalla riforma appaiono, quindi, non solo convincenti, ma anche strettamente funzionali al conseguimento dell’obiettivo del "giusto processo" rispetto al quale, tuttavia, siamo ancor oggi, e non di poco, discosti. Infatti, a fronte del solenne enunciato dell’art. 111 della Costituzione, come integrato dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999, rimangono ancora oggi irrealizzati gli obiettivi del "giudice terzo" e dell’esercizio del diritto alla difesa sin dal nascere delle indagini. Occorrerà attendere che venga attuata la separazione delle carriere, e non solo delle funzioni, tra pm e giudici e che il segreto istruttorio, sin qui incondizionatamente gestito dalla Procura, venga limitato nel breve periodo e in particolari oggetti, secondo attendibili valutazioni precauzionali a tutela delle indagini, così consentendo alla persona indagata di intervenire al più presto possibile, senza dover attendere la consueta notizia giornalistica del procedimento a suo carico a indagini concluse. Anche per queste ragioni gli avvocati penalisti italiani stanno astenendosi dalle udienze in questi giorni.

Amnistia: Castelli; capitolo chiuso, pensiamo a nuovo codice penale

 

Ansa, 17 gennaio 2005

 

"Preso atto della bocciatura da parte del Parlamento dell’ipotesi di amnistia o indulto, credo che questo argomento sia ormai archiviato, almeno per qualche tempo. Il nuovo codice penale, che depenalizza una serie di reati minori, da mesi è all’esame del preconsiglio dei ministri e spero possa essere portato in Consiglio il più rapidamente possibile. Sono ipotesi che possono essere portate avanti per decongestionare i penitenziari". Lo afferma il ministro della Giustizia Roberto Castelli che però, immediatamente precisa: "tenendo come stella polare l’esigenza di giustizia che i cittadini hanno e soprattutto l’esigenza di sicurezza. Non si può risolvere questo problema scaricandolo sui cittadini e semplicemente aprendo i penitenziari. Purtroppo c’è il problema dell’immigrazione clandestina che, è un dato statistico incontrovertibile, alimenta la criminalità, soprattutto quella che in modo sbagliato viene definita minore e che invece è quella che vessa i cittadini indifesi".

Giustizia: in 15 anni tagli del 70% dei finanziamenti per le carceri

 

L’Arena di Verona, 17 gennaio 2005

 

"Un gruppo di lavoro politico che si rapporti con i carcerati, per capire le esigenze dei detenuti e le difficoltà in cui vivono". Lo propone il capogruppo dei Verdi-sole in consiglio comunale Giorgio Bertani che ha criticato "il no alla clemenza", che ha visto lo scorso 12 gennaio "la bocciatura da parte della Camera delle norme sull’amnistia e l’indulto a favore della popolazione carceraria italiana". Bertani ha voluto così dare solidarietà ai carcerati dopo il no all’amnistia, ma anche al personale che in quella situazione di sovraffollamento lavora.

Ieri intanto sono stati resi noti i risultati della ricerca condotta da Eurispes Veneto, in cui emerge che la popolazione carceraria è aumentata del doppio in dieci anni, ma in quindici anni i vari governi che si sono succeduti hanno tagliato del 70% i fondi agli istituti penitenziari. In Veneto da due mesi è stato superato anche il limite di tollerabilità. Lo hanno sottolineato il presidente di Eurispes Veneto, avvocato Francesco Stilo, e il direttore scientifico Stefano Froio.

Nei dieci istituti di pena del Veneto, sono reclusi 2858 detenuti (2647 uomini e 211 donne, il 7,4% del totale), ma la capienza regolamentare sarebbe di soli 1782 soggetti. Nel dettaglio nei due carceri di Padova si ospitano 980 detenuti su una capienza di 544 unità, al Santa Maria Maggiore di Venezia ci sono 209 detenuti con una capienza di 111 unità, a Vicenza ci sono 269 unità con una capienza di 136 a Belluno 102 su 87, a Treviso 262 su 128 unità. Il carcere di Verona ospita 748 detenuti con una disponibilità di 564, e Rovigo 108 con una disponibilità di 66. Raramente si è rispettata la capienza regolamentare, da due mesi a questa parte si è sforato addirittura il limite di tollerabilità pari a 2.728 detenuti su scala regionale. I dati sono aggiornati al 30 novembre 2005 e sono una elaborazione Eurispes su dati del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

"Nel carcere circondariale di Montorio ci sono oltre 700 detenuti e il personale addetto alla loro vigilanza", spiega Bertani, "che vivono in una quotidiana condizione di difficoltà, sia per la carenza d’organico che per il sovraffollamento della struttura. La commissione consiliare rivolta al sociale deve impegnarsi di più su questo fronte", continua, "il carcere è una realtà dimenticata, che politica e società tendono ad ignorare". Sul tema "Liberare la pena-il carcere di Verona interpella la comunità cristiana" si parlerà a Verona il prossimo sabato 21 gennaio, a partire dalle 9.30, al teatro Santissima Trinità. Il convegno è stato organizzato da Caritas Diocesana di Verona, Telepace, società San Vincenzo de Paoli, associazione don Tonino Bello e associazione La Fraternità.

"Un momento d’incontro importante, che può aiutare a sensibilizzare amministrazioni pubbliche, organizzazioni politiche, associazioni e cittadini veronesi sulla realtà del carcere e le condizioni dei detenuti", conclude Bertani.

Ancona: carcere inaugurato dopo 27 anni di scandali e ritardi

 

Il Messaggero, 17 gennaio 2005

 

UN cantiere infinito, costretto ad arrancare tra errori progettuali, scandali e ritardi "top secret" trattandosi di una prigione. Oggi, dopo 27 anni di attesa e con una cerimonia a cui parteciperà il ministro della Giustizia Roberto Castelli, Ancona avrà il suo secondo carcere: il penitenziario di Barcaglione, gemello di quello di Montacuto su cui pende l’onta dell’evasione (1989) di tre tunisini che bucarono le pareti della cella con rudimentali attrezzi da scavo.

Già allora la casa di reclusione del Barcaglione era "nata" male. Progettata come prigione minorile, ci si accorse che con la sua selva di pilastri di cemento armato da cui si sarebbero potute ricavare solo celle minuscole, mal si adattava alle esigenze dei detenuti al di sotto dei 18 anni, che la Giustizia cerca di recuperare anche con attività associative e didattiche che hanno bisogno di grandi spazi. Proprio mentre si pensava di riconvertire l’edificio, ecco scoppiare lo scandalo dei "carceri di burro". Il buco scavato dai tre tunisini a Montacuto permisero di accertare che la prigione era stata realizzata con mattoni forati anziché pieni. I magistrati decisero di dare un’occhiata anche tra le ruspe e le gru del Barcaglione e, riscontrando l’impiego degli stessi materiali di costruzione, decisero di sequestrare lo "scheletro" del penitenziario. Poi il lentissimo progredire di un vero e proprio cantiere lumaca. Il 17 marzo 2004 lo stesso ministro Castelli annunciò la prossima inaugurazione della prigione. Sembrava affare di giorni, al massimo due o tre mesi, mentre il deputato diessino Eugenio Duca parlava di 600mila euro l’anno per la sola vigilanza esterna del cantiere (i carceri vengono sempre collocati tra gli obiettivi sensibili). Ufficialmente non si è mai saputa la ragione di queste lungaggini. Nel giugno 2005 l’Osapp, organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, parlò di problemi di stabilità del fabbricato in quanto costruito su una faglia. Anche questo un allarme caduto nel vuoto. Oggi finalmente l’inaugurazione dell’opera che potrebbe decongestionare l’affollatissimo sistema carcerario marchigiano.

Rovigo: slitta l’appalto per la costruzione del nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 17 gennaio 2005

 

Slittano i tempi per la gara d’appalto del nuovo carcere di Rovigo. A dispetto delle previsioni ottimistiche del sindaco, Paolo Avezzù, occorrerà attendere ancora qualche mese prima di poter pubblicare il bando. La notizia arriva direttamente dagli uffici del Magistrato delle acque di Venezia, dopo l’esame del progetto definitivo, confezionato dalle società Planarch e Svei, da parte del consiglio superiore dei lavori pubblici e l’emissione di nuove prescrizioni. "Ritengo che per l’appalto ci vorrà ancora qualche mese - eccepisce il dirigente del Magistrato delle acque, Ivano Santin, raggiunto telefonicamente - il progetto definitivo è stato esaminato a Roma dal consiglio superiore dei lavori pubblici, che ha dato delle prescrizioni che successivamente, dal ministero, verranno trasmesse qui a Venezia. Solo dopo l’adeguamento alle prescrizioni si potrà redigere il progetto esecutivo. Il 28 novembre abbiamo già fatto una prima conferenza dei servizi. La prossima sarà a febbraio". In quella sede dovranno essere acquisiti i pareri che sbloccheranno la situazione.

Il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici è un atto ineluttabile, trattandosi di un appalto che gode di un finanziamento ministeriale superiore ai 25 milioni di euro. L’opera si compone di due stralci: "Il primo - spiega il dirigente - non dovrebbe superare i 26 milioni, che è poi l’importo del finanziamento attualmente concesso. Complessivamente dovrebbe costare intorno ai 42 milioni". Particolare anche la procedura di gara che, trattandosi di un carcere, dovrebbe seguire delle regole ad hoc: "In questi casi - conclude Santin - si tratta di opere secretate. Pertanto, le ditte che vorranno partecipare dovranno essere in possesso del Nos, il nulla osta segretezza".

Quella che prenderà il posto del penitenziario di via Verdi non sarà in ogni caso una struttura di massima sicurezza, come chiarito da tempo. Si tratterà di un carcere da 200 posti per soli detenuti maschi, con annessi altri 150 alloggi per gli addetti di polizia penitenziaria. Serviranno due anni per la costruzione e due per gli allestimenti interni ed esterni. L’opera sorgerà tra via Calatafimi e la tangenziale. Si estenderà su un’area di 26mila metri quadrati per una cubatura di 88mila metri cubi.

Roma: protesi dentarie gratuite per 67 detenuti di Rebibbia

 

Redattore Sociale, 17 gennaio 2005

 

Nuove protesi dentarie gratuite i detenuti del carcere romano di Rebibbia. Lo garantisce un Protocollo d’intesa firmato dal Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, dal Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ziccone e dal Direttore generale dell’Agenzia di Sanità Pubblica Franco Splendori. Oltre 200 detenuti di Rebibbia si sono sottoposti allo screening per selezionare i soggetti bisognosi di cure; 67 quelli selezionati che saranno forniti, nei prossimi mesi, di protesi. La fase successiva prevede la realizzazione e l’impianto della protesi e il controllo a distanza con visite di controllo dopo uno e 6 mesi dall’impianto. Il progetto era rivolto ai reclusi di tutte le età, con pena residua non inferiore a 7 mesi al momento della prima visita, cui mancano almeno 6 denti tra canini e incisivi, presentano una insufficienza masticatoria per assenza di due coppie di molari o tre coppie tra molari e premolari, e con protesi vecchie da rifare. "Le malattie del cavo orale e le malattie cardiologiche, sono quelle che colpiscono di più i detenuti - ha detto il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni -. Migliorare la qualità della vita dei esclusi attraverso questo Protocollo è un passo importante nell’attuazione del D.lgs 230/1999, che sancisce il diritto dei detenuti all’erogazione di prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, efficaci e appropriate. Con questo atto intendiamo ribadire che la salute è uno dei diritti principali dei detenuti che, a maggior ragione, non si perde una volta entrati in carcere". "Le malattie del cavo orale, associate alla scarsa igiene dentale e ad una alimentazione non corretta, a stili di vita non salutari e alla presenza di malattie infettive e croniche, influenzano la qualità della vita della popolazione detenuta", ha aggiunto il direttore generale dell’Asp Franco Splendori commentando la firma del Protocollo.

Il Sappe replica a Castelli: organici polizia penitenziaria carenti

 

Comunicato stampa, 17 gennaio 2005

 

"Non so davvero come commentare le dichiarazioni odierne del Ministro della Giustizia Castelli ad Ancona. Non si può continuare a sostenere, come ha fatto oggi ad Ancona, che gli organici attuali della Polizia Penitenziaria sono sufficienti. La situazione penitenziaria nazionale risente, da sempre, di due problemi endemici: il sovraffollamento di detenuti e la carenza di personale di Polizia penitenziaria e del Comparto Ministeri. Castelli non può però pensare che il problema carcerario si risolve solamente aprendo nuovi carceri. Bisogna prima assumere le persone da mettere a lavorare in questi nuovi carceri, persona di Polizia Penitenziaria e del Comparto Ministeri (educatori, ragionieri, impiegati, medici, infermieri) altrimenti ci prendiamo in giro, a discapito della sicurezza sociale".

Lo afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il più rappresentativo della categoria, in replica alle affermazioni odierne del ministro della Giustizia Roberto Castelli all’inaugurazione del nuovo carcere a Ancona.

"Non si può fare sicurezza e non si possono aprire nuovi carceri - aggiunge il Sappe - senza avere le donne e gli uomini a disposizione. E lo dimostra proprio il nuovo carcere di Ancona, che oggi ospita solo 8 detenuti perché non si ha il Personale sufficiente a rendere pienamente funzionale il penitenziario. E il Governo Berlusconi si è dimenticato della Polizia Penitenziaria e del sistema carcere nella Finanziaria 2006 e la maggioranza di centro-destra che lo sostiene in Parlamento, nonostante l’attuale disastroso sistema penitenziario italiano, ha sponsorizzato una legge (la ex Cirielli) che incrementerà ulteriormente la già vertiginosa cifra dei 60.000 detenuti attuali (sono previsti 4.000 detenuti in più alla fine del prossimo anno e saranno oltre 70.000 nel 2008) ed ha lasciato a casa più di 500 agenti che avevano terminato il servizio di leva e avrebbero dovuto essere confermati in servizio con una deroga nella Finanziaria."

"Per cui sarebbe stato opportuno" auspica ancora il Sindacato più rappresentativo della Categoria "che il Ministro Castelli avesse affrontato, per tempo e seriamente, le priorità della Polizia Penitenziaria. Ad esempio senza dare la sua delega per i problemi penitenziari al Sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, che ricorderemo per le promesse fatte, gli impegni assunti e lo zero assoluto ottenuto!"

Conclude il Sappe: "Non può, Castelli, continuare a sostenere che gli organici attuali della Polizia Penitenziaria sono adeguati ricorrendo a formulette algebriche! Ridurre il rapporto Polizia Penitenziaria - popolazione detenuti ad una semplice proporzione matematica è profondamente sbagliato perché nel nostro Paese, per fortuna, quel rapporto non si riduce esclusivamente ad aprire e chiudere le celle. Le norme dell’Ordinamento penitenziario italiano sono state infatti riconosciute nel mondo tra quelle più all’avanguardia principalmente per gli aspetti e le attività connesse al trattamento rieducativo del detenuto (ore di socialità in aggiunta alle ore d’aria, attività scolastiche e lavorative all’interno dei penitenziari, etc). In queste attività è fondamentale il ruolo degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria sia per quanto concerne il mantenimento dell’ordine, della disciplina e della sicurezza nei carceri del Paese sia come operatori del trattamento rieducativo. Non è azzardato affermare che non è possibile trovare nei carceri degli altri Paesi del mondo un personale di custodia così specializzato come quello appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria italiano. Si tratta di donne e uomini, quelli col Basco Azzurro, estremamente specializzati, che al compito di sorveglianza dei detenuti nelle sezioni detentive associano le funzioni e specializzazioni di Polizia Giudiziaria e Stradale, che ha un proprio Servizio Navale estremamente attivo ed efficiente, che ha propri nuclei di unità cinofile, che ha al suo interno il Gruppo Operativo Mobile (Gom) specializzato nella custodia di detenuti ad elevato indice di pericolosità e appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che dispone di tiratori scelti, armaioli e artificieri. Non si può non tenere in conto il fatto che unità di Polizia Penitenziaria, proprio per l’alta professionalità che viene riconosciuta al Corpo, siano state e sono in missione all’estero per conto delle Nazioni Unite per la ricostruzione delle strutture e del sistema penitenziario in Kosovo, Albania, Iraq e Afghanistan Vi sono poi migliaia di donne e uomini della Penitenziaria che prestano servizio presso gli uffici degli istituti e servizi dell’Amministrazione (tra cui anche il ministero della Giustizia di via Arenula e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di Roma) che forniscono un apporto fondamentale alla funzionalità di queste importanti strutture anche in considerazione della carenza di figure professionali del personale del Comparto Ministeri. Diverse migliaia sono anche i poliziotti penitenziari impegnati quotidianamente nel servizio di traduzione (trasporto) di detenuti presso altri istituti penitenziari ed aule di giustizia e di piantonamento dei carcerati ricoverati presso ospedali civili, compiti presi in "eredità" dall’Arma dei Carabinieri (che destinata stabilmnente a questo esclusivo servizio 6.000 militari) nel 1996 senza alcun aumento d’organico per la Penitenziaria. Un migliaio sono anche i poliziotti impegnati nelle strutture penitenziarie minorile ed altrettanti quelli che in tutta Italia svolgono servizio di scorta e tutela di magistrati, direttori penitenziari e funzionari del Ministero della Giustizia. "

Amnistia: Testa (Radicali); da Fini una reazione ipocrita

 

Agi, 17 gennaio 2005

 

"I detenuti sono da tempo ben consapevoli dell’incoscienza di questo Parlamento,e non si saranno meravigliati affatto delle posizioni sulla clemenza prese da partiti che hanno approvato leggi come la Ex-Cirielli o ne propongono altre come il DDL Fini, che destinerà tanti ragazzi ai ferri di una giustizia all’ingrosso". È quanto afferma Irene Testa, segretario dell’Associazione Radicale ‘il Detenuto Ignotò e membro della Giunta Nazionale di Radicali Italiani. La Testa risponde in particolare alle affermazioni del vicepresidente del Consiglio, che nel corso della sua relazione all’assemblea nazionale di An ha ribadito che non sussistono le condizioni per un provvedimento di clemenza e anzi ha aggiunto che sull’amnistia, alla quale nessuno pensava realmente di poter arrivare, si è giocato un tentativo di lucrare vantaggi elettorali. "La contrarietà sui provvedimenti di amnistia e indulto da parte di AN e Lega - afferma Testa - non era sicuramente dovuta a una realistica previsione dell’effettivo sostegno parlamentare all’approvazione, come ora si vuole ipocritamente far credere, ma alla cultura demagogica e forcaiola di questa parte politica. Nonostante la perdita di un’occasione importante, la cui riuscita è stata sabotata ad arte in Parlamento da un’alleanza trasversale di matrice giustizialista, i detenuti, che in realtà non si sono mai illusi sull’approvazione di un atto di clemenza da parte di questa classe politica, né sulla sua capacità di esprimere atti di buon governo, considerano già una piccola,incompleta vittoria l’essere riusciti finalmente a oltrepassare il muro dell’indifferenza istituzionale e culturale, essere riusciti per la prima volta a far intendere la propria voce.

Amnistia: Fassino; gesto di clemenza, ma anche nuove carceri

 

Adnkronos, 17 gennaio 2005

 

Sì ad un provvedimento di clemenza, ma accompagnato anche da un piano straordinario per costruire nuove carceri. Lo ha sottolineato il segretario dei Ds Piero Fassino, chiudendo il convegno giustizia uguale per tutti. "In questi giorni - ha sottolineato - c’è stata una discussione confusa e strumentale sulla questione dell’amnistia e dell’indulto e proprio la sua confusione e la sua strumentalità è quello che ci ha portato a sottrarci dal prendere decisioni affrettate e probabilmente anche molto approssimative". "Ma noi siamo per affrontare seriamente il problema di un provvedimento di clemenza, sia sotto la forma dell’amnistia che sotto la forma dell’indulto, assumendolo in modo meno caotico di come lo si voleva fare in termini strumentali in queste settimane, verificando in modo molto preciso quali siano i reati che debbano essere esclusi, garantendo una verifica chiara sulla popolazione destinataria del provvedimento", per evitare che sia percepito dai cittadini "come un attentato alla sicurezza. Però nel momento in cui assumiamo quel provvedimento - ha concluso Fassino - o siamo consapevoli che dobbiamo presentare al Parlamento un piano straordinario per affrontare l’emergenza penitenziaria anche sotto il profilo strutturale, o nel giro di pochi anni ci ritroveremo, come è accaduto sempre, una situazione che, rimanendo critica, ci propone periodicamente di affrontare il problema del sovraffollamento".

Palermo: l’arte tessile rinasce nel minorile di Malaspina

 

Ansa, 17 gennaio 2005

 

L’arte della tessitura ha rappresentato per la Sicilia non solo un’importante attività ma anche un elemento di forte connotazione culturale. Ma è una tradizione che rischia di essere travolta dalla produzione industriale e dall’invasione dei manufatti cinesi a basso costo. Per salvare un patrimonio culturale conosciuto e apprezzato l’arte tessile varcherà il carcere minorile di Palermo. E proprio lì, nei laboratori dell’istituto "Malaspina" chiamato a svolgere compiti di recupero per tanti ragazzi disagiati, saranno impiantati telai, macchine e rocchetti: lo stretto necessario per un’attività che avrà, inevitabilmente, un carattere artigianale. La rinascita dell’arte tessile tra le mura di un carcere è uno degli obiettivi del progetto "Intreccio" di cui si è fatto promotore il centro regionale per il restauro diretto da Guido Meli, in collaborazione con il dipartimento regionale della pubblica istruzione. Il progetto-pilota nel carcere minorile è una delle tante iniziative che il centro ha avviato sull’arte tessile. Il primo appuntamento è previsto per il 20 gennaio quando si svolgerà, a palazzo Montalbo, una giornata di studio. Con il coordinamento di Carmen Lasorella sono previsti interventi di esperti e studiosi tra cui Angela Lombardo (una delle curatrice del progetto) e Carlo Sisi, direttore del museo del costume di Palazzo Pitti. Nel salone delle feste di palazzo Montalbo sarà allestito anche un percorso espositivo che dalla produzione ed esportazione della seta si estenderà all’attività delle produzioni industriali della Real fabbrica, fino ad arrivare alle imprese Florio e Gulì. La tradizione tessile siciliana, cominciata molti secoli fa, è nata tra le mani casalinghe che lavoravano per il "corredo" ma ha assunto le dimensioni di un’industria manifatturiera quando ha orientato la sua produzione verso un mercato ricco e fiorente: quello dell’aristocrazia e del clero.

Amnistia: Manconi; Unione disinteressata a diritti e libertà

 

Ansa, 17 gennaio 2005

 

"Il centrosinistra è disinteressato ai diritti e alle liberta"‘. Lo sostengono Luigi Manconi e Andrea Boraschi, rispettivamente presidente e direttore di "A Buon Diritto" dopo il no del Parlamento all’amnistia. "Ci voleva tutta l’intelligenza tattica e strategica (e non solo) dei massimi cervelloni dell’Unione per ottenere il fantastico risultato sancito ieri dalla Camera dei Deputati in materia di amnistia e indulto - affermano -. Un risultato che va ben oltre le più ottimistiche aspettative di quell’acuminato giureconsulto che è Roberto Castelli e di quei due giganti del pensiero liberale che sono Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri". Un risultato, proseguono, "che comunica un’idea autoritaria e afflittiva, punitiva e intollerante della giustizia". E così, concludono, "a pochi mesi dalle elezioni, il centrosinistra si presenta come una coalizione poco o nulla interessata alle libertà e ai diritti, alle garanzie e al senso di umanità. Un fantastico risultato davvero".

Usa: 76 anni, cieco e paralitico, è stato messo a morte

 

Tg Com, 17 gennaio 2005

 

A San Quintino è il boia non si ferma: a circa un mese dall’esecuzione di Stanley Tookie Williams, quasi premio Nobel, un’altra pena capitale ha fatto discutere. L’indiano Cherokee Clarence Ray Allen, 76 anni, ha ricevuto l’iniezione letale sulla sua sedia a rotelle. La Corte Suprema e il governatore Schwarzenegger gli hanno negato nonostante sia paralizzato, diabetico e cieco. Un "dead man walking" molto particolare Allen che è il primo condannato a morire negli Usa nel 2006, ma anche uno dei più anziani nella storia americana. Da quando esistono le statistiche sulla pena capitale, solo John Nixon, messo a morte il mese scorso a 77 anni in Mississippi, risulta essere stato più vecchio di Allen. Il lugubre rituale del giorno che precede l’esecuzione, quando la prigione della California per legge viene messa in stato d’emergenza e i detenuti non possono ricevere visite (con l’eccezione del condannato che sta per morire), ha fatto da sfondo al compleanno di Allen. Uno dopo l’altro, i giudici federali e il governatore Arnold Schwarzenegger hanno respinto i suoi appelli. L’età avanzata e le condizioni precarie dell’indiano, vittima di un attacco cardiaco a settembre e reso cieco e quasi sordo dalle conseguenze del diabete, non sono serviti come argomenti nei ricorsi dell’ultima ora dei suoi legali. L’America negli ultimi anni ha deciso, attraverso sentenze della Corte Suprema, che è vietato uccidere minorati mentali e chi ha commesso delitti da minorenne. Ma se c’è un’età minima per morire, al momento non ne esiste una massima. Anzi, secondo i giudici della Corte d’appello di San Francisco che hanno esaminato il caso Allen, "la sua età e la sua esperienza hanno solo reso più acuta la sua abilità di calcolare a freddo ogni passaggio dell’esecuzione dei suoi crimini".

 

"Fece uccidere chi lo accusava"

 

Figlio di indiani Cherokee e Choctaw, Allen ha un passato che difficilmente può muovere a compassione. Nel 1980, mentre ormai già cinquantenne stava scontando un ergastolo per un delitto, secondo l’accusa ordinò di uccidere il testimone che lo aveva incastrato al processo, Bryon Schletewitz, 27 anni. Il sicario assoldato da Allen, il suo ex compagno di detenzione Billy Ray Hamilton, per far fuori Schletewitz senza lasciare testimoni uccise anche due dipendenti dell’uomo, un ragazzo di 18 anni e una ragazzina di 17. Hamilton è ora a sua volta nel braccio della morte a San Quintino. A San Quintino la vigilia dell’esecuzione è stata accompagnata da manifestazioni di protesta, sia pure di portata minore di quelle che hanno preceduto la morte di Williams. Alcune centinaia di persone erano attese fuori dal carcere per una veglia notturna nelle ore prima dell’iniezione letale. Nel fine settimana, capi tribù Cherokee e Choctaw hanno svolto riti di purificazione all’esterno del carcere e Allen ha chiesto loro che benedicano i membri della sua famiglia.

 

 

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