Repressione e mediazione

 

Repressione e mediazione nella società contemporanea

Una risposta efficace per l’autore e la vittima del reato

di Massimiliano Mancini (Università La Sapienza di Roma)

 

I modelli penali - la pretesa punitiva dello Stato ed il danno conseguente al reato subito dalla vittima e dalla società, in un percorso storico analizzato con i criteri dell’efficacia e della deterrenza. L’indulto ha riaperto un dibattito, mai sopito, tra clemenza e fermezza, tra vendetta e punizione, nell’ambito del sistema penale e giudiziario del nostro paese.

In questo contesto non si può prescindere dall’analisi dei modelli penali e dei principi ai quali si ispirano, attraverso una rivisitazione storica che tenga conto anche dei criteri di efficacia e deterrenza.

Tematiche come l’indulto e l’amnistia, l’applicazione delle misure alternative al carcere piuttosto che l’applicazione di sistemi premianti per i detenuti che si distinguano per la buona condotta, l’inasprimento delle sanzioni penali, la depenalizzazione, l’applicazione di un sistema penale non necessariamente detentivo, sono argomentazioni che, molto frequentemente, sono affrontate in maniera contraddittoria o frammentaria, poiché si perde di vista un disegno complessivo ed un sistema di valori organizzato ai quali, prescindendo dalla condivisione o meno, è necessario fare riferimento per una chiara e coerente azione politica ed amministrativa, sia da parte della maggioranza che dell’opposizione.

Vogliamo quindi soffermarci ad una valutazione tecnica giuridica dei principali modelli penali, anche per analizzare la loro applicazione negli ultimi provvedimenti legislativi, prescindendo dalla valutazione del merito politico.

 

L’evoluzione del sistema sanzionatorio penale

 

I sistemi penali si evolvono concordemente ai sistemi di valori di una civiltà ed ai principi etici. Nella nostra nazione è avvenuta un’evoluzione quantitativa e qualitativa del sistema penale.

Da una concezione che puniva con sanzioni penali ogni violazione alle norme giuridiche, anche le infrazioni al codice della strada, abbiamo infatti oggi un sistema fortemente spostato verso la sanzione amministrativa.

Sino agli anni ‘50, infatti, la sanzione tipica dell’illecito di diritto pubblico era esclusivamente la sanzione penale, con tutto il carico procedurale e la sproporzione tra violazione e punizione che spesso comportava.

Sulla fine degli anni ‘60, in un diffuso clima di riformismo che pervade la società civile, inizia il processo di depenalizzazione con la legge 3 maggio 1967 n.317 "Modificazioni al sistema sanzionatorio delle norme in tema di circolazione stradale e delle norme dei regolamenti locali". Da questo intervento, finalmente, le violazioni al codice della strada ed ai regolamenti locali, a cominciare da quelli comunali, non sono più sanzionati con la multa o l’ammenda e, in alcuni casi addirittura con l’arresto.

A distanza di quasi dieci anni il processo di depenalizzazione prosegue con la legge 24 dicembre 1975 n. 706 "Sistema sanzionatorio delle norme che prevedono contravvenzioni punibili con l’ammenda". Tuttavia il punto di svolta nel processo di depenalizzazione è rappresentato dalla legge 24 novembre 1981 n. 689 "Modifiche al sistema penale".

Innanzitutto con questa riforma si è operato una generale depenalizzazione, salvo rare eccezioni, delle violazioni punite soltanto con la multa o l’ammenda, sostituendo la pena con la sanzione amministrativa di pari importo. Inoltre, sotto il profilo procedurale e metodologico, a tutt’oggi la legge 689/81 continua a rappresentare il punto di riferimento per l’applicazione delle sanzioni amministrative.

Anche il nuovo codice della strada approvato con il decreto legislativo 30 aprile 1992 n.285, con tutte le ultime integrazioni e modificazioni anche più recenti, rinvia proprio ai principi della 689/81 per l’applicazione delle sanzioni che prevede a parte alcune piccole deroghe, come ad esempio il pagamento in misura ridotta del minimo edittale anzi che del doppio del minimo o di un terzo del massimo come prevede la disciplina generale delle sanzioni amministrative.

Tra le ultime norme generali di depenalizzazione si sottolinea il decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507, la quale ha ampliando ulteriormente le norme depenalizzate alle quali è stata sostituita la sanzione ed il procedimento amministrativo a quello penale, ma sotto il profilo procedurale e metodologico ha portato ben poche modifiche ed integrazioni alla legge 689/81 sottolineandone l’attualità.

 

Il reato penale e la sanzione amministrativa

 

Il termine sanzione è la trasposizione volgare del termine latino sanctionem che deriva etimologicamente da sancire, nel significato di render sacro, inviolabile, quindi la parte sanzionatoria di una norma, in via generale, costituisce la minaccia di una pena o comunque di un danno ai trasgressori affinché la rispettino.

Per comprendere al meglio il percorso evolutivo che interessa il sistema sanzionatorio del nostro ordinamento è opportuno ricordare brevemente le caratteristiche essenziali della sanzione penale ed amministrativa, ed i rispettivi criteri metodologici.

Generalmente la sanzione penale è caratterizzata da una forza dissuasiva basata sulla gravità della sanzione che è molto invasiva e limitativa della sfera personale del reo. Essa infatti interviene con limitazioni della libertà personale, ergastolo, reclusione, arresto e in i casi più limitati con sanzioni pecuniarie, potendo comunque unire alle sanzioni principali sanzioni accessorie o conseguenze limitative delle libertà civili, dalla capacità di agire, limitata in determinati casi di reclusione o persa definitivamente nel caso dell’ergastolo, alla possibilità di svolgere determinate attività, incapacità ad avere rapporti economici con la pubblica amministrazione ad esempio, o di ricoprire incarichi e funzioni, si pensi a titolo di esempio all’interdizione dai pubblici uffici o alla incapacità a ricoprire uffici direttivi delle persone giuridiche.

Per queste caratteristiche la sanzione penale prevede un procedimento piuttosto complesso che rimette la valutazione di colpevolezza e la quantificazione della pena ad un giudice che sia il più imparziale possibile, assicurando il massimo garantismo all’imputato in ogni fase processuale, affinché possa esercitare correttamente il proprio diritto di difesa.

La gravita della sanzione si unisce quindi ad un percorso complesso che, laddove riconosca la colpevolezza dell’imputato, lo punirà con estrema lentezza e laddove assolverà l’imputato, in molti casi, costringerà un innocente a convivere per lungo tempo con il sospetto di colpevolezza e con i disagi che derivano dal procedimento penale.

Questi elementi sono particolarmente enfatizzati nel sistema penale Italiano, che nell’82% dei ricorsi al consiglio d’Europa, è sotto accusa per i lunghi termini di definizione del giudizio.

La sanzione amministrativa consiste nel pagamento di una somma di denaro compresa tra un minimo ed un massimo, come prevede l’art.11 della 689/81 e l’art. 195 C.d.S. stabilita dall’autorità amministrativa competente tenendo conto di: Gravità della violazione; Personalità del trasgressore; Condizioni economiche; Eventuali condotte del trasgressore per limitare o attenuare le conseguenze della violazione. In questo caso la forza dissuasiva più che dalla gravità della minaccia è costituita dalla rapidità di applicazione della sanzione, somministrata da un sistema procedimentale molto snello ed efficace.

La sanzione amministrativa è molto rapida da applicare, poiché la stessa autorità che accerta l’illecito procede alla contestazione, senza la necessità che l’accusa sia formulata da un altro organo come nel caso della sanzione penale (magistratura), può essere definita velocemente, con il pagamento in misura ridotta entro 60 giorni, inoltre può essere estesa anche nei confronti delle persone giuridiche, a differenza della responsabilità esclusivamente personale della sanzione penale (societas delinquere non potest).

 

I modelli penali

 

Affrontiamo quindi l’analisi dei principali modelli sanzionatori penali ed in particolare di quelli che sono stati recepiti ed applicati nel nostro ordinamento giuridico remoto e presente.

I principali sistemi che saranno analizzati sono tre ed in particolare:

a)Il Modello Punitivo Retributivo, che si preoccupa di ristabilire l’ordine sociale destabilizzato dal reato attraverso una sanzione/pena in un meccanismo di azione/reazione.

b)Il Modello Riabilitativo Trattamentale, che considera il reo come un soggetto da recuperare alla vita civile attraverso un trattamento riabilitativo

c)Il Modello Riparativo Conciliativo, che si prefigge mediare il conflitto tra l’autore di un comportamento deviante di tipo delinquenziale e la società, attraverso una ampia modulazione della risposta sanzionatoria che non miri esclusivamente alla punizione ma sia finalizzata alla responsabilizzazione del reo.

Il modello punitivo retributivo rappresenta il punto di partenza per due ordini di motivi, è il sistema storicamente più antico, sia in senso generale che anche specificatamente con riferimento alla nostra storia repubblicana; contemporaneamente questa concezione penale è anche quella quantitativamente più diffusa anche nel vigente ordinamento penale.

 

Il modello punitivo-retributivo

 

Questo sistema costituisce il modello generale punitivo più antico, che ha ispirato il nostro ordinamento, a cominciare dal codice penale (codice Rocco tuttora in vigore).

Questo modello trae origine dalla scuola classica del diritto penale, che si sviluppa in Italia a metà dell’800, e di cui Francesco Carraro ne è uno dei più noti rappresentanti, anche se Cesare Beccaria può esserne considerato un precursore, a partire dal concetto del patto sociale che codifica (legislativamente) i limiti alla libertà individuale come garanzia alla libertà del prossimo ed alla civile e pacifica convivenza e nell’idea di un diritto penale astratto e predeterminato nella sanzione.

In questo sistema vige la concezione che la violazione ad ogni regola normativa, che deve essere codificate espressamente sulla base del giudizio dei consociati, crea inevitabilmente una frattura al patto sociale che viene ristabilita con una risposta retributiva dell’ordinamento che toglie la libertà all’individuo che ha violato i diritti e la liberta degli altri membri della società.

Nel nostro ordinamento il vantaggio indiscutibile di questo sistema è rappresentato dal garantismo, ereditato proprio dalla scuola classica in prosecuzione dei principi dell’illuminismo.

La scuola positivista, i cui principali esponenti sono Enrico Ferri e Cesare Lombroso, alla fine dell’800, propongono un impianto alternativo alla scuola classica, spostando l’attenzione dal delitto al delinquente.

Per i positivisti ogni delitto è innanzitutto l’azione di un uomo, ed è a quest’uomo che si applica la sanzione e non al fatto obiettivo. L’entità della pena sarà quindi scelta secondo la pericolosità del soggetto, che gli deriva da un’antisocialità determinata da tendenze congenite (per atrofia del senso morale, condizioni psicopatologiche, impulsi passionali, o dagli stessi inconvenienti del carcere) o addirittura da caratteri fisici (Cesare Lombroso parla del criminale come un tipo distinto indicando elementi fisici dai quali riconoscerlo).

Alla luce di queste premesse, la scuola positivista vuole sostituire la tradizionale pena a termine fisso e predefinito della scuola classica con la misura di difesa sociale che non ha un termine prefissato, ma dura il tempo necessario perché il soggetto divenga adatto alla vita libera (può durare tutta la vita se il soggetto si ritiene incorreggibile).

La scuola positivista quindi, rigettando le concezioni della scuola classica, che separava il diritto penale dall’indagine della società, proponeva una minuziosa osservazione del detenuto, allo scopo di accertarne i progressi compiuti durante la vita in carcere.

È evidente quanto questi principi sopravvivano nella concezione delle misure di sicurezza, applicabili nel nostro ordinamento anche per il reato immaginato, cioè nei casi in cui un soggetto ritenga erroneamente di aver commesso un comportamento delittuoso che, oggettivamente, per l’ordinamento non costituisce reato.

I principi dell’osservazione dei progressi ottenuti dal detenuto sono comunque alla base dell’applicazione, anche oggi, delle misure alternative alla detenzione carceraria.

La fusione tra le due scuole ad opera di Alfredo Rocco, darà vita nell’epoca fascista alla corrente del tecnicismo giuridico, che trova la sua espressione compiuta nel Codice Penale Rocco del 1930, che è tuttora in vigore con poche modificazioni ed integrazioni.

La disinvolta fusione tra le due scuole si rende evidente nel sistema sanzionatorio che prevede un doppio binario: all’applicazione delle pene secondo i principi della scuola classica si affiancano le misure di sicurezza concepite secondo i principi della scuola positivista.

I principi del tecnicismo giuridico hanno pervaso integralmente il nostro sistema penale e giudiziario fino alla prima legge sull’Ordinamento Penitenziario del 1975 (legge 26/7/75 n.354) ed alla riforma del Codice di Procedura Penale del 1989.

Ma il sistema retributivo costituisce, ancora oggi, il principale modello penale del nostro ordinamento, che negli ultimi tempi, con provvedimenti come la c.d. legge ex Cirielli, che prevede un rafforzamento degli automatismi delle aggravanti, rafforza e riattualizzza questo modello.

 

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