Rassegna stampa 7 dicembre

 

Giustizia: Ferrara al vertice Dap; umanizzare la detenzione

 

Ansa, 7 dicembre 2006

 

"Abbiamo il dovere di credere che il nostro livello di civiltà ci consenta di realizzare condizioni di detenzione più umane". Così Ettore Ferrara, nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), raccoglie l’indicazione del guardasigilli Clemente Mastella sulla necessità di intraprendere la strada di un "umanesimo carcerario". Ieri, conclusa la cerimonia di insediamento al Dap, Ferrara, già capo di gabinetto del ministero della Giustizia, commenta così la sua nomina: "È stata una sorpresa, che ho accolto con un po’ di rammarico per il fatto di aver lasciato il mio incarico proprio mentre stavamo raccogliendo i frutti dell’impegno di questo periodo". Ferrara fa il punto su sei mesi di attività come capo di gabinetto del dicastero di via Arenula: "Abbiamo lavorato sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, siamo a buon punto sulle modifiche per quegli interventi sul processo civile e su quello penale, oltre che a lavorare per modificare la ex Cirielli sulla prescrizione".

Ferrara, infine, punta molto sulla necessità di studiare "misure alternative alla detenzione" in maniera tale da "realizzare condizioni tali da evitare carceri sovraffollate", come sono state fino al mese di agosto, quando è stato varato l’indulto dal Parlamento.

Napoli: lettera aperta ad Antigone dal responsabile Ser.T.

 

Ristretti Orizzonti, 7 dicembre 2006

 

Cari amici di Antigone, concedetemi innanzitutto una premessa che mi aiuti a formularvi una critica, spero, costruttiva. Osservare la realtà delle carceri è lavoro complesso, frustrante e faticoso: un processo che richiede controlli minuziosi, eseguito scrutando e verificando ogni aspetto, soprattutto quando la mission è quella di produrre denunce credibili e quindi produttive.

Osservare il carcere, non è mai un semplice raccontare: le desolazioni del vivere (?!) in carcere, raccontare il luogo in cui è "prigioniera" la umanità dolente", (dopo che si è andati a guardare sotto quel tappeto nel quale è stata spazzata la polvere, per dirla con Luigi Ciotti) non può che avere i toni della denuncia e, ove possibile, giovarsi del contributo di tutti coloro che in tale scenario sono testimoni e, a volte, anche attori.

Dopo questa premessa espongo il motivo della mia nota, con tutto il timore di passare come quello che attacca chi critica il carcere, sapendo anche tuttavia che lo scopo di tutti, Antigone in primis, è quello di produrre denunce capaci di richiamare l’attenzione della collettività e delle politiche sulla situazione del carcere, al fine di innescare i necessari processi di trasformazione.

Nel Rapporto 2006 sulla situazione delle carceri italiane pubblicato da Antigone, nella parte relativa alle carceri napoletane di Poggioreale e Secondigliano, dobbiamo riscontrare che, accanto al sacrosanto racconto della desolante immodificabilità di alcuni aspetti delle carceri napoletane (peraltro già da anni denunciati da molti, personale della Amministrazione penitenziaria compresa) non vi è anche il riscontro di quanto inizia a muoversi in seguito a precedenti denunce.

Mi riferisco alla questione dell’assistenza ai tossicodipendenti detenuti nelle carceri napoletane.

Dal rapporto 2006 si apprende che gli interventi per i tossicodipendenti detenuti napoletani consistono in una discontinua e inadeguata assistenza farmacologica per poche decine di loro.

Devo dunque prendere atto che vi è sfuggito un dato e si sono perse due occasioni.

La prima è quella di evitare di fare denunce su dati incompleti. Bastava chiedere o venire a vedere.

La seconda occasione perduta è stata quella di dire: "Nonostante la drammatica realtà napoletana delle difficili situazioni carcerarie cittadine, il Dipartimento per le Farmacodipendenze di Napoli, con l’istituzione del Ser.T. Area Penale, cerca di affermare e far crescere il diritto all’assistenza dei tossicodipendenti detenuti. Vi è cioè la conferma che, se quanto dettato dalla L.230/99 - appunto in tema di tossicodipendenze in carcere - viene realizzato, seppure tra mille difficoltà, in carceri come Poggioreale e Secondigliano, lo stesso diritto può, e deve essere fatto rispettare nei tanti Istituti di Pena che ancora làtitano (sic!) nell’assistenza agli stessi tossicodipendenti detenuti.

Insomma si poteva dire che esiste la conferma, in Italia, nel Sud, che il dovere di assistenza sanitaria ai tossicodipendenti in carcere, previsto dalla legge 230/99, può avere forma e concretezza.

Un Ser.T. dedicato al carcere, che ogni mattina, Natale e Ferragosto compresi, funziona dalle 8.00 alle 15.00; che ha in trattamento, solo considerando le terapie farmacologiche, 150 persone al giorno, tra Secondigliano e Poggioreale.

Un’esperienza di servizio Ser.T. "dedicato" ai tossicodipendenti che stanno in carcere (nell’undicesimo quartiere di Napoli, come dico io: il quartiere carcere) che, dal Gennaio 2003, vede un costante e crescente impegno per la sempre più piena interpretazione del dettato di una legge di assistenza sanitaria ai detenuti. Con grande fatica e con l’abnegazione di operatori (di cui molti anche precari) si cerca di rispondere al diritto all’assistenza.

Un’esperienza costruita anche su un prezioso lavoro istituzionale e che vede protocolli di intesa ed operativi tra ASL, Provveditorato Regionale della Amministrazione Penitenziaria, Direzione degli Istituti, Uepe, e Icatt della Campania. Altro potrei ancora dire. Tanto altro dobbiamo riuscire a fare.

Preferisco inviarvi una scheda informativa sperando che nelle presentazioni del Rapporto 2006 che terrete a Napoli questi elementi di informazione possano essere da Voi utilizzati.

Concludo attestando stima e collaborazione.

Buon lavoro a tutti noi.

 

Rino Pastore, Responsabile UOT Ser.T. Area Penale

Dipartimento Farmacodipendenze ASL Napoli 1

Lombardia: più misure alternative per i tossicodipendenti

 

Adnkronos, 7 dicembre 2006

 

Misure alternative al carcere per i detenuti tossicodipendenti con lo scopo di favorirne il reinserimento e la cura riducendo così il rischio di recidiva. Questo, il progetto presentato in Regione dal sottosegretario alla Presidenza, Antonella Maiolo, con Francesco Castellano, presidente del Tribunale di Sorveglianza, Luigi Pagano, provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e i direttori delle ASL della città e della Provincia di Milano e Lodi. "Tra le misure alternative che proponiamo - ha detto Antonella Maiolo - va segnalato l’affidamento in prova che consente al detenuto tossicodipendente di accedere subito a un programma terapeutico di recupero.

È un’iniziativa - ha aggiunto - che assume una particolare valenza per il suo valore etico, sociale ed economico". I soggetti con problematiche di dipendenza nelle carceri lombarde sono circa il 30% del totale, la metà dei quali con pene fino a cinque anni. Queste misure alternative saranno sperimentate per un anno nelle carceri di Milano e provincia e in quelle di Lodi. In ogni carcere lavorerà una apposita èquipe composta da personale sanitario e psico-sociale, con una presenza di 15 ore alla settimana.

 

Sperimentazione nelle carceri di Milano e Lodi

 

Sperimentazione, per un anno, di misure alternative al carcere nelle case circondariali della provincia di Milano e a Lodi. In ogni carcere lavorerà un’apposita équipe composta da personale sanitario e psico-sociale, con una presenza di 15 ore la settimana. In particolare si tratta di misure rivolte ai detenuti tossicodipendenti per favorirne il reinserimento e la cura e ridurne il rischio di recidiva. È quanto prevede il progetto presentato in Regione dal sottosegretario alla Presidenza con delega ai Diritti del cittadino e alle Pari Opportunità, Antonella Maiolo, insieme al presidente del Tribunale di Sorveglianza, Francesco Castellano, al provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Luigi Pagano, ed ai direttori delle Asl di Milano e Provincia ed al direttore generale dell’Asl di Lodi, Guido Broich. "Tra le misure alternative che proponiamo - dice la Maiolo - c’è l’affidamento in prova che consente al detenuto tossicodipendente di accedere subito ad un programma terapeutico di recupero". I soggetti con problematiche di dipendenza nelle carceri lombarde sono circa il 30% del totale, la metà dei quali con pene fino a cinque anni.

Palermo: corsi di lingua e cultura araba per il personale

 

Redattore Sociale, 7 dicembre 2006

 

Organizzati dal Centro Ricerche Studi direzionali di Palermo corsi di lingua e cultura araba per le guardie carcerarie e per tutto il personale penitenziario. L’iniziativa è rivolta non soltanto alle guardie carcerarie ma, anche, a tutto il personale dell’amministrazione penitenziaria e della pubblica amministrazione.

Alle lezioni prenderanno parte una ventina di dipendenti delle carceri di Palermo e provincia. L’iniziativa è stata ben accolta, raccogliendo moltissime richieste, considerata la situazione attuale delle carceri siciliane, dove la presenza numerica dei detenuti stranieri è notevole. Il corso, oltre ad insegnare le basi della lingua, specialmente nel caso dell’arabo, offre anche la possibilità di apprendere elementi di cultura e religione islamica, utili per migliorare la relazione con i detenuti di origine islamica.

"I corsi di lingue sono un esempio dei tanti corsi di formazione che vedono impegnato il nostro personale", ha detto Orazio Faramo, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. Fra le iniziative, infatti, ci sono sia i corsi interni che si svolgono presso la scuola di Catania dell’amministrazione carceraria, sia quelli esterni come quello di lingue organizzato dal Cerisdi.

La prima edizione di questi corsi si è conclusa il 29 novembre mentre la seconda edizione, partita il 5 dicembre si concluderà il 2 febbraio. Prevista, pure, una seconda edizione di corsi di competenze linguistiche per la mediazione culturale dove oltre all’arabo ci sarà il francese. La prima edizione di questo corso, iniziata il 4 dicembre si concluderà il 24 gennaio mentre la seconda edizione partirà il 12 dicembre per concludersi il 14 febbraio.

"Il nostro personale, ad esempio, è impegnato anche in corsi sull’antiriciclaggio, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’università di Palermo. Preparando adeguatamente i nostri operatori possiamo offrire un servizio migliore ai nostri detenuti", ha aggiunto il provveditore Faramo.

L’iniziativa si colloca in un contesto locale in cui, la conoscenza delle lingue straniere da parte del personale penitenziario, diventa un ingrediente indispensabile per migliorare la relazione con i reclusi.

"Iniziative come i corsi di formazione del personale o le attività per favorire il reinserimento dei detenuti nella società, ha detto il provveditore, sono rese più accessibili dall’alleggerimento delle carceri avvenuto inseguito all’indulto". Secondo il provveditore Faramo la diminuzione dei detenuti reclusi in carcere renderebbe più agevole la formazione del personale dell’amministrazione penitenziaria.

Udine: i detenuti musulmani chiedono assistenza spirituale

 

Il Gazzettino, 7 dicembre 2006

 

Allah bussa alla porta delle carceri friulane. Bussa da tempo, ma sempre inascoltato. Questa volta, però, potrebbe essere quella buona. Dopo le lettere di alcuni carcerati di religione islamica che si sono appellati alla comunità di appartenenza per poter beneficiare di un supporto religioso, la Mecca dietro le sbarre potrebbe non restare un’utopia in Friuli. Gli islamici reclusi a Udine e Tolmezzo cercano soltanto la parola religiosa, cercano il supporto di un rappresentante in grado di offrire certezze e sicurezze, cercano un imam che li guidi. Ogni giorno, compresa la preghiera comune del venerdì da celebrare insieme. "Se i cattolici possono contare sul prete e gli evangelici e i testimoni di Geova hanno le loro figure di riferimento, perché i fedeli islamici devono continuare a restare abbandonati a loro stessi, senza appoggi, insegnamenti e vicinanze di tipo religioso?", si chiede il capo del Centro islamico di Udine, Mohamed Erbesh. Tanti, troppi gli scogli finora affrontati nei timidi esperimenti (falliti) di condurre Allah dentro le case circondariali.

Fu proprio Erbesh a mettere piede, per primo, in via Spalato, a Udine, dove attualmente la metà dei 75 detenuti è immigrata e la quasi totalità è seguace di Allah. Ma ebbe vita breve l’esperimento. Il motivo? "I soliti pregiudizi contro noi islamici: mi facevano aspettare anche due ore prima di farmi incontrare con i carcerati; chiedevo di poter parlare con dieci di loro, e mi consentivano di parlare soltanto con due o tre, mai di più, come se temessero che noi congiurassimo". Stessa stridente sinfonia per il venerdì di preghiera:"Sempre più ostacoli: era come se fossimo tutti terroristi, sorvegliati a vista".Il modello da imitare è quello di Verona, dove gli imam sono riusciti a tessere un legame costante con i carcerati di credo islamico. "Atteggiamenti - fa notare Erbesh - che derivano dal mancato riconoscimento giuridico della nostra comunità, al pari di quella ebraica, cattolica, evangelica, protestante che, usufruendo dello status giuridico, si possono muovere in libertà". L’esigenza dei carcerati, però, non può restare ignorata: lo scambio epistolare fra i carcerati e i rappresentanti del Centro islamico, senza dimenticare le missive spedite al direttore della Casa circondariale udinese da parte della comunità, dovrebbero produrre l’atteso frutto maturo.Entrare in un’associazione laica per creare il ponte con il mondo degli invisibili: questa la strategia studiata dalla comunità. "Ci siamo attivati - spiega Erbesh - per riuscire a rendere finalmente istituzionale il rapporto di sostegno religioso che vogliamo instaurare con Udine e Tolmezzo: visite quotidiane di nostri rappresentanti e il venerdì di preghiera osservato tutti insieme", senza la selezione numerica, senza limiti o regole restrittive. Allah in carcere potrebbe sbarcare già con gli inizi del 2007: un passo avanti nel confronto-incontro dei diversi credo nel luogo-simbolo della solitudine.

Padova: il call center dell’ospedale? è nel "Due Palazzi"

 

Il Gazzettino, 7 dicembre 2006

 

Ventimila prenotazioni in sei mesi, nel 2007 si conta di toccare quota cinquantamila. È per forza di cose un lavoro, diciamo così, intramoenia. E la continuità nell’operare impone che i prescelti siano reclusi, condannati a pene severe: la loro "lungodegenza" tra le mura carcerarie è requisito fondamentale per poter garantire che il servizio non venga meno, in nome della libertà. Già l’indulto ha dimezzato la forza-lavoro ma si sta provvedendo a sostituire gli assenti giustificati con nuove leve. L’Azienda ospedaliera e l’Usl 16 di Padova hanno "arruolato" otto detenuti che, appositamente formati, sono stati investiti del ruolo di operatori di call center, il centro unico di prenotazione su scala provinciale. Fissare una visita medica passando per il carcere?

Proprio così: il percorso è ovviamente telefonico e consente a un gruppo di ospiti della casa di pena patavina di investire il tempo in qualcosa di utile, alle aziende sanitarie di velocizzare le procedure di accesso ad ambulatori e prestazioni. È così che dietro le sbarre ha preso vita una sezione staccata del call center: la sperimentazione, durata sei mesi, ha dato buon esito e con l’anno nuovo l’attività si appresta a entrare a regime."

Per noi è stata una grande esperienza, gli operatori - rivela Daniele Donato, direttore sanitario dell’Usl 16, referente del progetto - si sono dimostrati molto attenti e volenterosi, veloci e precisi nello svolgere un mestiere non facile, che mette in contatto con migliaia e migliaia di agende e costringe a entrare nella complessità dell’organizzazione sanitaria, tanto più che da un anno le prenotazioni avvengono su scala provinciale". Le postazioni ricavate all’interno del Due Palazzi sono diciotto quindi i carcerati-centralinisti sono prossimi ad aumentare. "La gestione delle prenotazioni mediche a opera dei detenuti - specifica Donato - ha standard pari a quelli dei migliori dipendenti dell’Azienda, per questo contiamo di incentivarla e rafforzarla".

Naturalmente "blindata" l’organizzazione: i telefoni sono in grado di ricevere esclusivamente chiamate in entrata, dei candidati centralinisti è stata fatta un’attenta selezione, i carcerati al di là del nome del paziente non vengono a conoscenza di altro, l’attività è svolta sotto la supervisione di un dipendente ospedaliero: questa la replica a chi dimostra una certa perplessità nel sapere che, contattando il call center sanitario 840000664, può rispondere uno dei venticinque centralinisti o uno degli otto operatori-carcerati. I reclusi fungono semplicemente da "ponte", mettendo in contatto i pazienti con gli ambulatori e fissando le visite. Pochissime le esperienze simili in Italia. Il resoconto della sperimentazione è stato tracciato ieri, in occasione degli auguri di Natale formulati dal direttore del carcere Salvatore Pirruccio, gustando i panettoni impastati, cotti e sfornati dai detenuti e successivamente confezionati nella scatola ispirata agli affreschi giotteschi, realizzata dal laboratorio di cartotecnica interno alla struttura.

Così come le formelle in ceramica e i preziosi cofanetti sono opera degli ospiti che possono pure seguire corsi di cucina, pasticceria, giardinaggio. "Vogliamo attirare l’attenzione sul carcere o, per meglio dire, su quel pezzo di società che si chiama carcere. Dal 1946 al ‘90 in Italia sono stati promossi 17 indulti e 21 amnistie - ha ricordato Nicola Boscoletto, presidente del consorzio sociale Rebus - in media una ogni 2,5 anni. Dal 1990 al 2006, un arco di tempo enorme, solo l’indulto di quest’anno. Parliamo quasi di un atto dovuto, peraltro approvato dall’85% del Parlamento: sarebbe bene che se ne ricordasse qualcuno che oggi ne disconosce la paternità".

Secondo Boscoletto il problema sta nel fatto che negli ultimi due decenni "non si è investito in termini di rieducazione, di lavoro per i detenuti, di formazione per il personale, di motivazione: possiamo certamente parlare di un caso di Costituzione inapplicata". E sarebbe meglio che la società tutta si facesse un esame di coscienza: "L’albero si vede dai frutti, isolando il frutto marcio non si elimina l’albero, che rimane malato".

Di qui l’urgenza di investire in educazione, formazione, politiche giovanili e di recupero della devianza, senza dimenticare un’adeguata incentivazione del personale carcerario. "Non è una questione di numeri oggi c’è un agente ogni 1,5 detenuti ma di motivazione, di formazione, di responsabilizzazione, anche di remunerazione".

Al termine della giornata è stato siglato il protocollo d’intesa per il consolidamento dello "sportello lavoro" in carcere, un canale per ottimizzare l’inserimento lavorativo dei detenuti. Presto il Comune di Padova istituirà un tavolo di coordinamento sul carcere e a gennaio si terrà al Due Palazzi un consiglio comunale aperto. Lunedì prossimo i detenuti riceveranno la visita dell’attrice Maria Grazia Cucinotta, in città per presenziare alla tradizionale Cena di Santa Lucia.

Vasto: convenzione col Comune, detenuti al lavoro in spiaggia

 

Il Messaggero, 7 dicembre 2006

 

Arrivano dal rispetto per l’ambiente le prime concrete possibilità di lavoro per i detenuti reclusi nel carcere vastese di Torre Sinello. Il 15 dicembre, infatti, alla presenza del vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Emilio Di Somma, in Municipio sarà firmata la convenzione tra il Comune di Vasto e la direzione della casa circondariale per l’attuazione del progetto "Marina mia", che vedrà i detenuti impegnati nella pulizia di buona parte del litorale vastese, da Punta Penna alla foce del fiume Sinello, nei mesi da maggio a ottobre 2007.

"Il progetto - spiega il direttore della casa di reclusione vastese, Massimo Di Rienzo - è il naturale sviluppo dell’iniziativa concretizzatasi nelle estati 2005 e 2006, quando alcuni detenuti, volontariamente, hanno utilizzato alcuni giorni di permesso-premio per contribuire alla pulizia del litorale di Vasto. Ora, con l’attuazione del progetto, verranno date maggiore concretezza e continuità agli interventi di bonifica e, inoltre, i detenuti inseriti nel progetto riceveranno un compenso, quale borsa-lavoro, dall’Amministrazione comunale".

Scarceranda: per "evadere gli impegni" e "liberare il tempo"

 

Vita, 7 dicembre 2006

 

È appena uscita Scarceranda 2007, "per evadere gli impegni e liberare il tempo". Si tratta di un’agenda realizzata da detenuti e detenute del carcere di Monza, che contribuiscono i vari modi alla realizzazione dell’agenda: dalla ideazione, alla produzione, alla commercializzazione. L’agenda 2007 è ancora più bella di quella dello scorso anno, grazie ad una maggior cura dei dettagli grafici e della produzione, e grazie ai suggerimenti che sono arrivati ai redattori.

La produzione dell’agenda è per i detenuti una importante occasione sia per riprendere un percorso di integrazione sociale che per prodursi un reddito in maniera onesta. "Per tutti noi", scrivono i detenuti, "vuole anche essere l’occasione per mantenere ogni giorno in evidenza il tema della giustizia e della sua amministrazione, evitando che il carcere torni ad essere un ghetto di cui parlare solo in occasione di emergenze sociali o dell’indulto, ma provando a farlo essere uno dei "quartieri delle nostre città".

Scarceranda 2007 è disponibile in due formati: S (la piccola) venduta a 8 euro più Iva, oppure XL (la grande) venduta a 12 euro più Iva. L’agenda, già in distribuzione, è organizzata con planning settimanale, annuale e rubrica, inoltre è arricchita da brevi frasi ed aforismi ideati da detenute sui temi della libertà, della giustizia, degli affetti familiari... Scarceranda 2007, può anche essere personalizzata inserendo una o più pagine di presentazione della vostra organizzazione, o con la stampa di loghi o marchi sulla copertina.

Scarceranda è anche reperibile on-line sul sito www.bottegasolidale.com gestito da un gruppo di amici della Locride. Per avere maggiori informazioni, è possibile chiamare o inviare un sms al numero 334.2849582 oppure scrivere a scarceranda@libero.it Scarceranda 2007 è una iniziativa di Teseo cooperativa sociale.

Napoli: camorra; sequestrati fondi a cooperativa ex detenuti

 

Il Mattino, 7 dicembre 2006

 

La Direzione distrettuale antimafia di Napoli ha disposto il sequestro preventivo dei fondi erogati dal ministero dell’Interno ad una cooperativa di ex detenuti, "La Vittoria III". Il provvedimento si inserisce in un’inchiesta sui rapporti tra i clan camorristi partenopei e alcune coop che svolgono lavori socialmente utili in virtù di una convenzione con la Provincia di Napoli. L’ipotesi di reato è associazione per delinquere di stampo camorrista, aggravata dalla volontà di favorire clan quali i Giuliano di Forcella, i Misso nel quartiere Sanità, i Russo nei quartieri Spagnoli e l’Alleanza di Secondigliano.

Gli stessi clan, affermano i magistrati, nei primi anni Ottanta avrebbero selezionato i soci che dovevano far parte delle cooperative e hanno mantenuto un "sostanziale controllo delle stesse", facendosi pagare come tangente una parte delle retribuzioni versate a ciascun lavoratore-socio. C’è dunque anche un’ipotesi di truffa aggravata ai danni del pubblico. Dagli accertamenti è emerso che la cooperativa non svolgeva, totalmente o parzialmente, gli incarichi oggetto delle convenzioni e che molti dei suoi soci erano regolarmente retribuiti anche quando erano in carcere o agli arresti domiciliari. Dal 1996 a settembre scorso lo Stato ha versato a "La Vittoria III" finanziamenti per oltre 25 milioni di euro.

Immigrazione: soggiorno; dall’11 dicembre nuova procedura

 

Redattore Sociale, 7 dicembre 2006

 

Da lunedì prossimo, 11 dicembre, scatterà la nuova procedura per richiedere il permesso di soggiorno da parte degli immigrati in Italia. Il nuovo sistema, che applica le normative rivisitate, è stato messo a punto dal ministero dell’Interno in collaborazione con l"Anci, l’associazione dei comuni italiani, delle Poste italiane Spa (a cui è delegata una parte della nuova procedura) e gli istituti di patronato a cui gli immigrati potranno rivolgersi in modo gratuito per compilare i moduli richieste per le domande. Secondo il ministero dell’Interno le nuove procedure e lo sviluppo di una complessa rete tecnologica per lo scambio dei dati tra le varie strutture e istituzioni coinvolte consentiranno di snellire i tempi. Viene messo a disposizione degli stranieri che devono presentare le domande un kit contenente tutta la modulistica (per avere informazioni sul tipo di kit e sulla domanda vera e propria, consultare il sito del governo all’indirizzo: www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/procedura_permesso/index.html, dove viene spiegato tutto quello che serve per richiedere il permesso o la carta di soggiorno). Non tutti gli uffici postali saranno però abilitati a ricevere le domande compilate, mentre tutti gli uffici delle Poste sono abilitati a rilasciare i kit. In sostanza i moduli potranno essere ritirati presso tutti i 14mila uffici postali presenti in Italia, mentre la consegna potrà avvenire solo in quelli abilitati che sono 5.332 (sul sito del governo italiano si possono trovare anche le informazioni sugli Uffici postali abilitati alla raccolta delle domande compilate). Gli stranieri potranno avvalersi della consulenza gratuita di Comuni ed enti di patronato, mentre all’atto della presentazione della domanda lo straniero dovrà pagare 30 euro così come prevede il decreto del Ministero dell’Interno del 12 ottobre 2005.

Ecco infine le tipologie per le quali si potrà utilizzare la nuova procedura di richiesta dei permessi: adozione, affidamento, aggiornamento della carta di soggiorno, aggiornamento permesso di soggiorno (domicilio, stato civile, ecc.), attesa occupazione, attesa riaqcuisto cittadinanza, asilo politico rinnovo, carta di soggiorno cittadini Ue, carta di soggiorno per stranieri, conversione permesso di soggiorno, duplicato della carta di soggiorno, famiglia, famiglia minore 14-18 anni, lavoro autonomo, lavoro subordinato, lavoro casi particolari previsti, lavoro subordinato stagionale, missione, motivi religiosi, residenza elettiva, ricerca scientifica, status apolide, studio, tirocinio formazione professionale, turismo. Per tutte le altre tipologie, gli stranieri dovranno recarsi presso gli Uffici di Immigrazione delle Questure competenti territorialmente.

Droghe: la nuova Consulta "rappresenta le diverse sensibilità"

 

Redattore Sociale, 7 dicembre 2006

 

Il governo Prodi ha ricostituito la Consulta degli esperti sulle droghe. L’annuncio della nuova struttura - che sarà composta di 70 membri, i cui abbiamo anticipato nel notiziario di ieri (v. notizia a fianco, nella colonna degli approfondimenti) - è stato dato questa mattina a Palazzo Chigi con una conferenza stampa tenuta dal ministro per la Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero. "Non dovrà essere una istituzione o uno strumento a immagine e somiglianza del nostro ministero - ha spiegato Ferrero in apertura - ed è per questo che abbiamo deciso di creare una Consulta numerosa che potesse rappresentare tutte le diverse esperienze e sensibilità".

La Consulta sarà presieduta dallo stesso ministro Ferrero e sarà articolata in una Consulta generale vera e propria e in un Comitato scientifico dell’Osservatorio permanente per la verifica dell’andamento del fenomeno delle droghe e delle tossicodipendenze. La logica che presiede alla ricostituzione della Consulta, ha spiegato il ministro, si basa proprio sulla necessità di dare un valido supporto scientifico all’attività politica e legislativa. Il governo Prodi, infatti, come è noto già dal suo programma elettorale, ha intenzione di cambiare la legislazione vigente in tema di sostanze stupefacenti e in più in generale di dipendenza. Per questo Ferrero ha voluto riavviare un percorso con un metodo di analisi e monitoraggio della situazione reale. È necessario capire che cosa succede nel mondo dei tossicodipendenti, capire come sta cambiando il mercato delle droghe, analizzare gli effetti dei ribassi dei prezzi (della cocaina, per esempio) e studiare soprattutto le nuove sostanze o nuove droghe che ormai circolano normalmente.

"Negli ultimi cinque anni - ha detto Ferrero - abbiamo registrato il raddoppio dell’uso della cannabis e della cocaina, mentre sempre più spesso ci sono casi di overdose di cui non si capisce l’origine. La Consulta servirà dunque a fornire un elemento di orientamento al governo per arrivare con approssimazioni successive alle riforme necessarie".

Ma quali saranno i compiti pratici della Consulta? Prima di tutto si tratta di lavorare alla costruzione del piano triennale di intervento che durante il governo precedente non era stato più realizzato. Siamo dunque in debito con l’Europa che ce lo chiede, sia dal punto di vista del piano per la prevenzione, sia da tutti gli altri settori di intervento: informazione, cura, lotta al narcotraffico, ecc... Il secondo obiettivo da raggiungere e su cui la Consulta sarà impegnata riguarda gli interventi legislativi. Su questo punto il ministro per la Solidarietà Sociale non è sceso nel dettaglio e non ha voluto (né potrebbe ovviamente) dire quali saranno i tempi della riforma delle leggi sulle droghe. L’unico accenno ai tempi Ferrero lo ha fatto parlando della Conferenza nazionale sulle droghe che il governo ha intenzione di organizzare per l’autunno del 2007. Si presume quindi che anche i tempi della riforma potranno essere questi, da qui a un anno. Anche perché è evidente che anche nel governo, oltre che nell’opinione pubblica, ci sono tuttora idee molto diverse su come intervenire in questo campo.

Leopoldo Grosso, che sarà il vero coordinatore della nuova Consulta, esperto da lunga data di droghe e dipendenze, ha spiegato che la nuova struttura avrà un carattere interdisciplinare dal punto di vista delle conoscenze scientifiche per tentare di arrivare a pareri "inoppugnabili", per quanto si possa essere inoppugnabili in questo settore e più in generale nella vita degli uomini. Nella Consulta, oltre ad esperti e consulenti espressi dalla società civile ci saranno anche i rappresentanti del ministero della Salute. L’obiettivo comune è dunque quello di elaborare un elemento di sostegno scientifico. Alla Conferenza nazionale del prossimo autunno è invece delegato il compito di fare un bilancio complessivo sia degli effetti della legislazione attualmente in vigore, sia del lavoro di studio della Consulta che sarà composta di sette o nove sottogruppi.

Grosso li ha solo delineati secondo le loro caratteristiche. Ci sarà sicuramente un gruppo sulla prevenzione, uno sul sistema dei servizi, uno sul trattamento (per valorizzare le migliori pratiche), uno sul carcere, uno sulla reintegrazione sociale dei tossicodipendenti. Un gruppo sarà dedicato a uno studio speciale sulla fattibilità di un nuovo sistema di allarme rapido, mentre altri gruppi saranno dedicati rispettivamente al sostegno al lavoro, alla formazione degli operatori e infine uno dedicato al rapporto tra operatori e utenti. La prima riunione della Consulta si è tenuta oggi, subito dopo la conferenza stampa a palazzo Chigi, mentre nel pomeriggio è divampata la polemica sollevata da Gasparri (An) sulla presenza dell’ex terrorista Susanna Ronconi tra i 70 membri della Consulta sulle dipendenze.

Droghe: per i senza dimora risposte dai servizi a bassa soglia

 

Redattore Sociale, 7 dicembre 2006

 

Si chiama progetto "sostanze senza dimora". È stato lanciato nel 2003 e ora si tirano le fila sugli obiettivi raggiunti e sulle criticità. Si tratta di un progetto di studio sulle persone senza fissa dimora, che usano sostanze stupefacenti o alcool. Autore e realizzatore del progetto, finanziato dal Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga, è stato il Cnca, Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Questa mattina i risultati finali del progetto sono stati presentati a Roma, nella sede della Provincia a palazzo Valentini. Una ricerca coraggiosa, come ha detto il presidente di Cnca, Lucio Babolin e come hanno ammesso anche le rappresentanti istituzionali del ministero della Solidarietà Sociale, Luciana Saccone e l’assessore del Comune di Roma, Raffaella Milano. Coraggiosa per diversi ordini di ragioni.

Prima di tutto per il tema: un argomento da emarginazione sociale pesante. Poi per il settore in cui si colloca, che non è certo né tra i più semplici né tra i più finanziati. Lo ha riconosciuto anche la responsabile del progetto per conto del Cnca, Maria Stagnitta che ha spiegato come con poche risorse a disposizione gli operatori che hanno realizzato il progetto sono riusciti a ottenere risultati molto importanti. Si tratta comunque di una ricerca indiziaria - ha spiegato Stagnitta - che dovrà essere approfondita e che ha riguardato due tipi di soggetti: le persone italiane senza fissa dimora e quelle straniere. Una complicazione nella complicazione dunque, visto che gli immigrati che soffrono di malattie psichiche o di dipendenze hanno anche problemi di rapporto e comunicazione, cosa che sta facendo sviluppare a grandi passi la disciplina della etnopsichiatria. Ma c’è soprattutto - per queste persone - una grave difficoltà di accesso ai servizi. I senza fissa dimora, infatti, non esistono per le istituzioni. I barboni, i clohard, gli homeless o gli hobo come si usa chiamarli negli altri paesi, non hanno documenti o tessere di riconoscimento. I più fortunati hanno il tesserino Stp (straniero temporaneamente presente) che permette un accesso sanitario minimo. Paradossalmente, ha detto Maria Stagnitta, il senza fissa dimora diventa visibile quando deve subire un’esecuzione di pena. È visibile, insomma - ed è questo il paradosso - quando è un fuorilegge.

Questo il contesto generale in cui si inserisce il progetto "sostanze senza dimora". Si trattava di andare a seguire le persone che non hanno una casa e che sono anche alcoliste o tossicodipendenti. E nello stesso tempo, secondo obiettivo prioritario, analizzare il sistema dei servizi e in particolare di quelli "a bassa soglia". Inizialmente si sono scelti alcuni territori per la sperimentazione tra cui Bologna, Roma e in parte la città di Brescia. In particolare a Bologna esiste un sistema integrato sulla marginalità, mentre risulta tuttora molto diversa la situazione di Roma e Brescia. Nella sperimentazione del progetto si è scoperto che sono necessari sempre tre livelli di intervento: il lavoro sul caso scelto (la città), l’analisi del sistema dei servizi e infine lo studio della marginalità sociale nel territorio considerato. Tralasciando per il momento tutti gli aspetti più tecnici nella realizzazione del progetto e rimandando a un lancio successivo l’analisi degli "utenti" dei servizi di bassa soglia, poniamo l’accento su uno dei punti delle conclusioni del report sul progetto. I protagonisti della ricerca hanno avuto la conferma sul campo che "l’integrazione sociosanitaria sia auspicabile per tutti gli ambiti, ma in particolare per i servizi a bassa soglia, che per loro mandato non possono scindere i due ambiti, in quanto, ad esempio, l’azione sanitaria del distribuire siringhe pulite diventa poco efficace e fine a se stessa, anche in un’ottica di riduzione del danno, se a questa non si accompagnano in maniera sinergica azioni più sociali, come il dare un posto letto e la possibilità di lavarsi a chi non l’ha". La sperimentazione realizzata in questi tre anni dimostra dunque che anche interventi così limite o estremi possono essere praticati con risultati positivi.

In particolare le esperienze realizzate nel campo delle dipendenze (alcool compreso quindi) delle persone senza fissa dimora hanno dato la possibilità di individuare le buone prassi. Il punto principale riguarda naturalmente l’integrazione che viene favorita da un sistema, quello appunto dei servizi a bassa soglia, che permettono alla persona che vive in strada di entrare in contatto, attraverso unità di strada con i servizi a valenza più prettamente sociale (servizi di accoglienza diurna e notturna) e poi da questi servizi al trattamento sanitario. Per quanto riguarda invece l’altra parte della ricerca, ovvero gli utenti, ha disegnato un quadro che mette in luce una compresenza di varie tipologie di disagio sociale: in quasi tutte le strutture considerate dal progetto, è stata rilevata la presenza di persone che vivono in condizioni di estrema marginalità: tossicodipendenti di strada, senza fissa dimora, alcolisti, affetti da patologie psichiatriche o da Hiv/Aids, epatiti croniche, immigrati, persone dimesse dal carcere o dagli ospedali o anche dalle Comunità residenziali. Sono tutti accomunati da un elemento: nessuno di loro può far riferimento a una rete socio-relazionale.

 

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