Rassegna stampa 12 aprile

 

Lettere: Pisa; sono uscito in permesso da Centro Clinico del carcere

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Sabato 1° aprile, ore 15.30. Sono uscito dal Centro Clinico carcere di Pisa per un permesso. Questa sera, verso le 19, dovrò tornare nella mia cella del carcere Don Bosco di Pisa. In queste mie parole, quella parte di vita passata nel centro clinico del carcere di Pisa. I corpi detenuti malati, l’eccezionale impegno di quei medici, le risposte della magistratura di sorveglianza di Pisa e Firenze. "Altri hotel" e "Altre risposte". Io, detenuto e malato di cuore, sono rimasto nel centro clinico per 18 mesi. Il centro clinico è un pezzo del carcere. Due piani. Al primo gli uffici dei medici, la sala operatoria e la sala per le analisi. Al secondo piano i detenuti malati. Un lungo corridoio distribuisce ai suoi lati 12 celle. In ogni cella 6 letti singoli, 6 persone detenute malate, 6 storie perdute. Le malattie: le più diverse, ma con una caratteristica comune: la loro gravità.

Il centro clinico del carcere di Pisa è un imbuto dove, da tutta Italia, arrivano i casi più disperati. Per questa ragione lì dentro il panorama umano è sconcertante. È un’ultima spiaggia. Ultima, prima di farti morire in carcere, prima di ottenere un ricovero in ospedale o una sospensione della pena per motivi di salute. Ecco prima di tutto questo per alcuni detenuti, e sono i più fortunati, c’è il centro clinico del carcere di Pisa. Per chi è detenuto lì, in quell’ultima spiaggia, tre possibili domani: l’ospedale, la casa o il cimitero. Uno di loro si chiama A. A., 40 anni, e una malattia che lo ha portato a pesare 270 chili. A. per le sue condizioni fisiche non ha più il controllo delle funzioni corporali. La notte A., per non morire soffocato, deve dormire seduto sul letto. Un mucchio di cuscini dietro la schiena gli assicurano di svegliarsi ancora vivo.

A., qualche mese fa, è caduto dentro la sua cella del centro clinico del carcere di Pisa. 270 chili per terra, impossibili da rialzare. Neanche se ci si mettono di impegno medici, infermieri e agenti. Quel giorno A. è rimasto per terra, schiacciato dai suoi 270 chili, per ore. Hanno dovuto chiamare i pompieri per rialzare A.. Carrucole e corde tese lo hanno rimesso in piedi. A. rischia di morire nel centro clinico del carcere di Pisa. A. ha bisogno di cure che quei medici non possono dargli. Il professor Ceraudo, dirigente sanitario del carcere, ha certificato per ben 4 volte l’incompatibilità di A. con il carcere. Il tribunale di Sorveglianza, non contento del certificato scritto del massimo dirigente sanitario del carcere di Pisa, ha nominato dei periti. Dopo un bel po’ di tempo perso e non pochi soldi spesi, anche i periti hanno certificato che A., con i suoi 270 chili, non può stare in carcere. Il Tribunale di Sorveglianza: "A. deve restare in carcere". Un altro di loro, che chiamo Mario. Mario è detenuto nel centro clinico del carcere di Pisa perché ha una gravissima infezione ad una gamba. Secondo i medici del carcere Mario se non viene operato in un Ospedale specializzato rischia l’amputazione. Mario è nella cella n. 89. Sono 8 mesi che aspetta una risposta dal magistrato di Sorveglianza. Nell’attesa i medici del carcere non possono far altro che dare a Mario forti dosi di antibiotici. Un altro di loro, che chiamo Luigi. Luigi è stato portato a Pisa dal carcere di Messina. Ha un tumore al cervello. Lo dovreste vedere. Luigi resta in carcere. Un altro di loro era Francesco Lombardo, di 42 anni. Francesco era gravemente malato di cuore. Per questa ragione Francesco era detenuto con noi nel centro clinico del carcere di Pisa. Francesco doveva essere curato ed invece è stato trasferito nel carcere Sollicciano di Firenze. Francesco il 23 marzo è morto d’infarto nella sua cella di Sollicciano.

Fino a qualche mese fa nel centro clinico del carcere di Pisa c’erano dei ragazzi con l’aids conclamata. Erano nella cella 90. Erano tre. Erano magri da far spavento. Bastava vederli per rendersi conto che quei ragazzi in carcere non ci dovevano stare. Eppure ci sono voluti mesi per farli trasferire in strutture specializzate. Grazie alla tenacia del prof. Ceraudo, alla fine si è riusciti in quello che sembrava impossibile. Non dimenticherò mai gli occhi di quei ragazzi durante l’attesa per una risposta. Per loro quell’attesa era una morte anticipata. Un altro di loro sono io. Cardiopatico con due infarti e un muro di gomma che è il tribunale di sorveglianza.

I medici del carcere di Pisa hanno redatto ben 5 certificati che confermano il mio grave stato di salute. Nell’ultimo hanno chiesto che venissi operato al più presto. Queste le parole dei medici del carcere:"le ripetute crisi anginose, associate a dispnee, completano un quadro clinico davvero preoccupante e serio, che impone un intervento di angioplastica. Si ritiene che tale intervento deve essere eseguito in ambiente ospedaliero specializzato e nel più breve tempo possibile" Questa la risposta del Tribunale di Sorveglianza: "Il detenuto può essere curato adeguatamente nel centro clinico di Pisa". Questa è la realtà. E a me, che tra poco finirò la mia pena, non resta che camminare in carcere con in tasca le mie pasticche e nel petto la speranza di non morire detenuto.

 

Matteo, 56 anni

 

Casa Circondariale di Pisa Don Bosco

Via Don Bosco, 43

tel. 050.574102

Direttore. Dotto Vittorio Cerri

Data di costruzione 1930; data di consegna 1933; entra in funzione come carcere nel 1944.

Capienza regolamentare: 226 detenuti, di cui 22 donne e 204 uomini.

Capienza effettiva: 407 detenuti, di cui 45 donne e 362 uomini

Tra questi 197 sono imputati e 210 condannati.

Polizia Penitenziaria: 221, 34 donne e 186 uomini

Educatori: 5, effettivi 4

Psicologi. 3

Nel carcere di Pisa è presente un Centro Diagnostico Terapeutico (CDT), diretto dal prof. Francesco Ceraudo.

Si tratta del centro clinico più efficiente d’Italia.

All’interno del Centro clinico ci sono:

ambulatori specializzati, servizio TAC e sala operatoria.

Attrezzature per: endoscopie digestive, esami doppler, ecocardiografie, ecografie, radiografie, fisiocinesiterapia, terapie infusionali e l’ossigenoterapia, gabinetto odontoiatrico attrezzato per la fornitura della protesi dentaria, gabinetto fisioterapico.

Eventi critici:

Nel 2003 è morto un detenuto, sieropositivo da 13 anni, e ci sono stati 3 tentati suicidi.

Il 2 ottobre 2004 una detenuta italiana, di 30 anni, muore nella sua branda durante la notte. Le compagne di cella se ne accorgono solo al mattino, quando ogni soccorso è inutile. Causa del decesso sarebbe un infarto cardiaco .

Il 5 ottobre 2004 Alessandro M., 41 anni, si uccide impiccandosi in cella; era stato giudicato incompatibile con il sistema carcerario ed era invalido al 100%.

Ci sono episodi di autolesionismo, specie per gli stranieri: si tagliano; ogni tanto ci sono scioperi della fame.

Suor Cecilia è l’emblema di tanti e bravi volontari che operano nel carcere di Pisa.

Lettere: Secondigliano; manca tutto, situazione peggiora sempre

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Giuseppe e i suoi compagni di detenzione dal carcere di Secondigliano scrivono "Caro Riccardo Arena, qui nel carcere di Secondigliano ormai manca di tutto e la situazione va sempre a peggiorare. Le medicine, prima rare, ora sono introvabili e anche i più semplici diritti ci vengono negati. La realtà è che nel carcere di Secondigliano siamo troppi detenuti e la struttura ovviamente non regge più. Anche la polizia penitenziaria è nervosa, lavora male, forse troppo. Sta di fatto che anche ricevere un semplice modulo per noi detenuti è diventato un problema. Sai quanto noi detenuti ci teniamo a tenere la cella pulita. Beh qui nel carcere di Secondigliano da mesi, da mesi, non ci danno i detersivi per pulire, la c.d. fornitura igienica. E senza igiene in una cella strapiena di gente si rischia tanto. La nostra pena qui nel carcere di Secondigliano è stare 22 ore in cella, sempre chiusi e basta. Noi, ascoltando e leggendo Radio Carcere sappiamo che la responsabilità è di una politica che se ne frega di noi e della giustizia. Per questo diciamo: forza Radio Carcere. A te Riccardo il nostro saluto perché con la tua voce mantieni le nostre vite ancora vive. Per questo ti ringraziamo".

 

Giuseppe, Salvatore, Vincenzo e tanti altri compagni detenuti

Lettere: San Vittore; le nostre vite sono inventate, per non morire

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Una persona detenuta nel carcere San Vittore di Milano: "Cara Radio Carcere, chi vi scrive è un detenuto che vive in una cella di 9 mq con altri 6 detenuti, senza acqua calda, con i letti a castello di ferro, arrugginiti, e senza nessuna protezione per evitare pericolose cadute. È qui dentro che passiamo tutto il nostro tempo. Cerchiamo di non farci ferite, per paura di prendere il tetano, laviamo i nostri vestiti e poi li stendiamo su un manico da scopa per asciugarli. Vite inventate le nostre. Inventate per non morire. Tutto qui. Questa è la realtà che viviamo nel carcere di San Vittore. Per il resto non c’è nulla né tantomeno la famosa rieducazione. Su 1.400 detenuti sono solo un paio gli educatori presenti in modo costante. Nel carcere di San Vittore di rieducativo c’è solo una situazione psicologica ostile in cui cade il detenuto. Si è abbandonati in un’amara riflessione.

Per quanto riguarda il diritto alla salute qui devi solo resistere per non crepare. Oggi ci sono tanti detenuti in lista d’attesa per un intervento in ospedale e anche casi gravi vengono trattati con i tempi del carcere. Tempi sospesi. Che universo a parte è quello in cui mi trovo! Quale futuro potrò avere? A voi di Radio carcere i saluti dei detenuti del 6° raggio di San Vittore"

Lettere: Messina; non vedo il mio bambino da più di 10 mesi

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Lella dalla sezione femminile del carcere di Messina: "Ciao Riccardo, tu sai che noi detenute di Messina ti ascoltiamo sempre. Bene l’altra settimana quando abbiamo sentito la voce di Sara che era detenuta con noi l’emozione è stata grandissima. Alcune di noi hanno pianto, altre erano in silenzio. Siamo orgogliose della nostra amica Sara, del suo coraggio e sappi che per noi il martedì è sacro perché con la tua voce ci dai la speranza che un giorno questo inferno di carcere possa cambiare. Io per esempio non vedo il mio bambino, che ha 2 anni, da più di 10 mesi.

Ora io non chiedo la libertà ma almeno poter stare vicino a mio figlio che risiede in Campania. Chiedo solo di poterlo riabbracciare per qualche minuto. Chiedo solo di poterlo sentire dire mamma. Chiedo troppo? Ora ti saluto, anzi ti salutiamo tutte noi donne detenute di Messina"

Lettere: Civitavecchia; ora abbiamo registrato il nostro giornale

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Marco e i suoi compagni di detenzione del carcere di Civitavecchia: "Carissimo Riccardo, come ti avevo annunciato tempo fa, abbiamo finalmente registrato il nostro giornale del carcere di Cvitavecchia e il primo numero è previsto per il 9 aprile. Sappi che noi qui dal carcere di Civitavecchia seguiamo con attenzione Radio carcere sia nella versione radiofonica che nella forma di pagina sul Foglio. Il tuo lavoro conferma la nostra fiducia verso di te. Per quanto riguarda la nostra vita qui nel carcere di Civitavecchia devi sapere che in questi giorni stanno aggiungendo la terza branda in cella. Aggiungere un letto in più in celle già piccole è un problema serio per chi è detenuto. Inoltre abbiamo fatto uno studio qui nel carcere di Civitavecchia e abbiamo appurato che su 600 detenuti, circa il 60% deve scontare un residuo pena entro i due anni.

Il che vuol dire che nel carcere di Civitavecchia ci sono 360 detenuti che potrebbero avere un beneficio, una misura alternativa alla detenzione. Purtroppo per carenza di personale ciò non avviene e la conseguenza è un’altra branda in cella. A presto caro Riccardo e da queste celle un in bocca al lupo!"

Giustizia: alla Gorgona terreni in comodato a chi assume detenuti

 

Vita, 12 aprile 2006

 

Terreni coltivati a vigneto, uliveto, frutteto ed orto, attività zootecniche, di itticoltura, di apicoltura, un’attività di ristorazione turistica presso la casa di reclusione dell’isola della Gorgona (Livorno). Tutto ciò sarà ceduto in comodato gratuito alle cooperative sociali e alle imprese che entro il 20 aprile prossimo mostreranno il loro interesse ad un sopralluogo al Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Toscana.

La richiesta, corredata dei dati anagrafici e di residenza dei partecipanti al sopralluogo, va inviata per fax al Provveditorato allo 055/480196. La cessione in comodato gratuito di tenimenti agricoli penitenziari è prevista dalla legge 296/93 previa assunzione e qualificazione dei detenuti, per creare negli stessi istituti penitenziari occasioni di formazione, ma anche produttive, analoghe a quelle delle realtà di mercato. In particolare l’applicazione di tale legge alla Gorgona deriva dall’attuazione del protocollo d’intesa siglato il 16 marzo del 2004 tra la Regione Toscana e e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, volto a promuovere programmi di intervento a favore dei detenuti al fine di avviare progetti imprenditoriali finalizzati all’inserimento lavorativo e al loro conseguente recupero.

Nella valutazione e nella scelta delle proposte progettuali sarà tenuto conto dei criteri prioritari relativi alla realizzazione di un piano per la massima occupazione; dell’estensione sul territorio della rete commerciale; della riqualificazione, ampliamento e riprogrammazione delle attuali produzioni; delle pianificazioni innovative che includano attività di ristorazioni e turismo; dell’eventuale previsione di interventi personalizzati, finalizzati a favorire l’inserimento sociale dei detenuti lavoratori.

Giustizia: caso Fiorani; per uscire dal carcere si deve collaborare...

 

www.radiocarcere.it, 12 aprile 2006

 

Una "condotta di totale collaborazione" rafforzata dal "positivo attivarsi per l’individuazione dei profitti ricavati dalle operazioni incriminate": il giudice preliminare Clementina Forleo motiva così il provvedimento con cui domenica, dopo 118 giorni di carcere, ha concesso gli arresti domiciliari a Gianpiero Fiorani, ex amministratore delegato della Bpi, e al suo braccio destro Gianfranco Boni. La collaborazione. Il confessare. Il fare i nomi dei correi. Sono i presupposti per uscire dal carcere. Presupposti che hanno una previsione normativa. Nessuna norma prevede anche la custodia cautelare possa essere utilizzata per ottenere la collaborazione.

La lettura dell’ordinanza conferma quel che si diceva da giorni: per rendere chiaro perché Fiorani e Boni lasciano il carcere la Forleo ha ritenuto indispensabile riportare ampi stralci delle dichiarazioni rese dai due. Molti nomi di politici: è questo il motivo per quali motivazioni sono state depositate solo dopo la chiusura dei seggi elettorali. Si tratta di buona parte dei verbali riportati ieri da la Repubblica: quelli con cui Fiorani e Boni hanno indicato nel via libera di Silvio Berlusconi il più autorevole avallo politico alla scalata Antonveneta. Ci sono i nomi di Marcello Dell’Utri e Cesare Previti, di Roberto Calderoli e di Aldo Brancher.

Ma nell’ordinanza della Forleo a venire tratteggiato con le tinte più fosche è l’ex governatore di Banca d’Italia, Antonio Fazio, indicato da Fiorani come il vero "regista" dell’operazione Antonveneta, e colpevole per il giudice di un baratto in grande stile. La collaborazione. Il confessare. Il fare i nomi dei correi. Sono i presupposti per uscire dal carcere. Presupposti che hanno una previsione normativa. Nessuna norma prevede anche la custodia cautelare possa essere utilizzata per ottenere la collaborazione. È oscuro capire il perché nell’ordinanza siano stati indicati questi nomi. Nessuna rilevanza hanno ai fini della scarcerazione. Più che un ordinanza sembra un comunicato stampa prontamente ripreso dai mass media.

 

Riccardo Arena

Giustizia: il pm Saieva; stop ai permessi premio per alcuni reati

 

Il Tempo, 12 aprile 2006

 

"Un permesso premio a Luigi Chiatti? L’unica certezza è che non si potrà mai avere la totale garanzia che quest’uomo non commetterà mai più un reato". È il pubblico ministero della procura di Roma Giuseppe Saieva, che fa parte del pool di magistrati che si occupa delle esecuzioni penali, a fotografare il "mondo dei permessi premio", una galassia dove l’unica cosa certa è che ci sarà sempre un’incognita sul comportamento dei detenuti. A poche ore dalla decisione della Cassazione sul "mostro di Foligno".

 

Dottor Saieva, non esiste nessun sistema per dare garanzie ai parenti delle vittime?

"Purtroppo ne esiste uno solo: cambiare le leggi".

 

Che intende?

"C’è soltanto un modo per evitare che riaccadano episodi come quello di Angelo Izzo: modificare la normativa, cioè vietare a chi commette determinati reati di poter presentare un’istanza per chiedere la concessione dei permessi premio".

 

Esiterà un’alternativa.

"Solo quella semmai di concedere permessi premio con limitazioni, come quello degli arresti domiciliari, per mettere alla prova il detenuto che in carcere ha dimostrato di aver capito la gravità dei suoi gesti".

 

Ma a volte una volta fuori tornano a essere dei "mostri".

"Infatti, è come dire, in questi casi, che siamo di fronte a un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Bisogna sempre stare con le dita incrociate nella speranza che la magistratura abbia svolto valutazioni giuste".

 

In base a quali elementi?

"Ciò che conta di più nella valutazione se concedere o meno permessi premio è il parere dei direttori dei penitenziari rispetto invece a quelli delle autorità di polizia, come carabinieri e polizia".

 

Il motivo?

"Nella maggior parte dei casi danno opinioni negative".

 

Le preoccupazioni dei familiari delle vittime sono quindi più che lecite.

"Purtroppo sì. Non ci si potrà mai fidare al cento per cento dei comportamenti di determinati detenuti una volta in libertà, bisogna sperare che il periodo trascorso in una cella sia servito a qualcosa. Servirebbe una palla di vetro, che però non ha nessuno".

 

Quale il rapporto tra i giudici di Sorveglianza e le procure?

"Posso dire che per quanto riguarda la magistratura romana sono pochi i ricorsi presentati contro le decisioni prese dai Tribunali. Prima di concedere un permesso premio effettuano una serie di valutazioni, e il provvedimento finale è preso con molta prudenza".

 

Ma sempre con gli strumenti che hanno a disposizione.

"Certamente. Fino a quando non verrà cambiata la legge i giudici di Sorveglianza non possono far altro che tentare di svolgere nel migliore dei modi il loro lavoro".

 

Valutando anche le relazioni degli educatori delle carceri.

"Sì, ma la parola che pesa di più è quella dei direttori, che hanno quindi un ruolo importantissimo in questi casi". I permessi dunque dipendono da loro? "Hanno sicuramente una grande responsabilità".

Giustizia: Bernardo Provenzano in isolamento nel carcere di Terni

 

Ansa, 12 aprile 2006

 

Bernardo Provenzano è stato trasferito nella notte da Palermo, dove ieri, dopo essere stato catturato dalla polizia, era stato rinchiuso nel carcere dell’Ucciardone, alla prigione di massima sicurezza di Vocabolo Sabbione a Terni, dove ora si trova in stato di isolamento.Predisposto dalla Questura di Terni un piano di sicurezza straordinario in accordo con i dirigenti della struttura carceraria che prevede al suo interno una sezione per detenuti sottoposti al cosiddetto 41 bis (carcere duro). E non sono passate neanche 24 ore dal suo arresto che tre fiancheggiatori del boss vengono arrestati. Si tratta di postini che recapitavano al capo di Cosa Nostra i messaggi che arrivavano da tutta la Sicilia. I tre fedelissimi, due pastori e un rappresentante di aspirapolveri, sono tutti corleonesi, ed erano già stati notati nei giorni in cui il covo era tenuto sotto osservazione. Calogero e Giuseppe Lo Bue (padre e figlio) e Bernardo Riina, questi i loro nomi. Le manette per i fiancheggiatori della primula rossa di Corleone sono scattate nella notte su ordine dei magistrati della Dda di Palermo che hanno coordinato tutta l’indagine. I pm sono Marzia Sabella e Michele Prestipino. Il procuratore aggiunto è Giuseppe Pignatone. Uno dei tre postini, Giuseppe Lo Bue, il 36enne rappresentante di aspirapolveri, è un nipote acquisito del superboss. È infatti sposato con la figlia di Carmelo Gariffo: un matrimonio che ne suggella la parentela ed era il primo nella particolare staffetta dei pizzini (i bigliettini usati da Provenzano per comunicare ordini ai suoi affiliati).

Lui andava infatti a trovare la zia, Saveria Palazzolo (moglie di Provenzano ndr), che gli consegnava i pacchi con biancheria per il boss. L’ultimo passaggio, quella della consegna era effettuato dal 70enne Bernardo Riina, sul quale c’erano già indagini aperte dal 2001 quando il suo nome venne trovato in alcuni ‘pizzini’ sequestrati nell’ambito dell’indagine che ha portato all’arresto il boss Benedetto Spera nelle campagne di Mezzoiuso. Sono stati proprio i movimenti continui di Giuseppe Lo Bue ad incastrare Provenzano. Il paese di Corleone, infatti, per circa tre mesi si è trasformato come un grande fratello. È stato monitorato notte e giorno attraverso decine di cimici e telecamere registrando il via e vai di Lo Bue. Intanto, una squadra di 6 super esperti dell’Ert (Esperti ricerca tracce) della Polizia Scientifica della Direzione centrale anticrimine sono arrivati in nottata da Roma per proseguire i rilievi nel covo corleonese dove il capo di Cosa Nostra si trovava, secondo gli inquirenti, da tempo "in un periodo che va dalla fine del 2004 all’inizio del 2005". Qui sono stati rinvenuti 200 pizzini. Circa 15 sono quelli relativi alle comunicazioni familiari dove il boss chiedeva, tra l’altro, alla famiglia di mandargli la pasta al forno. Gli altri pizzini, invece, sono quelli ritenuti importanti dal punto di vista investigativo. Ricomponendoli e decriptandoli si otterrebbero informazioni preziose sugli affari gestiti dal mammasantissima. Nei bigliettini infatti sarebbero presenti indicazioni su gestione appalti e introiti di natura estorsiva.

Giustizia: Caruso; andrò in carcere, ma per incontrare i detenuti

 

Ansa, 12 aprile 2006

 

L’esordio sembra quello del disobbediente, perché Francesco Caruso, sannita, da oggi onorevole, commentando la sua elezione alla Camera dei deputati sostiene: "Non vedo l’ora di andare in prigione". In realtà è linguaggio da neo-parlamentare, è la prima trovata a effetto da deputato di Rifondazione: "Voglio dire che uno dei privilegi che più mi appassionano - spiega - è il fatto di poter entrare in qualsiasi momento in carcere, per verificare quali siano le condizioni di vita dei detenuti. E io voglio andare a Poggioreale, dove il clima è caldissimo".

Un dossier sulle carceri italiane è il primo progetto personale. L’Unione, invece, dal suo punto di vista, dovrà fare una prima mossa inderogabile: "Ritirare subito le truppe italiane dall’Iraq, è il minimo che si possa fare". E la guerra civile? Caruso è convinto che "la situazione migliorerà solo se se ne andranno gli occupanti". Berlusconi ha perso le elezioni, ma ora bisogna sconfiggere il berlusconismo, continua, commentando i risultati: "La partita inizia oggi, non è la compravendita di questo o quel senatore che favorirà una maggioranza stabile, ma una inversione di tendenza nel paese: il segnale è che bisogna riformare la politica. Io non credevo che il venditore di detersivi e dentifrici riuscisse a imbambolare l’opinione pubblica".

Non sono stati i partiti della sinistra radicale ad allontanare l’elettorato italiano, anzi: "Credo che i dati oggi dimostrino che il tentativo di rincorrere il moderatismo e Berlusconi sul suo stesso terreno sia stato l’elemento debole della campagna elettorale: tutti i partiti più radicali crescono, chi lo rincorre perde". Nè adesso si può immaginare di ricucire il Paese contrattando o costruendo chissà quale intesa con l’opposizione: "Ci si rafforza non guardando a destra, ma guardando in basso. Basta osservare la Francia: la legge cambia non per alchimie di numeri, ma perché esiste una forte partecipazione popolare". Torniamo a lui. Domani? Sul Pollino a insegnare educazione ambientale ai ragazzi dell’associazione per cui lavora. Quindi il deputato si presta a raccontare in breve il suo curriculum. Nato a Benevento, 31 anni, Caruso è laureato in Scienze politiche, con una tesi su "I fenomeni dell’antagonismo sociale in Italia"; poi un master in Analisi di Sviluppo locale; e due tentativi finiti in Tribunale, di approfondire gli studi. "Vinsi un concorso al Formez, ma mi chiesero di firmare una dichiarazione sulla legittimità delle agenzie di lavoro interinale - racconta - Li ho denunciati e ho vinto".

Poi una borsa di studio al Ministero del Welfare di Maroni: "Proposi un progetto sulle forme di aggregazioni giovanili, ma poi ho ricevuto una lettera di revoca dei finanziamenti. Partivo dai fatti di Genova, la cosa non piaceva. Anche lì è finita al Tar". E adesso? "Da parlamentare continuerò a raccogliere materiale per le mie inchieste - dice - anche i questi giorni si campagna elettorale, invece di farmi incastrare nel teatrino della politica ho girato per il Mezzogiorno: sono pronto a denunciare almeno 80 vertenze ambientali e sociali". Per esempio: "L’elettrodotto che vogliono fare in Sila - elenca - la fabbrica Di Mauro che chiude a Cava dei Tirreni e si sposta a Milano, lasciando a piedi 120 padri di famiglia". Altri si occuperanno di fare le leggi tecnicamente. Il metodo per fare il parlamentare, è la conclusione, Caruso lo ha imparato facendo il disobbediente.

Droghe: Cancrini (Pdci): necessario modificare subito la legge Fini

 

Apcom, 12 aprile 2006

 

"La legge Fini, quella cioè sulla droga, è da modificare facendo molta attenzione a chi sono le vittime e chi invece i carnefici". Il neoeletto con i Comunisti italiani, Luigi Cancrini, noto psicoterapeuta italiano vede la legge sulla droga come una norma "non positiva. Il governo Berlusconi - spiega ad Apcom Cancrini - ha portato avanti alcune leggi molto buone, tipo quella sul fumo da cui abbiamo ottenuto ottimi risultati. Su quella della droga bisogna distinguere chi va curato e chi invece deve essere punito poiché una legge che punisce qualsiasi persona utilizzi una droga - aggiunge - la allontana dai servizi sociali e rischia di ributtarla nelle braccia del carnefice".

Il neoeletto commentando la sua vittoria sottolinea che "nella campagna elettorale ho cercato di dare voce ad un insieme di persone che da sole non ce l’hanno e che hanno difficoltà. Per questo motivo il partito dei Comunisti italiani dandomi questa possibilità mi ha dato una grande soddisfazione".

Cancrini non si esime dall’esprimere la preoccupazione per il nuovo governo: "Un governo - spiega lo psicoterapeuta - che si muoverà in grandi incertezze. Siamo tutti sulla barca speriamo quindi di arrivare alla meta prefissata". Il rappresentante dei Comunisti italiani ha delle idee ben chiare per quanto riguarda il suo lavoro legislativo. "Ho in testa - dice Cancrini - due obiettivi importanti. Il primo è quello di portare avanti una proposta di legge, ferma al 2002, sul diritto della psicoterapia a tutti i cittadini, come già avviene in molti paesi europei. Altro obiettivo importante - aggiunge - è quello di dare spazio nel Welfare alle categorie sociali deboli. Faccio un esempio: a Roma un assistente sociale del Municipio segue 600-700 casi di bambini, questo è impensabile. Altro esempio riguarda la situazione delle carceri: il ministero di Grazia e Giustizia, qualche anno fa, ha fatto il primo concorso per gli psicologi nelle carceri per soli 38 posti su tutto il territorio nazionale. È chiaro che si tratta di un numero insufficiente per trattare un problema di importanza così elevata come la psicologia nelle carceri".

Droghe: Ass. Giovanni XIII; lavorare è sempre buona terapia

 

Redattore Sociale, 12 aprile 2006

 

Una nuova serra, un piccolo vivaio e un nuovo laboratorio di restauro mobili per la cooperativa sociale "La Speranza", che da 18 anni si occupa di inserimento lavorativo e avviamento professionale soprattutto di ex tossicodipendenti ed ex detenuti, insieme al Centro sociale Papa Giovanni XIII di Reggio Emilia, ai Sert, ai servizi sociali dei Comuni, al servizio psichiatrico dell’Ausl, al Centro di servizi sociali per adulti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e alla cooperativa "Libera-Mente". Serra, vivaio e laboratorio sorgeranno a Villa Sesso, all’interno di un’area di 30.000 metri quadrati di proprietà della Fondazione Papa Giovanni XXIII, destinata a ospitare la nuova sede della comunità di recupero (che ora si trova a Mancasale) con i suoi posti letto, la palestra, i campi da calcetto e da basket, gli uffici per i colloqui per chi è anche un "malato" del gioco d’azzardo. E coltivare le piante, venderle al mercato di via del Guazzatoio il martedì e il venerdì oppure occuparsi della manutenzione del verde per i Comuni di Reggio Emilia e Cà del Bosco Sotto, sono le attività portate avanti dai ragazzi della cooperativa "La Speranza", mentre "Libera-Mente" si occupa di assemblaggio e stampa.

"Lavorare è sempre una buona terapia, soprattutto quando è unita a corsi di formazione professionalizzanti per imparare un mestiere - dice Matteo Iori, presidente dell’associazione Centro sociale Papa Giovanni XXIII -. Per questo, da tempo, l’impegno delle comunità di recupero è sì quello di accogliere le persone, ma anche di condurle a esperienze occupazionali, utilizzando il lavoro come uno strumento educativo e terapeutico insieme cui accompagnare tanti altri servizi di supporto alla persona, come ad esempio il sostegno psicologico. In questi casi l’impiego non è più un’esperienza riservata al post comunità, ma una pratica fatta durante e finalizzata al reinserimento sociale delle persone". Avere un’occupazione "rafforza l’autostima, fa riprendere coscienza delle proprie capacità, dà indipendenza economica e personale, dona consapevolezza sociale e aiuta i tossicodipendenti a gettar via quell’idea di assistenzialismo secondo cui tutto è dovuto", aggiunge don Ercole Artoni, della Papa Giovanni XXIII.

Dalla comunità Papa Giovanni XXIII di Reggio Emilia arriva anche un giudizio negativo sulla nuova legge sulle droghe (il cosiddetto ddl Fini, ora in vigore con i nuovi quantitativi di principio attivo considerati ad uso personale e quindi punibili con sanzioni amministrative). "Non è vero che le sostanze sono tutte uguali – dice Matteo Iori -. Questo decreto, secondo cui l’unica strategia di lotta agli stupefacenti è la repressione, cancella le campagne di sensibilizzazione fatte per spiegare i diversi rischi delle varie droghe e i percorsi di recupero personalizzati. Un esempio: rischia la chiusura (con revoca dell’iscrizione all’Albo) l’ente il cui responsabile non segnala all’autorità le violazioni al programma di un ragazzo in comunità, ovvero le ricadute nel tunnel della droga che spesso fanno parte del percorso di uscita di una persona dal giogo della sostanza".

Sappe: le priorità del carcere subito nell'agenda del governo

 

Comunicato stampa, 12 aprile 2006

 

L’esito delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile scorso ci ha consegnato un nuovo Governo ed un nuovo Parlamento, oltre alla consapevolezza che il Paese è sostanzialmente diviso in due. I tempi per la formazione del nuovo governo passano attraverso scadenze e scansioni temporali imprescindibili: c’è inoltre da tenere presente una lunghezza dei tempi che è costituzionalmente obbligata. Come Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria riteniamo che debbano essere immediatamente posti all’ordine del giorno dei prossimi lavori parlamentari le priorità del Corpo di Polizia Penitenziaria."

A scriverlo in una nota bipartisan diretta a Romano Prodi e Silvio Berlusconi è la Segreteria Generale del Sappe, il Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 11mila iscritti, che ha indicato alcune delle priorità del sistema carcere: "Sarà necessario individuare una soluzione legislativa utile al mantenimento in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari; l’integrazione dei fondi di bilancio, 5 milioni di euro, per risolvere il problema determinato dall’utilizzo di risorse economiche per il pagamento delle indennità al personale addetto alla sorveglianza dei detenuti 41 bis; l’adeguamento dello stanziamento economico utile al pagamento delle missioni e l’aumento delle risorse destinate ai vari capitoli di spesa che riguardano il Corpo; l’urgente calendarizzazione della proposte di legge sul riordino delle carriere del Personale delle Forze di Polizia, già approvato dalla Camera dei Deputati nel febbraio del 2006, e sulla Delega al Governo per la riforma del Corpo (proposta On. Pecorella), che prevede anche l’istituzione della Direzione Generale della Polizia Penitenziaria; l’adeguamento degli organici del Corpo di Polizia Penitenziaria (con la revisione delle attuali piante organiche) anche alla luce della recente approvazione della legge "ex Cirielli", approvata senza considerare l’attualità del sistema penitenziario italiano."

 

 

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