Rassegna stampa 11 aprile

 

I primi 100 giorni di governo nelle richieste dell’Italia "sociale"

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Cosa fare nei primi 100 giorni di governo… tenendo in considerazione le istanze del sociale? Quali le prime scelte concrete da compiere nel tentativo di "ricucire" di un’Italia che tutti definiscono spaccata in due? Sono le prime domande rivolte ai principali protagonisti del volontariato e del terzo settore italiano, nella carrellata di interviste pubblicate oggi su Redattore Sociale, cercando ascoltare le voci delle diverse espressioni dell’impegno sociale in Italia, da quelle di matrice ecclesiale o cristiana a quelle laiche, dal volontariato di base alle ong per lo sviluppo internazionale, dalla cooperazione sociale al mondo delle comunità di accoglienza, dal volontariato in carcere alla disabilità, etc.

A spoglio delle schede ormai concluso, dopo oltre 12 ore di incertezza sui risultati reali, le urne hanno delineato un futuro in cui - a meno dell’eventualità di un esecutivo tecnico - se all’Unione venisse affidato il compito di governare, questo compito sarebbe reso estremamente difficile da un Senato in cui non esiste al momento una maggioranza chiara. E soprattutto dalla netta divisione in due parti uguali dell’elettorato italiano.

È noto che l’Unione era stato lo schieramento che la maggioranza dell’associazionismo sociale prima delle elezioni aveva, anche questa volta, più o meno esplicitamente dichiarato di preferire. Ma al di là della "simpatia", quali sono le attese, le proposte, le priorità che il non profit indica al nuovo governo?

Albanesi: per metà dell’Italia gli interessi personali prevalgono

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Don Albanesi (Comunità di Capodarco): È nero il futuro per chi si occupa di disabilità, disagio, povertà: il rischio è che ritorni ai margini della vita sociale ed economica del paese, accontentandosi delle briciole dei ricchi.

Il segnale più significativo che emerge dalla consultazione elettorale è che nella nostra Italia, metà della popolazione non pone attenzione ai temi della solidarietà e dell’aiuto reciproco. Un po’ come in tutte le società evolute prevale, in molta parte della popolazione, l’attenzione ai propri interessi.

Il Vescovo di Baltimora, in occasione delle ultime elezioni americane, alla domanda che gli ponevano sulle scelte dei cattolici praticanti americani tra repubblicani e democratici, rispose che la scelta tra i due partiti dipendeva, al primo posto, da chi avesse abbassato le tasse. Anche in Italia abbiamo assistito, prima delle elezioni, alle file presso i notai per la paura dell’introduzione delle tasse di successione.

Nella campagna elettorale, molti temi, pure drammatici della nostra convivenza civile, sono stati semplicemente ignorati: immigrazione, anziani, lavoro, mercato della casa; per non parlare di droga, di carcere, di salute dei giovani. Tutto si è giocato, ossessivamente, sul tema delle tasse.

La stessa attenzione alla famiglia, a ben leggere, è nei confronti di una famiglia "regolare", "sicura", "normale". Non già, come si vuol far credere, per motivi ideali, ma per motivi economici e sociali.

Il futuro che si prospetta a chi, come noi si occupa di disabilità, disagio, povertà, è nero. Anzi: più la crisi economica è incombente, più c’è un fuggi fuggi a tutelare il proprio interesse vitale. Ciò è ancor più preoccupante se anche coloro che hanno bisogno della solidarietà preferiscono sognare un futuro da ricchi. E non si tratta di schieramenti, ma di coscienza collettiva che "impone" messaggi rassicuranti e non altruisti. La stessa solidarietà internazionale è diventato tema tabù: il motivo era la paura della sottrazione di risorse alla "nostra" convivenza. Gli interventi anche armati sono stati giudicati necessari per la nostra sicurezza e per il nostro benessere, senza tanti scrupoli. La mancanza di dibattito su temi scottanti della convivenza sociale da ambedue gli schieramenti, è l’indicazione inequivocabile che i consensi impedivano addirittura di discutere, prima che di decidere e di scegliere.

Il rischio per il mondo del sociale è che ritorni ai margini della vita sociale ed economica del paese. La prospettiva è quella di doversi accontentare di briciole che "i ricchi" decideranno di lasciare ai poveri. Di fronte a questa prospettiva due sono le strade: prendere atto di questa tendenza e sopravvivere, oppure continuare a credere che una società equilibrata ed evoluta debba avere sistemi di sicurezza sociale alti. Noi continuiamo a proporre la seconda ipotesi, convinti della bontà della scelta che tuteli il benessere di tutti. La primavera tornerà a splendere, anche se appare in ritardo. Ne siamo sicuri.

Marelli: divisione netta rischia di oscurare le urgenze del paese

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Le Ong italiane temono che il tema della solidarietà internazionale "diventi ostaggio di un ricatto politico tra chi governa e chi è all’opposizione". Numeri troppo risicati per sostenere quelle scelte coraggiose nell’ambito della solidarietà internazionale che appaiono ad oggi necessarie per far recuperare credibilità al Paese. È la preoccupazione di Sergio Marelli, responsabile dell’Associazione Ong Italiane, che così commenta il dato uscito dalle urne. Gli italiani consegnano alla politica un’Italia spaccata in due, in modo immaginabile fino a ieri. "Siamo preoccupati perché una divisione così netta e paritaria tra gli schieramenti che si sono presentati alle elezioni rischia di oscurare le urgenze del paese". Prioritario per Sergio Marelli "recuperare il ruolo dell’Italia nelle politiche della cooperazione e della solidarietà internazionale". Le Ong non hanno infatti risparmiato critiche al Governo in questi mesi, opponendosi ai tagli previsti in finanziaria per la cooperazione e chiedendo tra l’altro di destinare il 10 per cento delle spese militari alla cooperazione. "In questi 5 anni - commenta Marelli - l’Italia ha mantenuto una posizione insostenibile e scandalosa rispetto agli impegni internazionali assunti. Temiamo che ancora una volta questi temi diventino ostaggio di un ricatto politico tra chi governa e chi è all’opposizione".

Klun: servono strumenti e politiche su misura contro la povertà

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Klun: "C’è un problema grave: il dato sulla povertà rischia di non avere strumenti reali di rilevazione. Per questo, è necessario costituire un grande Osservatorio nazionale". Strumenti adeguati e politiche su misura per affrontare la povertà, che in Italia cresce sempre di più. Anzi, le povertà: non solo quelle "nuove", di cui si parla spesso (come le tante famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese, gli anziani soli, i giovani precari), ma anche quelle più gravi, etichettabili come veri e propri casi di emarginazione. "Per noi, i punti che il nuovo governo dovrà discutere c’erano già prima – dice Paolo Klun, dell’associazione "Amici di Piazza Grande", da anni impegnata a fianco degli ultimi, dei senza fissa dimora – . C’è un problema grave, mi riferisco al fatto che il dato sulla povertà rischia di non avere strumenti reali di rilevazione. Per questo, riteniamo che sia necessario costituire un grande Osservatorio nazionale, a cui vengano chiamati per collaborare enti e associazioni, con il compito di rilevare il dato più reale possibile". In particolare, secondo gli "Amici di Piazza Grande" "manca – aggiunge Paolo Klun – uno specifico punto di osservazione sull’emarginazione grave, che si discosta dal terreno della semplice povertà".

Un ambito che "Piazza Grande", con il suo giornale di strada venduto da senza fissa dimora (l’ultima generazione è rappresentata soprattutto da giovani stranieri), con l’unità mobile che presta assistenza di notte girando per le vie di Bologna, per fermarsi soprattutto in stazione, conosce molto bene. Servono quindi politiche mirate, dedicate, "perché, per esempio, le politiche sociali si muovono spesso sul fronte dell’emergenza, dei nuovi bisogni, concentrando in questo segmento le risorse a disposizione. Ma l’ambito delle povertà gravi, di quelle povertà che si annidano soprattutto in ambito metropolitano, dove va a finire?" Tutte queste "sono priorità – prosegue Klun – in un contesto di accesso ai diritti che continuano a non essere riconosciuti. Primo fra tutti, la residenza. E poi, mancano strumenti adeguati di accompagnamento al lavoro; anche le politiche locali rischiano di non essere sufficienti per far fronte alla situazione. Al nuovo governo – conclude Klun – spetta dunque il compito urgente di capire a fondo la complessità del panorama sociale, e riprogrammare di conseguenza le proprie politiche".

Rigoldi: economia, lavoro ai giovani e integrazione degli stranieri

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Il voto ci consegna un Paese spaccato in due parti, divise dall’aggressività e dal rancore prodotti dal governo Berlusconi". E sui temi della famiglia critica la posizione della Chiesa: "Certi vescovi superficiali, se non in malafede".

Un’Italia divisa e rancorosa. È la fotografia della nazione, all’indomani dal barcollante esito delle elezioni politiche, che ha davanti agli occhi Don Gino Rigoldi, prete di frontiera impegnato nel sociale nel carcere minorile Beccaria e nella periferia milanese, fondatore di Comunità Nuova. "Il voto ci consegna un Paese spaccato, e lo è davvero perché ci sono un’aggressività e un rancore reciproci che credo siano il peggior prodotto del governo Berlusconi - commenta Don Rigodi -. Si ha un bel dire che a litigare si è in due: quando una parte viene attaccata poi replica, e mi pare che lo stile del governo di destra abbia provocato questo, che sarà un elemento di instabilità anche per il futuro".

Priorità ai temi economici - "Intanto speriamo che il nuovo governo abbia una maggioranza, dopodiché abbiamo questioni importanti da affrontare. Intanto il discorso dell’economia, perché come si dice senza soldi non si canta la Messa. Tra le grandi priorità vedo la casa, l’integrazione positiva e costruttiva degli stranieri, che ormai sono nel nostro futuro: Milano cresce perché nascono i figli degli stranieri, abbiamo 10mila matrimoni misti all’anno e questo non va considerato un accidente che poi passa. Poi c’è il divario tra Nord e Sud del Paese e i temi del lavoro, che ci deve essere e dev’essere decente: è vero che la flessibilità è a favore delle aziende, ma ora è diventata occasione di sfruttamento del lavoro e taglia le gambe ai giovani. Non è pensabile che il lavoro manchi del tutto, soprattutto al Sud, oppure che sia così volatile.

Famiglia, vescovi in malafede? – "Verso i temi dell’economia e degli stranieri vorrei un atteggiamento diverso da parte della Chiesa, finora schierata verso il centrodestra con questa fantomatica parola magica della famiglia, mentre l’etica evangelica della redistribuzione della ricchezza e dell’attenzione verso i poveri è stata assolutamente cancellata. La famiglia cattolica si sposa in Chiesa ma non mi pare che le tv berlusconiane abbiano promosso la cultura della famiglia. in questo senso la posizione di certi vescovi mi sembra superficiale se non in malafede. Invece nel centrodestra non ci sono forse segni di razzismo? Se c è una bestemmia contro Dio è non considerare gli stranieri come fratelli, ma come nemici".

Pezzana: chi ha vinto? di sicuro ha perso la coesione sociale

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Se ancora non mi è chiaro chi ha vinto, chi ha perso mi è chiarissimo ed è la coesione sociale". Questo il commento a caldo di Paolo Pezzana, presidente della Fiopsd, durante un colloquio con l’agenzia Redattore sociale realizzato quando il dato relativo al Senato era ancora sbilanciato a favore della Casa delle Libertà.

"L’Italia risulta un Paese spaccato e invelenito, nel momento in cui ci sono sfide enormi sul versante sulla lotta alla povertà. Sfide che richiederebbero scelte forti e coraggiose, investimenti e capacità di produrre reddito e attenzione verso gli strati deboli della società. Scelte che credo impossibili da realizzare in una situazione in cui ogni scelta coraggiosa sarà condannata a causare crisi o tensioni e ci si potrà muovere soltanto attraverso politiche di piccolo cabotaggio e di transizione, mentre il tema della povertà, per essere affrontato, ha bisogno di una forte iniezione di fiducia, speranza e solidarietà, che io non vedo. Sarà il pessimismo indotto dalla notte insonne, ma sono molto preoccupato per la coesione sociale del Paese e per la capacità di sviluppare politiche che la favoriscano".

Assistenza per tutti e reddito minimo di inserimento. "Per quanto riguarda le sfide in testa all’agenda sociale, sul piatto ci sono almeno tre elementi non rimandabili che il governo precedente ha continuato a rinviare - dice Pezzana-: garantire a tutti i livelli essenziali di assistenza, arrivare ad una reale conoscenza del fenomeno della povertà, soprattutto quella grave. Quando parliamo di grave emarginazione, infatti, non abbiamo nessun dato in merito e nessuno è in grado di parlarne davvero, salvo chi con la grave marginalità ci lavora. Conoscere questo fenomeno è un dovere etico e una necessità politica. Il terzo elemento è l’adozione di un reddito minimo di inserimento, una misura che nell’Unione europea a 25 l’Italia è l’unica ad essere sprovvista, insieme a Grecia e Ungheria. Uno strumento che gli stessi studi economici dimostrano essere efficiente, specie se coniugato con politiche del lavoro degne di questo nome. Quelle di oggi sono una miniera di precarietà anziché di flessibilità, contrariamente alle intenzioni di Marco Biagi".

Casa e Fondo delle politiche sociali. "Queste tre misure urgenti bussano alla porta, insieme alle politiche per la casa, ormai di competenza delle Regioni, e alla necessità di reintegrare il Fondo nazionale delle politiche sociali, tagliato per oltre la metà dell’importo nelle ultime due finanziarie - prosegue Pezzana-. Il programma dell’Unione era in linea con questi ultimi due intendimenti, ma ora c’è bisogno di misure politiche forti che richiedono un esecutivo forte e capace di veicolare il consenso nel Paese. Non ci può essere sviluppo senza Welfare e in questo senso non credo che il risultato elettorale di stanotte aiuti a perseguire questi risultati e questo nuoce alla coesione sociale del Paese. Facendomi voce dei senza dimora, spero nella Presidenza della Repubblica, che riescano ad iniettare un supplemento di etica, solidarietà e convinzione morale, e riescano a supplire ai danni che la legge elettorale e i toni della campagna elettorale hanno provocato".

Bizzotto: ora dobbiamo ripartire dai servizi per i più poveri

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Per il leader dei "Beati i costruttori di pace", la divisione dell’Italia "non è tra ricchi e poveri, ma tra chi pensa solo ai propri interessi e chi invece pensa in termini di comunità". Il problema principale che dovrà affrontare il nuovo governo? Ricucire un paese diviso: non tanto, e non solo, tra ricchi e poveri, ma piuttosto tra chi pensa solamente ai propri interessi e chi invece ragiona in termini di comunità e di bene collettivo. Don Albino Bizzotto, presidente di "Beati i Costruttori di Pace", sottolinea come la situazione, proprio a fronte di un risultato elettorale che spacca il paese a metà, sia molto chiara: "Come già pareva in modo evidente prima di questo risultato elettorale – tiene a sottolineare don Bizzotto - la situazione mi sembra piuttosto chiara: l’Italia è un paese spaccato in due. Non si tratta però di una divisione tra ricchi e poveri, ma tra chi pensa solo ai propri interessi e chi invece pensa in termini di comunità. In questo senso, non si può parlare propriamente di una scelta a favore di Berlusconi, e le zone più ricche di Italia lo hanno ben fatto capire".

Il secondo punto chiave, secondo don Bizzotto, motivo che ha portato a questa spaccatura nel tessuto sociale italiano, è che "coloro che hanno come solo mezzo di informazione la televisione, ovvero i più poveri, coloro che hanno meno strumenti, hanno trovato con Berlusconi qualcuno che gli ha parlato". Questa la situazione con cui dovrà fare i conti il nuovo governo. "Che cosa si può fare a questo punto per ricucire il nostro paese? – conclude don Bizzotto - Bisogna prima di tutto rimettere in ordine la Costituzione, partendo dai servizi ai più poveri, garantendo le esigenze delle fasce più svantaggiate, ricercando il bene comune. Dal punto di vista istituzionale, invece, bisogna fare in modo che l’equilibrio dello Stato sia garantito".

Olivero: povertà e legalità sono i temi prioritari nell’agenda

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Un’Italia impaurita e preoccupata per il suo futuro" quella fotografata dal risultato elettorale secondo Andrea Olivero, presidente delle Acli. "La condizione del paese avrebbero richiesto scelte coraggiose che non potranno essere assunte dal centro-sinistra. - commenta – Ma la qualità dei problemi è tale che, chi si pone alla guida del paese, dovrà affrontarli". Prioritario nell’agenda del nuovo governo il tema della povertà. "Il sud e alcune parti del nord del paese mostrano difficoltà ad andare avanti, soprattutto le famiglie numerose. Noi chiediamo al governo un segnale forte al riguardo e su questo crediamo si possa trovare un convergenza un po’ più ampia rispetto alla maggioranza risicata".

Nell’agenda sociale delle Acli anche il tema della legalità. "Solo qualche giorno fa avevamo detto che sarebbe stato un segnale davvero importante se le prime parole dei vincitori di queste elezioni politiche fossero di sostegno alla Locride e al vescovo Giancarlo Brigantini. Lo ribadiamo oggi, anche alla luce dell’arresto del boss Provenzano". Le Acli chiamano le istituzioni ad un’assunzione di responsabilità e chiedono che sul tema della legalità le forze politiche lavorino insieme ed immediatamente, per lanciare un messaggio forte ed unitario.

L’immagine restituita dal voto è quella di un paese spaccato in due, in affanno e sulla difensiva, che "non si è fidato fino in fondo" di nessuno dei due leader, perché nessuno "dava garanzia di cambiamento e sviluppo". Da imputare al centro-sinistra l’incapace di offrire all’Italia una visione diversa del sistema welfare come "grande prospettiva di sviluppo per il paese". "Il welfare è stato presentato come un sistema di tutela per i meno abbienti; è anche questo ma è soprattutto una grande occasione di crescita".

Ferrari: priorità all’emergenza carcere e alla legge sul volontariato

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Molti italiani non si sono fermati di fronte ai fatti compiuti dal Governo in questi cinque anni in cui il mondo della solidarietà è stato messo all’angolo e la giustizia calpestata". Questa la prima evidenza sottolineata da Livio Ferrari (Conferenza nazionale Volontariato e Giustizia), commentando i risultati delle elezioni politiche. "L’altra sottolineatura importante, che non è stata evidente negli ultimi tempi è che, al di là del fatto che il capo del Governo e dei media abbia inflazionato il mondo della comunicazione con la sua presenza, è stato in grado di influenzare quella parte debole dell’elettorato che non ha risposto alle logiche della qualità del voto, ma a logiche di risposta a messaggi banali che hanno attecchito".

Agenda sociale: carcere in testa. Per quanto riguarda le sfide principali dell’agenda sociale penso soprattutto al mondo del carcere dove, dopo cinque anni di disinteresse, c’è la disperazione completa, mentre la società per azioni Dike Aedifica, costituita da amici del Ministro della Giustizia (Roberto Castelli; ndr), era impegnata a dismettere vecchie carceri, ospitate in immobili anche preziosi dal punto di vista economico, per ricavarne profitto (secondo un rapporto del Governo pubblicato nel 2005, la società era nata per la "realizzazione dei programmi di edilizia carceraria e giudiziaria"). Oggi nei penitenziari c’è sovraffollamento e in questi anni si è registrato un aumento delle violenze, dei suicidi e dei morti: il carcere è diventato un luogo assurdo della vendetta di questo Stato e c’è bisogno di mettervi mano. Una delle priorità dev’essere quella di dare un segnale di pace e disponibilità nei confronti di chi ha sbagliato e vuole cambiare, con provvedimenti di clemenza già invocati da più parti".

Immigrazione, volontariato e famiglia. "Va dato un segnale anche per il mondo dell’immigrazione - prosegue Ferrari-: un mondo diventato importante dal punto di vista economico ma che continuiamo a far finta di non prendere sul serio. Dobbiamo accettare la scommessa di creare politiche che rispettino la dignità delle persone. Per quanto riguarda il volontariato, poi, credo che la legge quadro sia da rivedere e completare. Ci eravamo fermati con la ministra Livia Turco, quando già si doveva provvedere ad una riformulazione. Poi c’è stato il maldestro tentativo della sottosegretaria Grazia Sestini, che insieme a Comunione e Liberazione ha tentato di far diventare la legge quadro non più la legge della gratuità, ma una normativa che riduceva il volontariato all’impresa sociale. Spero che il prossimo governo possa concludere l’iter di adeguamento della legge 266/91 e si possa completare il tutto in un’ottica di gratuità. Parlando di famiglia, le cose dipenderanno molto dalle decisioni che verranno prese in economia. Lo stesso Prodi, in occasione di un grosso incontro avvenuto a Perugia lo scorso ottobre, ha detto che molte politiche legate all’attenzione al sociale sono vincolate a possibilità economiche del Paese: considerando lo sfacelo subito in questi anni, dubito ci saranno molte risorse immediate da spendere in questo senso.

Zanotelli: le classi sociali più povere sono anche le più ricattabili

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Mettere al centro l’uomo e non il profitto: questo chiederebbe al nuovo governo padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano che da qualche anno ha scelto Napoli come sua città di missione, ed è diventato il simbolo della società civile che si interroga e si mobilita.

"Vorrei che il governo ora eletto – dice padre Alex – si preoccupi prioritariamente dell’uomo più debole, e delle sue esigenze, e poi che adotti una seria politica verso i più poveri". Un richiamo che non riguarda solo la politica interna: "L’Italia ha un’enorme importanza nel Mediterraneo e i problemi dell’Africa rischiamo di travolgerci se non le diamo una mano a rialzarsi", dice padre Alex, che ricorda come in Africa – dove è stato a lungo missionario – le classi sociali più povere siano anche "le più ricattabili", e questo sembra essere accaduto anche nel nostro Paese.

"Non mi sorprende che l’Italia sia spaccata in due dal voto", dice. "La forza del suggestionamento su chi è emarginato è enorme, soprattutto se le classi deboli non sono coscientizzate. Così le promesse berlusconiane di ricchezza e lavoro fanno maggiormente presa nelle aree più povere del Paese". Secondo Alex Zanotelli uno dei fattori che hanno giocato molto in questa ultima tornata elettorale è stato il potere mediatico della coalizione di Centro-destra. "È una cosa enorme che il governo uscente controlli l’80% dei media in questo Paese. Oltre a condizionare il voto, i media così controllati hanno trasmesso un modello di sviluppo basato sui consumi, che ha condizionato soprattutto i giovani, per i quali non sarà facile uscire da questo ubriacamento mediatico consumistico. Se vogliamo permettere al popolo ordinario della strada di fare scelte responsabili i mezzi di informazione devono essere pubblici e gestiti da autorità pubbliche. Senza informazione sicura non si possono fare scelte democratiche". Secondo padre Zanotelli anche la criminalità organizzata ha giocato un ruolo importante nelle scelte elettorali. "La mafia e la camorra controllano molto bene il loro territorio e impongono le scelte a loro più consone. E anche il legame tra malavita e logge massoniche non è da sottovalutare, invece non se ne parla mai". Ma al centro delle preoccupazioni di Alex Zanotelli sembra esserci soprattutto il futuro del Mezzogiorno e in particolare di Napoli, dove a fine maggio ci sarà un’altra tornata elettorale, quella per le amministrative.

"A Napoli è grande il problema della povertà – dice – che si può affrontare solo aiutando la gente a mettersi in piedi, a creare cittadinanza, a liberarsi dalle forme di schiavitù locali e a trovare la propria strada. Napoli è una città con enormi risorse, è una delle meraviglie del mondo dal punto di vista storico e culturale: basterebbero un po’ di immaginazione e una politica seria, fatta in accordo con le istituzioni e con la collaborazione di tutto il mondo sociale. Questo popolo bellissimo deve riappropriarsi del senso della cittadinanza e riprendere in mano il proprio destino, senza scappare al Nord. Anche perché non si può rilanciare il Sud fuggendo o imitando un sistema che è esso stesso già in crisi. La soluzione non è scoraggiarci e dare poca fiducia ai politici ma promuovere la cittadinanza dal basso, metterci insieme in associazioni, cooperative, comunità di base e lentamente fare pressione sui Comuni e sul governo perché riprendano in mano la situazione".

Benzi: giustizia, superamento delle carceri minorili e lotta al racket

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Prima di tutto, la giustizia". Per don Oreste Benzi, fondatore dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII – nata a Rimini a fine anni "60 e diffusasi via via in tutto il mondo – , è questa la priorità che si deve dare il nuovo governo. Una priorità che si declina in tanti modi: "Giustizia vuol dire prima di tutto rispettare la vita – sottolinea il sacerdote – , e quindi superare questo abominevole delitto dell’aborto, che viene praticato in molti modi e molte forme. Il primo atto di giustizia è riconoscere che la vita è sacra". Ma giustizia, per il sacerdote romagnolo, da anni impegnato nella lotta al racket che sfrutta giovani donne immigrate di tutte le etnie, "vuol dire anche liberare le persone che, in un modo o nell’altro, sono schiave. Penso in particolare alle schiave del sesso, lasciate vergognosamente in balia dei maschi italiani". La condivisione diretta con gli ultimi, con i poveri: è questa la "vocazione" dei membri dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dove sono tante le famiglie allargate (o "case-famiglia"). Famiglie con un padre e una madre che, oltre ai figli naturali, aprono le porte della propria dimora a bambini che non possono vivere con genitori naturali, o non li hanno più: "Bisogna dare una famiglia a chi non ce l’ha – sottolinea don Benzi – , riducendo drasticamente il numero degli istituti. Renderli inutili è un dovere di giustizia". Un altro punto che il nuovo governo dovrà porre all’ordine del giorno "è il superamento dei carceri minorili, attraverso nuove forme di aiuto dei minori che delinquono. Una risposta possibile è lo sviluppo dell’affidamento familiare per questi ragazzi". Ma il fondatore dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII pensa anche "a nuove forme di riabilitazione per gli adulti: il carcere, così come è concepito oggi, è solo vendicativo, o quasi". Un atto di giustizia sarà anche "riconoscere i rom e i sinti come minoranza etnica, con pieno diritto di poter vivere i propri usi e costumi senza più subire vessazioni e persecuzioni".

Il pensiero di don Benzi va anche all’inserimento scolastico dei disabili, "che va rafforzato con gli aiuti necessari, perché non si corra il rischio di andare verso le scuole speciali. Più in generale – aggiunge il sacerdote – deve essere dato un nuovo impulso alla scuola, affinché non favorisca solo i geni ma garantisca possibilità di conoscenza e formazione a tutti". E poi c’è il problema della droga, della tossicodipendenza, "che va affrontato con molta serietà, non con leggi permissive ma con leggi che contemplino la severità. È necessario un impegno reale per rendere l’Italia libera dalla droga". Infine, l’impegno del governo sul fronte del sociale e della giustizia "dovrà sempre tener conto di ciò che arriva dal basso – conclude il sacerdote – , senza mai soffocarlo. Lo Stato deve controllare l’efficienza, deve garantire che tutto funzioni al meglio, ma non può fare a meno delle iniziative, della creatività, delle proposte che arrivano dalla gente, dalle associazioni".

Saletti: buona parte delle istanze del sociale verranno posticipate

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Questa è sicuramente una vittoria che prelude ad una modalità diversa del governo di questo Paese, perché una delle connotazioni forti del governo Berlusconi è stata quella di spaccare l’Italia in tutti i sensi e in tutte le aree". Parole di Achille Saletti, presidente di Saman, associazione non profit milanese che opera nel settore della prevenzione, del recupero e del reinserimento socio-lavorativo di persone tossicodipendenti. "Credo che Prodi abbia una cifra politica diversa che oggi si rende quasi obbligata –prosegue Saletti commentando il responso delle urne-: la vittoria, infatti ,è talmente risicata che pone il problema del programma dell’Unione, per il quale si rende necessario dare priorità ad alcune aree piuttosto che ad altre". Appello per cambiare la legge Fini sulla droga, defiscalizzare il costo del lavoro nel non profit e non dimenticare il tema della pace.

Prima l’economia, poi il sociale. "Credo che le priorità assolute siano quella di far ripartire l’economia, interloquendo con la controparte per concordare un Dpef che ridia fiducia ai mercati, e quella di ridurre il costo del lavoro. Una cosa di cui sono fermamente convinto è che se Berlusconi avesse continuato a governare si sarebbe avvicinato un rischio-Argentina. Da questo punto di vista penso che, anche se la vittoria è risicata, per i nostri rapporti con l’estero sia più affidabile Prodi. Tuttavia, come candidato politico proveniente dal sociale - prosegue Saletti, presentatosi alle politiche tra le fila dei Comunisti italiani nella circoscrizione Lombardia 1-, temo che tutte le istanze che buona parte del sociale ha cercato di far recepire alla politica verranno posticipate. Per quanto mi riguarda inizio ad essere poco speranzoso che la legge Fini sulla droga sia immediatamente rivista, anche perché quello della droga è un tema che dà vita ad un dibattito vivace già se viene affrontato all’interno di un’ampia maggioranza, figuriamoci se la maggioranza è risicata. Il discorso del lavoro e della lotta alla precarietà, poi, va affrontato anche nel sociale, dove si è diffusa l’idea che si dovrebbe pensare a defiscalizzare i contributi per chi lavora nel non profit almeno nei primi anni di assunzione, per permettere ai co.co.pro. di essere assunti e dare anche a loro una progettualità di vita. Nella scelta credo saranno privilegiate le decisioni meno spigolose e, al di là degli aspetti politici, questa è una scelta di buon senso: non ci possiamo permettere di andare incontro ad un futuro di instabilità e di incertezza, anche perché l’economia in Europa sta già ripartendo e dobbiamo salire su questo treno. Dal punto di vista della governabilità, Prodi si trova nella peggiore delle condizioni possibili: ora è veramente difficile andare avanti con pochi senatori in più, ma vincere era importante perché ci attaccassimo al treno della ripresa. L’ultimo appello che mi preme fare è di non accantonare il discorso della pace, procedendo al ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq.

Favero: amnistia e modifiche alle leggi su immigrazione e droghe

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

"Noi che operiamo in carcere abbiamo sempre l"obiettivo di arrivare a sensibilizzare le persone a una nuova cultura. Oggi questa spaccatura così evidente fa paura, proprio perché è generata prevalentemente dalla cosiddetta "pancia", e sembra partire da fortissimi interessi personali e concreti come le tasse. Noi che operiamo su questo residuo di solidarietà non possiamo che esserne spaventati". Parla così Ornella Favero, direttore di "Ristretti Orizzonti", il bimestrale che racconta la realtà della detenzione ed è edito dall’associazione di volontariato penitenziario "Il granello di senape". E pensando agli ambiti di impegno più diretto, carcere e immigrazione, Favero continua: "Ci vuole un po’ di coraggio ad abrogare alcune pessime leggi, come la Cirielli, la nuova legge sulle droghe, la Bossi-Fini, e con questa spaccatura è ovviamente difficile pensare che si riesca a farlo. L’aspettativa da parte nostra era di cambiamento radicale da questo punto di vista, e ora la speranza è molto diminuita e le possibilità di scelte coraggiose senza dubbio si allontanano".

Restano comunque queste le priorità da suggerire al nuovo Governo per i primi 100 giorni di agenda sociale: "Sarebbero fondamentali alcune modifiche a queste nuove leggi, leggi che in carcere si stanno già pagando pesantemente, purtroppo. Rispetto alla legge sulle droghe, credo che ben oltre il carcere, tra l’altro, metta a repentaglio una generazione intera e rischi di bruciarla, perché così si dimenticano altre dipendenze da droghe "legalizzate" ritenute meno dannose, ben oltre alla mitologia di equiparazione costruita intorno solo ad alcune sostanze". Sul tema dell’immigrazione Ornella Favero sottolinea la necessità di maggiori aperture, "perché la difficoltà a regolarizzarsi in Italia è troppo pressante". E poi restano problemi di fondo come quello della casa: "È un problema assai pesante, che noi viviamo accanto ai detenuti e ai senza fissa dimora: non avere una residenza, non poter aspirare ad avere una casa, significa non avere alcun diritto!". Infine Favero lancia una sfida più forte tra tutte: "Chiediamo l’amnistia e l’indulto perché le carceri stanno esplodendo, e se alle modifiche alle nuove leggi che dicevamo non si affianca l’amnistia, le nostre carceri diventeranno davvero una polveriera. So che è difficile e troppo impopolare, e questo governo non potrà permettersi nulla. Ma magari in occasione della fine del settennato del presidente della Repubblica, pensando ai 60.000 detenuti stipati in condizioni disumane e in assenza di qualsiasi dignità ...".

Barbera: ripartire anche dal protagonismo della società civile

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Guido Barbera, Presidente del Cipsi, Coordinamento di 35 Ong e associazioni di solidarietà internazionale, alla luce del voto elettorale, invita "gli schieramenti politici a ritrovare la strada per affrontare i problemi del Paese in maniera unita". "In un momento segnato da nette divisioni interne, da problemi economici, dall’aumento della miseria anche in Italia, dalla crescente povertà a livello internazionale, c’è bisogno di ritrovare – continua Barbera - la strada dell’unità, dell’interesse comune, del dialogo nelle relazioni internazionali. Ora più che mai siamo ad un bivio dove possiamo inseguire gli interessi personali, oppure trovare nuovi strumenti di dialogo con il Paese, che permettano la definizione di un reale benessere comune e partecipato. In altre parole c’è bisogno di ricostruire il Paese "insieme".

Barbera continua: "C’è bisogno di mettere al centro la dignità umana e ripartire anche dal protagonismo della società civile capace di apportare contenuti e valori che la politica ha difficoltà a promuovere. In questa prospettiva il Cipsi si rende assolutamente disponibile a dare il proprio contributo, culturale e non solo, per la costruzione di una cittadinanza attiva, responsabile ma prima di tutto solidale, che parta dal basso con il coinvolgimento della società civile italiana ed internazionale. Per ritrovare il senso alto della Politica con la "P" maiuscola è oggi più che mai un’esigenza prioritaria del Paese".

Prato: un coro di no ai permessi premio per Luigi Chiatti

 

Il Messaggero, 11 aprile 2006

 

La sfida di Luigi Chiatti parte dal carcere di Prato. È lì che il mostro di Foligno sta scontando trenta anni per l’uccisione di Simone Allegretti (4 anni) e Lorenzo Paolucci (12). È da quella cella, condivisa con altri detenuti, che il geometra degli orrori lancia la sfida dei permessi premio. Da solo, senza l’assistenza dei suoi avvocati. Oggi toccherà alla Corte di Cassazione in camera di consiglio decidere se, tredici anni dopo l’ultimo omicidio, Luigi Chiatti merita un permesso premio. L’idea di uscire, di dimostrare che il percorso di recupero funziona (tra breve partirà in carcere un nuovo progetto), Luigi Chiatti l’ha avuta più di un anno fa. È da allora che il mostro di Foligno si è messo in testa che quel permesso lui lo merita, che è cambiato. Ed ha preso carta e penna per chiedere udienza alla Cassazione. Da solo.

Chiatti resta in attesa di una telefonata. Un’attesa che vive anche Luciano Paolucci, papà di Lorenzo, ucciso nella casetta di montagna sopra a Foligno perché Luigi non sopportava l’idea di perdere una partita a carte con quel ragazzino dai grandi occhiali e innamorato della Juve. Un’attesa serena, di un uomo forte e, soprattutto, che racconta tanta serenità.

"Perdono Luigi Chiatti. L’ho detto e lo ripeto. Credo in Dio - dice papà Paolucci - e anche Luigi deve essere redento. Sono pronto a mettere a disposizione anche una professionista del mio movimento per aiutarlo a guarire. L’abbiamo fatto per altri ragazzi che come lui, da bambini, hanno subito una violenza sessuale. Ma i permessi premio no. Non servono. Non servono soprattutto a lui. Sapete, tante gente in questi giorni mi telefona, mi dice che no, non deve uscire, che vogliono le foto perché se lo incontrano lo vogliono vedere in faccia, vogliono sapere chi può insidiare i loro bambini. Chiatti non deve uscire". Luciano Paolucci ha abbracciato la fede. La chiama "il mio punto fermo". Ed è il punto fermo che, con grande garbo, consiglia ai genitori di Tommy. "L’unico modo per uscire dal dramma di un figlio ucciso in quel modo è guardare alla propria vita e trovare un punto di riferimento. Io l’ho trovato. È la fede". Intanto contro i permessi premio per Luigi Chiatti si mobilita il Comitato "Anche in Italia la certezza della pena", guidato da Carlo Ripa di Meana.

Genova: "La domandina", raccolta poesie e canzoni dal carcere

 

Secolo XIX, 11 aprile 2006

 

I sogni e le speranze, i rimpianti e le delusioni dei carcerati del centro clinico di Marassi erano già diventati un cd di nove canzoni, "La domandina", con la collaborazione di Buby Senarega, nel contesto del progetto A 27 proposto dalla cooperativa sociale "Il Biscione". E ora sono anche uno spettacolo teatrale dallo stesso titolo, che andrà in scena giovedì prossimo alle ore 21 al Centro Civico Villa Spinola di viale Narisano 14 a Cornigliano. La domandina è il modulo che ogni detenuto deve sempre compilare per avanzare qualsiasi richiesta: dall’acquisto degli alimenti all’incontro con i famigliari, dal ritiro degli oggetti custoditi nel magazzino alle istanze di liberazione da rivolgere ai giudici, tutto è sottoposto al rito di quello stampato, che si rivela uno dei momenti cruciali della vita burocratica carceraria alle Case Rosse. E si fa simbolo della progressiva disumanizzazione di un sistema necessario ma ormai antiquato e del tutto inadeguato.

Un’ora di poesie e canzoni recitate da Cristina Campanile e cantate dallo stesso Senarega, che, spiega il cantautore genovese coinvolto in varie attività di volontariato, "si apre sulla ballata di Maria Sanders di Bertold Brecht e si chiude sui versi di Libertè di Paul Eluard. All’interno, il frutto della creatività che dà voce al disagio mettendo in gioco le energie a fini positivi, togliendo spazio e tempo alle pulsioni di abbandono o di reazione violenta". Fino alla tarantella disincantata del titolo, che esorta ironica: "Dai, fai la domandina, la si esaminerà / una rispostina, può darsi arriverà".

Giustizia: grazia a Sofri?, la parola spetta alla Consulta

 

Agenzia Radicale, 11 aprile 2006

 

A chi spetta il potere di grazia? Questo interrogativo è stato riproposto con forza in occasione del dibattito su un eventuale atto di clemenza in favore di Adriano Sofri. Per alcuni si tratta di una prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica, per cui la firma del Guardasigilli è solo formale. Per altri le cose stanno in maniera diversa. Ma qual è dunque la soluzione di questa vicenda? L’ultimo libro di Paolo Armaroli, Grazia a Sofri? "Un intrigo costituzionale" (Rubbettino, pp. 280, € 15,00) mostra a chiare lettere come il boccino sia ora nelle mani della Consulta. Il testo del professore di Diritto pubblico comparato alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Genova uscirà il 18 nelle librerie italiane e giovedì 27 aprile sarà presentato alla Camera dei Deputati (Sala delle Colonne, Palazzo Marini, ore 17) da Francesco Cossiga, Marco Pannella, Ignazio La Russa, Luciano Violante e Giuliano Pisapia. La riflessione è di stringente attualità, perché dopo pochi giorni dall’uscita del saggio, la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sul conflitto di attribuzione sollevato il 10 giugno scorso dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nei confronti del ministro della Giustizia Roberto Castelli, che ha detto ‘nò a un atto di grazia sia ad Adriano Sofri che a Ovidio Bompressi.

Armaroli spiega: "Dovrei dare i diritti d’autore di questo libro a Marco Pannella, per il circo mediatico che ha organizzato con Giuliano Ferrara a favore della tesi secondo la quale l’atto di grazia sarebbe formalmente e sostanzialmente presidenziale, con il che Ciampi potrebbe concedere la grazia a chi gli pare, necessitando un potere assoluto come i monarchi del tempo andato". "Questa posizione di Pannella - aggiunge il costituzionalista - mi ha indotto a un excursus storico-costituzionale, un percorso che va dallo Statuto albertino ai lavori preparatori della Costituzione repubblicana, dalle posizioni di digiuno del leader radicale alla figura di Sofri e della sua produzione letteraria, e ancora dalla abortita legge Boato, che con una legge ordinaria aveva la pretesa di concedere un potere assoluto di grazia al Quirinale, fino alla riforma costituzionale. Dopodiché ho esaminato i poteri del Capo dello Stato, di Palazzo Chigi e di via Arenula".

"La Corte Costituzionale - prosegue Armaroli - dovrà sciogliere quello che per dirla con Carlo Emilio Gadda apparre un pasticciaccio brutto". Ma perché? "Per tante ragioni – spiega ancora l’ex membro della commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema - Anzitutto perché in passato per ben due volte la Consulta si è espressa nel senso che l’atto di grazia si perfeziona solo grazie al concorso di volontà del Capo dello Stato e del Guardasigilli, e poi perché lo stesso Ciampi non ha mai chiarito il motivo per il quale in un primo tempo ha sposato la tesi dell’atto duale e poi, invece, ha optato il contrario ed è ricorso alla Consulta".

"Come tutti i costituzionalisti – dice ancora Armaroli - anche io attendo ora con curiosità il verdetto della Consulta e soprattutto le sue motivazioni a favore dell’una o dell’altra tesi in campo. Ovviamente le sentenze della Corte vanno rispettate, ma da quei rompiscatole che sono, i costituzionalisti saranno tenuti a commentare in maniera adeguata il pronunciamento". "Debbo comunque dare atto alla Consulta - precisa l’opinionista de Il Gionale - di aver proceduto con i piedi di piombo sulla vicenda. Visto che Ciampi ha sollevato il conflitto il 10 giugno scorso, la Corte Costituzionale avrebbe potuto pronunciarsi nel giro di qualche mese. Invece se l’è presa fin troppo comoda, e questo mi fa sospettare che la decisione intervenga solo dopo il 18 maggio, quando Ciampi non sarà più capo dello Stato e Castelli con il governo sarà in procinto di passare le consegne al nuovo governo".

"Nel mio libro non mi sono pronunciato in maniera puntuale sulla questione della grazia all’ex leader di Lotta continua - mette bene in chiaro Armaroli - e ritengo che nessuno possa farlo a riguardo senza conoscere le carte in possesso del ministro della Giustizia. Non c’è dubbio che Sofri oggi è un altro-da-sè. Basta leggersi i suoi tanti scritti per rendersene pienamente conto". "D’altra parte, però, mi domando: quanti detenuti si trovano nelle medesime condizioni di Sofri? E allora –taglia corto- questa è la mia conclusione: se si concede la grazia a Sofri, la si dovrebbe dare presumibilmente anche a molti altri detenuti. Altrimenti si violerebbe quel principio di eguaglianza sancita dalla nostra Costituzione".

Salerno: oggi l’autopsia sul corpo del detenuto morto suicida

 

Il Mattino, 11 aprile 2006

 

Sarà eseguita questo pomeriggio l’autopsia sul cadavere di Fioravante Langella, il quarantaquattrenne detenuto di Pagani, trovato morto nella sua cella al carcere di Salerno-Fuorni. Il suicidio sembra la tesi più probabile. Il pregiudicato paganese è stato trovato impiccato con lenzuola intrecciate con un nodo scorso. Langella era solo all’interno della cella ed avrebbe maturato quella tragica scelta nel primo pomeriggio di domenica. Immediatamente sono scattate le indagini già domenica sera, dirette dal pm Ernesto Stassano, sostituto procuratore della repubblica di Salerno, che dovranno fare piena luce sulla effettiva causa della morte di Langella e sui motivi che avrebbero spinto, eventualmente, il detenuto a suicidarsi. Va ricordato che dietro le sbarre, il quarantaquattrenne paganese era ristretto da poco più di una settimana. Fioravante si trovava in carcere dopo che la magistratura ne aveva disposto la carcerazione, in seguito alle numerose violazione degli arresti domiciliari. Nell’ottobre dello scorso anno, Langella fu condannato a quattro mesi di reclusione per essere stato trovato fuori di casa dai carabinieri.

La settimana scorsa, invece, era stato arrestato dia militari di Angri sempre per evasione dagli arresti domiciliari, e dopo questo episodio era tornato in carcere. Ma il reato più grave contestato al quarantaquattrenne paganese era la violenza sessuale su una badante ucraina. Il pluripreglidicato per furto, rapine e reati legati alle sostanze stupefacenti, sarebbe entrato furtivamente nell’abitazione di via Madonna di Fatima di Pagani, nella zona rurale della città, dove l’ucraina di 45 anni stava dormendo da sola. Nella notte tra domenica 25 luglio e lunedì 26 luglio del 2004, infatti, l’anziana cui badava la slava era ricoverata in ospedale. Secondo la dettagliata denuncia presentata dalla slava ai carabinieri della stazione di Pagani, Langella sarebbe entrato da una finestra. Trovata la badante, l’avrebbe minacciata con un paio di forbici.

Per alcune ore, l’ucraina sarebbe rimasta sequestrata in casa e ripetutamente violentata, sembra almeno per due volte. Poi il pregiudicato paganese sarebbe scappato via, mentre la donna veniva portata in stato di choc all’ospedale di Nocera Inferiore. Da qui la denuncia ai carabinieri e poi l’arresto, mentre era in via Ficuciello, nei pressi della stazione ferroviaria di Pagani, a casa di un amico dove si era rifugiato, sicuro di non essere rintracciato. Durante il processo, pm Roberto Lenza e Mariano Musella De Luca presidente del primo collegio del tribunale di Nocera Inferiore, Fioravante aveva cercato di difendersi, ma invano, in un procedimento volto subito a suo sfavore. Ora ad attendere gli esisti dell’autopsia saranno il padre del detenuto, con cui Fioravante viveva in via Filettine a Pagani, il fratello e le due sorelle del defunto.

Bari: l’autopsia conferma, Pierpaolo Capri è morto di infarto

 

Il Mattino, 11 aprile 2006

 

L’autopsia conferma: Pierpaolo Capri è morto perché stroncato da un infarto, venerdì sera, in una cella del carcere di Bari. È il primo responso dell’esame autoptico consegnato al pm barese, Linda Deiure, dai periti nominati dal magistrato ai quali, ieri pomeriggio, è stato affiancato il dottor Giuliano Alfinito quale perito di parte nominato dalla famiglia Capri. In stretto contatto da Bari con il dottor Alfinito, l’avvocato di Pierpaolo Capri ha seguito tutte le fasi successive all’autopsia, compreso l’incontro con il magistrato inquirente. Al pm, il perito di parte ha chiesto un responso definitivo dopo gli esami tossicologici e istologici. Secondo i primi esami dei periti, sarebbe stata esclusa anche una overdose quale causa della morte, nonché un effetto devastante sul sistema circolatorio di alcuni farmaci che avrebbe assunto negli ultimi tempi il boss della camorra salernitana. Ma il condizionale è d’obbligo. Così come i periti hanno dato la conferma sul primo esame esterno del cadavere: non c’è nessun segno di violenza sul corpo del boss.

Nella giornata di oggi i familiari predisporranno anche i funerali che si terranno a Salerno. Pierpaolo Capri è morto poco dopo le venti e trenta di venerdì sera nel centro clinico del carcere di Bari. Due agenti penitenziari hanno scoperto il corpo senza vita del boss con il capo reclinato sul cuscino della branda. Un infarto aveva appena stroncato la vita di un boss della camorra salernitana, quarantatre anni, un curriculum criminale di tutto rispetto. Pierpaolo Capri era stato trasferito nel centro clinico del carcere di Bari, proveniente dal carcere di Larino (Campobasso), venti giorni fa. A Bari era stato trasferito nel centro clinico per essere sottoposto ad una serie di perizie dopo la richiesta del suo avvocato difensore di certificare "l’incapacità di stare in giudizio". Nell’ultimo colloquio con l’avvocato Pierluigi Spadafora, il pregiudicato si era più volte dichiarato innocente rispetto alle accuse di omicidio che si profilavano per lui, a partire da quello di Cava dei Tirreni della coppia Carmine Apicella ed Elena Ferrigno. La perizia per Capri era stata chiesta dall’avvocato Spadafora nell’ambito del processo a carico del boss con l’accusa di aver favorito la latitanza di Vincenzo Ignoto subito dopo l’omicidio di Sebastiano Di Mauro avvenuto ad Ogliara nel ‘97. Ma non era l’unica accusa dalla quale si sarebbe dovuto difendere.

Palermo: arrestato Bernardo Provenzano, latitante da 40 anni

 

Apcom, 11 aprile 2006

 

"Quello che si può dire è che la latitanza di Provenzano si è svolta nel modo più classico, in un territorio vicino Corleone". È il commento a caldo del procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Sergio Lari, che interpellato da Apcom commenta così l’operazione della polizia di Stato che ha portato all’arresto del boss dei boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, latitante dal 1963.

Il super latitante è stato arrestato in un casolare nelle campagne di Corleone (Palermo) dalla Squadra mobile di Palermo e dal Servizio centrale operativo della polizia. Provenzano, che si trovava in jeans, maglione e scarponcini, al momento dell’arresto non ha opposto resistenza e non avrebbe pronunciato alcuna parola. Nato nel 1933 a Corleone (Palermo), Provenzano vantava il primato della più lunga latitanza, 40 anni. L’ultima volta era stato arrestato il 17 settembre del 1958 e da allora non esistevano più sue fotografie. Dopo l’arresto di Totò Riina, Provenzano soprannominato "Binnu ù tratturi" era diventato il capo incontrastato di Cosa nostra.

"L’arresto di Bernardo Provenzano è frutto dello straordinario impegno profuso in silenzio, con pazienza, determinazione e impareggiabile professionalità, dagli uomini delle forze dell’ordine, cui va anche il nostro personale ringraziamento". È questo il primo commento dei pm di Palermo, Michele Prestipino, Giuseppe Pignatone, e Marzia Sabella che hanno coordinato l’operazione. "La cattura - proseguono i pm - costituisce un successo di eccezionale importanza perché viene assicurato alla giustizia l’attuale capo di Cosa nostra, già condannato per le stragi più efferate e pone fine ad una latitanza durata fin troppo a lungo".

Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha espresso per telefono al ministro dell’Interno Beppe Pisanu le sue congratulazioni per l’arresto da parte della Polizia dello Stato del boss latitante della mafia Bernardo Provenzano. Ciampi ha esteso le sue congratulazioni anche al Capo della Polizia, Gianni De Gennaro.

Palermo: i volontari penitenziari dell'Asvope si autosospendono

 

Redattore Sociale, 11 aprile 2006

 

Dal 23 gennaio ad oggi, i volontari dell’Associazione di volontariato penitenziario (Asvope) di Palermo hanno sospeso tutte le attività che svolgevano fin da quando è stata aperta la II Casa Circondariale di Pagliarelli. Da quasi quattro mesi, quindi, ai detenuti mancano i servizi riguardanti la Biblioteca, il guardaroba per i reparti Nord, Est femminile, il corso di lingua per immigrati, il sostegno scolastico ai detenuti ed i colloqui. La causa scatenante che ha spinto i volontari dell’Asvope ad autosospendersi per protesta è attribuibile al danneggiamento di due automobili, rimaste incustodite nel piazzale esterno all’entrata principale del carcere.

Ciò è avvenuto in seguito alla decisione della direttrice del carcere Laura Brancato, non appena insediata nel suo ruolo, di accogliere nell’atrio riservato e custodito soltanto i mezzi degli operatori retribuiti dall’amministrazione penitenziaria. Mentre i mezzi dei volontari, con relativi permessi riconosciuti dalla legge, che offrono servizi e materiale nell’assoluta gratuità, sono stati relegati in spazio lontano e non custodito dove periodicamente si verificano atti vandalici.

La decisione dei volontari di autosospendersi è sembrata inevitabile dopo che le richieste scritte, inoltrate alla direttrice del Carcere perché provvedesse a riattivare il posteggio riservato per le loro automobili, sono rimaste inascoltate. L’episodio si inserisce, come precisano i volontari, in un quadro piuttosto ampio di limitazioni e forti misure restrittive che, ormai da due anni, sono state adottate nei loro confronti.

"Ci sentiamo obbligati per onestà intellettuale, senso di lealtà e volontà di chiarezza a fare presente che abbiamo percepito come grave offesa alla nostra dignità e integrità di persone che credono profondamente nel servizio che rendono alla società sia il reiterato diniego del nostro ingresso con i mezzi di trasporto all’interno dell’istituto, sia una certa insofferenza manifestata in pubblico dalla direttrice nei confronti del volontariato associato", affermano in una lettera.

In particolare le situazioni di disagio in cui i 15 volontari si sono trovati ad operare hanno riguardato soprattutto: le limitazioni dei tempi e dei spazi che hanno reso difficile lo svolgimento dei colloqui con i detenuti; la mancanza di riscontro dell’efficacia dei colloqui, affidati ai volontari, ma poco attentamente considerati in sede istituzionale. Nell’ambito del settore culturale ed educativo, invece, e nella programmazione delle attività educative non si è ritenuto di chiedere la partecipazione e il contributo dell’associazione che, relativamente alle competenze dei volontari, avrebbe potuto proporre ed offrire interventi e servizi. Mentre alcuni interventi di sostegno scolastico ed il corso di lingua e cultura italiana per i detenuti extracomunitari sono stati concordati e avviati dopo estenuanti rinvii e conseguenti ridimensionamenti delle attività.

Per il settore Biblioteca, inoltre, sono rimaste disattese sia la necessità di recuperare il notevole patrimonio librario (frutto di donazioni) relegato in un locale buio e impraticabile, sia l’esigenza di avere un deposito dove effettuare le operazioni relative all’entrata di nuovi libri e allo sgombero del materiale cartaceo usurato e/o in esubero. Inoltre, riguardo al settore guardaroba, dopo una sospensione di circa 8 mesi del servizio, si sono avute difficoltà relative all’entrata dei mezzi pieni di vestiario e di materiale già controllato, acquistato dai volontari per rendere vivibile e dignitosa la permanenza dei detenuti in carcere.

"Il disagio che proviamo in questo momento è fortissimo, visto che da sempre abbiamo avuto attestati di stima per il nostro servizio svolto in umiltà e in silenzio, esponendoci soltanto per suscitare nella comunità cittadina attenzione e solidarietà verso i problemi del mondo penitenziario", ha detto con molta amarezza la presidente dell’Asvope, Giovanna Gioia. Una persona che vanta un’esperienza di 32 anni di impegno umanitario e sociale a favore dei detenuti siciliani.

Intanto ai volontari sono arrivate diverse lettere e segnalazioni di detenuti a cui prestavano assistenza che lamentano lo stato di abbandono in cui si trovano. A queste si aggiungono le telefonate dei familiari dei detenuti stessi, che hanno segnalato ai volontari il bisogno di continuare a dare un sostegno umano e morale ai propri cari.

L’Asvope ha richiamato in suo favore anche l’esistenza del protocollo d’intesa stipulato tra l’amministrazione penitenziaria regionale e la Conferenza regionale per il Volontariato Giustizia, attraverso cui è avvenuto il riconoscimento da parte dell’istituzione penitenziaria del ruolo significativo del volontariato nell’opera di recupero e reinserimento sociale dei detenuti. I volontari, per il momento, rimangono in attesa di riprendere il loro servizio, ribadendo, che "sarebbe contrario al senso che anima il volontariato non avere fiducia e non nutrire la speranza di un cambiamento della situazione, per dare vera attuazione al protocollo d’intesa in cui si rispecchiano l’art.27 della Costituzione e tutta la normativa riguardante il penitenziario".

Droghe: gli "spinellari" e la divina provvidenza

di Andrea Boraschi e Luigi Manconi

 

L’Unità, 11 aprile 2006

 

Questo è un messaggio di propaganda elettorale. Oggi e domani si vota e vogliamo rivolgere un invito di sapore schiettamente berlusconiano (per contenuto e linguaggio): affinché i cittadini esprimano il proprio orientamento di voto con equilibrio e senno, consapevolezza e capacità di tutela del "proprio interesse". E ci rivolgiamo esplicitamente a una "categoria": non quella delle donne, ma quella dei consumatori di "droghe leggere" (tanto meglio se sono anche donne). Segue appello (si astengano dalla lettura gli allergici ai toni da comizio, quelli che "manteniamo i toni bassi" e quelli che "destra o sinistra, tanto è tutto un schifo..."; si astengano pure, se credono, quelli non inclusi nel nostro target: gente che non ha mai fumato cannabis e hashish né mai lo farà e quelli che "il vino appartiene alla nostra cultura, la canapa indiana no: lo dice anche il nome "). E allora: "Spinellari, cannaroli, fricchettoni, rastamanni, fumatori da salotto, settantasettini mai cresciuti, adolescenti natistanchi, manager libertari, impiegati in vena d evasione e tutti voi, insospettabili consumatori di sostanze proibite (il Censis dice che siete 4 milioni): ascoltate questo appello! Sono arrivate le tabelle! Quelle che stabiliscono le quantità di sostanze stupefacenti legalmente detenibili, quelle che distinguono tra possesso e consumo e spaccio (e che non distinguono tra droghe pesanti e leggere). Leggendole, quelle tabelle, potrete dilettarvi in un giochino-test, di quelli da ombrellone e rotocalco estivo: "Sei un tossico o un pusher?".

Controllate i valori indicati nel testo elaborato dal governo, aprite quella scatolina che tenete nascosta dietro la Storia d’Italia a fumetti di Enzo Biagi e pesate il fumo ivi contenuto. Se l’ultima volta ne avete comprato per più di trenta (30!) euro, probabilmente siete degli schifosi spacciatori. Certo, il giochino, come ogni test di questo tipo, dà adito a qualche imprecisione: perché, in verità, dovreste misurare la quantità di principio psicotropo (Thc), e dunque procedere a delle analisi di laboratorio, per scoprire esattamente in quale categoria vi trovate. Insomma: 20 euro di roba buona possono fare di voi un trafficante degno di questo nome, ben più di quanto possano 40 euro di roba fetente. Tenetene conto. Se vi siete scoperti semplici consumatori (se detenete meno di 6 grammi di hascish o meno di 3 grammi di marijuana, mollica in più o fogliolina in meno), sappiate che la normativa alla quale queste tabelle fanno riferimento prevede per voi varie sanzioni amministrative: sospensione della patente di guida, sospensione della licenza di porto d’armi, sospensione del passaporto, sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di ottenerlo se siete cittadini non comunitari.

Se, poi, la quantità in oggetto si avvicina pericolosamente ai limiti consentiti, potreste incorrere nell’obbligo di presentarvi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; nell’obbligo di rientrare nella vostra abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata; nel divieto di frequentare determinati locali pubblici; nel divieto di allontanarvi dal comune di residenza; nell’obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici; nel divieto di condurre veicoli a motore di qualsiasi genere. Se siete minorenni, inoltre, lo dicono a mamma e papà. In ogni caso, se decidete di intraprendere un programma di disintossicazione (dalle canne?) presso un Sert o presso un altra struttura - come il prefetto vi inviterà a fare - se ammettete a voi stessi di "avere un problema", decidendo di porvi rimedio, in quel caso sarete esonerati dalle sanzioni prima richiamate. E se, inoltre, l’ultima volta che avete comprato il fumo da quel vostro amico avete investito qualche soldo in più (se siete stati ingordi o avete creduto di poter fare provviste per l’inverno), allora le cose si complicano maledettamente: siete spacciatori e incorrete in una pena da 6 a 20 anni di detenzione e da 60mila a 260mila euro di multa, salvo pene inferiori per i casi di lieve entità, ovvero per detenzione prossima (quanto prossima?) al valore di soglia.

Per vostra conoscenza: le tabelle cui facciamo riferimento sono state elaborate da una commissione di esperti (tra i quali non figurava neppure un medico o un operatore di comunità), indicati a larga maggioranza da Alleanza Nazionale (come documentato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera). Si tratta del partito il cui leader, Gianfranco Fini, è anche l’ideologo di questa nuova legge: in essa la distinzione tra uso saltuario, uso problematico, abuso e dipendenza viene palesemente ignorata; come pure quella tra droghe pesanti e leggere (sono previste le medesime sanzioni e i medesimi percorsi terapeutici). Per queste ragioni, dunque: "Spinellari, cannaroli e amanti dell'erba o del pakistano!, non date il vostro voto a chi ha varato una normativa che lede i vostri interessi di allegri o pensosi fumatori. Non siate coglioni".

Ecco, se fossimo "berlusconiani dentro", scriveremmo esattamente questo. Ma, dal momento che la Divina provvidenza ci ha evitato almeno questa, ci limitiamo a citare il programma dell’Unione, dove si legge: "Educare, prevenire, curare. Non incarcerare. Per le tossicodipendenze non servono né il carcere né i ricoveri coatti. Alla tolleranza zero bisogna opporre una strategia dell’accoglienza sociale per la persona e le famiglie che vivono il dramma della droga, a partire dalla decriminalizzazione delle condotte legate al consumo (anche per fini terapeutici) e quindi dal superamento della normativa in vigore dal 1990". La classe non è acqua.

 

 

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