Rassegna stampa 21 agosto

 

Frosinone: suicidio detenuto 21enne, aperta un'inchiesta

 

Il Tempo, 21 agosto 2006

 

L’ennesimo suicidio avvenuto in carcere e segnalato dal garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni ha fatto scattare l’inchiesta da parte della Procura. L’ultima vittima aveva soltanto 21 anni. Gli errori con la giustizia si pagano con la detenzione e non con la vita. Invece sembra che Daniele L. un ragazzo romano che stava scontando una pena per rapina, prima di suicidarsi si fosse già stordito ingerendo una mistura di medicinali.

Il magistrato dott. Masone, titolare dell’inchiesta, ha ascoltato il compagno di cella di Daniele e gli agenti di polizia penitenziaria che lo hanno rinvenuto cadavere nel letto. Per evitare che qualcuno potesse salvarlo, il ragazzo si era messo a pancia sotto e con il lenzuolo tirato fino a sopra la testa. Dall’ispezione cadaverica non risultano ecchimosi o segni di lotta. Va da sé dunque che l’ipotesi più accredita resta quella del suicidio. La vicenda, come già detto, è stata segnalata dal garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni.

A quanto risulta il giovane, nato a Roma, era arrivato nel carcere di Frosinone il 27 luglio scorso, proveniente dal penitenziario di Velletri. Il 16 agosto avrebbe messo in atto l’insano gesto. "Nonostante l’indulto - ha afferma Marroni - la situazione nelle carceri continua a generare casi drammatici come questo di Frosinone. La giovane età del detenuto e, soprattutto, le modalità che avrebbe usato per togliersi la vita mi lasciano perplesso e sconcertato".

Marroni ha invitato la magistratura a far luce sulla vicenda. Per tal motivo il sostituto procuratore titolare dell’inchiesta dott. Masone ha richiesto l’esame autoptico sulla salma. Esame che è già avvenuto e per il quale si sta attendendo il risultato. I funerali del giovane si sono svolti venerdì scorso in una chiesa della capitale. Intanto sono iniziate le indagini per scoprire che tipo di personalità aveva il 21enne e soprattutto indagini per accertare se il ragazzo si trovava in una fase psicologica alquanto precaria o se invece ci siano state delle situazioni così frustranti da gettarlo nella più completa disperazione. Quello dei suicidi in carcere sta diventando una piaga che deve essere arginata al più presto. Le istituzioni preposte si stanno già muovendo al fine di poter offrire ai detenuti supporti psicologici fondamentali per affrontare la restrizione.

Giustizia: Boato; occorre tutelare il diritto all’affettività

 

Ansa, 21 agosto 2006

 

Ventiquattro ore al mese di totale intimità, lontano da occhi e orecchi indiscreti. Per chi non è stato graziato dall’indulto e deve restare in carcere arriva la "cella dell’amore". Nessuna limitazione per quanto riguarda le persone che possono varcare la soglia del penitenziario, valgono le stesse regole dei "colloqui ordinari". A lanciare l’idea è Marco Boato che lo scorso 28 aprile ha ripresentato una proposta di legge, insieme a Enrico Buemi (Rnp), Ruggero Ruggeri (Ulivo) e la collega di partito Paola Calducci.

Le visite "si svolgono in locali adibiti o realizzati ad hoc senza controlli visivi e auditivi" con l’obiettivo esplicito di "garantire la riservatezza" e possono andare da un minimo di sei ore a un massimo di un giorno. In più, "per i condannati che hanno tenuto regolare condotta" permesso extra di ben dieci giorni per ogni sei mesi di carcerazione. Mogli, conviventi, familiari ma anche semplicemente persone con le quali vi sia "un legame affettivo" coloro che possono condividere queste parentesi. Obiettivo numero uno è infatti tutelare il "diritto all’affettività", si spiega nella relazione introduttiva: sessualità dunque, ma anche "amicizia e rapporti familiari" le categorie che il legislatore vuole difendere.

"La detenzione carceraria - scrive Boato - consiste nella privazione della libertà, ma non deve comportare anche la privazione della dignità delle persone". Sono in tutto quattro gli articoli della proposta di legge e puntano a modificare l’ordinamento penitenziario che risale al 1975 e alla cui riforma si è già tentato di mettere mano due legislature fa, con "lo stralcio delle misure più innovative" proprio "in materia di affettività" a causa del parere negativo del Consiglio di Stato.

Uno stop, quello dovuto al no del Consiglio di Stato, che ha fatto sì che l’Italia restasse indietro rispetto a altri Paesi Europei, sottolinea Boato, secondo il quale il vero rischio è creare "una patologia del nostro sistema sociale e dello Stato di diritto". Privacy ma non solo. Dei quattro articoli, due prevedono anche che i cosiddetti permessi di necessità non siano concessi solo in caso di lutti o malattie gravissime dei familiari e la possibilità per ogni colloquio ordinario mancato la sostituzione con uno telefonico della "durata almeno di quindici minuti".

Giustizia: Viminale; rapporto su contrasto alla criminalità

 

Emilianet, 21 agosto 2006

 

Attenzione alta al fenomeno delle cosiddette "baby gang". A segnalarla è il Viminale che, nel rapporto sull’andamento del contrasto alla criminalità, fornito dal ministro Amato, sottolinea come la delinquenza giovanile sia un problema "d’interesse emergente".

I delitti commessi da questi gruppi spaziano dalle estorsioni alla rapine da strada, spesso associate a percosse e lesioni, ai furti, alle risse, alle violenze sessuali nei confronti delle ragazze legate agli appartenenti a gruppi opposti, al vandalismo. Le vittime sono spesso coetanei, giovani e giovanissimi, e questo - come sottolinea il Viminale - "impone un’attenzione ancora maggiore al fenomeno ed ogni possibile sforzo per contrastarlo".

Le zone più colpite sono le aree metropolitane e in particolare Milano, Genova, Palermo, Napoli, Roma, Bari e Foggia. A Genova e nel milanese sono presenti vere e proprie gang formate principalmente da giovani ecuadoriani e peruviani, nei confronti delle quali la Polizia ha messo in atto diverse operazioni di contrasto che hanno portato recentemente a 32 arresti.

 

Diminuiti delitti primi 6 mesi 2006

 

Dopo l’aumento del 6,5% dei delitti registrati nel 2005, in Italia il primo semestre 2006 segna un’inversione di tendenza: con una diminuzione del 4,6%. Lo segnalano i dati sul contrasto alla criminalità presentati dal Ministro dell’Interno Giuliano Amato, come tradizione in occasione del ferragosto. Nei primi 6 mesi dell’anno i delitti(omicidi, rapine, scippi, e reati legati all’usura) sono stati 1.218.269 contro i 1.277.268 dello stesso periodo del 2005. Un aumento è stato invece registrato per i furti in abitazione (+8,7%) e per i danneggiamenti (+5,5%).

 

In calo gli omicidi volontari

 

Diminuiscono in Italia gli omicidi volontari, ma al primo posto restano quelli di camorra, seguiti da ‘ndrangheta e mafia. Secondo i dati forniti dal Viminale nel rapporto sull’andamento del contrasto alla criminalità, sono infatti passati dai 293 dei primi sei mesi del 2006 ai 282 dello stesso periodo dello scorso anno. E anche nel confronto tra il 2005 e il 2004 il dato è in diminuzione: 602 contro 711. In tutti i casi, però, è la camorra ad uccidere di più: nel 2005 sul totale di 602 omicidi volontari, 71 sono stati di camorra, 43 di ‘ndrangheta, 17 di mafia e 7 di criminalità organizzata pugliese. Nel 2004, 711 omicidi, 122 sono stati di camorra, 45 di ‘ndrangheta, 17 di mafia e 19 di criminalità organizzata pugliese. Anche nel primo semestre del 2006 la camorra ha compiuto la maggior parte degli omicidi: su 282 omicidi volontari, 27 di camorra, 9 di ‘ndrangheta, 6 di mafia e uno di criminalità organizzata pugliese. E nello stesso periodo dell’anno precedente, sui 293 omicidi, 38 di camorra, 20 di ‘ndrangheta, 12 di mafia e 3 di criminalità organizzata pugliese. Unica eccezione i primi 15 giorni di luglio: sono stati compiuti ulteriori 17 omicidi volontari (di cui uno di camorra) contro i 26 del corrispondente periodo del precedente anno (di cui 2 di camorra e 3 di ‘ndrangheta), con una diminuzione del 34,6%.

 

Terrorismo: diminuite misure di protezione individuale

 

Ridotto il numero e il grado delle misure di protezione individuale, e dunque del personale di polizia impegnato, aumentati gli obiettivi sensibili vigilati. È questo il quadro delle misure di prevenzione al terrorismo che emerge dai dati sulla sicurezza forniti dal ministro dell’Interno, Amato. Attualmente sono 13.664 gli obiettivi controllati da 19.559 operatori di polizia. Mentre, la revisione dei dispositivi di protezione personale, iniziata dal mese di maggio, ha consentito di ridurre il numero e il grado delle misure di protezione individuali con una riduzione del personale impiegato a 2.686 unità (-14% circa rispetto alle 3.116 impegnate alla data del maggio scorso).

Un ulteriore approfondimento sul tema, rileva il Viminale, è stato disposto dal Ministro dell’Interno che, per razionalizzare il complessivo sistema di protezione e vigilanza, ha istituito il 20 luglio scorso un apposito Gruppo di lavoro. Il Gruppo, presieduto dal Vice Ministro dell’Interno, Marco Minniti, è incaricato di analizzare i problemi del settore, individuando i punti critici e gli interventi correttivi necessari, sia sul piano normativo che funzionale.

 

Terrorismo: in 6 mesi esaminati 107 segnali minaccia

 

Sono 107 le segnalazioni di minaccia sul fronte del terrorismo internazionale esaminate dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa) nei primi sei mesi dell’anno. Lo rende noto il Viminale che, nel rapporto sul contrasto alla criminalità sottolinea l’importanza del Casa che da gennaio a giugno si è riunito 32 volte, sei delle quali in seduta straordinaria.

 

Immigrazione: 60% clandestini resta con visto scaduto

 

In Italia l’immigrazione clandestina è alimentata soprattutto dagli over stayers, gli stranieri entrati regolarmente che rimangono dopo la scadenza del visto o dell’autorizzazione al soggiorno: un fenomeno che ha raggiunto il 60% del totale dei clandestini nel 2005 (il 63% nel primo semestre di quest’anno). A sottolinearlo sono i dati forniti dal ministro dell’Interno, Amato.

Un altro 25% circa dei clandestini giunge illegalmente da altri Paesi Schengen, approfittando dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne (il 24% nei primi sei mesi del 2006). L’immigrazione clandestina via mare, che risulta di dimensione meno consistente rispetto alle altre forme di ingresso nel nostro Paese (14% nel 2005 e 13% nel periodo gennaio-giugno 2006), ha fatto registrare nell’ultimo periodo un significativo incremento.

Gli sbarchi, come rileva il Viminale, interessano ormai unicamente la Sicilia, destinazione naturale dei flussi che originano o transitano dal Nord Africa; dal primo gennaio al 31 luglio 2006 sono giunti in Sicilia 12.102 clandestini (10.119 nello stesso periodo del 2005), 10.414 dei quali (6.901 nel 2005) sull’isola di Lampedusa. Una tendenza all’aumento comunque più contenuta rispetto a quella del 2005, quando gli arrivi risultarono quasi raddoppiati rispetto al 2004: 22.824 rispetto a 13.594.

Le acquisizioni di intelligence, riferisce il Viminale, confermano che il traffico è gestito da organizzazioni criminali che si avvalgono, in relazione alle diverse nazionalità coinvolte, di diversi intermediari. Nei primi mesi del 2006 l’azione di contrasto ha permesso di arrestate 300 persone coinvolte nella tratta di esseri umani. Gli sbarchi nell’ultimo periodo hanno subito una mutazione, è maggiore l’utilizzo di imbarcazioni di piccole e medie dimensioni (prevalentemente gommoni o barche in vetroresina lunghe non più di 6-7 metri) spesso non in grado di affrontare le ulteriori 110 miglia che separano l’isola dalla costa meridionale della Sicilia.

Negli ultimi 6 mesi a fronte di 62.545 stranieri rintracciati (2.869 in più rispetto al corrispondente periodo dell’anno scorso), gli stranieri effettivamente allontanati sono stati 24.125, ovvero 6.311 in meno rispetto al 2005. La causa è la maggior presenza di stranieri provenienti dal Corno d’Africa che ha determinato un aumento delle richieste di asilo.

I soggetti respinti alla frontiera sono stati 10.790, a fronte dei 10.470 del 2005. I provvedimenti di espulsione con accompagnamento alla frontiera sono stati 6.840 nel 2006, a fronte degli 8.228 dello scorso anno. Sono diminuiti, inoltre, a causa della mancata collaborazione del Marocco e dell’aumento di immigrati eritrei richiedenti asilo, i riammessi nei Paesi di provenienza, passati dai 5.900 del 2005 ai 4.457 dell’anno corrente.

 

Islam: controlli in 21.296 punti aggregazione

 

Sono 21.296 i luoghi di aggregazione delle comunità islamiche controllati, 82.752 le persone identificate, 1.508 quelle denunciate e 618 quelle arrestate negli ultimi 12 mesi dell’anno. È il bilancio dell’azione preventiva antiterrorismo del Viminale "attuata - spiega il rapporto sul contrasto alla criminalità - con mirati servizi di controllo nei luoghi di aggregazione delle comunità islamiche quali call center, internet point e macellerie islamiche". Secondo i dati del Viminale, negli ultimi 12 mesi, sono state inoltre avviate 2.012 procedure di espulsione di stranieri, 55 dei quali effettivamente espulsi e sono stati arrestati per inottemperanza a precedente decreto di espulsione altri 17 cittadini extracomunitari.

 

Indulto: 6 i sospetti terroristi espulsi

 

Sono sei gli immigrati "ritenuti pericolosi perché collegati a cellule del terrorismo internazionale", espulsi dal Viminale dall’inizio di questo mese. Lo rende noto il rapporto del Ministero dell’Interno sul contrasto alla criminalità.

Giustizia: Adusbef; modificare indulto contro i "furbetti"

 

Ansa, 21 agosto 2006

 

Modificare la legge sull’indulto che, spacciata per sfoltire le carceri, rischia ora di divenire una certezza di libertà per i "furbetti del quartierino". Lo chiede il presidente di Adusbef (Associazione difesa consumatori ed utenti bancari, finanziari ed assicurativi), Elio Lannutti secondo il quale "il Governo deve ora riparare il grave errore approvando nel Consiglio dei ministri del 31 agosto sanzioni severe a tutela dei risparmiatori truffati e bidonati dai furbetti. Adusbef - afferma una nota - che si era battuta per far espungere dall’indulto i reati economici e finanziari, prende atto che la legge approvata dal Parlamento è un affare d’oro per chi di affari se ne intende. Finanzieri, banchieri, immobiliaristi. Indagati alcuni, imputati altri, per tutte le possibili combinazioni di reati economico-finanziari. Per semplicità - afferma l’Adusbef riprendendo un’analisi pubblicata da la Repubblica questa mattina - Fazio, Fiorani, Consorte, Ricucci. Ma anche Tanzi, Geronzi, Cragnotti. Per loro i tre anni di sconto di pena previsti dall’indulto hanno il sapore della certezza della libertà".

Ragusa: assistenza sanitaria per i beneficiari dell’indulto

 

La Sicilia, 21 agosto 2006

 

L’ospedale Maggiore di Modica garantirà l’assistenza sanitaria ai detenuti che beneficiando del recente provvedimento dell’indulto hanno nelle scorse settimane lasciato la Casa circondariale di Piano del Gesù di Modica Alta, tornando in libertà. Sono stati in venticinque ad essere scarcerati, svuotando di circa la metà il penitenziario modicano. Ora in base ad una circolare che è stata diramata dal locale Tribunale e inviata al direttore sanitario del Maggiore, Raffaele Elia, si sancisce appunto la disposizione dell’erogazione del servizio di assistenza sanitaria, così come sta avvenendo a livello nazionale per le altre istituzioni giudiziarie. Il riferimento è anche ad un apposito decreto che è stato emesso originariamente dal ministero della Salute e successivamente recepito dall’assessorato regionale alla Sanità.

La circolare mette in condizione il nosocomio di viale Aldo Moro di assicurare l’assistenza a tutti i soggetti che fino a pochi giorni fa stavano scontando una pena restrittiva. In pratica anche a coloro i quali si trovavano in altre strutture carcerarie ma che per motivi vari dovessero essere costretti a chiedere prestazioni di carattere sanitario all’ospedale Maggiore. La lettera-circolare è stata giudicata necessaria ed opportuna dagli operatori del presidio ospedaliero modicano, in quanto che essa viene ad assicurare la piena legittimità ai fini dell’erogazione di un’assistenza destinata a tale tipo di utenza.

Vicenza: dopo-indulto; non ci sono piani di reinserimento

 

Il Giornale di Vicenza, 21 agosto 2006

 

Sono una ventina gli ex detenuti, sui 100 scarcerati dal S. Pio X dopo l’indulto, ad essersi rivolti nei giorni scorsi alle strutture assistenziali del Comune di Vicenza e alla Caritas. Il problema sono gli altri: "A parte alcuni extracomunitari, già rientrati nei loro paesi anche per effetto di decreti di espulsione - spiega l’assessore ai servizi sociali, Davide Piazza - i detenuti liberati sono rimasti in città. È molto difficile naturalmente dare un numero preciso, ma non andiamo lontani dal vero se calcoliamo che almeno la metà di quei cento siano ancora a Vicenza".

I più giovani possono probabilmente contare sulla propria famiglia, mentre altri avranno grosse difficoltà di reinserimento nel tessuto sociale, a partire dall’alloggio e dal vitto, fino all’attività lavorativa con cui mantenersi. "Di cosa vivranno? - si chiede Piazza - È molto alto il rischio che rientrino nel circolo della delinquenza. Per questo si può senz’altro parlare di problema sociale: non mi sorprenderebbe il fatto che alcuni degli ultimi episodi di reati, in particolare i furti, possano essere collegati ai rilasci. La prevenzione in tal senso è particolarmente complicata: abbiamo i nomi e gli indirizzi degli ex detenuti, ma non possiamo certo, anche per ragioni di privacy, andare a contattarli direttamente. Il Comune e le associazioni offrono assistenza e aiuto a chi la chiede, che però rappresenta, come si vede, una percentuale minima".

Le informazioni sui cento scarcerati, a cui se ne aggiungerà forse un’altra ventina nei prossimi giorni, sono state fornite dalla prefettura di Vicenza alle amministrazioni comunali di residenza dei detenuti, soprattutto Vicenza, ma anche Bassano, Montecchio Maggiore, Schio, Arzignano, Valdagno e Thiene. Le residenze dichiarate dagli ex carcerati, 59 dei quali italiani e 41 stranieri, sono in città (5), in studi legali vicentini (26), in vari centri della provincia (33). Almeno la metà dei rilasciati è tossicodipendente, elemento che secondo l’assessore Piazza contribuisce a complicare ulteriormente la situazione: "La tipologia del dopo-indulto è talmente varia - dice Piazza - da rendere veramente arduo ipotizzare un piano di azione. Ci sono i tossicodipendenti, gli extracomunitari, chi è stato in carcere per furto, e altro ancora. E la fretta con cui la legge è stata approvata non ci ha certo facilitato il compito".

Il recupero e il reinserimento di un così elevato numero di ex detenuti sarebbero già stati impegnativi di per sé, sostiene l’assessore. Ma ai Comuni e alle associazioni non è stato dato nemmeno il tempo di organizzarsi: "Tralasciando i commenti sulla legge stessa - spiega Piazza - se c’era l’intenzione di fare questo indulto, si poteva prima annunciarlo, così da poter preparare piani di reintroduzione sociale, quindi liberare i detenuti un po’ per volta in modo da consentire ai piani stessi di agire efficacemente. Invece si è agito in modo quantomeno frettoloso, e ora è inutile affannarsi a chiudere la stalla quando i buoi sono scappati".

Niente progetti, niente risorse e una soglia di preoccupazione, fra i cittadini, che sale di giorno in giorno. Sempre più spesso i furti e i vandalismi che accadono in città e in provincia vengono messi in relazione con l’indulto. "Per il momento è coinvolto l’assessorato ai servizi sociali - dice Piazza - ma non escludiamo, anzi, che diventi anche una questione di sicurezza". I rappresentanti dei Comuni, delle associazioni e delle forze dell’ordine hanno concordato con il viceprefetto Vincenzo Foglia un nuovo incontro, che si svolgerà probabilmente in ottobre, per un aggiornamento. Oltre agli scarcerati dal S. Pio X, si potrà avere un’idea più chiara anche sui vicentini rilasciati da carceri di altre città.

Vicenza: dopo-indulto; indignarsi va bene… e poi che si fa?

 

Giornale di Vicenza, 21 agosto 2006

 

Di fronte ad un provvedimento di clemenza come l’indulto, recentemente approvato a maggioranza qualificata dal Parlamento, non poche persone esprimono una forte indignazione con delle motivazioni che guardano più alla singola situazione eclatante che al più vasto contesto di una giustizia severa ma pur sempre dal volto umano. I più s’indignano perché pensano che la loro sicurezza possa subire un brusco contraccolpo per i tanti ex delinquenti posti in circolazione; altri invece sostengono che per il principio della certezza della pena, la giusta punizione dovrebbe essere interamente scontata. Pochi, invece, s’indignano per la vivibilità insita nella reclusione carceraria che, per la nostra Costituzione, dovrebbe non solo valere per l’espiazione della pena ma anche tendere al recupero del condannato alla società. Ma di fronte alle ragioni altrui, è bene tornare a riflettere sull’argomento per un ulteriore approccio.

Elemento determinante è costituito dalle condizioni delle carceri che, seppure migliorate nel tempo, spesso sono al limite della sopportazione per il sovraffollamento, la promiscuità e le conseguenti condizioni igienico - sanitarie. Nella Regione Veneto, i detenuti sono 2.767 contro una capienza progettata di 1.772; chiaramente, questo composta una detenzione di particolare disagio e non una vita da grande hotel, come qualcuno vorrebbe far credere. Chi ha sbagliato va punito e, se possibile, rieducato; ma la punizione deve essere secondo quanto prevede la legge e non maggiore. Che questo indulto sia il migliore possibile, non sarò io ad affermarlo: anzi, sicuramente, si dimostrerà negativo per l’impatto sulla società che dovrà sopportare una massa di circa quindicimila ex carcerati, alle prese con un reinserimento per molti al limite della sopravvivenza. E sarà significativo il poter verificare in quale misura il sistema carcerario abbia funzionato nel loro recupero.

A tale riguardo, è emblematico quanto si è verificato al carcere delle Vallette a Torino, dove negli ultimi due anni, sette suore Figlie della Carità, la Congregazione femminile fondata da San Vincenzo de Paoli, hanno lasciato il velo per sposare dei detenuti, conosciuti mentre si dedicavano al volontariato penitenziario. Lo ha rivelato Costantino Quaglia, segretario della San Vincenzo, sempre in prima linea nell’assistenza ai detenuti e alle loro famiglie, che ha pure commentato: "Pur di ottenere un aiuto, i detenuti inventano mille disgrazie e mille situazioni incresciose, ingannano chi hanno di fronte per avere quello che vogliono; però alcuni trovano la via dell’onestà, seppure in percentuale modesta, ma è già una grande conquista per la società". In fondo, nella vicenda torinese, su sette matrimoni, quattro sono ben riusciti e degli altri tre, sembra che uno soltanto sia fallito per motivi legati al ritorno alla delinquenza.

Purtroppo, questo provvedimento riguarda anche dei disperati che, una volta liberi, vedono per lo più dei muri di gomma e porte sbarrate. Ma ancor più preoccupano i detenuti malati di mente che una volta in circolazione, più facilmente, rischiano di ritornare indietro nel tempo e diventare, loro malgrado, degli elementi pericolosi. E sembra che vadano liberi pure dei detenuti condannati per associazione a delinquere, finalizzata al terrorismo e riconosciuti affiliati di Al Quaeda; ma per questi casi dovrebbe essere disposta l’espulsione ai loro Paesi d’origine. Sono problematiche che andavano considerate per i tanti risvolti sociali, compresa la primaria esigenza di trovare un lavoro. Ma il provvedimento era nell’aria da tempo e, probabilmente, ha influito anche il fervente appello di Papa Giovanni Paolo II, durante la visita in Parlamento, tanto che le aspettative dei detenuti erano pure maggiori, con l’auspicio di una più ampia amnistia. Un provvedimento che è stato preso in linea con il nostro ordinamento giudiziario, seppure una maggiore attenzione doveva essere posta per le predisposizioni attuative. A questo punto, però, è bene non lasciarli a sé stessi: altrimenti cosa possono fare se non tornare a delinquere?

Per evitare tali e più gravi inconvenienti con ripercussione sulla collettività, gli effetti pratici dell’indulto potevano essere scaglionati nel tempo: un anno di abbuono della pena per un periodo di tre anni poteva soddisfare anche il buon senso, permettendo alle istituzioni e alla società di meglio organizzarsi e rispondere adeguatamente a quella che molti, considerano una vera emergenza. Si può osservare che da tanti anni l’indulto, quale istituto periodico ed eccezionale, non era stato applicato per cui era un’aspettativa ragionevole; ma su tutto ha fatto premio il sovraffollamento delle carceri. Questa volta però è una motivazione che non convince appieno; nel breve periodo, si potevano trovare delle soluzioni di ripiego e non tanto complicate, come l’utilizzo delle caserme dismesse o, in taluno casi, tramutare le detenzioni in arresti domiciliari.

Così si è concessa la libertà, ma non si sono create le necessarie premesse, perché i detenuti liberati acquistino quel minimo di autosufficienza da farli sentire uomini veramente liberi e responsabili, anche a dimostrazione della validità del dettato costituzionale. Ora, si corre ai ripari con l’approntare dei corsi di formazione per gli ex detenuti in età ancora lavorativa ed è bene così; ma ancor meglio sarebbe stato l’aver preparato il loro reinserimento prima dell’uscita dal carcere.

Ma oltre la possibilità di trovare un lavoro - più difficile per gli "avanzi di galera" - anche la propria casa spesso è scomparsa e la famiglia può essersi dissolta o non essere più la stessa. Sono peraltro problemi quasi costanti che si presentano a tutti coloro che, espiata la pena, riacquistano la libertà. Per ognuno di loro, se sono ancora giovani, la libertà una dura sfida alla speranza, invece, è la ricerca di una serena vecchiaia se sono avanti con gli anni. Ritornando alle tante contrarietà poste in evidenza, non solo da parte di singoli ma anche di intere categorie di persone, si può concludere che l’indulto vuol essere un atto di clemenza che richiede la disponibilità alla comprensione delle altrui difficoltà di ordine materiale e morale. Alla fin fine, si tratta di un momento di pacificazione del detenuto con la società, nella quale vuole ritrovarsi. E se fosse meritevole, perché non ascoltarlo e ridargli fiducia e dignità? Una risposta positiva a questa domanda porta a privilegiare l’istituto giuridico della grazia, condizionata alle caratteristiche psicologiche e comportamentali del condannato e a ripensare l’attuale validità dei provvedimenti, pressoché generalizzati, dell’indulto che agisce sulla pena e dell’amnistia che addirittura annulla il reato.

Milano: guerra ai graffiti; proposto il carcere per chi imbratta

 

Ansa, 21 agosto 2006

 

Ricomincia la guerra tra Milano e i writer. Assoedilizia chiede pene più severe: "Milano è la città più sfregiata d’Italia. I graffiti ricoprono il 40 per cento dei palazzi, con un danno di 80 milioni di euro l’anno", spiega il presidente Achille Colombo Clerici.

E il caso arriva a Roma tramite il senatore di An Giuseppe Valditara, che ha presentato un disegno di legge a Palazzo Madama per la modifica dell’articolo 639 del codice penale. La pena per chi è sorpreso a fare graffiti su palazzi storici o situati nel centro storico salirebbe a due anni e mezzo di carcere, a un anno negli altri casi. Le multe previste vanno dai 2.500 ai 10mila euro. Di mille euro l’ammenda prevista per chi vende bombolette spray ai minorenni. "È una risposta alle nostre richieste - dice l’assessore al Decoro urbano, Maurizio Cadeo -. Quella repressiva è una delle vie giuste per contrastare il fenomeno. L’altra è quella della tempestiva pulizia, che spetta a noi.

Giustizia: l’indulto disarma anche i giudici di pace

 

Il Giornale, 21 agosto 2006

 

È il primo caso di giustizia interamente virtuale: pene condonate al cento per cento. I giudici di pace non escono dal recinto dell’indulto. Una sorta di zona franca per migliaia di reati: minacce, percosse, diffamazioni, lesioni, danneggiamenti. Insomma, il fastidioso rosario delle piccole liti. O, se si preferisce, la giustizia formato cortile o condominio. Anche da quelle parti è in arrivo un gigantesco colpo di spugna. I magistrati non togati, come vengono chiamati con una punta di scetticismo, se ne stanno sotto l’ombrellone o in montagna, ma i giochi sono fatti.

Ennio Fortuna, Procuratore generale del Veneto, la prende da lontano: "La questione dell’applicabilità dell’indulto è teoricamente scivolosa, proprio perché si discute sulla natura di queste pene". Che sul ventaglio del magistrato sono di tre tipologie: pecuniarie, fino a un tetto di circa 2.500 euro; permanenza domiciliare, da un minimo di 6 a un massimo di 45 giorni spalmati nei weekend; lavori di pubblica utilità. "Ma - è la conclusione trachant - mi pare di poter dire che alla fine tutte le pene per i reati commessi entro il 2 maggio scorso sono condonate. Tutte. Così abbiamo fatto in Veneto".

Un censimento dettagliato nel grande calderone della giustizia è difficile, ma Fortuna fissa qualche paletto: "In Veneto c’erano un centinaio di persone che scontavano la permanenza domiciliare o, in piccola parte, svolgevano lavori di pubblica utilità. Sono tornati tutti liberi". E i processi e le inchieste in corso? "I giudici di pace - risponde Fortuna - si appoggiano alle Procure ed è chiaro che un Pm sommerso da mille incombenze non si preoccuperà certo di mandare avanti una diffamazione destinata a finire in nulla. In Veneto ci sono 10-12 mila fascicoli aperti e credo che molti faldoni, a seconda delle forze disponibili nelle singole città, resteranno indietro".

È una sconfitta impalpabile, silenziosa, ma che tocca da vicino il cittadino. Il testo della legge approvata un mese fa dal Parlamento parla chiaro: sono condonate tutte le pene pecuniarie fino a 10mila euro. Il resto viene da sé.

"Confermo - spiega il coordinatore dei giudici di pace di Brescia Pompeo Quarto - tutti i procedimenti vecchi finiranno nell’imbuto del condono, anche se questo non significa che non si andrà avanti. Al cittadino, vittima di un piccolo sopruso, interessa fino a un certo punto la condanna del colpevole. Quel che gli preme di più è ottenere un risarcimento e su questo versante non ci sarà indulto. Per le parti civili in aula non cambierà nulla". La casistica dei conflitti e dei guai è un catalogo sterminato: il vaso precipitato dal balcone direttamente sulla testa dello sventurato passante, gli epiteti scagliati come fulmini contro il vicino che non si sopporta da una vita, le lesioni da incidente stradale, lo specchietto della macchina fracassato dal vandalo di turno, il muro riempito dai graffiti indigeribili di un qualche writer in lotta con la noia (anche se talvolta si svolgono complicate diatribe sulla competenza).

"A Milano - spiega il coordinatore dei centosessanta giudici di pace di rito ambrosiano Vito Dattolico - incapperà inesorabilmente nelle forche caudine dell’indulto anche un caso atterrato su tutti i giornali". La storia è quella del "buffone" con cui il barbuto contestatore Piero Ricca apostrofò Silvio Berlusconi il 5 maggio 2003 a palazzo di giustizia.

Il giudice di pace aveva condannato il bollente girotondino a 500 euro di multa per ingiuria, ma la Cassazione ha alzato l’asticella del diritto di critica e ha rispedito le carte sotto la Madonnina ordinando un nuovo processo: "Difficile - aggiunge Dattolico - che si concluda con una condanna deragliando dai binari della Cassazione, ma comunque una eventuale pena sarebbe coperta dal condono". Un fatto è sicuro, aspettando la ripresa delle udienze il 16 settembre: chi è stato condannato e non ha ancora pagato non pagherà più. "Per lo Stato - annota il Procuratore di Verona Guido Papalia - sarà un danno non trascurabile". Una delle tante conseguenze del condono che nessuno, nel dibattito alle Camere, aveva previsto.

Aosta: il dopo indulto porterà i corsi di formazione

 

La Stampa, 21 agosto 2006

 

Tensioni azzerate, lavoro a rotazione, rapporto fra detenuti e agenti di polizia penitenziaria migliorato in maniera concreta. L’indulto ha cambiato il "volto" e il vivere della "Casa circondariale" di Brissogne. La struttura è diventata a misura d’uomo. "Come auspicavamo - dice Angelo Pace vice comandante degli agenti di polizia penitenziaria -.

L’uscita di 172 detenuti (70 per cento extracomunitari, ndr) ha riportato la reale capienza della struttura carceraria valdostana, cento detenuti rimasti con possibilità di ospitarne altri 50-60. Ora - continua Pace - potremo accelerare le pratiche burocratiche necessarie per le autorizzazioni all’istituzione dei corsi di formazione scolastica e professionale".

I detenuti che frequenteranno queste lezioni avranno l’opportunità di essere impiegati all’interno del carcere per lavori di ristrutturazione. Prima dell’indulto che ha previsto uno sconto d pena di tre anni, alcuni ospiti del penitenziario di Brissogne, erano stati ammessi al programma di lavori socialmente utili. "In questo momento - dichiara Angelo Pace - non abbiamo detenuti con i requisiti previsti per l’ammissione a queste attività".

A Brissogne, sono rimasti i detenuti della sezione denominata "ad alta riprovazione sociale", cioè, imputati di crimini sessuali e altri 60 in attesa di primo giudizio, appellanti, ricorrenti o definitivi che non hanno potuto usufruire dell’indulto perché colpevoli di reati non previsti nella legge. "Ospitiamo anche detenuti in residuo di pena, cioè con una condanna superiore ai tre anni" conclude Angelo Pace.

Alba: dopo l’indulto dei 190 detenuti ne sono rimasti 65

 

La Stampa, 21 agosto 2006

 

L’indulto ha aperto le porte della casa circondariale di Alba. Dei 190 detenuti in carcere a inizio luglio, ne sono rimasti 65 e per alcuni di questi la libertà è solo questione di giorni e burocrazia. Finora, dicono dalla direzione, nessuno di chi era recluso è tornato dietro le sbarre, anche se c’è già stato qualche nuovo ingresso. La speranza è che il prevedibile ripopolamento sia come un’onda lunga e graduale, con tempi ampi che consentano nel frattempo migliorie e modifiche sia strutturali, sia di gestione del sistema carcerario italiano. In questo periodo di trasformazione, la prigione albese registra anche un altro cambiamento: dopo anni di servizio intenso e appassionato, don Bartolomeo Venturino ha lasciato l’incarico di cappellano, cedendo il testimone a don Luigi Alessandria, responsabile della Caritas diocesana e del Centro di prima accoglienza di via Pola. Un compito in coerenza con l’impegno che da anni contraddistingue il cammino di don Gigi tra gli ultimi e le nuove povertà.

 

Che cosa significa essere cappellano del carcere? "

"Innanzi tutto, vuol dire inserirsi in una tradizione, nella storia di un servizio presente da sempre. Anche se oggi c’è bisogno di un profondo mutamento per non essere antiquati, superati dalla pratica quotidiana. Per me, poi, è stata la naturale prosecuzione di un lavoro iniziato anni fa con il mondo carcerario. E l’importante eredità lasciata da don Venturino, la sua capacità di dialogo vero e senza ufficialità, mi ha molto alleggerito il compito".

 

Tuttavia, ha raccolto l’incarico proprio con la rivoluzione dell’indulto. Che pensa del provvedimento?

"L’indulto ha messo in rilievo luci e ombre del sistema carcerario. Da una parte, è positivo che migliaia di persone sospese in una pena tutt’altro che correttiva abbiano avuto la possibilità di tornare alle proprie famiglie, a una vita nuova e diversa. Tuttavia, per molti l’improvvisa libertà ha significato l’interruzione di un percorso di reinserimento graduale e aiutato. Da un giorno all’altro, ci siamo ritrovati senza più persone ai corsi formativi che erano stati attivati. L’indulto ha tolto la pena, ma non ha offerto molte soluzioni a chi non è in grado di reggersi sulle proprie gambe. E in assenza di una riforma, la conseguenza non può che essere il ritorno alla situazione di prima".

 

Per questo sono importanti i progetti di accoglienza e di inserimento lavorativo attivati con i servizi sociali e le aziende del territorio?

"Credo che sia proprio questo l’aspetto fondamentale. Il carcere ha pur sempre una logica repressiva, e se i vari progetti dentro le mura sono preziosi, è con il contatto esterno che si gioca la vera possibilità di recupero sociale del detenuto. L’anno scorso, il gruppo operativo locale ha attivato una ventina di progetti, tra permessi, affidamenti e situazioni di semilibertà, più varie azioni in sostegno agli ex carcerati, dove l’aiuto dei volontari e delle associazioni è stato fondamentale. Un lavoro reso possibile dalla disponibilità della direzione della casa circondariale e dal rapporto di fiducia che si è instaurato".

 

Com’è il rapporto con la città? Il carcere resta sempre un mondo a parte?

"Le possibilità di interazione con la società civile sono limitate. Ci sono i volontari, gruppi che svolgono attività di grande valore, ma credo che sia proprio nella rete di accoglienza e inserimento che si può esprimere al meglio questo legame tra i due mondi. È importante collocarsi davanti ai poveri o a chi ha bisogno, non dietro. Per essere davvero incisivi, dobbiamo offrire delle risorse, non assecondare le loro richieste".

 

E l’esperienza personale di cappellano?

"È fatta di ascolto e dialogo, di catechesi semplice ed essenziale, senza illusioni o pretese fuori luogo. Celebrare ogni domenica l’eucarestia tra la comunità di carcerati con la quale lavoro quotidianamente è un’esperienza per me molto coinvolgente, in coerenza con il mio impegno".

Immigrazione: Amato propone una riforma della cittadinanza

 

Ansa, 21 agosto 2006

 

Il Consiglio dei ministri ha approvato nella riunione del 4 agosto 2006 il Disegno di legge presentato dal Ministro dell’Interno Giuliano Amato che porta dagli attuali dieci a cinque anni i tempi di residenza nel nostro paese per poter presentare la richiesta di cittadinanza italiana.

Il provvedimento varato dal governo, che passa ora al vaglio del Parlamento, contiene una serie di paletti necessari - come ha sottolineato il responsabile del Viminale - " per verificare la serietà delle intenzioni di chi presenta le istanze" e per escludere "afflussi indiscriminati o matrimoni di comodo". Potrà acquisire il diritto alla cittadinanza italiana "chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui uno almeno sia residente legalmente in Italia senza interruzioni da cinque anni al momento della nascita e in possesso del requisito residuale previsto per il soggiorno: in tutti i casi, meno per i bambini, ci deve essere la verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello stato e questo requisito lo abbiamo esteso anche a chi sposa un italiano".

La nuova disciplina, che andrà a modificare la legge n. 91 del 1992, richiede infatti il requisito della reale integrazione dello straniero sul territorio, il quale dovrà dimostrare di avere conoscenza della nostra lingua. L’importanza della cittadinanza e dei diritti e doveri ad essa correlati sarà sottolineata dalla previsione di una cerimonia di conferimento del nuovo status nel quale sarà particolarmente significativo il momento del "giuramento". È prevedibile che il numero di richieste di cittadinanza subisca un incremento; le domande non saranno più di 18 mila ogni anno secondo il Ministro Amato, il quale ha precisato che "chi ottiene la cittadinanza grazie allo ius soli, il fatto cioè di essere nato in Italia, potrà rinunciarvi, se vuole, una volta compiuti i 18 anni perché la cittadinanza è un diritto, non è un obbligo".

Belgio: fermato il nono evaso, ma altri 19 sono in fuga

 

Ansa, 21 agosto 2006

 

Il nono dei ventotto evasi dalla prigione di Termonde, in Belgio - un cittadino con origini irachene - è stato catturato per caso dalle forze dell’ordine. La polizia resta sulle tracce degli altri diciannove fuggiaschi, in maggioranza cittadini di paesi dell’Europa dell’est, e c’è chi teme che molti di loro abbiano potuto già lasciare il paese, ragione per la quale, come spiega Christian Du Four, procuratore del Re, si farà ricorso al mandato di cattura europeo.

"Almeno per i due istigatori dell’evasione, coloro che hanno preso in ostaggio i guardiani, verrà emesso un ordine di arresto europeo". L’evasione, la più grande nella storia del Belgio, è avvenuta nella notte tra venerdì e sabato. I detenuti sono riusciti a lasciare il carcere usando un mazzo di chiavi sottratto a due agenti di custodia, per poco trattenuti in ostaggio. Mentre gli investigatori puntano a raccogliere ogni reperto lasciato dagli evasi, scoppiano le polemiche sulle condizioni di detenzione nella prigione di Termonde, un edificio costruito 150 anni fa.

 

 

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