Rassegna stampa 22 agosto

 

Napoli: allarme dell’Anm per l'indulto, fuori troppi boss

 

Il Mattino, 22 agosto 2006

 

L’ultimo (solo in ordine di tempo) a tornare a casa è stato Antonio Caiazzo, uno dei protagonisti della guerra di camorra scatenata negli anni ‘90 al Vomero. Saldati i conti più salati con la giustizia, gli rimaneva da scontare un residuo di pena di tre anni in relazione ad alcune condanne per i reati di furto e detenzione di arma da fuoco. Caiazzo ha potuto ottenere un sensibile sconto di pena grazie all’indulto. Prima di lui era toccato a migliaia di altri detenuti. In maggioranza detenuti comuni. Ma anche presunti affiliati alla criminalità organizzata.

Nel Casertano, per esempio, l’indulto ha accelerato l’uscita dal carcere di Salvatore Belforte, che la Direzione distrettuale antimafia ritiene sia al vertice di uno dei più temibili clan di Terra di lavoro, i "Mazzacane". E così via, passando anche per la decina di algerini (tra loro anche l’ex vice imam della moschea di corso Arnaldo Lucci, Ahmed Yacine Nacer) accusati di traffico internazionale di documenti falsi e di armi. I numeri aggiornati della situazione a Napoli sono questi: finora 364 detenuti hanno lasciato Poggioreale e 592 Secondigliano. "Era chiaro che sarebbe andata così - riflette il presidente della giunta distrettuale dell’Associazione nazionale magistrati, Raffaele Cantone - ma oggi questa sembra la scoperta dell’acqua calda. Lo avevamo previsto. L’indulto era necessario. Ma dilatare l’ampiezza dei reati e l’ambito temporale a tre anni è stato sicuramente un fatto negativo".

Eccolo il vulnus di un provvedimento necessario e forse addirittura indispensabile per la popolazione carceraria. "Oggi si aggiunge un nuovo timore - prosegue il presidente dell’Anm, che è - tra l’altro - uno dei pm di punta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli - La cosa più preoccupante è che dell’indulto stanno beneficiando anche soggetti indagati, imputati e condannati per reati di associazione mafiosa". Una mossa tutto sommato prevedibile. "Eppure - dichiara Cantone - sarebbe stato sufficiente porre qualche griglia a monte, prima di varare il provvedimento di clemenza. Penso a rimedi semplici ma efficaci: come il divieto di applicazione dell’indulto nei confronti di chi è stato destinatario di confische patrimoniali per 416 bis (associazione mafiosa, ndr); ma anche impedire i benefici di legge ai soggetti recidivi. Purtroppo però non è andata così. E oggi ne vediamo le conseguenze".

I magistrati sollevano poi un’altra critica: la totale assenza di misure di sostegno occupazionale e di reinserimento sociale per quei detenuti che, usufruendo dell’indulto, si sono ritrovati soli una volta fuori dal carcere. "Questa gente era abituata a delinquere, in fondo viveva di questo - dice il magistrato - e si è trovata fuori senza alcun punto di riferimento solido capace di reinserirla in un contesto sano". E adesso? Cantone preferisce non unirsi al coro delle cassandre che preconizzano un autunno di fuoco sul versante della lotta al crimine, organizzato e non. "Non vorrei fare previsioni - conclude - A tempo debito valuteremo la situazione".

Catanzaro: movimento diritti civili denuncia ingiustizia

 

Asca, 22 agosto 2006

 

Il Movimento Diritti Civili denuncia un caso di "clamorosa ingiustizia": vittima un calabrese di 54 anni, F.V., emigrato in Germania, detenuto (dopo l’estradizione dal Paese tedesco) in un carcere della Calabria, per scontare un residuo pena di 2 anni e 5 mesi (è stato condannato a 6 anni di reclusione e ne ha già scontati oltre la metà, 3 anni e 7 mesi), con una figlia di 24 anni gravemente malata, che non può vedere da 4 mesi, al quale è stato negato l’indulto perché, per un assurdo della legge italiana, approvata nel luglio scorso dal Parlamento, e della Convezione di Strasburgo che all’articolo 12 prevede che "i cittadini (italiani, nel nostro caso) che commettono reati all’estero e vengono estradati (come nella fattispecie) possono beneficiare solo dell’amnistia e della grazia, ma non dell’indulto.

Il detenuto calabrese ha scritto al leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, invocando il suo aiuto per quella che definisce una "grande ingiustizia, una violazione dei diritti umani e il dramma familiare che sta vivendo". Il leader di Diritti Civili "leva forte la sua protesta e parla di inaccettabile e atroce beffa, di vergogna, di un indulto che permette a oltre 15 mila detenuti di lasciare il carcere, anche ad assassini e personaggi eccellenti, e poi impedisce ad un poveraccio, condannato per piccoli reati, che ha già scontato oltre tre anni di reclusione di beneficiare dell’indulto e addirittura di poter vedere la figlia in gravissime condizioni di salute".

"Il legale del detenuto - afferma Corbelli - ha presentato ricorso alla Corte di Appello di Catanzaro per chiedere l’applicazione dell’indulto anche per questo recluso, suo assistito. La legge non è uguale per tutti - dice Corbelli - in questo Paese. Si fanno leggi e indulti ad personam e poi si nega questo beneficio ad un povero cristo, uno dei sepolti vivi delle carceri, con una giovane figlia gravemente malata; la ragazza , ha 24 anni, ha avuto asportati un rene e la milza e soffre di altre gravi patologie". "Chiedo, con un appello pubblico, a chi di competenza - conclude Corbelli - esattamente al presidente della Corte di Appello di Catanzaro, di porre fine a questa ingiustizia e di riconoscere a questo detenuto il diritto all’indulto".

Rovigo: dopo-indulto; varato un coordinamento stabile

 

Il Gazzettino, 22 agosto 2006

 

Ha i propri "angeli" la rete dell’accoglienza per chi esce dal carcere con l’indulto. Ieri, a palazzo Nodari si sono riunite le associazioni di volontariato che, coordinate dalla prefettura e dal Comune, stanno predisponendo una catena di solidarietà che prevede di far fronte a richieste di assistenza e reinserimento anche per rodigini i quali, scarcerati in giro per l’Italia, dovessero desiderare di tornare nella loro città d’origine. "In effetti se per la cinquantina di indulti eseguiti nella casa circondariale di Rovigo, il numero di casi che hanno avuto effettiva necessità di assistenza si è ridotto a una decina - ha detto il sindaco Merchiori - potrebbe succedere che scarcerati da altri istituti di pena rientrino a Rovigo e non abbiano di che vivere". Alla riunione di ieri hanno preso parte i rappresentanti di una decina di associazioni di volontariato. Tra questi Porta verta, Caritas, Emmaus, Centro francescano di ascolto, San Vincenzo de Paoli, Coordinamento assistenti volontari Casa circondariale, Centro servizi volontariato. Si è stabilito di costituire un coordinamento che abbia connotati di più ampio respiro per fronteggiare anche situazioni meno emergenziali.

Savona: l’indulto rende vano il 90% dei procedimenti

 

Secolo XIX, 22 agosto 2006

 

Il novanta per cento dei processi che verranno celebrati nei prossimi due, tre anni in Tribunale a Savona saranno inutili. Anche in caso di condanna dell’imputato, la pena verrà infatti automaticamente "cancellata" in quanto relativa a un reato commesso prima del 2 maggio scorso.

È questo uno degli effetti che l’indulto continuerà ad avere sulla giustizia savonese, dopo aver portato nelle settimane passate alla scarcerazione di ben 253 detenuti (25 dei quali erano rinchiusi nel carcere Sant’Agostino) e aver fatto tirare un sospiro di sollievo alle circa 400 persone che vivevano con il terrore di finire in galera o perché colpite da un ordine di carcerazione o perché in attesa della sentenza definitiva di condanna. E nei prossimi due, tre anni, la quasi totalità dei processi in programma in Tribunale saranno "virtuali", visto che l’eventuale condanna verrà automaticamente e contemporaneamente annullata.

Un "colpo di spugna" che finirà con l’interessare solo nella nostra provincia circa tremila persone in attesa di giudizio. E tra coloro che verranno ad esser maggiormente penalizzate vi sono le donne in attesa di una sentenza di condanna del giudice nei confronti dell’ex coniuge reo di non aver corrisposto per anni gli alimenti in moltissimi non solo per loro ma anche per i figli. La possibilità di ottenere soldi dagli ex coniugi è infatti quasi sempre legata all’azione penale. Considerato che il marito inadempiente e condannato di fronte al rischio di finire in carcere sceglie la strada del risarcimento all’ex compagna.

"È un problema concreto che esiste a Savona come in tutti gli altri tribunali d’Italia - conferma il procuratore capo della Repubblica, Vincenzo Scolastico - ma da parte nostra come ufficio non possiamo far altro che applicare i benefici che sono previsti con l’approvazione dell’indulto".

A differenza di quanto avvenuto a Genova, la procura di Savona ha deciso di non stabilire criteri di priorità nella programmazione dei fascicolo da portare al dibattimento per evitare perdite di tempo. "Insieme con i colleghi - spiega ancora il procuratore Scolastico - abbiamo deciso di portare comunque avanti tutti i fascicoli, anche se sappiamo benissimo che nella quasi totalità dei casi si tratterà di un lavoro che verrà poi vanificato al momento della sentenza di condanna con l’applicazione dell’indulto".

"Diciamo che siamo alla vigilia di una stagione di processi virtuali - commenta amaramente il sostituto Alberto Landolfi - nel senso che anche in caso si arrivi alla condanna dell’imputato, la stessa verrà cancellata. Ritengo comunque che il processo sia necessario perché permette di accertare le responsabilità offrendo alle persone offese la possibilità di esser risarcite per il danno subito".

Imperia: torre umana di detenuti forse aiutò evasi

 

Secolo XIX, 22 agosto 2006

 

L’ipotesi che anche altri detenuti abbiano favorito la fuga di di Ferragosto di tre detenuti dal carcere di Imperia si affaccia e prende piede nell’ inchiesta giudiziaria sulla clamorosa evasione. Nel campetto di calcio, a quanto pare non sottoposto a controllo in quel momento, alcuni carcerati invitati a prestare aiuto ai fuggiaschi potrebbero aver addirittura realizzato una sorta di torre umana per consentire ai tre, Qemal Hoxha, Gianni Abbagnato e Michele Sannini, di superare la rete di protezione alta 4 metri e raggiungere il terrapieno e poi le mura del penitenziario. Difficile immaginare che abbiano raggiunto la traversa della porta del campo e poi da questa si siano arrampicati a mani nude sulla rete. Sarà il filmato, non certo la collaborazione e la confessione degli interessati (la videocassetta è stata consegnata al magistrato e non ancora completamente visionata), a chiarire se c’è stato o meno il favoreggiamento all’evasione.

Nel frattempo procede l’indagine dei carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore Ersilio Capone, sul caso. Non vengono escluse altre responsabilità oltre quella già ravvisata nei riguardi di un agente di polizia penitenziaria raggiunto da avviso di garanzia per omessa custodia, reato considerato colposo, non doloso. Quest’oggi il magistrato, assieme ai carabinieri, eseguirà un nuovo sopralluogo, un’ispezione dei luoghi per verificare le varie ipotesi sostenute. "Il provvedimento sinora adottato, quasi certamente, non sarà l’unico di questa inchiesta - spiega il procuratore capo, Bernardo Di Mattei - intendiamo andare a fondo".

Intanto proseguono gli accertamenti da parte del provveditorato di Genova per stabilire eventuali responsabilità amministrative. Come pure proseguono da parte delle organizzazioni sindacali le segnalazioni di protesta all’insegna de "l’avevamo detto".

Sappe, Osap, Cgil, Cisl e Uil, hanno espresso solidarietà nei confronti dell’agente indagato e evidenziano che: "la carenza di personale non giova sicuramente alla sicurezza dell’istituto. Corre l’obbligo sottolineare che le organizzazioni hanno sempre tutelato e tuteleranno sempre gli interessi legittimi di tutto il personale. Respingiamo ogni accusa, sostenuta da un’altra organizzazione, riferita al nostro sostegno di molte direzioni penitenziarie":

E aggiunge il segretario generale aggiunto del Sappe, Roberto Martinelli: "Imputiamo le responsabilità ai "colletti bianchi", provveditorato regionale e ministero, che da anni e anche di recente, attraverso la nostra diffusione di un libro bianco, erano a perfetta conoscenza delle disfunzioni presso la casa circondariale di Imperia".

Immigrazione: Calderoli; contro le navi si può anche sparare

 

Il Gazzettino, 22 agosto 2006

 

Emergenza immigrazione: la Cdl fa quadrato, a parte la disponibilità manifestata da Beppe Pisanu e Sandro Bondi (Fi), intorno alla "sua" Bossi-Fini e lancia accuse velenose contro il "populismo criminale", contro "l’assurdo buonismo", che animano la politica sull’immigrazione dell’Unione. Tuoni, fulmini e saette contro il governo Prodi "apprendista stregone", che sta creando un caos, un flop, facendo dell’Italia il "ventre molle" dell’Europa e lasciandosi guidare dalla sinistra antagonista. Che si guardi alla Spagna e al nuovo corso proibizionista del premier Zapatero, ex mito della sinistra italiana.

Lo dice Roberto Maroni (Lega), con una battutaccia: "Ecco, sfido l’Unione a dirmi se Zapatero è schiavista, razzista e xenofobo, oppure se resta una leader da imitare". Lo ripete, senza ironia, Fabrizio Cicchitto (Fi). In attesa di una risposta che forse non arriverà mai, un altro leghista, Roberto Calderoli, invoca l’uso della forza, previsto - spiega - dalla Bossi-Fini e dichiara: "Una salva davanti, una salva dietro al limite delle acque territoriali e vedrete che - aggiunge il coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord - non solo le navi ritorneranno sui loro passi, ma inizieranno a non partire nemmeno più sapendo ciò che li attende nelle acque intermedie". Con questi chiari di luna, il dialogo auspicato da alcuni, nella maggioranza, pare davvero una chimera.

E, dunque, mentre continuano gli avvistamenti di barconi carichi di clandestini sul canale di Sicilia, l’opposizione strilla e strepita e accusa l’esecutivo di mostrare al mondo un’Italia fiacca, imbelle, terra aperta, che regala la cittadinanza in cinque anni a persone che, magari, se ne infischiano della cultura e della legge italiana. La Cdl, preoccupata, lancia l’allarme per una situazione che può sfuggire di mano e diventare davvero difficile e pericolosa. Già, ma che fare?

Per prima cosa, osserva Italo Bocchino (An), bisogna che l’esecutivo confermi la validità dell’attuale legge sull’immigrazione. Proprio la Bossi-Fini che all’Unione sta stretta come la cintura di Twiggy. Eppure migliorare la legge sull’immigrazione partorita dal Polo si può e si deve, secondo Pisanu, che parla di "tagliando" a un provvedimento "perfettibile". Anche Sandro Bondi (Fi) ritiene possibile ritoccare la legge sull’immigrazione, ma non si nasconde le difficoltà a trattare con una maggioranza dalle "posizioni demagogiche e irresponsabili".

E poi c’è la questione Libia e degli altri Paesi del Maghreb dai quali partono i disperati del mare. D’accordo con l’Unione, l’ex ministro dell’Interno sardo ritiene fondamentali gli accordi con i Paesi da dove salpano le carrette del mare, soprattutto l’ex "altra sponda italiana". Calderoli dissente con la veemenza di sempre: "Non si può continuare a cedere ai ricatti di un dittatore che utilizza l’arma dell’immigrazione irregolare come strumento di influenza politica e per i suoi interessi. I Paesi civili possono dialogare soltanto con i Paesi democratici e in Libia la democrazia non c’è visto che lo ha proprio ieri sostenuto il figlio del dittatore, Islam Gheddafi".

Intanto Mario Borghezio (Lega) ripropone le "ronde padane". E poi c’è chi, come Maurizio Gasparri (An) vorrebbe sì modificare la legge, ma stringendo ancora di più il cappio: "Ho presentato un disegno di legge con l’obiettivo di introdurre sanzioni più severe per gli ingressi clandestini da considerare un reato penalmente perseguibile". Tutti dentro, in barba all’indulto che ha appena svuotato le carceri di tutta Italia. Altero Matteoli (An) e non solo lui si appella invece ai "ministri più responsabili dell’Unione" affinché si ravvedano: "Addebitare alla Bossi-Fini persino la morte di decine clandestini è davvero surreale e destituito di fondamento. Queste polemiche servono, in verità, alla sinistra e al governo Prodi per coprire le gravi responsabilità sul modo di gestire l’immigrazione clandestina e sono utili in particolare per tentare di mascherare il danno causato dalla becera propaganda seguita al disegno di legge sulla cittadinanza, presentata come una sorta di paradiso per chi vuole lasciare i Paesi del sud del mondo". E, dunque, conclude Bondi, occorre cooperare, dialogare, smetterla con le strumentalizzazioni. Un invito che si perde nelle affermazioni del centrosinistra, che accusa la Bossi-Fini di essere una legge assassina.

Busto Arsizio: Casa Onesimo, accoglienza dopo il carcere

 

Varese News, 22 agosto 2006

 

Hector ha regalato a Casa Onesimo e alla Vol.Gi.Ter (Volontariato, Giustizia e Territorio) una piccola miniatura di un violino scolpita in legno mentre languiva in cella, ma soprattutto ha affrescato la parete frontale della struttura di via Lega Lombarda con l’immagine di sant’Onesimo.

Hector, argentino, è uno degli ex detenuti liberati dal carcere di Busto Arsizio per effetto del recente indulto votato dal Parlamento. Una ventina di essi, tutti stranieri (su un totale di 93 detenuti liberati, di cui 44 stranieri), sono passati per Casa Onesimo, la struttura di via Lega Lombarda gestita dall’associazione Vol.Gi.Ter, che si occupa proprio di aiutare il reinserimento dei detenuti nel momento più difficile, quello dell’uscita dal carcere.

Onesimo era uno schiavo fuggito dal suo padrone e divenuto seguace di San Paolo quando questi era in carcere a Roma. Paolo a sua volta riaffidò Onesimo al padrone, un cristiano di nome Filemone, pregandolo di accoglierlo da fratello in Cristo, e non più da schiavo: e così fu, narrano le cronache. Da questo episodio prende nome la casa per l’accoglienza agli ex detenuti, aperta nel 2005 grazie ad un contributo della Regione.

Una vera multinazionale quella ospitata presso Casa Onesimo, con una netta prevalenza di latinoamericani: vi erano anche un brasiliano, due guatemaltechi, un altro venezuelano, un boliviano... Solo Hector è rimasto: partirà il giorno 25. Tutti gli altri sono già tornati a casa, verso un futuro incerto, dopo una lunga permanenza in carcere.

L’indulto poteva creare seri problemi, ma è stato affrontato bene grazie alla collaborazione Comune-Vol.Gi.Ter. Essa avrà un ruolo centrale anche nella relazione che, su richiesta del presidente della Commissione consiliare servizi sociali Enrico Salomi, sarà esposta ai commissari entro la prima metà di settembre.

"Posso anticipare" spiega Salomi "che gli effetti dell’indulto non sembrano essere stati di grande impatto, grazie anche alla sinergia fra il Comune ed il volontariato. Certo il momento non era forse quello più adatto per un’amnistia, in pieno agosto, con il personale dei Comuni ridotto per le ferie e gli aeroporti già intasati - ma alla Vol.Gi.Ter si sono dati da fare subito, va detto, e c’è chi ha rinunciato a settimane di vacanza per restare a dare una mano".

Non è stato semplice raccogliere in tempi ristretti i fondi necessari per i biglietti aerei destinati al rimpatrio - obbligato - degli ex detenuti: ma con la generosità di alcuni donatori, e una cena di finanziamento, si è fatto anche questo. Liberati fra l’1 ed il 3 agosto, gli ospiti di Casa Onesimo sono partiti fra il 10 ed il 18. Alcuni avevano da parte qualche soldino raggranellato lavorando dietro le sbarre, ed hanno potuto pagarsi il biglietto di ritorno; uno, un giovanissimo venezuelano, ha ricevuto un po’ di denaro dai familiari. Gli italiani, invece, potevano in genere contare sulle famiglie d’origine, e nessuno di quelli liberati di recente ha avuto bisogno dell’aiuto dell’associazione.

Non tutti gli ex detenuti sono stati espulsi: un kossovaro aveva la famiglia in Germania, dove è tornato in pullman, mentre un ex boscaiolo lituano, cittadino comunitario, e quindi non passibile di espulsione, se ne è tornato comunque in patria. Comune agli ex detenuti passati per Casa Onesimo era invece l’accusa che li ha portati in cella: erano corrieri della droga, liberati solo in quanto avevano introdotto quantitativi non ingenti. Tutti erano finiti direttamente da Malpensa in carcere; l’italiano la gran parte di loro l’ha imparato in prigione, e tutto ciò che hanno visto dell’Italia sono state le quattro mura di una cella sovraffollata. Un paio di loro, nigeriani, si sono volatilizzati prima del rimpatrio. "Vi sono situazioni particolari in questi casi, a volte i corrieri che non sono riusciti ad effettuare la consegna rischiano la vendetta dei trafficanti, convintisi che abbiano fatto sparire lo stupefacente per propri fini" spiega senza troppe perifrasi l’assessore ai servizi sociali Luigi Chierichetti. "Ho avuto modo di parlare con uno dei due ragazzi nigeriani poi fuggiti, e mi diceva che lui in Nigeria non poteva assolutamente tornare: era molto spaventato, e forse temeva una cosa del genere".

"Alla fine è la miseria quotidiana che ha spinto questi uomini a tentare il colpaccio come corrieri della droga" argomenta Marco Pozzi, presidente di Vol.Gi.Ter: "c’è anche chi in patria aveva lasciato moglie, sei figli e una madre malata". Il "colpaccio" in media è costato ad ognuno di loro due anni e mezzo di galera, pena che finora ha mostrato un effetto dissuasivo nullo, vista la quantità di "colleghi" che vengono regolarmente "pescati" alla Malpensa da doganieri e Guardia di Finanza, nonostante i trucchi più diabolicamente astuti per nascondere la droga. A dispetto dei continui arresti e degli imponenti sequestri di stupefacenti - soprattutto cocaina - i trafficanti insistono, segno che la tratta resta lucrosa e che per ogni corriere che cade nella fitta rete dei controlli, altri riescono a passare.

Udine: dopo-indulto; Comune accoglie sette ex detenuti

 

Il Gazzettino, 22 agosto 2006

 

 

Sette ex detenuti, tutti senzatetto e scarcerati grazie all’indulto, hanno trovato accoglienza nelle strutture comunali. Si tratta di persone che non hanno parenti disposti ad ospitarli, non hanno casa e non hanno la possibilità di trovare in tempi brevi una sistemazione. Nei giorni scorsi i Servizi sociali hanno comunicato alla Questura dove sono stati accolti. Per una parte sono stati messi a disposizione alcune stanze in una pensione cittadina e alcuni alloggi destinati ai progetti di protezione sociale.

A favore degli ex detenuti si sta mobilitando il consigliere provinciale dei Ds Ermilio Taverna, che ha chiesto al presidente Strassoldo e agli assessori Daniele Macorig e Adriano Piuzzi di convocare le Commissioni consiliari Politiche sociali e Attività produttive per esaminare la situazione. Secondo Taverna serve un coordinamento tra Enti, Comuni, Questura e associazioni imprenditoriali per aiutare chi è stato scarcerato con l’indulto a reinserirsi nella società. "Occorre dare a queste persone - osserva Taverna - una possibilità per dar sì che non tornino a commettere reati spinti dalla necessità". Macorig e Piuzzi hanno già dato la loro disponibilità ad analizzare la situazione.

Agrigento: 115 detenuti in meno a contrada Petrusa

 

La Sicilia, 22 agosto 2006

 

Una delle carceri più affollate d’Italia, quella di contrada Petrusa, è più accogliente di qualche mese fa. Grazie all’indulto sono circa 250 i detenuti che scontano le rispettive pene in celle decisamente più ampie. Non che si siano ampliati gli spazi, ma il miglioramento deriva dagli effetti del provvedimento che ha permesso di uscire di galera a 115 detenuti per avere commesso reati per cosi dire “minori”. Furti, rapine, scippi, spaccio di droga e altri episodi poco edificanti sono stati di colpo condonati a chi li ha compiuti. Così, dopo avere scontato un anno circa di reclusione, questi soggetti sono tornati in libertà.

Dei 115 usciti dalla casa circondariale agrigentina poco più di una ventina sono donne e, ovviamente, non mancano gli immigrati extracomunitari. Per rendersi conto di come sia cambiata in meglio la situazione all’interno del penitenziario agrigentino basterebbe recarsi nel reparto comune, in quello in cui sono rinchiuse le persone che hanno compiuto reati meno gravi rispetto ad altri.

Qui non ci sono più i letti a castello da 3 piani, ma sono scesi a due. Un miglioramento certamente importante che offre ai detenuti una vivibilità migliore degli spazi a essi concessi dal regime carcerario. Soddisfazione per quanto sta accadendo al Petrusa viene espressa dal diretto della casa circondariale Giovanni Mazzone.

“L’auspicio è che coloro i quali sono usciti nei giorni scorsi non facciano ritorno dopo avere commesso altri reati. E’ infatti compito della società consentire a chi ha pagato il proprio conto con la giustizia rimettersi in carreggiata all’insegna della legalità”.

Intanto a Petrusa c’è più spazio, ma è certo che da qui a breve tali spazi verranno riempiti. Restano intanto insoluti i problemi prettamente economici del penitenziario agrigentino. Meno male che nei Tribunali chiusi per ferie non si svolgono udienze alle quali dovrebbero partecipare detenuti agrigentini. Non ci sarebbe infatti la benzina da mettere nei mezzi della polizia penitenziaria. Mancano infatti i fondi ormai da mesi, mentre il Governo ha stanziato oltre 30 milioni di euro per aiutare gli ex detenuti a inserirsi nel tessuto sociale.

Indonesia: fuga dal carcere con l’aiuto del peperoncino

 

Ansa, 22 agosto 2006

 

Diciotto detenuti in Indonesia sono evasi dopo aver spruzzato negli occhi dei secondini una micidiale miscela a base di peperoncino. Lo ha annunciato la polizia di Sumatra precisando che i reclusi, "armati" di bottiglie riempite del liquido, hanno preso in ostaggio due guardie e si sono fatti aprire le porte della prigione. L’evasione però è durata poco: dieci carcerati sono stati catturati poco dopo e ricondotti in prigione.

 

 

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