Rassegna stampa 9 marzo

 

Cagliari: Buoncammino, un contenitore di vite a perdere...

 

Sardegna Oggi, 9 marzo 2005

 

Audizione in commissione "Diritti civili" dei rappresentanti del coordinamento volontariato giustizia – Onlus che hanno denunciato la drammatica situazione in cui si trovano a vivere ogni giorno i detenuti e le loro famiglie. I volontari hanno confermato che quotidianamente vengono calpestati i diritti dei detenuti costretti a fare i conti con il sovraffollamento, la mancanza di educatori e di lavoro. Per sensibilizzare la popolazione partirà l’iniziativa "Adotta un detenuto". Le famiglie cagliaritane potranno "adottare" un detenuto e, magari, quando esce dal carcere per un permesso, accoglierlo anche nella loro casa.

"Il carcere è diventato un contenitore di vite a perdere, dove non sono rispettati i diritti dei detenuti e delle loro famiglie". Lo hanno detto i rappresentanti del coordinamento volontario giustizia - Onlus, questo pomeriggio, durante un’audizione davanti alla commissione "Diritti civili", presieduta da Paolo Pisu (Rifondazione comunista).

Il presidente della seconda commissione, in apertura di seduta, ha ricordato la risoluzione approvata qualche settimana fa all’unanimità dall’organismo consiliare (ora all’attenzione del presidente della giunta) e ha sottolineato che il problema carcere rimane una delle priorità in quanto la situazione è drammatica. Anche i volontari hanno confermato che quotidianamente vengono calpestati i diritti dei detenuti costretti a fare i conti con il sovraffollamento, la mancanza di educatori e di lavoro. I volontari hanno anche illustrato alla commissione cosa succede fuori dal carcere di Buoncammino la notte prima del giorno fissato per le visite. "Per essere certi di poter accedere alla struttura - ha raccontato Bruno Asuni, presidente del coordinamento volontariato giustizia - moltissime persone aspettano con qualunque condizione metereologica, tutta la notte, davanti al carcere, senza riparo". Le condizioni dei familiari dei detenuti sono un po’ migliorate da quando (circa un anno e mezzo) sosta davanti alla struttura carceraria cagliaritana un camper del coordinamento che cerca di dare riparo ai più sofferenti. Ma la situazione è drammatica e sarebbe necessario un gazebo che permettesse alla gente che aspetta di ripararsi dalla pioggia e dal gelo.

Per i volontari è arrivato il momento di fare qualcosa. Chi opera nel settore lamenta la mancanza di dialogo con e fra le istituzioni, l’indifferenza della gente, il non rispetto delle più elementari regole nei confronti dei detenuti. I rappresentanti del coordinamento hanno raccontato alla commissione alcuni casi: come un detenuto cinese che non sapeva per quale reato fosse in carcere in quanto non capiva la lingua italiana, familiari dei detenuti che non riuscivano a compilare i moduli da consegnare al personale del carcere per inviare un pacco al loro congiunto, la vicenda di un vecchietto scarcerato in pigiama che non sapeva dove andare.

Per i volontari bisogna puntare sempre di più sulle misure alternative. In Italia ci sono 54.000 detenuti (ogni detenuto costa allo Stato 75.000 euro l’anno) e 40.000 persone che godono di misure alternative. Di queste meno dell’ 1% è recidivo, mentre è altissima la percentuale di chi ritorna in carcere dopo aver scontato la pena. Dunque, le misure alternative dovrebbero essere la strada da seguire a condizione che ci sia la disponibilità della gente a riaccoglierli nella società. Per sensibilizzare la popolazione partirà l’iniziativa "Adotta un detenuto". Le famiglie cagliaritane potranno "adottare" un detenuto e, magari, quando esce dal carcere per un permesso, accoglierlo anche nella loro casa. Il coordinamento ha in preparazione anche le "pagine gialle per il carcere" che saranno tradotte in molte lingue e che conterranno i diritti e i doveri del detenuto e tutte le notizie utili per i carcerati e le loro famiglie.

Reggio Emilia: 8 marzo nella sezione femminile del carcere

 

Tele Reggio, 9 marzo 2005

 

I lunghi corridoi, le porte pesanti, le sbarre alle finestre. Tutto qui dentro racconta di storie difficili, di tristezze e solitudini. Ma oggi è la festa della donna anche per le detenute del carcere di Reggio. Sono diciannove le ragazze rinchiuse tra queste mura; metà sono italiane, le altre sono di varia nazionalità, tra brasiliane, albanesi e marocchine. La maggior parte è dentro per reati come furto e sfruttamento della prostituzione. Nove hanno già subito una condanna definitiva, le altre sono in attesa di sapere quale sarà il loro destino.

Non tutte se la sono sentita di partecipare alla festa che è stata organizzata per loro dai ragazzi del circolo sociale "Buco Magico", solo alcune hanno voluto spezzare la monotonia dei giorni. C’erano le torte, c’erano i regali perché senza quelli non è una vera festa, c’era il mago che faceva i giochi di prestigio. E poi c’era il sindaco di Reggio Graziano Del rio che ha scelto di trascorrere l’otto marzo con le ragazze del carcere. Del Rio prima ha visitato i locali dell’istituto penitenziario, poi si è prestato a scherzare e giocare con le ragazze che non sono qui per nulla ma anche per loro deve esserci un briciolo di umanità. E quella di oggi è stata anche l’occasione per presentare una nuova iniziativa, unica in Italia, che vede coinvolti l’istituto penitenziario della nostra città e l’università di Modena e Reggio. Si tratta di dotare il carcere di un apparato di videoconferenza per permettere ai detenuti di assistere alle lezioni universitarie.

Cardinal Martino: i detenuti, soggetti di promozione umana

 

Zenit.org, 9 marzo 2005

 

"Il detenuto da oggetto deve essere considerato anche come soggetto di evangelizzazione e di promozione umana: questo, oltre che un dovere, è prima di tutto un suo diritto", sostiene il cardinale Renato Martino.

Queste le conclusioni del Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel suo intervento tenuto il 2 marzo a Roma, al termine del Seminario internazionale di studio sui diritti umani dei detenuti, organizzato per due giorni insieme alla Commissione Internazionale della Pastorale Penitenziaria Cattolica (Iccppc).

Agli oltre 80 esperti, studiosi e cappellani delle carceri di una trentina di Paesi dei cinque continenti che hanno partecipato all’incontro, Martino ha spiegato che: "Il carcere, per la Chiesa, prima di essere un luogo pieni di problemi, è soprattutto un luogo teologico dove incontrare Cristo".

"Per la Chiesa il carcere è un dono che sollecita la conversione del cuore, orientando e purificando la fede, la speranza e la carità", ha aggiunto il porporato.

Citando il numero 62 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il Cardinale ha quindi ricordato che: "Prendersi cura dell’uomo (…) significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica".

"La Chiesa - ha continuato il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace – deve farsi promotrice, di una cultura dei diritti umani e del rispetto e promozione della dignità umana, anche di coloro che hanno sbagliato o hanno commesso dei delitti e dei crimini".

"Una cultura dei diritti umani che, senza negare le esigenze della giustizia, sa ed è capace d’indicare le strade della fiducia e della speranza", ha proseguito.

Martino ha poi sottolineato che "la fonte ultima dei diritti umani non si situa nella volontà degli esseri umani, nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo Creatore".

Il Cardinale ha espresso la sua gratitudine ai cappellani delle carceri, molti dei quali appartenenti a Congregazioni religiose, ribadendo che: "L’ambiente degli istituti di pena offre, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: ero… carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt 25,36)".

Un’espressione di gratitudine, Martino l’ha rivolta anche alle religiose e al vasto mondo del volontariato organizzato che sostengono e collaborano al ministero dei cappellani delle carceri.

"La sfida culturale e pastorale che abbiamo di fronte è comune" - ha concluso il porporato - "da un lato, favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato, promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso".

Cagliari: i volontari; Buoncammino è vicino al collasso

 

L’Unione Sarda, 9 marzo 2005

 

"Il carcere è diventato un contenitore di vite a perdere, dove non sono rispettati i diritti dei detenuti e delle loro famiglie". Lo hanno detto i rappresentanti del Coordinamento volontario giustizia - Onlus, ieri pomeriggio, durante un’audizione davanti alla commissione Diritti civili presieduta da Paolo Pisu. Il presidente della seconda commissione, in apertura di seduta, ha ricordato la risoluzione approvata qualche settimana fa all’unanimità dall’organismo consiliare (ora all’attenzione del presidente della giunta) e ha sottolineato che il problema carcere rimane una delle priorità in quanto la situazione è drammatica.

Anche i volontari hanno confermato che quotidianamente vengono calpestati i diritti dei detenuti costretti a fare i conti con il sovraffollamento, la mancanza di educatori e di lavoro. I volontari hanno anche illustrato alla commissione cosa succede fuori dal carcere di Buoncammino la notte prima del giorno fissato per le visite. "Per essere certi di poter accedere alla struttura - ha raccontato Bruno Asuni, presidente del coordinamento volontariato giustizia - moltissime persone aspettano con qualunque condizione metereologica, tutta la notte, davanti al carcere, senza riparo".

Le condizioni dei familiari dei detenuti sono un po’ migliorate da quando (circa un anno e mezzo) sosta davanti alla struttura carceraria cagliaritana un camper del coordinamento che cerca di dare riparo ai più sofferenti. Ma la situazione è drammatica e sarebbe necessario un gazebo che permettesse alla gente che aspetta di ripararsi dalla pioggia e dal gelo. Per i volontari è arrivato il momento di fare qualcosa. Chi opera nel settore lamenta la mancanza di dialogo con e fra le istituzioni, l’indifferenza della gente, il non rispetto delle più elementari regole. I rappresentanti del coordinamento hanno raccontato alla commissione alcuni casi: un detenuto cinese che non sapeva per quale reato fosse in carcere in quanto non capiva l’italiano.

Roma: Silvia Baraldini; meglio la detenzione in America...

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

"Meglio la nostra società ma non il nostro carcere, sono migliori i penitenziari americani". Lo ha detto Silvia Baraldini paragonando la realtà italiana a quella americana durante una conferenza sulle strutture carcerarie in Italia e in particolare sulle donne detenute. La Baraldini ha fatto un parallelo tra la situazione carceraria femminile in America, dove è stata detenuta per 18 anni, e quella italiana.

"Nelle carceri americane - ha detto Barandini - vi è una maggiore considerazione della persona del detenuto che viene obbligatoriamente impiegato in un lavoro qualificante. In Italia non è permesso lavorare ai detenuti a meno che non facciano lavori manuali non professionalizzanti". Silvia Baraldini ha portato anche un esempio: "In America chiamavo mia madre ogni giorno, qui non è possibile".

"È ingiusto - ha aggiunto la Baraldini - che in Italia vi siano solo 6 ore settimanali di colloquio tra detenuti e famiglie. In questa società le donne continuano ad essere invisibili ed ancora di più le detenute che in Italia sono in maggioranza tossicodipendenti e vengono trattate come oggetti. Non sono invitate ad esprimersi e restano isolate dal mondo".

Alessandria: va in carcere a trovare il convivente e viene arrestata

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

Mentre era all’interno del carcere di piazza don Soria, ad Alessandria, per un colloquio con il convivente le è stato notificato un provvedimento di carcerazione emesso dalla Procura di Torino. Carmen Scaffini, 27 anni, abitante a Sale (Alessandria) deve scontare 4 anni di reclusione per favoreggiamento, detenzione e spaccio di droga.

Dall’inchiesta sull’omicidio del muratore albanese Luan Karepi, ucciso con un coltellata al cuore durante una rissa in un bar, era emerso che la donna aveva aiutato il responsabile a eludere le indagini ed era coinvolta in un giro di droga. Condannata in primo grado a 5 anni e 4 mesi, la pena era stata ridotta in appello, e confermata in Cassazione nello scorso mese di dicembre.

Milano: Tomas Borzi, espulso dalla Svizzera, torna in Italia

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

Ha accettato di essere espulso Tomas Borzi, il 21enne di Como evaso il 16 dicembre durante un permesso di lavoro dal carcere minorile Beccaria di Milano, e catturato ieri dalla polizia cantonale a Lugano. Il giovane, oggi pomeriggio, verrà consegnato dalla polizia svizzera alle forze dell’ordine italiane che probabilmente lo porteranno, per questioni burocratiche, prima al carcere di Como per poi trasferirlo in un reparto speciale del carcere di Bollate.

Il giovane, a quanto si è appreso, durante i suoi 82 giorni di latitanza a casa di un amico alla periferia di Lugano, sarebbe andato a trovare anche la mamma che abita in Svizzera. Tomas, inoltre, avrebbe giustificato la sua fuga, avvenuta il giorno del suo 21mo compleanno, con il fatto che non voleva andare nel carcere degli adulti.

Il ragazzo, che dovrà subire un processo per evasione con il rito previsto per i maggiorenni, sarà comunque seguito fino al 25mo anno di età dal Tribunale di Sorveglianza dei Minori di Milano per quanto riguarda i benefici, permessi e così via. Nel carcere di Bollate dovrebbe comunque proseguire il percorso di recupero cominciato al carcere minorile Beccaria. Tomas è stato condannato a nove anni e mezzo per l’omicidio di un parrucchiere a Ponte Chiasso (Como): l’uomo fu accoltellato durante una rapina nell’agosto 2001. All’epoca il ragazzo aveva 17 anni.

Lecco: sentenza su nomadi; Pg impugna per difetto di motivazione

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

Finirà in Cassazione, non perché la sentenza emessa dal Gip di Lecco sia ritenuta troppo morbida ma soltanto per un difetto di motivazione, la vicenda delle due nomadi accusate di aver tentato il sequestro di una bambina che si trovava in carrozzina, nel centro cittadino. L’epilogo del caso (patteggiamento a otto mesi di reclusione con sospensione condizionale e immediato ritorno in libertà) aveva scatenato, a inizio febbraio, numerose critiche anche da esponenti politici.

La Lega Nord aveva manifestato davanti al tribunale di Lecco, da parte di altri politici erano giunti sollecitazioni a decisioni in grado di dare maggiore sicurezza ai cittadini. Ora il sostituto procuratore generale di Milano Giovanni Pescarzoli, dopo avere valutato la sentenza, l’ha impugnata per insufficienza di motivazione nella decisione di modificare il reato di tentato sequestro di persona, contestato dal pubblico ministero, in quello per cui è stata accolta la proposta di patteggiamento: tentata sottrazione di incapace.

Nel ricorso non si fa riferimento alla misura della pena ma alla necessità di avere un quadro esatto dell’accaduto e di sapere con precisione cosa sia avvenuto in quel momento visto che le due imputate avevano escluso di avere come obiettivo il rapimento del bambino.

Sassari: a San Sebastiano arrivano le mimose della speranza

 

L’Unione Sarda, 9 marzo 2005

 

Un mazzo di mimose ha illuminato per una mattinata la vita delle detenute del carcere di San Sebastiano, in occasione dell’otto marzo. Ma molto di più, per le 12 ospiti della casa di pena sassarese, è valsa l’opportunità offerta dall’occasione della Festa della donna di poter esprimere il loro pensiero sulla condizione femminile, in un luogo di espiazione, dove è facile perdere la propria identità.

L’occasione, per ricordare la Festa della donna anche nella fredda situazione di un penitenziario, è stata offerta da una iniziativa congiunta di suor Maddalena Fois, responsabile dell’associazione Giovani in cammino, del consigliere provinciale sardista Antonello Unida, del parroco del quartiere di Santa Maria di Pisa, don Gavino Sini, sacerdote di frontiera, in collaborazione con la direttrice del penitenziario Patrizia Incollu, che ha messo a disposizione dell’iniziativa la sala di socializzazione del braccio femminile.

Le 12 detenute, insieme alle educatrici ed alle agenti della polizia penitenziaria, hanno dato vita ad una tavola rotonda, nel corso della quale è stato possibile evidenziare come quella delle detenute sia una situazione di espiazione per errori commessi: "Siamo dietro le sbarre per questo - è stato il riconoscimento unanime delle donne -, ma non ci sarà sbarra o catena che tenga: in ognuna di noi, la nostra speranza non può essere incatenata, fuori da qui certamente c’è un mondo migliore". "Non siete sole - ha sostenuto a questo punto suor Maddalena - c’è tanta gente che vi aspetta e vi ama".

L’esperienza del carcere per la donna - è stato riconosciuto poi - è ancora più dura che per gli uomini, soprattutto per il senso di colpa che si vive nei confronti della famiglia ed in particolare dei figli. Ed è questa particolare condizione che, spesso, crea quel rapporto di solidarietà forte e stretto con il personale femminile del penitenziario, una ventina in tutto, e con le educatrici.

Il consigliere provinciale Antonello Unida, uno dei promotori dell’iniziativa, si è preoccupato, tenuto conto della particolare ricorrenza, di portare un mazzo di mimose a ciascuna delle donne presenti. Ricorrendo, per questa necessità ad una raccolta di risorse economiche, che ha avuto immediata risposta dalle dipendenti dell’amministrazione provinciale e dalla prefettura. Ma non basta: l’esponente sardista ha poi raccolto presso i negozi di bellezza di Sassari, profumi e creme, da donare alle detenute, a dimostrazione di quanto la città sia vicina a tutte loro. "La città, se saputa coinvolgere - ha sostenuto Antonello Unida - risponde benissimo alle problematiche sociali; risponde e solidarizza con chi sta all’interno di questo bubbone, posto al centro di Sassari da oltre 165 anni". Giuseppe Florenzano

Turchia: polizia carica manifestazione per diritti delle donne

 

Corriere della Sera, 9 marzo 2005

 

"Almeno questa volta non ci hanno aizzato contro i cani, se li sono tenuti al guinzaglio. Ma per il resto la violenza della polizia è stata terribile: gas urticanti sparati in faccia, manganellate, botte e calci in bocca. E tutto contro una manifestazione pacifica per la Festa della donna" racconta al Corriere Lerzan Tascier, capo dell’associazione turca per i diritti umani Ihd, testimone di quanto è successo domenica a mezzogiorno in pieno centro di Istanbul. Immagini di violenza e di sangue che le tv nazionali hanno trasmesso e i giornali locali pubblicato. E che hanno suscitato lo "choc" forse non tanto dei turchi (la repressione violenta di manifestazioni non è una novità), ma certamente della "troika" europea: gli alti rappresentanti di Bruxelles guidati dal commissario per l’allargamento Olli Rehn, che proprio ieri erano arrivati ad Ankara per valutare i progressi del governo in vista dell’avvio dei negoziati per l’adesione, il 3 ottobre.

"La manifestazione era stata organizzata da una ventina di associazioni di donne della sinistra, l’unico scopo era leggere pubblicamente un documento sul significato dell’8 marzo, tutto legale" spiega Lerzan, 43 anni, co-autrice di un libro sull’ex deputata curda Leila Zana incarcerata per anni ad Ankara. Altre iniziative di piazza per la Festa della donna s’erano già tenute sabato, dice, una la domenica stessa nei quartieri asiatici della città. E senza repressione. "Questa invece, che ha riunito inizialmente circa 2 mila persone, era nella parte europea: è partita vicino agli uffici del sindaco a Sarachane, ha tentato di arrivare fino a Beyazit dove doveva esserci il comizio. Ma la polizia ha attaccato dall’inizio alla fine: donne, uomini, perfino i giornalisti per impedire loro di lavorare". Con un totale di 63 arrestati, di cui sette ancora ieri in carcere, molti feriti e ricoverati per le botte e i gas. "È ancora uno Stato di polizia questo - conclude Lerzan - che negli ultimi mesi è tornato ai vecchi metodi".

Solo qualche settimana fa erano state le donne dell’Associazione per i diritti dei detenuti politici (di cui è iniziata negli ultimi tempi una prudente scarcerazione) a venir attaccate davanti al Palazzo di giustizia di Istanbul. Prima di quell’episodio, per qualche mese, c’era stata una relativa calma, in linea con il difficile e lento movimento di riforme in corso nel Paese che vuole entrare nell’Ue. Ma andando indietro nelle cronache emergono tantissimi episodi di repressione violenta contro studenti, operai, intellettuali, altre componenti della società civile. Senza risparmiare le donne, naturalmente, dalle curde alle femministe (le uniche che sfilano senza uomini), dalle comuniste alle islamiche, che protestano in difesa del "diritto al velo" con il quale non possono entrare nelle università. Spesso gli scontri erano stati proprio in occasione dell’8 marzo, una festa che ogni anno viene repressa e ogni anno risorge. Altre volte gli attacchi della polizia avevano assunto una cadenza regolare. Come nel caso delle famose "madri del Sabato", mamme e nonne dei "desaparecidos" curdi e non, che per anni hanno protestato ogni fine settimana nella Piazza di Galata Sarai a Istanbul e per anni sono state regolarmente arrestate e picchiate. Fino alla dissoluzione dell’associazione, tre anni fa, e al tacere delle proteste. "I diritti delle donne sono una parte importante nei dossier in discussione con il governo turco - hanno dichiarato ieri i tre rappresentati dell’Unione Europea -, siamo preoccupati nel vedere l’uso di una forza tanto sproporzionata, proprio alla vigilia della nostra visita".

E proteste ancora più dure sono arrivate da Strasburgo: il presidente dell’Europarlamento Josef Borrell ha condannato "nella maniera più forte la repressione di cui sono state vittime le donne in Turchia" ricordando ad Ankara "gli impegni presi" e chiedendo "sanzioni contro gli autori di questi atti inqualificabili e incompatibili con le ambizioni della Turchia di far parte un giorno dell’Ue". Una reazione a cui il governo turco ha risposto con toni più arrendevoli del solito: consapevole dell’autogol, il ministro degli Esteri Abdullah Gul ha detto ieri di provare "rincrescimento" per l’evento e promesso l’apertura di un’inchiesta sull’operato delle forze dell’ordine. "Tutti devono rispettare la legge e se la gente non lo fa la polizia deve stare attenta a come reagisce" ha però aggiunto. Una frase che, secondo Lerzan e le sue compagne che hanno partecipato alla manifestazione, significa che il principale torto, per il governo, resta dalla parte delle donne che hanno protestato "illegalmente". "Ma non ci fermiamo - dice - abbiamo già organizzato una conferenza stampa sulle violenze della polizia". L’appuntamento, aggiunge, è per oggi. A Istanbul. Cecilia Zecchinelli

Cagliari: assessore comunale al lavoro incontra le detenute

 

Ad Majora Media, 9 marzo 2005

 

L’Assessore regionale del Lavoro Maddalena Salerno ha incontrato le detenute del carcere cagliaritano di Buoncammino. All’incontro, che si è svolto in una piccola sala della sezione femminile del carcere, hanno partecipato 23 detenute, che hanno raccontato all’Assessore le loro esperienze ed espresso esigenze e bisogni legati alla vita quotidiana dentro la struttura penale. L’Assessore per l’occasione ha distribuito il volume "Donna e Lavoro" realizzato dall’Assessorato e dalla Agenzia regionale del Lavoro.

Alcune detenute, giovani madri, hanno lamentato l’impossibilità di tenere i loro figli dentro le mura e chiedono una maggiore apertura verso l’esterno. In particolare hanno manifestato un grande interesse per la formazione professionale, per l’acquisizione di competenze informatiche e per l’animazione culturale. È intenzione dell’Assessore verificare la possibilità di mettere a disposizione della sezione femminile alcuni computer e di organizzare brevi corsi di formazione per imparare ad usarli.

Poiché le detenute hanno anche lamentato di non poter usufruire con continuità del servizio bibliotecario interno, l’Assessore ha proposto al direttore del carcere di creare una bibliotecaria interna alla sezione femminile e gestita dalle stesse donne. Maddalena Salerno si è impegnata a questo proposito per mettere a disposizione della biblioteca i libri che si trovano presso l’Assessorato. Al direttore ha inoltre chiesto un incontro per definire progetti regionali che vengano incontro ai bisogni delle donne recluse, soprattutto in relazione ad un reinserimento lavorativo, cioè per offrire alle donne un’alternativa alla conclusione della pena.

Myanmar: liberato leader studentesco in carcere da 14 anni

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

Il leader del movimento di protesta degli studenti del 1988 è stato liberato dalla giunta militare al potere in Myanmar (Birmania). Lo ha fatto sapere un suo vecchio compagno di lotta. So Saw Min, 41 anni, era considerato il numero del movimento per la democrazia che prese corpo nel 1988 e venne duramente represso dalla polizia.

Il numero uno di quel movimento, Min Ko Naing, è stato liberato nel novembre scorso insieme a 9.000 altri prigionieri, per lo più di diritto comune. "Ha detto che crede ancora nella democrazia ma che è troppo vecchio per battersi peR essa", ha riferito di Ko Saw Min il suo compagno di una volta.

Cina: nel 2004 145.000 condannati a morte o pene severe

 

Ansa, 9 marzo 2005

 

L’anno scorso in Cina più di 145.000 persone sono state condannate a morte, all’ ergastolo o a pene detentive superiori ai cinque anni. Lo ha detto oggi il presidente della Corte Suprema del Popolo Xiao Yang nel suo rapporto annuale al Parlamento. In Cina il numero delle condanne a morte è un segreto di Stato e le organizzazioni umanitarie internazionali ritengono che non siano meno di 10.000 ogni anno.

Xiao Yang ha detto che nel 2004 i condannati per reati "gravi" sono stati oltre 700.000, il 19 per cento dei quali ha subito la condanna a morte, al carcere a vita o comunque a pene superiori ai cinque anni di prigione. Xiao ha aggiunto che la Cina "continuerà a riformare" il proprio sistema penale, senza specificare quali siano le riforme in cantiere.

Il presidente della Corte Suprema ha aggiunto che la Cina è contraria alle "pene pesanti" e che i tribunali applicano la politica del "combinare la punizione con la clemenza". Un numero imprecisato di condanne a morte vengono commutate in ergastoli, in genere dopo un periodo di uno e due anni nei quali il condannato deve tenere una buona condotta.

Milano: al Beccaria iniziano corsi per patentino di guida

 

Redattore Sociale, 9 marzo 2005

 

Partirà nei prossimi giorni una nuova attività di Unasca Lombardia (Unione Nazionale Autoscuole Scuole Nautiche e degli Studi di Consulenza Automobilistica) al Beccaria, il carcere minorile di Milano. L’iniziativa è inserita tra le azioni a sostegno di "Progetto di Vita", un programma di assistenza psicologica alle persone con lesioni midollari e alle loro famiglie voluto da Unasca in collaborazione con l’Associazione Unità Spinale (Aus) di Niguarda.

Alla raccolta fondi presso le autoscuole, Unasca Lombardia ha deciso di affiancare un’azione nelle scuole che coinvolgerà anche il Beccaria, una scuola molto speciale. Unasca attiverà infatti, in accordo con la Regione Lombardia, due corsi destinati ai giovani dai 15 ai 17 anni per il conseguimento del patentino.

Pino Tricarico, segretario regionale Unasca, ha dichiarato: "Per noi insegnare a questi ragazzi i principi e le regole del Codice della Strada significa aiutarli ad ottenere il patentino. Significa però soprattutto aiutarli a comprendere l’importanza del rispetto delle regole, un impegno che questi giovani devono fare proprio. Anche per loro è necessario ripensare al proprio progetto di vita. Un po' come deve fare chi, a seguito di un incidente stradale, si trova nelle condizioni di non poter più usare gli arti inferiori o superiori. Per questo affiancheremo all’attività tradizionale una sensibilizzazione specifica in linea con gli obiettivi di Progetto di Vita". L’iniziativa al Beccaria porterà ulteriori fondi a "Progetto di Vita" e all’Unità Spinale di Niguarda: sarà devoluta infatti una parte del contributo che Unasca riceverà dalla Regione Lombardia.

Rovigo: polizia penitenziaria, turni massacranti per gli agenti

 

Il Gazzettino, 9 marzo 2005

 

Dalle 7.50 alle 19 in turno di guardia tra i gironi del carcere. È accaduto ieri ad alcuni agenti di polizia penitenziaria del carcere mandamentale di via Verdi, dopo l’improvvisa "emergenza" dovuta alla necessità di piantonamento in ospedale di una mamma-detenuta il cui bambino, di appena pochi mesi di vita, ha dovuto essere ricoverato l’altro ieri per un’improvvisa crisi respiratoria.

"La situazione è veramente al limite e questa vicenda lo dimostra - fa osservare Giampietro Pegoraro, segretario provinciale della Fp-Cgil - Ci sono colleghi che sono entrati in servizio stamattina (ieri, ndr) alle otto meno dieci e smonteranno dal proprio turno alle sette di stasera. Per non parlare di coloro ai quali è stato revocato il congedo precedentemente concesso. A questo punto siamo veramente al limite della sopportazione: non ci resta, come abbiamo già fatto, che chiedere un incontro al prefetto per renderlo partecipe di questa situazione".

Gli agenti in servizio nella struttura penitenziaria di via Verdi sono 63: a loro spetta il compito di sorvegliare 96 carcerati (di cui 22 donne). "La nostra struttura - sottolinea Pegoraro - non è adatta alle carcerate con figli: non esistono gli spazi per ricavare uno spazio per i bambini, che sono costretti a vivere accanto alle madri in celle dove sovente si fuma. E poi la difficile situazione in pianta organica non ci consente neppure di garantire ai detenuti i diritti che spettano, come l’ora all’aria aperta o la possibilità di fruire della sala giochi. Anche l’assistenza medica per i neonati, per quanto sia meritoria l’azione svolta dal medico del carcere che si prodiga come meglio non potrebbe fare, è ben diversa ad quella che potrebbe essere garantita in un carcere dove è prevista una vera e propria "nursery" per le detenute con figli. Le difficoltà di gestione sono all’ordine del giorno: basti pensare che nei giorni scorsi ha dovuto badare a tre piani di un’intera sezione".

Sala Consilina: per il carcere 33 milioni e... arriva Castelli

 

Salerno.it, 9 marzo 2005

 

Trentatré milioni di euro per costruire il nuovo carcere di Sala Consilina. Li ha stanziati il ministero della giustizia. Secondo il progetto la struttura, estesa su una superficie di 15 ettari, sorgerà in località Spirito e potrà ospitare oltre 200 detenuti. Sarà la visita del guardasigilli Roberto Castelli, nel Vallo di Diano il prossimo 30 marzo, a ufficializzare la notizia che va ad aggiungersi al decreto, firmato dal ministro lo scorso novembre, per la realizzazione del nuovo tribunale di Sapri".

Si chiude con una svolta la polemica sulla soppressione della casa circondariale di Sala. "Non ho mai pensato di chiudere il carcere - aveva chiarito l’autunno scorso Castelli - il provvedimento intorno al quale si è creato tanto rumore era solo temporaneo perché la struttura necessita di un ammodernamento".

Il progetto per il complesso penitenziario, redatto secondo le più recenti disposizioni in materia, prevede oltre duecento posti. Funzionalità e sicurezza. Sono questi i criteri alla base della costruzione della nuova casa circondariale. Elementi che, venuti meno nell’organizzazione della vecchia sede, hanno motivato il Provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria a richiamare il comune di Sala Consilina alla predisposizione del crono programma degli interventi da realizzare.

Proprio nello scorso mese di novembre il carcere di via Gioberti venne ritenuto inadeguato alle vigenti norme di sicurezza e prossimo alla chiusura. Ma le numerose forme di protesta che seguirono convinsero il guardasigilli a mantenere aperta la struttura in attesa della realizzazione di un centro più moderno.

Pozzuoli: sit-in delle agenti penitenziarie in protesta

 

Il Mattino, 9 marzo 2005

 

"Le detenute qua dentro siamo noi: i turni sono massacranti, c’è carenza di organico. Non ce la facciamo più". Manifestazione e stato di agitazione per i 105 agenti di polizia penitenziaria (65 sono donne) del carcere femminile di Pozzuoli. Una protesta che rischia di diventare caso nazionale: ieri mattina, davanti al portone d’ingresso del penitenziario, un sit-in.

"Tre anni fa c’era stato l’impegno dell’amministrazione penitenziaria ad assumere nuovo personale. La situazione è invece ancora immutata", spiega Pasquale Montesano, segretario regionale dell’Osapp, affiancato dai colleghi sindacalisti del Sinappe e Sialpe. Indice puntato anche sullo "stato di sovraffollamento della struttura, nata per ospitare non più di 90 persone, ma che ora accoglie almeno 185 detenute". p.ta.

Milano: la giornata da top model delle donne di San Vittore

 

Adnkronos, 9 marzo 2005

 

"Le nostre sono più bone", esulta una detenuta, ed è un pomeriggio di tenerezza, di risate e, alla fine, anche di qualche pianto, nel cortile di San Vittore destinato alle donne. Messa così può anche far inorridire: per l’8 marzo la città degli stilisti e quella della politica hanno offerto "una sfilata alle detenute". All’inizio, il gelo. Raffiche di flash su due mondi troppo distanti anche solo per sfiorarsi: da una parte persone dalla pelle curata, dagli zigomi rifatti, dagli abiti perfetti, dall’eloquio forbito, e dall’altra persone vestite un po’ come capita, alcune che non nascondevano un sorriso sghembo e sdentato e che parlavano quel misto di italiano, sudamericano e slavo, diventato il lessico familiare della galera. Invece, ed è il secondo anno che succede, le realtà dopo un po’ si sono mischiate, confuse. E molti si sono divertiti.

Forse l’immagine più curiosa, quella che smentisce tanti luoghi comuni, è la corsa di un’agente penitenziaria, una trentenne, che appena cala la musica va a complimentarsi con l’anziana signora della cooperativa sociale Alice, una sartoria sempre più impegnata dentro San Vittore. La bacia, e poi bacia alcune detenute che sono diventate per un pomeriggio modelle. Le bacia una a una sulle guance, chiamandole per nome, ridendo con loro, scherzando con questa strana cosa che è la felicità: anche la felicità di poter dimenticare, forse per pochi momenti, chi siamo, dove stiamo, cosa abbiamo fatto tanto tempo, fa in un’altra vita. Ci sono divise e stracci, abiti da sera e papillon, detenuti e visitatori e bisogna dire che persino dentro un cortile di cemento, una passerella lucida, la moderna tecnologia televisiva e la musica spargono fascino e catalizzano l’attenzione.

Molti abiti sono belli, nel senso che uno, potendo, potrebbe davvero comprarli. Sono stati creati da firme importanti o anche ancora non notissime e interpretati quasi sempre da modelle professioniste, mescolate però a qualche detenuta. C’era chi sfilava quasi stesse attraversando il Mar Rosso e chi con le risate di chi si trova bene. Alcune erano notevoli, altre - se si può dirlo - non troppo. E così questo mix ha creato qualche equivoco. Per esempio uno stilista sembrava seriamente colpito: "Quella è una che sta dentro, lo si capisce dall’aria logora, sofferente...", diceva ai vicini. In realtà, era una delle amiche di Tiziana Maiolo, l’assessore comunale forzista che seguiva i temi del carcere anche quando era di Rifondazione comunista e che ci ha tenuto ad aprire questo pomeriggio inconsueto. Il tempo è passato in fretta, con la musica a tutto volume, con la direttrice del carcere Gloria Manzelli seduta in prima fila, con Manuela Talenti a presentare gli abiti e i loro creatori ("Un applauso..."). Un giovane biondastro era discretamente apprezzato dalla popolazione femminile del carcere: Rocco, tra i protagonisti del "Grande Fratello".

Il clou? Alla fine, quando tre detenute, decisamente carine e molto diverse una dall’altra, hanno sfilato con preziosi abiti di scena (la cooperativa Alice rifornisce la Scala, la Rai, Mediaset, i set pubblicitari): alla fine li hanno tolti mostrando, sotto, abiti da sera di gran classe. Hanno raccolto applausi e incitamenti da stadio, qualcuna ha anche ballato sulla passerella. E a questo punto non si poteva non notare qualche singhiozzo, tra le sedie. Perché la galera non è uguale per tutti, basta poco per dimenticare che si è riso e ritornano a galla gli sbagli, la sofferenza, gli anni che passano, chi sa. "Molti stilisti mi hanno promesso - ha annunciato Maiolo - che hanno intenzione di dare lavoro alle detenute". Il lavoro non basta mai: è, lo dicono tutti, l’unico medicinale che funziona davvero con chi dietro le sbarre non vuole tornare.

 

 

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