Rassegna stampa 18 marzo

 

Sanità: i malati dietro le sbarre e i loro diritti negati

 

Galileo, 18 marzo 2005

 

"La Repubblica tutela il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo...". Lo garantisce l’articolo 32 della Costituzione italiana. A tutti. Ma ad alcuni un po’ meno. Come a Carlo, detenuto del carcere di Como, 54 anni, un fisico intossicato da droga e tranquillanti, morto lo scorso 12 febbraio durante il trasferimento in ospedale, o a Mohammed, 43 anni tunisino, con gravi disturbi da disfunzioni ghiandolari, morto quasi alla fine della pena il 14 febbraio nella sua cella del carcere di Ivrea, oppure a M.G., 44 anni, detenuto di Rebibbia, malato terminale di Aids, scarcerato il 15 febbraio già in coma dopo l’ennesima richiesta negata.

È la rassegna stampa dei casi di malasanità penitenziaria, che registra episodi a cadenza quasi quotidiana. Un volume che si aggiorna continuamente per colpa dei suicidi (20 volte superiori che tra le persone libere), degli atti di autolesionismo, dei problemi di sovraffollamento (nel Lazio risultano 5.756 detenuti su 4.673 posti regolarmente esistenti); grazie ai 500 detenuti affetti da disturbi psichici tra la popolazione carceraria della sola Sardegna (1.800 individui in tutto). E grazie alle polemiche legate ad una riforma della medicina penitenziaria che stenta a decollare. Si tratta della legge 230/99, che prevede il passaggio della competenza sulla salute dei detenuti dal Ministero della Giustizia al Sistema sanitario nazionale, quindi al Ministero della Sanità, alle Regioni, alle Aziende sanitarie e al sistema delle autonomie locali. Con un principio "rivoluzionario" da far valere: stesse garanzie di cura dentro e fuori dal carcere.

Ma a cinque anni di distanza solo due funzioni, la prevenzione e le tossicodipendenze, sono passate alla competenza regionale. Perché questo ritardo? E quali sono le conseguenze per i detenuti? Se ne è discusso lo scorso 10 marzo nel primo "Forum nazionale per la tutela della salute dei detenuti e delle detenute" indetto da Legautonomie, a cui hanno partecipato amministratori locali e regionali, rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di volontariato, operatori penitenziari e parlamentari. Vari interventi per raccontare un’unica drammatica realtà: la situazione attuale è disastrosa e il danno è vistoso e lacerante.

"Le inadempienze dei Ministeri di Sanità e Giustizia, ma anche delle Regioni hanno impedito l’applicazione dei principi sacrosanti della legge 230", afferma Leda Colombini, responsabile politiche sociali di Legautonomie. "E le responsabilità diventano ancora più gravi se pensiamo che nel 2001 è stato approvato il nuovo Titolo V della Costituzione che incarica le Regioni di legiferare sulla materia". Al momento, però, solo Toscana e Lombardia hanno approvato le leggi di applicazione della riforma. Certo non ha contribuito a migliorare una situazione già al collasso la continua riduzione di fondi destinati alla tutela della salute nelle carceri. Dai 115 milioni di euro del 1998 si è infatti passati agli 81 milioni del 2004. "Di questi tagli risente anche la qualità delle cure psichiatriche. Per cui la riduzione delle risorse rende difficile l’osservazione psichiatrica in carcere, con un conseguente ritorno ai modelli esclusivamente carcerari degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari, ndr.)", dice Alessandro Margara della Fondazione G. Michelucci.

È opinione diffusa tra gli intervenuti al convegno che il governo attuale abbia interesse a riproporre un’idea esclusivamente punitiva della detenzione. Lo si deduce dalla mancanza di provvedimenti per la soluzione del sovraffollamento (indulto o amnistia), da proposte di legge come la ex-Cirielli, (che gli addetti ai lavoro chiamano anche "ammazza Gozzini") che prevedono l’abolizione dei benefici ai recidivi (l’80% dell’attuale popolazione carceraria), dalla normativa sulle droghe.

Così anche le resistenze alla riforma della medicina penitenziaria rientrerebbero in questo quadro ideologico. "È evidente il desiderio di impedire a ogni costo che un elemento estraneo al carcere, come le strutture sanitarie regionali, si introduca nel sistema. Mentre è proprio questo uno degli elementi di forza della riforma, che apre una prima breccia nel mondo penitenziario", dice Stefano Anastasia presidente di Associazione Antigone.

Ma la 230 presenta anche punti di debolezza: "È una normativa che pecca per eccesso di prudenza", sostiene Patrizio Gonnella della Conferenza Volontariato Giustizia. "Certe riforme avrebbero bisogno di un pizzico di giacobinismo in più. L’estenuante sperimentazione concessa dalla legge infatti non permette di arrivare allo scopo in tempi ragionevoli. Il passaggio al Sistema Sanitario Nazionale della medicina penitenziaria dovrebbe essere più radicale, anche per consentire l’allineamento con il resto d’Europa". Per combattere la pigrizia istituzionale, avvallata anche da una legge troppo cauta, i rappresentanti del Forum hanno rivolto un appello ai futuri presidenti delle Regioni: presentare e far approvare nei primi cento giorni della nuova legislatura una legge regionale per l’organizzazione della sanità penitenziaria. Per rompere gli indugi e porre fine ad una situazione illegittima. Giovanna Dall’Ongaro

Alessandria: visita ispettiva dei consiglieri regionali radicali

 

Agenzia Radicale, 18 marzo 2005

 

Questa mattina, Bruno Mellano (consigliere regionale radicale), accompagnato dagli esponenti radicali Jolanda Casigliani e Giampiero Buscaglia, ha visitato il carcere di Alessandria (Don Soria). Ecco i dati forniti dalla direzione del carcere: detenute 361 persone (rispetto ad una capienza prevista di 270 unità); tre gli educatori presenti; rispetto alla composizione della popolazione reclusa, gli extracomunitari sono 210 (61%); otto le persone in trattamento metadonico.

Verso la metà di dicembre, il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria ha assegnato all’istituto nuovi agenti di polizia penitenziaria, portando così l’organico degli agenti da 155 a 171 unità.

All’uscita dalla casa circondariale gli esponenti radicali hanno dichiarato: "Abbiamo visitato la sezione femminile, dove sono recluse 14 detenute, verificando una situazione abbastanza serena. Al contrario, in una delle due sezioni cosiddette dei "giovani adulti", l’atmosfera è alquanto tesa ed alcuni detenuti extracomunitari da qualche giorno sono in sciopero della fame. A causa di una violenta rissa scoppiata tra albanesi e marocchini, alcune settimane fa, nel cortile dove i detenuti trascorrono le due ore d’aria concesse giornalmente, la direzione ha disposto di ridurle ad una sola, per separare i due gruppi in questione; da tale decisione è nata la protesta. Abbiamo inoltre raccolto la preoccupazione degli educatori regionali relativa al fatto che il prossimo novembre scadrà la convenzione con cui sono stati assunti".

Roma: detenuti di Rebibbia si mobilitano per vittime tsunami

 

Vita, 18 marzo 2005

 

Nel carcere romano raccolti 1.800 euro. I detenuti del Nuovo Complesso di Rebibbia hanno raccolto e, stamattina, depositato, 1.800 euro per la campagna promossa dal Comune e dalla Provincia di Roma, a sostegno della ricostruzione di quattro scuole nei paesi del sud-est asiatico colpiti dal maremoto del 26 dicembre scorso. "Si tratta di un atto di straordinaria generosità", afferma il garante dei detenuti del Comune di Roma, Luigi Manconi "che dimostra ancora una volta come le azioni più generose provengano dai luoghi dove maggiori sono la sofferenza e la fatica di vivere".

Milano: "Fa la cosa giusta", anche Terre di Mezzo in fiera

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

"Terre di mezzo editore", distribuito da "Pde" secondo distributore indipendente in Italia, nasce dall’esperienza dell’omonimo un giornale di strada, magazine di riferimento per chi si interessa di "città nascoste". Attento alle periferie, radicato nella società civile, capace di coniugare parola scritta e partecipazione attiva. "La stessa fiera "Fa la cosa giusta!" – dicono a Terre di Mezzo – è nata dall’idea di far toccare con mano ai cittadini le realtà raccontate in un nostro libro. E sono decine le occasioni in cui associamo alla pubblicazione di un libro un evento di partecipazione: come la visita dei lettori nel carcere di San Vittore di Milano di seguito alla pubblicazione de ‘I pugni nel murò, glossario scritto dai detenuti dello stesso penitenziario; o gli incontri pubblici tra i lettori e i vincitori del premio dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, di cui siamo editori".

Undici le collane di "Terre di mezzo editore": Stili di vita, Turismo responsabile, Sapori, Ricette, Percorsi, Periferie, Diari di Pieve, Concorso letterario, Pedagogia, I libelluli di Altreconomia, I saggi di Altreconomia. Libri nati dall’attenzione per chi lavora alla costruzione di un mondo diverso, e dalla vicinanza per le storie delle tante "persone qualunque" a cui è capitato di vivere per sorte o per scelta nelle periferie del nostro mondo.

"A settembre – proseguono – esordiremo con la narrativa; attenti alle persone invisibili, alle storie di strada, alle povertà quotidiane, alle migrazioni. Quattro i titoli in uscita: A life without consequences di Stephen Elliott, giovane promessa della letteratura statunitense; Wonder when you'll miss me di Amanda Davis, scrittrice vicina al gruppo di McSweeney’s, prematuramente scomparsa nel 2003 e conosciuta in Italia grazie a due racconti pubblicati da Minimum Fax. E poi Graceland, romanzo del nigeriano Chris Abani, storia di Elvis Oke, della sua vita difficile in uno slum di Lagos, Best book of the year per il Los Angeles Times e Recommended summer reading per il New York Times; e Old friends di Stephen Dixon, prolifico autore americano con 23 libri all’attivo (tra romanzi e raccolte di racconti), due volte finalista al National Book Award".

Le novità presentate in fiera: oltre all’edizione aggiornata della guida Fa la cosa giusta!, Gas, gruppi d’acquisto solidali. Un libro che sfata il mito di un "popolo dei gas" omogeneo e facilmente collocabile e restituisce al lettore un mosaico di esperienze accomunate da un confronto personale col territorio, da una riflessione profonda sui concetti abusati di solidarietà e partecipazione e dal piacere di cambiare il mondo con allegria. Terra, in campagna un altro mondo è possibile. Storie di donne e di uomini che hanno deciso di coltivare un’esistenza diversa, lasciando la città e tornando ad abitare vecchi borghi e rustici abbandonati, inventando un modo selvatico e nuovo di vivere l’esistenza, mettendosi in rete con contadini e realtà locali, o semplicemente dedicandosi a un eremitaggio laico. Cinquanta in giro per l’Italia, raccontate dall’autrice con l’affetto e la simpatia maturati nelle sere condivise. Caffè equo e solidale per i partecipanti alla conferenza stampa. La presentazione: Venerdì 18 marzo. Ore 14. Spazio Aitr. Il catalogo dei libri di Terre di mezzo editore si trova sul sito: http://www.terre.it/tdm_libri_index.htm

Fivol: la "Rivista del Volontariato" rischia di chiudere i battenti

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

Continua la crisi della Fondazione italiana per il volontariato; ma gli organi direttivi non hanno ancora fornito ai lavoratori comunicazioni sui progetti futuri o sui passi per risolvere la difficile situazione. "Permane il rischio per la Fivol di essere cancellata dal terzo settore e dalla società civile", osservano i lavoratori della Fondazione. E, dopo 14 anni, la "Rivista del Volontariato" rischia di chiudere i battenti. Lo ha annunciato oggi nella sede Fivol Paola Springhetti, direttore della Rivista, durante il seminario sul tema "Media alternativi: gli strumenti dei comunic-attori", realizzato dalla stessa Fivol in collaborazione con Cittadinanzattiva.

"Ad oggi non abbiamo ancora discusso un piano di ristrutturazione – ha riferito Springhetti -. Sappiamo che le spese della Fondazione vanno ridotte di 2/3; è facile tagliare in prima battuta la Rivista, in cui sono impiegati soprattutto lavoratori atipici ai quali basta non rinnovare i contratti". E da gennaio la RdV, da mensile, è diventata un bimestrale.

Tuttavia, ha osservato il direttore responsabile, "quando si chiude una voce bisogna chiedersi perché: in questi anni la Rivista ha rappresentato un luogo di confronto tra le varie anime del volontariato; abbiamo aderito a diverse battaglie, schierandoci ad esempio contro la legge Bossi-Fini". Ma soprattutto - dichiara la redazione - "abbiamo sostenuto l’idea di un volontariato che fonda sulla gratuità la propria libertà, un volontariato maturo che vuole giocare anche un ruolo politico e culturale, collaborando con le istituzioni ma ponendosi su un piano di parità con esse, senza quindi rinunciare al proprio ruolo di critica e di proposta, anche se scomodo".

Ribadendo il "ruolo culturale e politico del volontariato, capace di interloquire con le istituzioni in modo collaborativo ma non collaterale", oltre a quello di "aiuto accanto ai soggetti più deboli", Springhetti ha concluso affermando che è in atto "il tentativo di ricondurre il volontariato nella sfera privata, nelle sedi associative, nelle parrocchie, senza che alzi troppo la voce e la testa". (lab)

Fivol: ma la stampa generalista ha bisogno di noi specialisti

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

"I media alternativi non vengono utilizzati dai lettori per sostituire quelli tradizionali, ma come approfondimento e talvolta analisi ideologica della realtà; il linguaggio usato è comprensibile, né criptico né per addetti ai lavori, anche se i contenuti si rivolgono a un pubblico specifico, partecipante e attivo". Lo ha evidenziato stamani Michele Sorice, sociologo dei media, docente alla facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza, durante il seminario su "Media alternativi: gli strumenti dei comunic-attori", realizzato dalla Fondazione italiana per il volontariato in collaborazione con Cittadinanzattiva presso la Sala Biblioteca della Fivol.

L’incontro si è svolto per presentare la prima ricerca a livello nazionale sulle testate del terzo settore, i cosiddetti "media alternativi", condotta dalla Fivol in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano e l’Università La Sapienza di Roma. Nell’indagine, intitolata "Media non mainstream e audience attiva", vengono analizzati il pubblico dei lettori, lo stile comunicativo, la struttura delle redazioni e soprattutto il progetto editoriale e si mettono in luce pregi e difetti dell’editoria non profit.

"La lettura del lettore delle riviste alternative, che sia fidelizzato o meno, è comunque una scelta che impegna e definisce un’appartenenza, forte o più frammentata", ha rilevato Sorice, riferendosi all’analisi di due tipologie di lettori: quelli delle riviste prese in esame e altri più generici. "Queste testate - ha proseguito - rappresentano anche un modo simbolico negli incontri ma anche una sorta di segnaletica, cioè una modalità di auto rappresentazione anche culturale per chi le legge".

Per il giornalista del Tg1 David Sassoli, presidente dell’Associazione stampa romana, "velocità e autorevolezza sono l’essenza di una comunicazione che vuole trasmettere valori e stili di vita per arricchire il bene pubblico. Ma rimanere nel proprio recinto significa autococcolarsi". In ogni caso, "riviste e giornali non profit rappresentano un serbatoio ricchissimo per i giornalisti: la stampa generalista ha bisogno di specialisti". (lab)

Droghe: nel Veneto 262 progetti per 10 mila tossicodipendenti

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

Si è tenuto oggi a Vicenza, al Palazzo delle Opere Sociali in Piazza Duomo, un convegno di studi per valutare i risultati dei Piani triennali sviluppati nel territorio regionale per intervenire nell’area delle dipendenze. Il progetto di valutazione è finanziato dal Fondo regionale di intervento per la lotta alla droga 2003-2005 (principale strumento per le azioni regionali nel settore delle dipendenze) ed è stato affidato dalla Regione all’Università di Padova, facoltà di scienze statistiche, con l’obiettivo di monitorare l’andamento dei Piani triennali, far emergere i risultati prodotti, analizzare il funzionamento dell’allocazione delle risorse.

Nel corso del convegno è stato ricordato che il Piano triennale di intervento è elaborato collegialmente dall’Azienda Ulss e dalla rappresentanza della Conferenza dei sindaci, con il supporto tecnico-organizzativo del Dipartimento per le Dipendenze. Esso si inserisce integralmente all’interno dei Piani di zona e si ispira alle indicazioni dei documenti di riferimento delle politiche regionali in materia di dipendenze, nonché ai risultati degli studi epidemiologici in corso.

In sintesi, nel triennio 2003-2005, i progetti locali avviati nel Veneto sono stati 262 di cui: 42 per inserimento lavorativo, 38 per la prevenzione nella scuola, 14 per la prevenzione nel lavoro, 8 rivolti ai minori e ai loro genitori, 24 per la prevenzione secondaria, 20 per la prevenzione delle ricadute, 17 per gravi disturbi psichici, 6 per la riorganizzazione dei dipartimenti per le dipendenze. Il sistema veneto di prevenzione e assistenza per le dipendenze da sostanze d’abuso si compone di: 21 dipartimenti per le dipendenze; 38 Ser.T. (servizi territoriali con 8 comunità terapeutiche pubbliche), 35 enti ausiliari iscritti all’Albo regionale, oltre 600 gruppi di auto-aiuto, oltre 60 organizzazione di volontariato: Tale sistema prende in carico circa 10 mila dei 18 mila tossicodipendenti stimati nel Veneto.

Droghe: Fantoma (Dap): Stato e Regioni devono ragionare insieme

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

Individuare un modello efficace di intervento nel settore delle dipendenze patologiche. È quanto sottolineato da Andrea Fantoma, Direttore dell’Ufficio del Monitoraggio del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consigli, nel corso del convegno "Il ruolo dei Servizi territoriali delle dipendenze. Tra alleanza terapeutica, risorse professionali, vincoli normativi".

"L’esperienza preziosa, maturata negli anni, dagli operatori - ha detto - ha fatto crescere la cultura dell’integrazione dei servizi e deve trovare una appropriata valorizzazione all’interno della riflessione tra Stato, Regioni ed Enti locali. L’apporto costruttivo degli Enti regionali appare dunque determinante ma, a tutt’oggi - ha proseguito Fantoma - non tutte le Regioni hanno ancora recepito l’Atto di Intesa del 1999 e individuato lo strumento di intervento a loro congeniale."

È diritto-dovere dello Stato, secondo Fantoma, amplificare le istanze degli operatori e chiedere alle Regioni di poter ragionare insieme su regole e punti di riferimento reciproci per costruire un sistema di erogazione dei servizi condiviso. "Analoga riflessione - ha continuato - va fatta su eventuali limiti, oltre che pregi, della normativa vigente. Ciò che accade oggi in molte Regioni, per esempio, a prescindere dal loro colore politico, è la penalizzazione di un settore, poiché le risorse che la legge 328/2000 prevede di distribuire a livello locale e territoriale in un fondo indistinto non danno garanzia di una distribuzione non penalizzante del settore delle dipendenze patologiche e delle tossicodipendenze". "Ecco perché - ha concluso - stiamo sostenendo da tempo come Dipartimento nazionale per le politiche antidroga la richiesta di un Fondo di intervento distinto e dedicato alle tossicodipendenze."

Gran Bretagna: un sito internet per ritrovarsi tra ex carcerati

 

Centro Ecologia Umana, 18 marzo 2005

 

Basta con i vecchi compagni di scuola che si ritrovano in Internet. Basta anche con la ricerca del primo fidanzatino, quello dei 15 anni. Quello che va di moda oggi sono gli ex carcerati che si riabbracciano in Rete. Convicts Reunited è il più grande database di persone che hanno passato qualche tempo in prigione in Inghilterra. Chi vuole incontrare di nuovo il vecchio compagno di cella, può provare con questo sito. A chi teme che si tratti di una via di comunicazione poco lecita, i fondatori del sito rispondono con un messaggio dall’homepage: "non è nostra intenzione facilitare le attività criminali".

Lecce: donne sul tetto del "Regina Pacis" minacciano suicidio

 

Ansa, 18 marzo 2005

 

Molte delle circa 50 donne ospiti nel centro di accoglienza Regina Pacis di San Foca di Melendugno hanno cominciato lo sciopero della fame e, poco fa, sono salite sul tetto della struttura dal quale minacciano di gettarsi nel vuoto se non saranno ascoltate dal giudice che ha fatto arrestare l’ex direttore della struttura, don Cesare Lodeserto.

Il prete è detenuto in carcere a Verona dall’11 marzo scorso con le accuse, contestate dalla magistratura salentina, di sequestro di persona, calunnia, abuso dei mezzi di correzione, violenza e minacce per costringere a commettere reato. Oltre alle donne, nel centro si trovano anche diversi bambini.

Lazio: il Garante; così si inceppa il sistema dei Cssa…

 

Vita, 18 marzo 2005

 

La denuncia è del Garante regionale dei diritti del detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Nei Centri Servizi Sociali Adulti (Cssa) del Lazio, 43 persone sono chiamate a gestire oltre 4.000 detenuti in semilibertà o in affidamento. La denuncia è del Garante regionale dei diritti del detenuti del Lazio Angiolo Marroni al termine di un incontro con i rappresentanti dei Cssa.

Nel Lazio i Centri Servizi Sociali Adulti (strutture dipendenti dal Dap, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria) sono tre, a Roma, Frosinone e Viterbo. Uno dei loro compiti è quello di gestire la pena dei detenuti all’esterno del carcere.

Nei CSSA la carenza di personale è fra i problemi più drammatici. A Roma, ad esempio, per ogni operatore ci sono 90 detenuti da seguire. In queste condizioni diventa difficile svolgere gli impegni principali fra i quali condurre inchieste socio/familiari e scrivere le relazioni comportamentali sui detenuti seguiti per il Magistrato di sorveglianza. "Ci sono arretrati spaventosi - ha detto Marroni - e in questo modo chi potrebbe uscire dal carcere non può farlo". Secondo il Garante dei detenuti, una soluzione potrebbe essere quella di aumentare il personale sbloccando immediatamente le 30 richieste di trasferimento nei Centri Servizi Sociali Adulti presentate da altrettanti dipendenti di altre amministrazioni pubbliche e da tempo in attesa di definizione. "Questa della mancanza del personale è una carenza che ha tanti padri: la legge finanziaria, il Dap e il Ministero della Giustizia - ha detto Angiolo Marroni - È una situazione grave che contribuisce a inceppato tutto il sistema, negando a tanti la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere favorendo il loro reinserimento sociale". Marroni ha preannunciato l’invio di una lettera al Ministero di Giustizia per sollecitare interventi. "Ma su questo versante - ha aggiunto - anche la Regione Lazio potrebbe fare la sua parte intervenendo direttamente su Ministero affinché le assegnazioni di personale vengano sbloccate".

Cuba: reporters sans frontieres denuncia; 21 giornalisti detenuti

 

Agenzia Radicale, 18 marzo 2005

 

Reporters Sans Frontieres, organizzazione impegnata nella difesa della libertà di stampa, torna a segnalare la grave situazione dei giornalisti a Cuba, secondo paese al mondo, dopo la Cina, a detenere il vergognoso primato del numero di cronisti detenuti.

L’Organizzazione ricorda che due anni fa, il 18 marzo 2003, mentre l’inizio della guerra in Iraq aveva monopolizzato l’attenzione della comunità internazionale, a Cuba venivano arrestate 75 persone fra dissidenti politici e cronisti. Molti di loro sono stati liberati, ma la situazione è gravissima: sono ben 21 i giornalisti in carcere.

Ancora più allarmante il caso, denunciato da Reporters sans frontieres, di Adolfo Fernandez Sainz, 51 anni, giornalista dell’agenzia Patria: condannato a 15 anni di reclusione, "ha perso 20 chili dall’avvio della sua detenzione e non riceve nessuna cura appropriata", considerando che "soffre di enfisema polmonare, calcoli renali, un’ernia iatale, ipertrofia della prostata, artrite generalizzata e ipertensione arteriosa". Alessandro Di Tizio

Rai: stasera a TV7 uno speciale su carcere e tossicodipendenza

 

Ansa, 18 marzo 2005

 

Droga, reato, carcere: un percorso che coinvolge 17mila tossicodipendenti in Italia, un terzo della popolazione carceraria. Francesco Brancatella firma l’inchiesta di TV7, il settimanale di approfondimento del Tg1 Rai, in onda questa sera alle 23.15. All’interno, un intervento del responsabile della direzione generale Detenuti e Trattamento del Dap, Sebastiano Ardita.

Tempio Pausania: un sit-in di protesta degli agenti penitenziari

 

L’Unione Sarda, 18 marzo 2005

 

Ad un anno esatto dallo sciopero della fame e dall’auto consegna permanente, gli agenti della polizia penitenziaria in servizio alla "Rotonda" hanno protestato di nuovo davanti al carcere. Il sindacato autonomo Sappe ha chiesto ai suoi iscritti di denunciare le condizioni di lavoro nel carcere di Tempio. In pratica una dura contestazione contro il provveditore regionale alle carceri, Francesco Massidda. Ieri mattina, all’ingresso del penitenziario, c’erano i dirigenti provinciali e regionali del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, insieme a numerosi agenti.

Ai passanti sono stati consegnati dei volantini che, in pratica, ripercorrono la storia della "Rotonda" a partire dal 1995. In dieci anni il personale del carcere tempiese è stato praticamente dimezzato, passando da 50 a 25 unità. Una situazione che viene pagata a caro prezzo dagli agenti che, in pratica, non possono usufruire di permessi e ferie. Ma la carenza cronica di organico rende ancora più inaccettabili le condizioni di vita degli stessi detenuti. Colloqui con i familiari, permessi e attività all’interno del penitenziario, sono infatti ridotti al minimo.

Per non parlare poi delle situazioni di emergenza, quando gli agenti sono costretti ad intervenire nelle celle, ad esempio per soccorre i detenuti. In casi come questo, lo dicono gli stessi poliziotti penitenziari, la sicurezza all’interno del carcere non è garantita. "Non sappiamo più che cosa fare - dice il segretario provinciale del Sappe, Antonio Cannas - ormai da anni ripetiamo sempre le stesse cose. Questo penitenziario ha necessità di un intervento urgente da parte del Provveditorato alle carceri. Non è più possibile lavorare in queste condizioni. E allora siamo pronti a nuove iniziative di protesta. Se non arriveranno dei segnali nelle prossime settimane, chiederemo ai nostri iscritti di restituire le schede elettorali. E siamo anche dispiaciuti del comportamento del provveditore che ci ha aveva convocato lo scorso 11 marzo per parlare della situazione, e invece ha affrontato altre questioni che non ci riguardano". (a.b.)

Lecce: decisione del gip, don Lodeserto resta in carcere

 

Ansa, 18 marzo 2005

 

Don Cesare Lodeserto resta in carcere: lo ha deciso il gip del Tribunale di Lecce respingendo la richiesta di scarcerazione avanzata dai difensori. Don Cesare è stato arrestato il 12 marzo scorso con le accuse di sequestro di persona, abuso dei mezzi di correzione, calunnia, sulla base di denunce fatte da donne ospitate nel centro di accoglienza salentino Regina Pacis.

Il sacerdote è tuttora rinchiuso nel carcere di Verona. L’atto con il quale il gip Taurino respinge la richiesta di revoca della custodia cautelare o, in alternativa, la concessione del beneficio degli arresti domiciliari, è stato depositato questa mattina nella cancelleria al quinto piano del palazzo di giustizia. Il rigetto, a quanto si è appreso, sarebbe motivato dal permanere delle esigenze di custodia cautelare per il rischio di un possibile inquinamento delle prove.

Castelfranco: protestano sindaci e presidente della Provincia

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

"Il problema alla base di tutto", relativamente al nuovo carcere a custodia attenuata per tossicodipendenti detenuti di Castelfranco Emilia che inaugurerà lunedì prossimo, "è quello dei rapporti tra le istituzioni: questo governo non ha mantenuto nessun contatto con il sistema territoriale". Il presidente della Provincia Emilio Sabattini, il sindaco di Modena Giorgio Pighi e quello di Castelfranco Sergio Graziosi commentano così l’incontro che si è svolto ieri pomeriggio in Prefettura con i rappresentanti dell’amministrazione penitenziaria.

"Nel 1998 era stato sottoscritto uno specifico protocollo d’intesa per costruire assieme il progetto di trattamento carcerario dei tossicodipendenti detenuti. Per la realizzazione di questa struttura, il percorso doveva coinvolgere Regione, Provincia, Comuni e Usl - ricordano i tre enti locali nella dichiarazione congiunta -.

Bisogna che gli accordi già sottoscritti trovino continuità anche con questo governo, il quale finora non ha mantenuto rapporto alcuno con il sistema territoriale. Noi rifiutiamo una concezione che ci attribuisce il ruolo di meri esecutori di politiche e servizi che altri hanno deciso e per i quali ci viene chiesta ora solo una presa d’atto - protestano -. Parliamo dei servizi del Sert, della formazione e delle politiche sociali che sono una componente fondamentale del progetto di recupero. Nel documento che ci è stato inviato non figurano gli enti locali, però si elencano soggetti che dovrebbero concorrere a far funzionare quella struttura e che, sul piano economico e organizzativo, dipendono da Provincia e Comuni".

Per riaprire il dialogo interrotto tra amministrazione nazionale ed enti locali servirebbe "un’iniziativa di chi ha la responsabilità politica e istituzionale. Ci riferiamo al governo, il quale dovrebbe ricostruire quel tavolo di confronto arbitrariamente sottratto al confronto dopo il 2001. Noi - concludono Sabattini, Pighi e Graziosi, che nel frattempo hanno ringraziato il prefetto Italia Fortunati e il direttore della casa lavoro di Castelfranco Francesco D’Anselmo per la disponibilità dimostrata -, siamo pronti a fare la nostra parte, ci aspettiamo analoga cosa da parte del governo". Anche se per ora si dicono "insoddisfatti e preoccupati".

Bologna: Telefono Azzurro allestisce una ludoteca alla Dozza

 

Redattore Sociale, 18 marzo 2005

 

Una ludoteca all’interno della sezione maschile del carcere della Dozza di Bologna, allestito dal Comitato per il Telefono Azzurro. Inaugura domani, sabato 19 marzo, per venire incontro a un’esigenza importante: i bambini in visita ai genitori detenuti affollano i parlatori e sono costretti ad attendere il momento del colloquio e a vivere l’incontro con il genitore in un ambiente disagevole. "La realizzazione, nell’istituto di reclusione - sottolinea Telefono Azzurro - di un ambiente adatto alle esigenze relazionali dei bambini, usufruibile prima e dopo il colloquio, e laddove possibile per l’incontro stesso, è funzionale a un adeguato sviluppo psico-fisico e relazionale ed è di aiuto ad una più armoniosa interazione genitore-detenuto e figlio". Da anni il Comitato per il Telefono Azzurro è impegnato nel progetto "Bambini e carcere - Progetto ludoteca in carcere", nato dal desiderio di affrontare il problema dei bambini e ragazzi che si rapportano con la dura realtà del carcere, avendo un genitore, o in alcuni casi entrambi, detenuti.

La casa circondariale "Dozza" è il più noto istituto penitenziario bolognese. Presso la sezione femminile è già attivo uno spazio ludoteca dal 2001, gestito dallo stesso Comitato per il Telefono Azzurro bolognese. La direzione della casa circondariale si è impegnata quindi affinché il progetto ludoteca fosse reso operativo in entrambe le sezioni, nella convinzione, tengono a precisare, che il recupero degli affetti familiari e il mantenimento dei contatti con le famiglie abbia enormi potenzialità dal punto di vista del recupero del detenuto e della prevenzione sociale.

Il progetto e l’allestimento dello spazio ludoteca della sezione maschile sono stati possibili grazie al sostegno di Coop Adriatica nell’ambito dell’iniziativa "C’entro anch’io". I volontari del Comitato per il Telefono Azzurro saranno operativi negli spazi dedicati ai piccoli in concomitanza dell’orario stabilito dalla direzione del carcere per le visite dei familiari, e accoglieranno i bambini e ragazzi nello spazio individuato come ludoteca per trascorrere giocando o parlando, insieme all’accompagnatore, il tempo del colloquio.

"È importante il recupero degli affetti familiari in un luogo e nell’atmosfera giusta - sottolinea Ernesto Caffo, presidente del Telefono Azzurro - e, di conseguenza, è preziosa l’opera dei nostri volontari impegnati in questo spazio di accoglienza e intrattenimento, pensato per i bambini e adolescenti in visita ai genitori detenuti". (en)

Castelfranco: apre il carcere per tossici e scattano le proteste

 

Vita, 18 marzo 2005

 

Si allarga la protesta contro il nuovo carcere a custodia attenuata per tossicodipendenti di Castelfranco Emilia (Modena) che sarà inaugurato lunedì dai ministri Castelli e Giovanardi. Oltre al presidio indetto proprio per lunedì da un coordinamento No Global, al quale hanno aderito Prc, Verdi e Cgil (un gruppo anarchico annuncia che protesterà a Castelfranco già domenica pomeriggio), oggi si sono detti "insoddisfatti e preoccupati" anche gli Enti locali, dopo una riunione in Prefettura con rappresentanti dell’ amministrazione penitenziaria.

In una nota congiunta, i sindaci di Modena e Castelfranco (Giorgio Pighi e Sergio Graziosi) e il presidente della Provincia, Emilio Sabattini, sostengono che "il problema alla base di tutto è quello dei rapporti tra istituzioni", che "devono collaborare", rilevano, ricordando il Protocollo del 1998 sulla struttura di Castelfranco che stabiliva di "coinvolgere Regione, Provincia, Comuni, Ausl", mentre il Governo "non ha mantenuto rapporto alcuno col sistema territoriale.

Noi rifiutiamo - proseguono - una concezione che ci attribuisce il ruolo di meri ufficiali pagatori di politiche e servizi che altri hanno deciso e per i quali ci viene chiesta ora solo una presa d’ atto". Nel documento inviato loro, fanno sapere, sono elencati "i soggetti che dovrebbero concorrere a far funzionare quella struttura e che, sul piano economico e organizzativo, dipendono da Provincia e Comuni". Per "riaprire il dialogo" - aggiungono - occorre quindi un’iniziativa del Governo, "il quale dovrebbe ricostituire quel tavolo di confronto arbitrariamente sottratto al confronto dopo il 2001".

I due Comuni e la Provincia, ringraziando il prefetto e il direttore dell’attuale Casa Lavoro di Castelfranco "per la disponibilità dimostrata", concludono dicendosi "pronti" a fare la propria e aspettandosi "analoga disponibilità da parte del Governo". Il direttore della Casa Lavoro oggi ha anche accompagnato a una visita alla struttura una delegazione del "Coordinamento provinciale contro il carcere di Castelfranco Emilia": dopo la visita, i no global hanno mantenuto tutte le proprie riserve, affermando che la disintossicazione deve partire dalla volontà del tossicodipendenti di affrancarsi dalla sostanza e che non possa invece essere prevista obbligatoriamente in una struttura costrittiva.

La contrarietà della Cgil di Modena ("inaccettabile l’imposizione del "modello San Patrignano", comunità alla quale sono affidati progetto e gestione della struttura) è anche contro "l’ingresso di un soggetto privato che si sostituisce all’amministrazione pubblica nella gestione concreta dell’esecuzione penale. Questo è un tema di grande rilevanza, che richiederebbe un serio e approfondito dibattito nel Paese".

Critiche anche alla "dimensione di 140 posti assolutamente incongruente con percorsi di recupero delle singole persone. Il timore è che si realizzi una struttura con un approccio sostanzialmente repressivo", in luogo di "un atteggiamento di prevenzione e recupero". Sono inoltre "senza risposte" le richieste contrattuali avanzate dal sindacato, visti gli attuali 40 agenti penitenziari (per 30 detenuti per reati comuni) e i 140 tossicodipendenti in arrivo.

Roma: 43 assistenti sociali per 4mila affidati e semiliberi...

 

Roma One, 18 marzo 2005

 

Questa la denuncia dei Centri Servizi Sociali Adulti del Lazio circa il personale che deve occuparsi delle persone in semilibertà o in affidamento. Marroni: "Arretrati spaventosi: chi potrebbe uscire non può farlo". Nei Centri Servizi Sociali Adulti (Cssa) del Lazio, 43 persone devono occuparsi di oltre 4.000 detenuti in semilibertà o in affidamento. La denuncia arriva per bocca del Garante regionale dei diritti del detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, al termine di un confronto con i rappresentanti dei Cssa.

Nel Lazio i Centri Servizi Sociali Adulti - le strutture dipendenti dal Dap - sono tre: a Roma, Frosinone e Viterbo. Uno dei loro compiti è quello di gestire la pena dei detenuti all’esterno dell’istituto di pena. Nei Cssa la carenza di personale è fra i problemi più drammatici. A Roma, ad esempio, per ogni operatore ci sono 90 detenuti da seguire. In queste condizioni diventa complicato adempiere agli impegni principali, fra i quali condurre inchieste socio/familiari e scrivere le relazioni comportamentali sui detenuti seguiti per il Magistrato di sorveglianza. "Ci sono arretrati spaventosi - ha detto Marroni - e in questo modo chi potrebbe uscire dal carcere non può farlo".

Secondo il Garante dei detenuti, una soluzione potrebbe essere quella di aumentare il personale sbloccando immediatamente le 30 richieste di trasferimento nei Cssa presentate da altrettanti dipendenti di altre amministrazioni pubbliche e da tempo in attesa di definizione. "Questa della mancanza del personale è una carenza che ha tanti padri:la legge finanziaria, il Dap e il Ministero della Giustizia - ha detto Angiolo Marroni -.

È una situazione grave che contribuisce a inceppare tutto il sistema, negando a tanti la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere favorendo il loro reinserimento sociale". Marroni ha preannunciato l’invio di una lettera al Ministero di Giustizia per sollecitare interventi. "Ma su questo versante - ha aggiunto - anche la Regione Lazio potrebbe fare la sua parte intervenendo direttamente sul Ministero affinché le assegnazioni di personale vengano sbloccate".

Lavoro: più di 50 le coop. impegnate nelle carceri italiane

 

Redattore Sociale

 

Sono più di cinquanta oggi le cooperative sociali che operano all’interno delle carceri italiane. Queste organizzazioni sono autorizzate a lavorare in base agli articoli 17 e 18 dell’Ordinamento penitenziario e danno impiego in Italia a circa un detenuto su quattro, per un totale di 14.214 detenuti su 56.532.

Si tratta di cooperative che operano in settori molto eterogenei. All’interno dello spazio espositivo "Fa la cosa giusta" sono state presentate alcune tra le più importanti: da Rebibbia "Made in jail", produce t-shirt di tendenza, in Lombardia, nel carcere di Bollate "Abc, Sapienza in tavola" si occupa dei servizi di catering e "E.s.t.i.a." lavora nell’ambito della falegnameria teatrale. Ad Opera "Arti e mestieri - Soligraf" è impegnata nel restauro delle guglie del duomo e "Opera in Fiore" cura le serre di molte zone della periferia di Milano. Infine "Alice", dal carcere di San Vittore, è una cooperativa di sole donne che creano gli abiti per il teatro della "Scala".

L’obiettivo di queste cooperative non è solo quello di professionalizzare i detenuti per agevolarne l’inserimento del mondo del lavoro, ma anche quello di offrire strumenti di crescita personale ed un mondo di valori di riferimento come possibile alternativa di vita. Anche per questo la domanda di lavoro da parte dei detenuti è in costante aumento e non può essere totalmente assorbita dall’offerta dell’amministrazione interna del penitenziario.

Due sono le ragioni principali che spingono i detenuti a cercare lavoro nelle cooperative: la necessità di reinserirsi in modo qualificato all’interno del mondo del lavoro e il bisogno di guadagnare il denaro necessario per sostenere molte spese, dall’avvocato al mantenimento della famiglia. I lavori vengono infatti regolarmente retribuiti in base a contratti a progetto. Ovviamente non tutti posso accedere a queste opportunità di impiego, e le selezioni dipendono da molti fattori: durata della pena da scontare, abilità di base, disponibilità concessa dal direttore del penitenziario.

Ecco perché i detenuti impegnati con le cooperative sociali sono considerati dei privilegiati. I problemi burocratici, le difficoltà nei finanziamenti, e i limiti imposti dalle leggi hanno ostacolato lo sviluppo di queste cooperative. Un aiuto è però arrivato dalla legge Smuraglia del 2000 che prevede sgravi fiscali fino 516,46 euro a lavoratore e l’abbattimento di oneri contributivi fino all’80% per le aziende che abbiano lavoratori detenuti alle proprie dipendenze. Leonardo Giammarioli

 

Dai costumi teatrali per la Scala di Milano e il Regio di Parma alla nuova linea di magliette col marchio "I gatti galeotti"

 

Creare costumi teatrali per le prime della "Scala" di Milano e del "Regio" di Parma, capi per Rai, Mediaset e diversi spot pubblicitari, e la nuova linea di magliette col marchio "I gatti galeotti". Le detenute della Casa circondariale di San Vittore, grazie all’iniziativa della cooperativa sociale "Alice", dal 1992 hanno un lavoro, a tutti gli effetti qualificato.

"La nostra idea è stata di far nascere una struttura che serva da passaggio tra la fine della detenzione e l’inizio del reinserimento nella società", spiega il presidente della cooperativa, Alessandro Brevi. Da San Vittore in tredici anni il progetto si è allargato a un laboratorio milanese esterno, dove lavorano anche ex-detenute e donne in regime di libertà vigilata o agli arresti domiciliari, e un terzo centro produttivo presso la Casa di reclusione di Opera.

Uno stipendio, una maniera per tenersi occupate durante il periodo di detenzione, soprattutto un’opportunità per trovare un lavoro quando sarà scontata la pena. "Siamo davvero soddisfatti del risultato fin qui raggiunto – prosegue Brevi - Della settantina di ragazze che hanno collaborato con noi, solo una è tornata a delinquere. Tutte le altre sono pienamente recuperate"

I posti a disposizione sono circa sei per ciascuna delle due strutture, a cui si sommano la quindicina disponibile per il laboratorio di via Solari. La selezione delle ragazze viene fatta in primis sulla loro volontà di partecipare all’iniziativa, ma anche in virtù dell’attitudine al lavoro in sartoria e della lunghezza della detenzione prevista. Più è lunga, più è possibile specializzare le partecipanti, passando per un iniziale periodo di formazione propedeutico all’ingresso nel laboratorio. Il via libera definitivo spetta al direttore del carcere.

Attualmente sono circa venti le donne occupate; sei tra le 110 ospiti di San Vittore, quattro nella Casa di reclusione di Opera. "Le nostre strutture esterne non possono accoglierle tutte – conclude Alessandro Brevi. Una delle ragazze ci accompagna dalla fondazione, e altre cinque sono rimaste da noi con un posto fisso. Ma chi è uscita ha comunque poi stata in grado di trovare una collocazione, al limite anche in altri settori" Dario Nicolini

Sicilia: nella regione 26 istituti di pena e 5.802 detenuti

 

Ansa, 18 marzo 2005

 

Ventisei istituti di pena, 5.802 detenuti, 8 centri provinciali di servizio sociale. Sono le cifre dell’inchiesta del quotidiano Atene on-line sulla realtà carceraria siciliana. Ma le strutture non soffrono di problemi di sovraffollamento. È il lavoro dei detenuti il grande problema delle carceri siciliane, secondo Orazio Faramo, provveditore regionale agli istituti di pena. "Noi dovremmo cercare di fare lavorare più detenuti possibile - spiega Faramo - ma la realtà sociale non sempre li aiuta".

Limitazione della libertà, non limitazione del diritto alla salute...

 

Il Mattino, 18 marzo 2005

 

La limitazione della libertà non può significare limitazione della tutela della salute: con questa premessa la medicina penitenziaria viene integrata con il servizio sanitario nazionale. I settemila detenuti della Campania avranno dunque le stesse possibilità di curarsi di qualunque cittadino secondo una regolamentazione già codificata con una normativa del ‘98 che aveva visto la nostra regione, con Abruzzo e Toscana, fare da battistrada nella fase sperimentale.

Ieri la sigla del protocollo d’intesa tra assessorato regionale alla Sanità, provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e centro di giustizia minorile di Campania e Molise. "Una integrazione importante e necessaria - sottolinea l’assessore Rosalba Tufano - perché ratifica e disciplina gli stessi diritti per tutti compresa la prevenzione, l’aiuto psicologico, cure ai malati di Aids, assistenza alle donne incinte".

Già nel 2003 le Asl hanno contribuito con una spesa di 500mila euro, ora la Regione si fa formalmente carico di alcuni punti essenziali: fornitura di farmaci, diagnostica strumentale, prestazioni ospedaliere sia a regime di ricovero che di day hospital, assistenza ai tossicodipendenti, gestione sinergica del disagio mentale e delle emergenze sanitarie per quegli istituti che sono sprovvisti di guardia medica nelle 24 ore. Per stamattina (ore 11) è prevista la firma di un’altra intesa importante: quella tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e la Provincia per un accordo di rete che faciliti la formazione e l’inserimento lavorativo dei detenuti. Carmela Maietta

Palermo: detenuti del Pagliarelli mettono in scena musical

 

Adnkronos, 18 marzo 2005

 

L’ultimo spettacolo è andato in scena oggi. A Palermo i detenuti del Pagliarelli si sono esibiti sotto la direzione di Lollo Franco in performance musicali e di recitazione per la Festa del papà. Ma la vita dentro al carcere è anche lavoro, riabilitazione, comunità.

Ventisei istituti di pena, 5.802 detenuti, 8 centri provinciali di servizio sociale. Sono le cifre che fotografano la realtà carceraria siciliana. Numeri che però da soli dicono poco su come funziona la macchina del recupero dei detenuti, che passa soprattutto attraverso una parola, lavoro, che dietro le sbarre assume un significato particolare.

 

 

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