Rassegna stampa 16 marzo

 

Ddl Meduri: è un tentativo di smantellare l’assistenza sociale

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

Sul ddl che domani sarà discusso alla Camera ("Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria") e sulle ripercussioni che esso avrà sull’attività delle assistenti sociali e del volontariato penitenziario, prende posizione anche Paolo Pezzana, presidente della Fondazione Auxilium di Genova, secondo il quale il ddl "contiene un vero e proprio colpo di mano che elimina i servizi sociali della giustizia trasformando gli uffici degli attuali assistenti sociali della giustizia in meri uffici amministrativi e di controllo".

"Non si può non rimanere sconcertati per gli effetti devastanti che questa nuova legge delega comporterebbe - afferma Pezzana -: il capo III del Titolo II della legge 354 del 1975 sarebbe trasformato da "Servizio sociale e assistenza" a "Esecuzione penale esterna" e i "Centri di servizio sociale per adulti" vengono trasformati in "Uffici di esecuzione penale esterna" con un ovvio cambiamento culturale che si incentra più sulla pena pura e semplice che sulla sua funzione di reinserimento sociale. Si elimina infatti la previsione di legge che "i Centri provvedono… a prestare la loro opera per assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive".

Si eliminano sistematicamente i riferimenti al servizio sociale della legge del 1975 e si accentuano gli aspetti di controllo, predisponendo il terreno per sostituire in futuro anche le imprescindibili figure professionali di aiuto degli assistenti sociali con personale amministrativo non meglio specificato. Ciò è tanto più grave ove si consideri che la legge nulla dice sull’attuazione degli articoli da 73 a 77 dell’Ordinamento Penitenziario, che prevedono istituti preziosi per l’aiuto dei detenuti mai attuate nella pratica".

Per Pezzana, poi, a destare ulteriori perplessità sul provvedimento è il fatto che esso, "forse per superficialità, forse per altri inconfessabili motivi, nella versione licenziata al Senato conteneva addirittura l’abrogazione dell’intero capo III dell’Ordinamento Penitenziario, cancellando di fatto anche il volontariato penitenziario. Tale rischio, cui un emendamento recentemente presentato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera pare aver posto rimedio, ha causato la mobilitazione della società civile e destato fortissime preoccupazioni tra tutti coloro che hanno a cuore i diritti ed il benessere dei detenuti".

"La cura e il rispetto per la dignità della persona che è intangibile, quale che sia la sua condizione di vita - conclude Pezzana -, impone una seria e attenta riflessione quando si elaborano delle norme che silenziosamente tentano di restringere gli spazi per un’assunzione di responsabilità di tutta la comunità nell’aiuto ai fratelli più deboli nel percorso di recupero e di reinserimento sociale".

Sull’argomento prende posizione anche la Conferenza Italiana Volontariato e Giustizia che, facendo proprie le preoccupazioni del Coordinamento assistenti sociali giustizia (Casg) e dell’Ordine Nazionale degli assistenti sociali, rivolge un appello al Parlamento e a tutti coloro che hanno a cuore i valori della giustizia e del volontariato "perché ci sia un ripensamento rispetto a una norma che costituirebbe un notevole passo indietro rispetto al faticoso cammino compiuto per restituire dignità all’esecuzione della pena in Italia e rischierebbe di smantellare un altro importante pezzetto del già martoriato welfare italiano".

La stessa Casg, nel corso del sesto convegno nazionale svoltosi a Sanremo l’11 e 12 marzo scorsi, ha espresso un "forte dissenso sulla cosiddetta legge Meduri". Gli operatori chiedono la "soppressione pura e semplice dell’art. 3 della proposta di legge n. 5141 in quanto esistono forti perplessità sul fatto che la proposta in questione intenda modificare l’art. 72 dell’Ordinamento Penitenziario L. 354/75, e non solo, in maniera del tutto strumentale, subdola e decontestualizzata dal quadro complessivo della legge in discussione. Più semplicemente si ravvisano, benché celate, modifiche sostanziali alla norma di riferimento e ai suoi principi ispiratori".

"L’impressione che se ne ricava - si afferma - è quella di trovarsi di fronte ad un’operazione tendente a cancellare il carattere professionale specifico dei Centri di servizio sociale per adulti, strutture di Servizio sociale che da trenta anni sono attivamente e proficuamente presenti nel sistema penitenziario, mutandone radicalmente l’organizzazione e l’operatività. Tale modifica, infatti, oltre che essere inserita impropriamente in un provvedimento di riforma della dirigenza penitenziaria, trasforma gli attuali Cssa (centri servizi sociali adulti) in "uffici locali per l’esecuzione penale esterna".

"Eliminando sistematicamente ogni riferimento ai termini "servizio sociale" e "servizi sociali" in riferimento all’esecuzione penale - conclude - riteniamo che si gettano le basi per privare, in un prossimo futuro, il percorso di esecuzione penale esterna e reinclusione dei detenuti del supporto delle indispensabili figure degli assistenti sociali, che, non essendo più esplicitamente previsti dalla legge, potrebbero essere sostituiti con altre competenze anche meramente amministrative o di polizia".

Ddl Meduri: proposta che stravolge l’ordinamento penitenziario

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

Anche Legautonomie e Caritas Italiana intervengono sulla cosiddetta legge Meduri, il ddl che sarà discusso domani alla Camera e concernente una nuova disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria. Un provvedimento che, secondo assistenti sociali e volontariato carcerario, rischia di stravolgere l’attuale ordinamento penitenziario.

Afferma infatti Legautonomie: "La proposta di legge stravolge l’attuale ordinamento penitenziario, che consente l’applicazione di misure alternative alla detenzione (c.d. legge "Gozzini"), e in base al quale dal ‘75 ad oggi hanno operato i Centri di servizio sociale per adulti della giustizia, il cui intervento è essenziale nell’esecuzione delle misure alternative della detenzione.

Il provvedimento inoltre rischia di annullare l’utilizzo del volontariato, con il quale si integrano abitualmente i professionisti del sociale nell’adempimento dei propri compiti. Gli Uffici, denominati di esecuzione penale esterna, saranno disciplinati con semplice decreto ministeriale, ciò che può significare l’azzeramento delle attuali norme, e di una lunga, proficua esperienza di lavoro che va difesa ed anzi potenziata".

Per Legautonomie, "i compiti operativi attualmente affidati al servizio sociale vengono ridefiniti, appiattendoli sulla mera funzione del controllo e ignorando quella funzione di aiuto che qualifica l’intervento dei professionisti assistenti sociali".

Eppure, secondo l’organizzazione, "i Centri di servizio sociale per adulti previsti dalla legge Gozzini costituiscono una struttura alternativa al carcere, radicata sul territorio, pienamente integrata nel contesto comunitario in collaborazione con i servizi sociali dei comuni e delle Asl e di cui semmai va sostenuta una ulteriore qualificazione".

Per tutto questo Legautonomie, ricordando la recente costituzione del "Forum nazionale per la salute dei detenuti", esprime le proprie preoccupazioni "perché le norme in discussione rischiano di cassare un pezzo di stato sociale, mettere in discussione una linea di recupero sociale del reo, sancita dalla Costituzione e perseguita da decenni con indubbi risultati da assistenti sociali, in stretta relazione con il volontariato e gli enti locali".

Da Legautonomie alla Caritas Italiana. Afferma quest’ultima in una nota: "Sotto un titolo piuttosto generale, il provvedimento contiene un vero e proprio colpo di mano che elimina i servizi sociali della giustizia trasformando gli uffici degli attuali assistenti sociali in meri uffici amministrativi e di controllo. L’articolo 3 della proposta di legge già approvata dal Senato il 14 luglio scorso, sotto il titolo "Esecuzione penale esterna" modifica il titolo del capo III del titolo II della legge sull’Ordinamento penitenziario, e riformula interamente l’articolo 72 che riguardava i centri di servizio sociale per adulti.

Non si può non rimanere sconcertati per gli effetti devastanti che questa nuova legge delega comporterebbe (…). La cura e il rispetto per la dignità della persona che è intangibile, quale che sia la sua condizione di vita, impone un’attenta riflessione quando si elaborano delle norme che silenziosamente tentano di restringere gli spazi per un’assunzione di responsabilità di tutta la comunità nell’aiuto ai fratelli più deboli nel percorso di recupero e di reinserimento sociale".

La Caritas Italiana, che nel recente sussidio "Liberare la pena" ha delineato i bisogni che emergono nel mondo del carcere e alcune possibili risposte, condividendo le preoccupazioni già espresse dal Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia e dall’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali, rivolge dunque un appello "al Parlamento e a tutti coloro che hanno a cuore i valori della giustizia e del volontariato perché ci sia un ripensamento su una norma che costituirebbe un notevole passo indietro rispetto al faticoso cammino compiuto per restituire dignità all’esecuzione della pena in Italia e che rischierebbe di smantellare un altro importante pezzo del già martoriato welfare italiano".

Ddl Meduri: vogliono abolire il volontariato penitenziario…

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

"La Camera dei Deputati voterà domani una proposta di legge (5141) già passata al senato che, nonostante abbia un nome che sembra limitarsi a garantire dirigenze (Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria), prevede tre cose gravissime: l’abolizione del volontariato penitenziario; l’abolizione dei servizi sociali per le misure alternative alla detenzione (CSSA) che verranno sostituiti da Uffici di esecuzione penale esterna (che non saranno più servizi sociali, ma penali); l’abolizione della Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto". La denuncia è della Caritas Ambrosiana che oltre all’appello a raggiungere tutti i deputati nel tentativo di bloccare l’iniziativa, evidenzia come "tutto è fatto di nascosto: sostituiscono con il solo art. 72 tutto il capo terzo del titolo secondo dell’Ordinamento Penitenziario e aboliscono così il volontariato in carcere (articolo 78) che di quel capo fa parte".

Lecce: l’ex medico del Regina Pacis; "ero stanco di tacere…"

 

Il Manifesto, 16 marzo 2005

 

Atto d’accusa "Le irregolarità al Regina Pacis erano a tutti i livelli. Grazie al caporalato giravano milioni di euro. Hanno minacciato di bruciarmi la casa. Volevano costringere la mia fidanzata a dire che l’avevo violentata".

"In questi anni ho visto solo un grande schifo: sono un medico, non sono una persona di sinistra, non sono neanche contrario ai Cpt e quindi non strumentalizzate le mi parole. Ma sono anche un cattolico praticante e mi chiedo come possa la chiesa cattolica italiana gestire un Cpt. E per di più gestirlo in questo modo". Vincenzo Refolo, medico di Calimea, paese in provincia di Lecce, ha lavorato per quasi tre anni nel Cpt Regina Pacis di San Foca. Oggi è tra i più grandi accusatore di don Cesare Lodeserto.

 

Di cosa lo accusa?

Di sequestro e violenze, innanzitutto. Ho conosciuto ragazze che sono rimaste nel centro anche quattro mesi senza poter uscire. Chi oggi difende don Cesare, anche ai più alti livelli della politica è solo "un garzone di bottega". Lo scriva. E mi denuncino pure, perché questa gente non sa neanche di cosa parla.

 

Lei invece dice di saperlo bene: è vero che tra le accusatrici c’è una sua fidanzata?

È vero. Siamo fidanzati da quattro mesi. Don Cesare un giorno l’ha fatta caricare su un furgoncino e l’ha fatta trasportare all’ospedale di Lecce, il Vito Fazzi, perché denunciasse di essere stata violentata da me.

 

Ma perché l’avrebbe fatto?

Perché sono testimone in un altro processo, per esempio, quello per le violenze contro i 17 maghrebini. E poi perché sono un medico scomodo: quando c’ero io, in infermeria, certe cose non si potevano fare.

 

Quali?

Sono tutte agli atti, non voglio dire di più

 

E quando c’erano gli altri medici?

La nostra era una specie di doppia infermeria. Gli altri erano per lo più accondiscendenti, se non complici. In generale, quando ho denunciato le irregolarità, i dirigenti sanitari hanno sempre glissato.

 

Che ha visto il giorno della fuga dei 17 maghrebini?

Ho visto quattro persone ferite. Una aveva una sospetta frattura a un osso della faccia.

 

Qualcuno li ha picchiati? Ma perché don Cesare avrebbe fatto questo?

Ho visto solo quattro persone con delle lesioni. Perché ci guadagnava milioni di euro.

 

In che modo?

Lo stabiliranno i giudici. Ma i traffici c’erano eccome.

 

Quali traffici?

Mettiamola così: una ragazza arriva in Italia, dichiara di avere subito violenza e riceve un permesso per motivi umanitari. Così lui riceve una retta, che però viene a mancare se questa ragazza ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Conosco una ragazza che sta lì da 5 anni e lavora sempre in nero per un mobilificio. Diciamo che fra i traffici c’è anche il caporalato.

 

Lei sostiene di essere stato minacciato.

Alcuni operatori hanno minacciato di bruciare la mia casa e anche quella di mia zia. Ma non ho avuto paura perché sono una persona onesta. An. Ma.

Castelfranco: Muccioli; disturba idea vantata a fini elettorali

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

Sulla casa di reclusione di Castelfranco Emilia per i tossicodipendenti che devono scontare una pena, interviene anche la comunità di San Patrignano, che fa parte del progetto. "Quello che ci interessa è cercare di tirare fuori più ragazzi possibile dal carcere comune - spiega Andrea Muccioli, responsabile della comunità riminese -, attraverso percorsi alternativi mirati alla riabilitazione e al pieno inserimento sociale.

Ora stiamo aspettando che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e le istituzioni di giustizia, titolari della gestione della struttura, ci dicano cosa vogliono". "Mi disturba molto – prosegue - che l’idea possa essere vantata a fini elettorali o che possa diventare oggetto di prevenzione ideologica da parte di chi ostacola il metodo di recupero di San Patrignano". Il disegno "è pronto da due anni, ma ci sono già stati tentativi di bloccarlo". È stato lo stesso direttore della casa di lavoro di Castelfranco, Francesco D’Anselmo, che in passato è stato responsabile del carcere riminese e ha collaborato con San Patrignano (nella città romagnola nacque il primo servizio di custodia attenuata), a rivolgersi alla comunità fondata da Vincenzo Muccioli chiedendo un progetto di recupero dei detenuti tossicodipendenti.

"San Patrignano, che ha inventato questo progetto (e che si prospetta come la prima esperienza pilota a livello europeo), ha semplicemente dato la sua disponibilità a realizzarlo – continua Andrea Muccioli -. Ovviamente senza mettere in dubbio in alcun modo la titolarità della gestione da parte dell’amministrazione penitenziaria ed esprimendo disponibilità a collaborare con altre associazioni e comunità che possono dare un contributo, rispettando però la filosofia del progetto educativo, che punta al recupero e non alla medicalizzazione o al controllo sociale delle persone, che non si salvano certo con la distribuzione di droghe alternative".

Tra le proposte avanzate da San Patrignano c’è quella di formare operatori e di costituire un team pubblico - privato d’intesa con l’amministrazione penitenziaria, prevedendo strutture di filtro "per verificare le motivazioni dei ragazzi a fare realmente questa esperienza". Probabilmente si tratterà di gruppi non troppo numerosi, che potranno eventualmente poi crescere con gradualità. (mt)

Castelfranco: don Stenico (Fict); sarà inaugurato contenitore vuoto

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

Non sarà come è stato apostrofato finora il "carcere privato gestito da San Patrignano" oggetto di vanto da parte dei ministri Castelli e Giovanardi e di critiche da parte dell’opposizione, con tanto di interrogazioni parlamentari, che ha accusato il Governo di tenere all’oscuro Comune e Regione. Secondo don Giuliano Stenico, presidente del Centro solidarietà di Modena (che fa parte della Federazione italiana comunità terapeutiche), la casa di reclusione per detenuti tossicodipendenti di Castelfranco Emilia (che inaugurerà il prossimo 21 marzo e che ospiterà un centinaio di reclusi), "era una notizia troppo ghiotta per non prestarsi a strumentazioni di tipo politico elettorale. Per questo vorrei che si facesse chiarezza sull’argomento".

Ma a tutt’oggi, il progetto su come sarà gestita la parte socio educativa del carcere di Castelfranco non c’è ancora. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, recentemente incaricato di seguire le politiche antidroga, ha parlato di carcere modello all’interno del quale comunità, Sert e cooperative sociali lavoreranno in progetti di recupero per detenuti tossicodipendenti. Ma finora manca il nero su bianco.

Ed è questo che preoccupa don Stenico: "A breve verrà inaugurato un contenitore vuoto, fatto solo di locali, come spesso si usa fare. L’idea di per sé è buona, una realtà intermedia tra carcere e comunità di recupero, ma bisogna vedere come verrà realizzata. Per ora non si può dare un giudizio su quello che non c’è. Non sarà comunque in nessun modo un carcere privato – precisa don Stenico -. La direzione e la gestione sono in capo al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ma finora il finanziamento previsto è a sola copertura della formazione del personale carcerario, mentre le risorse per la formazione al lavoro, per gli interventi degli operatori del Sert e delle comunità non sono state stanziate. Come dire: la macchina è pronta, ma manca il combustibile".

In realtà, il progetto di una struttura ad hoc per detenuti tossicodipendenti che stanno già scontando pene superiori ai quattro anni - per i quali non è dunque possibile avvalersi in nessun modo di misure alternative al carcere - non è nuovo. "L’idea era nata 5 anni fa dalla collaborazione tra San Patrignano e Francesco D’Anselmo, attuale direttore della casa lavoro di Castelfranco e che allora era responsabile del carcere di Rimini, dove era stato messo in piedi il primo servizio di custodia attenuata per tossicodipendenti – spiega don Stenico -. Da questa sperimentazione D’Anselmo ha tratto spunto per presentare al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria un progetto che prevede la trasformazione della casa di lavoro in casa di reclusione a custodia attenuata per detenuti tossicodipendenti che devono scontare pene definitive.

Però, già nel 2003, su richiesta dei Sert, delle comunità terapeutiche modenesi e dei Comuni, D’Anselmo ravvisò l’importanza di coinvolgere questi enti per ridefinire il progetto in modo più articolato e rispondente alle finalità di recupero e reinserimento socio lavorativo dei tossicodipendenti, perché l’obiettivo è pur sempre quello di toglierli dal carcere comune per destinarli a una struttura riservata, più adatta a loro. Era stato dunque istituito un tavolo di coordinamento tra queste realtà del pubblico e del privato sociale per valutare i casi e decidere gli invii dei detenuti nei programmi riabilitativi, anche personalizzati, ma senza gravare sulla realtà modenese". I detenuti, cioè, una volta che potranno beneficiare di misure alternative al carcere, verranno inviati nei territori di provenienza. (mt)

Castelfranco: Cesari (Dap); detenuti selezionati da istituti di pena

 

Redattore Sociale, 16 marzo 2005

 

"Se i lavori di ristrutturazione della casa di reclusione per detenuti tossicodipendenti di Castelfranco Emilia sono finiti, non vedo che male ci sia ad inaugurare una struttura che è già pronta. Anche se manca ancora la parte socio riabilitativa: i progetti, che saranno elaborati in primo luogo dal Sert di Modena e poi dal Ceis e da San Patrigno coinvolgendo gli enti locali, si costruiscono individualmente sulle persone".

A dirlo è il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria dell’Emilia - Romagna Nello Cesari, che conferma anche che l’inaugurazione del carcere ad hoc per tossicodipendenti che stanno già scontando pene superiori ai quattro anni (prevista per il 21 marzo) sia piovuta dall’alto. "Senza informare gli enti pubblici se non dopo che la notizia era uscita sulla stampa", ha aggiunto l’onorevole Ds Roberto Guerzoni nella sua interpellanza in Parlamento.

Parere condiviso in parte anche dal Sert di Modena, che aveva avuto notizia ufficiosa dell’imminente apertura della struttura di Castelfranco (anche se del progetto se ne parlava ormai da anni) ma che solo dopo le polemiche emerse dai giornali è stato convocato dal gruppo istituzionale che sarà coinvolto nell’elaborazione dei programmi terapeutici e di recupero insieme al privato sociale. "Sapevano da tempo del carcere per detenuti tossicodipendenti, anche perché siamo già presenti all’interno della casa lavoro di Castelfranco - afferma Claudio Ferretti dell’Ausl di Modena -, ma che l’inaugurazione sia stata gestita direttamente da Roma, ce l’ha detto anche lo stesso direttore della casa di reclusione Francesco D’Anselmo" (che non rilascia dichiarazioni fino al 21 marzo).

"Non capisco tutta questa polemica - precisa Cesari -. L’ipotesi di una casa a gestione attenuata per i detenuti tossicodipendenti non è nuova: la presentai io nel ‘97 all’allora ministro di Grazia e giustizia Giovanni Maria Flick, tanto che i lavori di ampliamento della casa lavoro di Castelfranco (con l’officina, i laboratori per l’attività terapeutica e formativa, i campi e le serre) sono iniziati nel ‘99 e finiranno a breve, con la possibilità di ospitare, gradualmente, fino a 140 reclusi. Che poi questa struttura la debba sposare un governo piuttosto che un altro, non è affare del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, che lavora in base a un mandato istituzionale per applicare l’articolo 27 della Costituzione".

Ma chi deciderà quali sono le persone che sconteranno in questa struttura ad hoc la loro pena? "La selezione dei soggetti avverrà da parte degli istituti penitenziari in cui sono ora – conclude Cesari -, in base alla volontà degli stessi tossicodipendenti di intraprendere un cammino di recupero".

Intanto i no global hanno annunciato, per il 21 marzo, una mobilitazione di protesta contro l’inaugurazione del carcere. "Secondo le parole del ministro Giovanardi - si legge sul network Indymedia -, si tratta di una struttura per il recupero dei detenuti tossicodipendenti condannati a pene detentive, che non permettano l’assegnamento alle comunità. In realtà, questo trattamento è già in atto da più di un decennio all’interno dei reparti di custodia attenuati esistenti un po’ ovunque in Italia, dove vengono attuate terapie scalari volte al reinserimento del tossicodipendente e non alla cristallizzazione del suo status. Non si capisce quindi l’obiettivo del carcere di Castelfranco se non come logica conseguenza della legge Fini sulle droghe, che prevede la carcerizzazione di massa per il solo uso di sostanze, ma che risulta per ora inapplicabile a causa del sovraffollamento. Una legge che attacca il servizio pubblico e le strategie di riduzione del danno, privilegiando strutture private e terapie basate sulla coercizione e il lavoro coatto". (mt)

Roma: Totti e Veltroni tra i detenuti di Regina Coeli

 

L’Unione Sarda, 16 marzo 2005

 

Grande festa nella "Rotonda" all’interno del penitenziario "Regina Coeli" per l’atteso incontro tra il capitano della Roma Francesco Totti, il sindaco Walter Veltroni e i detenuti del carcere romano. L’occasione della visita è scaturita dalla donazione di materiali e attrezzature sportive fatta dal numero dieci giallorosso. In una colorata cornice di pubblico e stampa, i reclusi, alcuni dei quali accompagnati da moglie e figli, hanno dato vita ad una calda accoglienza, aperta dai ringraziamenti del coordinatore Don Vittorio e proseguita con l’intonazione di "Grazie Roma", l’Ave Maria e, sempre in omaggio alla capitale, "Chitarra Romana".

Tranquillamente a sua agio in un contesto quasi da stadio, il capitano ha incoraggiato i detenuti: "Sono contento di essere venuto qui e sono a disposizione per qualsiasi cosa. Noi abbiamo la fortuna di poter dare a chi ne ha bisogno e sono felice di farlo. Dovete stare tranquilli e pensare a stare bene." All’impertinente domanda di un recluso "ma quando vinciamo qualcosa?", Totti non ha risposto, sdrammatizzando con un sorriso da amico e rimanendo fedele fino all’ultimo al silenzio stampa deciso dalla società.

Più loquace è il sindaco che, descrivendo il rapporto tra Roma e i suoi cittadini detenuti, non ha risparmiato elogi per il "Pupone": "Il calcio non sta vivendo il suo momento migliore, ma in questo mondo ci sono ancora alcune persone veramente eccezionali. Francesco è un ragazzo romano, ma anche un pezzo della nostra città. Non c’è iniziativa alla quale, una volta chiestogli di partecipare, si ottenga un no. Ricordo quando andò a trovare una bambina ricoverata, che poi non ce l’ha fatta. Ci sono tanti bambini che hanno avuto incidenti contenti anche solo di aver ricevuto una telefonata dal proprio campione. Francesco è un grande campione con un cuore d’oro".

Spagna: tutti i detenuti dell’Eta in sciopero della fame

 

Ansa, 16 marzo 2005

 

Tutti i baschi membri dell’Eta detenuti in Spagna e Francia sono in sciopero della fame; chiedono di scontare le pene nel Paese Basco.Vogliono essere considerati prigionieri politici. Lo annuncia un comunicato del Collettivo dei prigionieri politici baschi pubblicato dal quotidiano regionale Gara. I detenuti, a meno di un mese dalle elezioni regionali basche, invitano i premier spagnolo Zapatero e francese Raffarin a stabilire un dialogo con alcuni interlocutori designati del Collettivo.

Vicenza: "carcere e dipendenze", parte progetto regionale

 

Il Gazzettino, 16 marzo 2005

 

A Vicenza un detenuto su tre è tossicodipendente. Un dato drammatico da cui muove un progetto pilota regionale all’interno del carcere berico di San Pio X. "Carcere e dipendenze" si propone, con un monitoraggio a livello regionale delle attività sanitarie destinate ai tossicodipendenti dentro le strutture carcerarie, di promuovere e coordinare le linee d’azione comuni in tutte le case circondariali del Veneto.

Un’esigenza, questa, che nasce anche da un mutamento legislativo, come ha spiegato l’assessore regionale alle Politiche sociali Sante Bressan: "Dal primo gennaio 2000 le competenze per quanto riguarda la prevenzione e l’assistenza sanitaria e socio riabilitativa dei detenuti tossicodipendenti sono passate dalla sanità penitenziaria a quella nazionale e quindi alle amministrazioni regionali. In questo periodo però non ci si è mossi in maniera coordinata". Terminata la raccolta dei dati e la loro elaborazione, sarà sempre il capoluogo berico a ospitare a settembre un convegno che illustrerà le linee guida da adottare.

Corte dei Conti: inchiesta su Castelli per consulenze ingiustificate

 

La Repubblica, 16 marzo 2005

 

Dalla Corte dei conti alla procura della Repubblica di Roma per verificare se, oltre al danno erariale, vi sia stato anche del dolo nella gestione delle consulenze al ministero della Giustizia. Sotto inchiesta l’attuale Guardasigilli Roberto Castelli, ma anche i suoi predecessori Piero Fassino e Oliviero Diliberto, con un’aggravante numerica per Castelli.

Il numero delle consulenze affidate dal ministro leghista e dai suoi tre sottosegretari, Jole Santelli (Fi), Giuseppe Valentino (An) e Michele Vietti (Udc) superano di gran lunga le precedenti, riguardano oltre quaranta contratti per oltre venti persone, visto che le consulenze durano sei mesi e possono essere protratte per un anno, e quindi le stesse contano più di una volta. Per Diliberto e Fassino invece si tratta di due o tre casi per ciascuno.

Con i ministri, sul tavolo della procura, sono finiti anche tutti i magistrati del ministero, direttori generali compresi, che in questi anni hanno fatto parte dei comitati di valutazione per esaminare la relazione scritta dei singoli consulenti e dare il via libera al pagamento. Per il solo Castelli che, come vertice dell’ufficio, è tenuto a controfirmare ogni richiesta di consulenza sia propria sia dei sottosegretari, la somma su cui ormai da due anni sta indagando la Corte dei conti è di un milione di euro. Adesso toccherà alla procura di Roma stabilire se c’è stato reato, se ad esempio è stato commesso un abuso d’ufficio, e quindi se l’incartamento dev’essere trasferito al Tribunale dei ministri che ripartirà da zero per compiere l’indagine penale.

Sul tavolo del procuratore di Roma Giovanni Ferrara quella che viene definita come una "copiosa documentazione" è arrivata dalla Corte dieci giorni fa. Ferrara ha costituito un pool, composto dall’aggiunto Lapadura e dai pm D’Ippolito e Palaia, che proprio in queste ore stanno valutando il lungo e complesso lavoro del vice procuratore regionale della Corte dei conti Patti che ormai da due anni ha cercato di capire fino a che punto le consulenze della Giustizia fossero effettivamente necessarie, o piuttosto non fossero un favore fatto ad amici usando denaro pubblico.

Patti è già arrivato a una conclusione: ha spedito 70 avvisi ad altrettante persone del ministero che hanno avuto la possibilità di inviargli delle contro deduzioni e adesso è già pronto per il rinvio a giudizio. In via Arenula sono in fibrillazione da giorni perché la notifica ufficiale dovrebbe arrivare da un momento all’altro.

Che la Corte dei conti avesse deciso di usare il pugno duro contro le consulenze di Castelli e di altri ministri del governo Berlusconi (ad esempio la Moratti per la Pubblica Istruzione) non è un segreto da tempo, tant’è che a Natale proprio Castelli aveva proposto un emendamento nella Finanziaria, una sorta di sanatoria per azzerare la precedente gestione e ripartire da zero.

Ma fu il presidente della Repubblica a storcere il naso e non se ne fece più nulla. Il procuratore Patti si è via via convinto che un grosso abuso ci sia stato, che chiamare professionisti esterni per coprire figure come quella del segretario particolare, dell’assistente legale e di quello per i rapporti con il Parlamento, dell’esperto per l’edilizia penitenziaria, dell’addetto all’esame dei bilanci, configuri soltanto un abuso.

Al ministero già ci sono, secondo Patti, professionisti retribuiti che possono ricoprire quegli stessi ruoli. Patti ha cominciato a indagare partendo dalle consulenze di Castelli, da quella società Global Brain che avrebbe dovuto verificare, d’accordo anche con il Csm, il livello di produttività degli uffici giudiziari. Poi il procuratore si è via via allargato. Ha analizzato le consulenze affidate dal capo di gabinetto di Castelli Nebbioso e dal capo dell’organizzazione giudiziaria Cerrato. Poi è giunto ai sottosegretari di cui ha contestato ogni affidamento.

A quel punto tutte le toghe delle commissioni di controllo sono state coinvolte. Il magistrato contabile, convinto di un abuso che va oltre la cattiva gestione finanziaria, ha coinvolto la procura per i risvolti penali.

 

La difesa di Castelli: non c’è stato nessun abuso

 

Castelli si lamenta pubblicamente ormai da mesi. Il 18 gennaio, subito dopo la relazione del procuratore generale della Corte dei Conti Vincenzo Apicella, che denunciava gli sprechi causati dall’eccessivo numero delle consulenze nei ministeri, dichiarò: "Mi sono sempre guadagnato da vivere facendo il consulente. Spezzo una lancia a favore dei consulenti seri mettendo al bando quelli fasulli". Poi, senza nascondere che la Corte stava indagando proprio nei suoi uffici: "Mi sono sempre sforzato di portare al ministero la cultura privatistica con lusinghieri risultati. Nell’edilizia giudiziaria si è passati dai nove progetti del ‘98 ai 69 del 2003. Poi la Corte è piombata su di me e ho dovuto rinunciare a tutte le consulenze. E stiamo già vedendo gli effetti negativi".

Già prima di Natale, meditando la correzione alla Finanziaria poi bloccata, ipotizzava una conferenza stampa per difendere le sue consulenze. Adesso aspetta gli esiti ufficiali dell’indagine contabile. Ma il suo pensiero è chiaro: è convinto che non ci sia stato alcun abuso e che al ministero non ci siano quelle figure professionali che lui ha cercato all’esterno.

Ai suoi collaboratori racconta l’episodio di un consulente per l’edilizia penitenziaria che da un lato viene indagato dalla Corte ma dall’altro finisce nel mirino delle Brigate rosse che lo accusano di essere il "nuovo aguzzino delle carceri" per via dei progetti che sta mettendo a punto assieme al generale Ragosa. A riprova, per Castelli, del buon lavoro del consulente.

Gli ex ministri della Giustizia Diliberto e Fassino sono entrambi "serenissimi". Dice Diliberto: "È una assoluta bolla di sapone, nel mio caso riguarda addirittura una consulenza gratuita". La Corte, nel suo caso, ha da ridire sulla figura del consulente parlamentare e su quello addetto alle relazioni sindacali. Anche per Fassino la Corte contesta la figura di collegamento con la Camera e con il Senato, un trait d’union abituale per i ministri e che pure Castelli ha utilizzato. Nel caso dell’attuale segretario dei Ds la Corte trova anomalo anche l’uso di un ghost writer che preparava i discorsi del ministro della Giustizia. Ma Fabrizio Morri, oggi e anche in via Arenula capo della segreteria di Fassino, dice: "Siamo certi di aver sempre lavorato in modo trasparente. Siamo pienamente sereni e tranquilli". Liana Milella

Usa: giustiziato uomo in Missouri, aveva gettato donna da ponte

 

Reuters, 16 marzo 2005

 

Un uomo che aveva gettato una donna da un ponte sul fiume Mississippi dopo avergli rubato l’auto è stato ucciso oggi dallo stato del Missouri. Stanley Hall, di 37 anni, è stato dichiarato morto questa mattina, dopo un’iniezione letale nel penitenziario di Potosi, ha detto un portavoce. È stata la dodicesima esecuzione negli Stati Uniti quest’anno e la 956ma da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel paesi nel 1976.

Sulmona: chiude la mostra dei quadri dipinti dai detenuti

 

Il Messaggero, 16 marzo 2005

 

Domani alle 10 si tiene presso il carcere di Via Lamaccio la cerimonia di chiusura della mostra dei quadri dipinti dai detenuti e messi a disposizione per una raccolta di fondi destinati al reparto di Pediatria dell’Ospedale dell’Annunziata. La vendita dei lavori, la maggior parte dei quali veramente notevoli sotto l’aspetto artistico, ha fruttato 2.500 euro, che domani verranno consegnati al Direttore Generale Fulvio Catalano, presente il Primario di Pediatria.

È l’occasione per fare un bilancio delle attività e per aprire ancora di più alla Città questa struttura che non può "bucare lo schermo" solo per eventi tristissimi. Così domani ci saranno tanti personaggi, da Stefania Pezzopane a tanti altri, ma soprattutto ci saranno presenti i detenuti con i quali sarà possibile parlare, intervistarli, scambiare opinioni e quant’altro d’interessante, come ad esempio visitare le zone gli spazi destinati alle attività d’intrattenimento dove i detenuti trascorrono la maggior parte del tempo. Insomma sarà una giornata che avrà un "ingresso libero" in zone solitamente inibite ai visitatori. Una occasione in più per cercare di conoscere e comprendere meglio questo mondo particolare. Antonio Mancini

Cagliari: educazione alla legalità, al via un progetto nazionale

 

L’Unione Sarda, 16 marzo 2005

 

Quindici ragazzi dell’Istituto tecnico Meucci daranno vita al progetto "Le regole della comunità", che si pone l’obiettivo di promuovere nei ragazzi una sensibilizzazione sui temi della legalità e del problema delle carceri giovanili. Di valenza nazionale - è realizzato infatti contemporaneamente a Cagliari, Bari, Napoli, Gela, Matera e Reggio Calabria - il programma è stato presentato ieri presso l’Aula magna dell’istituto, e può vantare la partecipazione in qualità di organizzatori del Dipartimento della giustizia minorile, Comune, Questura, Cooperativa Passaparola e Consorzio a rete Cgm.

Tutte queste strutture rimarranno collegate e rese complementari dall’attività degli studenti, che prima sosterranno un corso di formazione, per poi dare vita a una manifestazione finale, prevista per giugno, di educazione alla legalità e alla prevenzione al carcere. Sandro Marilotti, direttore del Centro di giustizia minorile in Sardegna, ha ricordato come "iniziative simili siano importanti perché collegano nuclei fondamentali per lo sviluppo dei minori come le scuole e i centri sociali". Il progetto si pone anche l’obiettivo di coinvolgere le famiglie, attraverso un lavoro comune con alcune coppie o singoli genitori, "perché ci deve essere un percorso di confronto". (m.c.)

Iraq: sospetto omicidio di 26 detenuti iracheni e afghani

 

Reuters, 16 marzo 2005

 

Almeno 26 prigionieri sono morti sotto la custodia statunitense in Iraq e in Afghanistan dal 2002 e l’Esercito o la Marina hanno la certezza o sospettano che siano stati omicidi, ha scritto oggi il New York Times, citando fonti ufficiali. Gli investigatori hanno chiuso l’inchiesta per 18 di questi casi e hanno chiesto l’incriminazione o il deferimento ad altri organi, ha detto il Times. Su otto casi si indaga ancora, ipotizzando l’omicidio. Soltanto una di queste morti è avvenuta nel carcere di Abu Ghraib in Iraq, conosciuto per gli abusi su detenuti da parte di soldati Usa. Ufficiali dell’esercito hanno detto al Times che le uccisioni sono avvenute sia dentro che fuori luoghi di detenzione, come nel luogo della cattura durante violente battaglie.

Il giornale ha detto che il numero dei casi di omicidio confermati o sospettati è molto più alto dei dati forniti in precedenza dai militari e che è stato raccolto dal Times dopo un’accurata indagine. Negli omicidi sono coinvolti almeno quattro dipendenti della Cia, per i quali il Dipartimento della Giustizia sta esaminando la possibile incriminazione.

Castelli: creare una giustizia in grado di tutelare le vittime

 

Giornale di Brescia, 16 marzo 2005

 

Mattinata a Brescia per Roberto Castelli. Ieri il Ministro della Giustizia ha presentato ufficialmente le proprie dimissioni da consigliere comunale in Loggia. Poi una breve apparizione a Rete Brescia e una visita a Radio Vera, dove Castelli è intervenuto all’interno di una trasmissione. Un’intervista che sarà possibile ascoltare integralmente questa mattina alle 9 sulle frequenze dell’emittente radiofonica e della quale riportiamo i passi più significativi.

 

Negli ultimi giorni il suo collega Calderoli ha proposto la pena di morte per chi commette crimini efferati contro i bambini.

"La gente oggi ha bisogno poter credere nella "giustizia giusta", che tuteli le vittime. Quindi ha bisogno di vedere i criminali puniti con pene esemplari, non tanto per la loro sete di vendetta, ma per la necessità di giustizia. È ovvio che Calderoli ha fatto una provocazione, non penso che nessuno di noi creda che si debba reintrodurre la pena di morte nel nostro paese".

 

Per la cattura di Unabomber è stata anche proposta una taglia. È un tornare ai tempi del Far West?

"Allora dobbiamo dire che l’Italia è da sempre un Far West, perché le ricompense per gli informatori sono sempre state un potente mezzo per contrastare la criminalità. Ci troviamo di fronte ad un fenomeno intollerabile, non è possibile che un delinquente riesca a tenere in scacco un intero Stato. Diventa ancora più intollerabile perché, benché sia una persona espertissima e calibri gli esplosivi in modo da non uccidere, ultimamente colpisce i bambini. Costui va preso, con ogni mezzo lecito. E se è lecito, come è emerso da un acceso dibattito in parlamento nei giorni scorsi, pagare gli informatori iracheni per liberare Giuliana Sgrena, non vedo perché non si possano pagare gli informatori che ci permettano di acciuffare Unabomber".

 

Crimini contro i bambini, Brescia in questi ultimi anni sta vivendo l’incubo della pedofilia, due i processi in corso. Avete in mente qualche nuova legge al riguardo?

"A livello di crimini è il più odioso che esista, perché, pur non arrivando a conseguenze estreme, segna la vittima per tutta la vita e in più va ad incidere su esseri umani indifesi. La Lega ha combattuto questo fenomeno anche a livello europeo per evitare che passasse il principio della "dose minima di pedo-pornografia", ponendo dei paletti così severi, che a livello legislativo italiano abbiamo dovuto ricorrere ad alcuni adeguamenti. Riguardo al caso di Brescia, l’Amministrazione comunale è stata forse troppo reticente nella prima fase della vicenda e una sentenza di condanna in primo grado a riguardo è già stata emessa".

 

Certezza della pena, ma le carceri sono stracolme, a Brescia nel penitenziario di Canton Mombello le condizioni di vita sono al limite della sopravvivenza...

"Purtroppo la situazione della carceri in tutta Italia è molto critica. Per la costruzione di un penitenziario, dalla decisioni della sua nascita alla sua realizzazione concreta, passano mediamente vent’anni. Mi trovo ora ad inaugurare prigioni progettate negli anni 80. E il dramma ulteriore è che negli anni 90, se si eccettua il carcere di Bollate, non esiste nessun progetto di nuove costruzioni. In questo momento dunque stiamo intervenendo in due modi. Il primo consiste nella ristrutturazione di quelli già esistenti. Il secondo riguarda gli immigrati condannati per reati minori che liberiamo a patto che tornino nel loro paese. Abbiamo già liberato duemilacinquecento detenuti, mantenendo un ritmo di cento al mese".

 

A Brescia il Palagiustizia è inagibile perché mancano gli arredi, Corsini si è lamentato di questo fatto pubblicamente?

"Lo scorso 17 dicembre il Ministero ha messo a disposizione più di due milioni di euro, adesso tocca proprio a lui indire la gara d’appalto per il loro acquisto". Fabrizio Vertua

Venezia: attenti... siamo tutti delinquenti potenziali!

 

Il Gazzettino, 16 marzo 2005

 

Ma che fine ha fatto la legge Gozzini, quella che, per certi tipi di reati, prevedeva il ricorso massiccio a pene alternative? "Disapplicata", ha affermato uno che il carcere lo vive da dentro, insegnando da vent’anni italiano al Santa Maria Maggiore di Venezia. Lui si chiama Arrigo Menegotto, veneziano doc, invitato dal teologo Nicolino Borgo e dal docente di filosofia Battistin a parlare proprio sul tema della rieducazione dei detenuti.

Potenziare le misure alternative al carcere, nello spirito della Gozzini; concordare, almeno per alcune violazioni della legge, il tempo della pena fra condannato e vittime, togliendo in questo modo il monopolio della legge; prendere in carico localmente alcuni casi, ossia affidare ai quartieri la rieducazione di persone rieducabili.

Ecco le linee d’azione per un concetto di colpa che supera la stretta dimensione carceraria e approda a soluzioni simil-carcere investite della responsabilità di redimere chi sbaglia. "C’è bisogno di dare credito in nome della dignità dell’uomo"; ha aggiunto Borgo sul filo conduttore del perdono. "Si constata - ha precisato - un forte pessimismo nei confronti del giudizio degli uomini e del lecito e illecito stabilito da un patto sociale fatto dal Parlamento".

A dirla tutta, "ogni uomo è potenzialmente un criminale", secondo il teologo e Menegotto che, così, hanno parlato la stessa lingua, pur nella dirompente dichiarazione. "Com’è possibile - si è chiesto il teologo friulano - che il futuro sia affidato al giusto e all’ingiusto stabiliti da legislatori a loro volta probabili corrotti o, comunque, corruttibili dal momento che si modificano le leggi per determinati gruppi sociali organizzati e per lobby?".

In questo senso, infatti, il reato muta struttura e la responsabilità penale cambia in base ai destinatari. Ma se è così, non si può più credere alla bontà della legge, secondo Menegotto. La sua verità è semplice: "I legislatori sono lontani dai detenuti, spesso risultano pure corrotti e pretendono ugualmente che gli altri si correggano sulla base di norme proposte o varate da loro stessi". Il pregiudizio politico si basa sulla presunzione di pensare, secondo il relatore, che "i detenuti si correggano per via meccanica e sistematica, punto di forza dell’operare dei magistrati". La giustizia non può soltanto punire e la pena non può soltanto condannare, ma deve essere educativa, lungimirante e strategica. Ovvero, il contrario di quello che capita oggi. Irene Giurovich

Pordenone: in carcere lezioni sul codice della strada

 

Il Gazzettino, 16 marzo 2005

 

"Alcool e guida" è il titolo dell’incontro di domani pomeriggio nella sala polivalente della Casa Circondariale di Pordenone nell’ambito della ricorrenza del quindicesimo anno di attività degli Alcolisti anonimi all’interno del carcere cittadino. Era il 1989 quando, per la prima volta, i volontari dell’associazione varcarono i cancelli del carcere cittadino per portare la loro esperienza a beneficio dei reclusi, cercando di aumentare le fila di quanti hanno deciso di farla finita con l’alcool.

Da allora, instancabilmente, i volontari hanno strappato al vizio della bottiglia centinaia di persone, organizzando, ogni settimana, un incontro coi detenuti discutendo delle possibili vie d’uscita. Per festeggiare quest’importante traguardo, approfittando per organizzare una cerimonia di scambio degli auguri pasquali, gli Alcolisti Anonimi hanno ottenuto dalla Direzione del carcere un permesso speciale: assieme a loro ci sarà, come già accaduto per il Natale, l’artista ertano Mauro Corona, il cui ultimo libro "Aspro e dolce" affronta proprio la piaga sociale dell’alcolismo con esperienze vissute in prima persona.

Assieme a Corona anche i dirigenti cittadini della Polizia stradale che hanno accettato di tenere una lezione ai reclusi sulle tematiche inerenti le nuove norme sulla guida, il limite del tasso alcolico e la prova dell’etilometro. Sull’incontro aleggerà il monito dello scrittore sui pericoli della guida in stato di ebbrezza: "Quando ero giovane c’era meno rischio di farsi male o morire negli schianti del sabato sera: non avevamo le automobili. Quelle vennero dopo e con esse gli incidenti. Da allora quelli del mio gruppo e io, se non siamo finiti in cimitero con certi capitomboli automobilistici, è stato solo per quella fortuna divina che si chiama miracolo". Lorenzo Padovan

Catanzaro: palcoscenico oltre le sbarre, sul palco 8 detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 16 marzo 2005

 

Un serata speciale quello di ieri sera al Teatro Masciari di Catanzaro per la presenza sul palcoscenico in vesti di attori di otto detenuti della casa circondariale di Catanzaro.

Intorno alle 20 è andata in scena davanti ad una folta platea composta anche da parenti ed amici arrivati anche da altre regioni, la commedia "Quasi, quasi mi spusu" testo e regia di Gregorio Calabretta. L’ idea di allestire lo spettacolo è partita dal direttore della casa circondariale Agazio Mellace, che si è avvalso della collaborazione dell’associazione culturale Onlus Gruppo Folk "I curtalisi" diretta da Franco De Vito e dell’Accademia musicale F. Chopin di Catanzaro Lido. L’iniziativa nasce proprio dalla intenzione di offrire ai detenuti la possibilità di uno scambio con il mondo esterno.

Rosario Glicora, Lucio Barone, Giancarlo Gallo, Massimo Bubba, Giuseppe Fruci, Manuel Lucarelli, Pierluigi Delle Fratte e Rocco Aversa si sono calati nelle parti dei personaggi quasi come dei veri professionisti; hanno recitato, cantato e ballato raccogliendo gli applausi di familiari e pubblico presente. Messe da parte le loro storie private si sono lasciati trasportare dalla passione per il teatro trasmesso forse anche dal regista Calabretta, che ha vestito i panni del protagonista il vecchio Michele (figura ispiratagli dal nonno) emblema della vita che vuole essere vissuta anche ad una certa età. Michele, vedovo ha deciso di sposare Marianna "a furnara" solo per alleviare la sua solitudine. Michele è il simbolo di tutti quegli anziani che hanno bisogno di compagnia perché rimasti vedovi ed i figli non hanno tempo da dedicare loro. Alla fine il protagonista vittima di un’ equivoco non sposerà la sua Marianna. La serata patrocinata anche dal Ministero della Giustizia, si è conclusa con i ringraziamenti fatti da Rosario Glicora che a nome di tutti i detenuti ha manifestato la speranza di poter essere coinvolti in altre iniziative culturali e in conclusione ha rivolto un pensiero alle loro famiglie ringraziandole di aver partecipato all’evento e di aver condiviso con loro la gioia di questo momento ma anche la sofferenza e il distacco. Ida Pantusa

Lecce: don Cesare Lodeserto risponde al gip per due ore

 

L’Arena di Verona, 16 marzo 2005

 

"Don Cesare ha risposto tranquillo, nel corso dell’udienza che si è svolta in un clima particolarmente sereno. Ha spiegato e chiarito alcuni punti, ha fornito elementi. Il tutto, ripeto, in un clima disteso, senza alcun contrasto". Non riesce a sottrarsi alle domande dei cronisti Pasquale Corleto, avvocato difensore di don Cesare Lodeserto.

Risponde brevemente, con cortesia, solo alle 14.15, al termine dell’interrogatorio di garanzia durato due ore davanti al gip Paola Vacca, e pochi minuti dopo che il suo assistito aveva attraversato il corridoio del tribunale per poi salire sul furgone che lo avrebbe riportato in carcere, a Montorio, dove lunedì ha ricevuto, tra le numerose attestazioni di solidarietà, anche la visita del presidente della commissione per i diritti umani del Senato, Enrico Pianetta (Forza Italia), che aveva conosciuto il sacerdote in occasione di una missione della commissione in Moldavia.

"Abbiamo presentato istanza di scarcerazione, posso solo dire che ad accusarlo sono 4 giovani sulle 60 del centro, so che la matematica non prova nulla ma è comunque un dato significativo. Don Cesare crede nella giustizia di Dio e crede nella giustizia degli uomini. Speriamo di veder modificata la sua condizione personale tra qualche giorno, non oggi, questo giudice non può decidere su misure adottate da altri. Come sta? L’abbiamo trovato sereno, per quanto si possa stare sereni in carcere".

Poche parole al termine di una giornata iniziata presto per tutti, per le giovani che dal centro "gemello" di Regina pacis di Quistello sono arrivate nel cortile del tribunale per dimostrare al sacerdote leccese accusato di aver abusato di mezzi di correzione, di sequestro di persona, di calunnia (nei confronti di un tenente colonnello dei carabinieri) e violenza personale. Le giovani in cortile e i collaboratori stretti nel corridoio, davanti alla stanza del gip, sono rimasti per ore, per poterlo vedere qualche minuto, per trasmettere a lui vicinanza e appoggio morale.

"In carcere ha trovato sostegno dai detenuti, non mangia da quando lo hanno arrestato e non vuole sentire radio o televisione. Ma il "tam tam" delle notizie gli arriva attraverso i detenuti delle celle accanto alle sue", dice l’avvocato Simone Curi. Don Lodeserto, provato dall’intera vicenda, ha fatto ingresso nel corridoio a mezzogiorno, non era ammanettato ed è stato fatto entrare immediatamente nell’ufficio del gip dove ad attenderlo c’era anche il sostituto procuratore Imerio Tramis - che insieme alla collega Carolina Elia è titolare dell’inchiesta sull’ex direttore del centro di accoglienza Regina Pacis - e un ufficiale dei carabinieri. Al gip che lo ha interrogato avrebbe fornito chiarimenti molto dettagliati sulla maggior parte dei fatti contestati. Da qui la richiesta di scarcerazione presentata dai suoi legali. I pm leccesi hanno ora 48 ore per esprimersi sulla richiesta di "variazione" dello status di don Cesare, il gip di Lecce 5 giorni per decidere. (f.m.)

Trapani: mons. Miccichè visita i detenuti e gli agenti del carcere

 

La Sicilia, 16 marzo 2005

 

Sono le ultime tappe della visita pastorale. Questa mattina alle 11,30 il vescovo Miccichè andrà in carcere, a incontrare l’intera popolazione carceraria, direzione, agenti e detenuti. Di pomeriggio l’altra visita in calendario, alla Provincia regionale. Alle 17 monsignore Miccichè sarà a Palazzo Riccio di Morana. All’incontro pubblico è previsto faccia seguito quello privato tra il vescovo ed il presidente della Provincia Giulia Adamo. Al termine dell’incontro privato, il presidente Adamo, assieme agli assessori ed al presidente del Consiglio Provinciale, Filippo Maggio, accompagnerà il vescovo fino alla vicina sede del Palazzo di Governo dove avrà luogo l’incontro con l’intero Consiglio Provinciale.

Agrigento: con il "Centro 3P" quattro detenuti lavorano fuori

 

La Sicilia, 16 marzo 2005

 

Sono quattro i soggetti che, godendo delle misure alternative al carcere, dallo scorso mese di settembre svolgono attività lavorativa, pari a venti ore settimanali, nella struttura realizzata dal Centro 3P (Padre Pino Puglisi) - Osservatorio Sociale Cittadino, all’interno dell’appezzamento di terreno di contrada Stretto, esteso complessivamente per ben 30.550 metri quadrati, messo a disposizione della parrocchia di Santa Barbara, guidata da padre Calogero Bonelli, che a sua volta lo aveva ricevuto in donazione, nell’ambito del progetto "Spezzare Le Catene", organizzato in collaborazione con la Cooperativa "San Daniele Comboni" e la Cgil di Agrigento, grazie anche ad un finanziamento pari al 67% dell’ammontare del progetto, concesso dalla Regione Siciliana.

"Infatti - ci ha dichiarato Roberto Di Cara - referente dell’Osservatorio - contrariamente a quanto si è detto, è giusto precisare che il progetto ha già avuto avvio nello scorso mese di settembre, con l’utilizzazione di quattro soggetti a cui il giudice ha concesso i benefici dell’alternativa al carcere, mentre il 16 aprile prossimo avverrà l’inaugurazione della azienda agricola, che si trova in contrada Stretto a Licata, in cui stiamo già operando".

Quale attività svolgono in atto i soggetti impegnati nel progetto Spezzare le catene? "Al momento l’attività preminente è quella agricola, anche se nel corso dell’attività non è mancato pure un impegno nel settore edile. Gli interessati svolgono venti ore di attività lavorativa a settimana, ed al termine del lavoro fanno regolarmente rientro a casa. E, cosa importante da segnalare, è l’impegno con il quale i quattro stanno vivendo questa fase delle loro vita".

Come già precedentemente riportato, il progetto, che è inserito nella misura "Sostegno a minori e giovani privi di supporto familiare; accoglienza e supporto per minori e donne vittime di violenza e maltrattamento familiare", è rivolto ai soggetti cui il giudice concede le misure alternative al carcere tramite i Centri di Servizi sociali e, nell’ambito delle attività di formazione e risocializzazione, prevede interventi operativi nell’ambito della filiera agro alimentare; si muove lungo le direttrici dell’attività di formazione, dell’attività lavorativa, dell’azione di risocializzazione, degli interventi del tutoraggio, e persegue diversi fini. Ad esso sono accompagnati anche un’attività di formazione ed una di tutoraggio. Antonio F. Morello

Lecce: don Cesare Lodeserto attacca; "dovevo essere severo"

 

Il Messaggero, 16 marzo 2005

 

Due ore per difendersi e attaccare. Don Cesare ha respinto ogni accusa, chiarito il motivo di certi suoi comportamenti difficili da capire dall’esterno, da chi non conosce l’inferno da cui provengono le ragazze di San Foca, strappate alla strada e alla violenza degli sfruttatori. "Qualche volta mi sono comportato come un padre severo, ma che potevo fare? Sono ragazze molto giovani, facili prede di uomini che le ingannano", ha spiegato l’ex direttore del Regina Pacis al gip del tribunale di Verona, che lo ha interrogato su rogatoria. E l’accusa di sequestro di persona? "Assurdo, non sta in cielo, né in terra. Ma non sapete che vivo sotto scorta?", ha reagito energicamente il sacerdote. Poi ha minimizzato i dissapori con il medico della Asl, Felice Refolo, ormai teste d’accusa: "L’ho allontanato dal Centro perché, ecco, era troppo sensibile al fascino femminile. Ora convive con una ragazza moldava che ha conosciuto lì, ma in passato ha avuto altre storie. Come educatore, ma anche come responsabile dell’istituto, ero preoccupato del suo comportamento".

Don Cesare è apparso sereno e determinato, ha raccontato il suo avvocato Pasquale Corleto. Ma per il momento resta in carcere a Verona. La difesa ha preferito chiedere gli arresti domiciliari, e non la scarcerazione, per non entrare in conflitto con il pm Imerio Tramis, che ieri era presente all’interrogatorio. "L’importante è ottenere i risultati, la vicenda processuale è molto complessa, ogni cosa a suo tempo", ha spiegato Corleto che ha optato per una linea di difesa "morbida".

La richiesta di immediata scarcerazione avrebbe potuto irrigidire la pubblica accusa, che si ritiene ancora all’inizio del lavoro. C’è un punto segreto nell’indagine, coperto da omissis. Ma non è stato contestato a Don Cesare durante l’interrogatorio, per non danneggiare l’esito degli accertamenti ancora in corso. Tramis nei prossimi due o tre giorni dovrà esprimere parere sugli arresti domiciliari, il gip di Lecce ne ha cinque per decidere. Soltanto allora Don Cesare potrà fare ritorno alla sua città, ma non al Regina Pacis. Un’esperienza che con le sue dimissioni si è chiusa per sempre. Rita Di Giovacchino

Roma: nel carcere di Regina Coeli al via "Teatro a righe"

 

Adnkronos, 16 marzo 2005

 

Da domani alla casa circondariale di Regina Coeli di Roma prenderà il via "Teatro a Righe", un progetto culturale riservato ai detenuti e promosso dall’assessorato provinciale alle Politiche sociali. L’iniziativa realizzata dall’associazione "Arte e Studio" prevede un’attività di studio e pratica teatrale di tre mesi, tra cui un laboratorio teatrale, una lezione spettacolo, uno stage con video e borse di studio sia nel carcere di Regina Coeli a Roma, che in quello di Civitavecchia.

Roma: intesa fra Garante regionale e Consulta cittadina

 

Comunicato Stampa, 16 marzo 2005

 

Collaborare, nell’ambito delle proprie competenze, per riconoscere e garantire i diritti dei detenuti e migliorare le condizioni di vita e di lavoro nelle carceri per detenuti ed operatori. Sono questi alcuni degli obiettivi del Protocollo d’intesa fra il Garante regionale dei diritti del detenuti e la Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari.

Il Protocollo è stato firmato dal Presidente della Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari, Lillo Di Mauro, e dal Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni. "Il volontariato laico e cattolico è la leva fondamentale per rendere più vivibile il carcere - ha detto Angiolo Marroni. Purtroppo la loro opera è resa difficile da motivi di ordine politico e per lo scarso aiuto delle istituzioni.

Il mio dovere è far sì che il volontariato riprenda slancio per svolgere la sua importante funzione". Il protocollo ci permetterà uno scatto in avanti - ha detto Lillo Di Mauro - nelle battaglie democratiche per i diritti inalienabili dei detenuti e per una nuova cultura della pena. Fra gli altri scopi del Protocollo, rendere visibili le azioni a favore dei detenuti sostenute dalle parti, oltre a sollecitare la Magistratura di Sorveglianza, le Istituzioni, l’Amministrazione Penitenziaria, le Amministrazioni locali e le forze politiche affinché venga consentita la fruibilità delle garanzie e dei diritti previsti dalla Legge Gozzini. In particolare, la Consulta Penitenziaria continuerà la sua azione in tema di riordino della Medicina Penitenziaria, applicazione della Legge Gozzini, lavoro e applicazione del Piano Permanente Cittadino per il Carcere del Comune di Roma e Istruzione. Su quest’ultimo punto, in particolare, nei giorni scorsi il Garante regionale dei detenuti ha siglato uno specifico Protocollo d’intesa con Laziodisu per incrementare il numero di detenuti iscritti a corsi universitari attraverso l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro post-laurea.

41 bis: 637 detenuti nel 2004, 72 i provvedimenti annullati

 

Agi, 16 marzo 2005

 

La normativa prevista dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, ossia il "carcere duro" per i boss mafiosi o appartenenti ad altre grandi organizzazioni criminali, è "uno strumento fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa". Lo afferma la commissione parlamentare Antimafia nella relazione conclusiva con cui si tira il bilancio dell’applicazione della nuova legge di riforma del 41 bis. L’iniziativa, si precisa, muove dalla necessità di assicurare a quel regime le condizioni di massima operatività, nel rispetto dei diritti e delle garanzie riconosciute dall’ordinamento". Sono 637 i detenuti sottoposti al regime di "carcere duro", al 30 settembre 2004. "Si tratta di una presenza che si è mantenuta costante - si rileva nella relazione - nel corso degli anni, con un andamento in lieve crescita". Settantadue, invece, sono stati i provvedimenti "dichiarati inefficaci dai Tribunali di sorveglianza. Il numero è in lieve aumento rispetto al passato, anche per le maggiori occasioni di ricorso che la legge offre".

Caltanissetta: abusi in carcere, in appello agente penitenziario

 

La Sicilia, 16 marzo 2005

 

Parola alla Corte d’Appello. L’ipotizzato caso choc su presunti abusi sessuali ai danni di detenuti vivrà in primavera una nuova parentesi processuale. La chiede a gran voce lo stesso agente di polizia penitenziaria, il quarantunenne Luigi Rizza, già condannato in primo grado ad otto anni e mezzo di reclusione.

Il Tribunale, allora presieduto da Patrizia Spina, nell’estate scorsa ha anche riconosciuto un indennizzo di ottomila euro in favore del recluso, il ventunenne M.M., che avrebbe subito le particolari "attenzioni", dentro e fuori il carcere. Anzi, secondo la tesi accusatoria, proprio un presunto suo rifiuto mentre si trovava fuori il penitenziario, sarebbe stata la scintilla che avrebbe fatto saltare fuori il caso. In quel momento, infatti, il ragazzo era sottoposto agli arresti domiciliari. L’agente di polizia penitenziaria lo avrebbe invece incontrato per strada. A questo punto, le due "verità", ovvero quella dell’imputato (difeso dagli avvocati Salvatore Daniele e Walter Tesauro) e quella del parte civile (assistita dall’avvocato Dino Milazzo) viaggiano in direzioni diametralmente opposte. Rizza sostiene di averlo accompagnato in questura, per farlo arrestare, perché il ragazzo era evaso dagli arresti in casa. Il ventunenne, di contro, ha sostenuto che l’altro lo avrebbe fatto ammanettare per ripicca, nel momento in cui, incontrandolo in strada, avrebbe rifiutato le sue avance. Aspetto, questo, che sarebbe soltanto la punta dell’iceberg.

A monte, infatti, secondo la tesi accusatoria, vi sarebbero altri episodi di abusi che si sarebbero consumati all’interno del carcere. E - sempre per gli inquirenti - non avrebbero avuto per obiettivo solo il ragazzo costituitosi poi parte civile, ma anche altri due giovani detenuti che, però, avrebbero preferito rimanere fuori dalla parentesi processuale.

 

 

Precedente Home Su Successiva