Rassegna stampa 18 maggio

 

Giustizia: il giudice Imposimato; battersi per amnistia e indulto

 

Ansa, 18 maggio 2005

 

Battersi per la concessione dell’amnistia e dell’indulto ai detenuti per reati di modesto allarme sociale, adeguare le fattispecie di reati alle nuove realtà, depurare il sistema penale dai delitti che tendono a colpire le lotte sociali. Sono alcune delle "cure" per la tutela dei diritti e delle lotte sociali, indicati da Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, intervenuto all’incontro-dibattito sul tema "Nuove frontiere della tutela dei diritti sociali alla luce dei principi costituzionali". Organizzato da Associazione giuristi democratici di Roma, Forum libertà di movimento e Rete per il reddito sociali e i diritti, l’incontro si è svolto nell’aula magna della Corte d’appello penale del palazzo di giustizia di Roma. Imposimato ha inizialmente focalizzato l’attenzione sul ruolo dei movimenti nelle lotte sociali. "Devono continuare ad essere la coscienza critica dell’opposizione - ha detto - Possono ancora essere i protagonisti di una democrazia diretta. Restano, infatti, pur con le loro contraddizioni e i loro errori, un nuovo soggetto politico, un alveo nel quale sperimentare forme nuove, storicamente inedite, della politica come democrazia diretta, radicale, libera da schematismi e simbologie tradizionali". La loro forza, per il presidente onorario della Cassazione "sta ancora nella giustezza delle loro battaglie contro il processo di mondializzazione dell’economia.

Perciò, i movimenti possono tornare ad essere i protagonisti della stagione della rinascita. E oggi, abbiamo il dovere di essere solidali con quei cittadini che, spinti da bisogni estremi, hanno attuato forme di lotta sociale". Cosa fare per la tutela dei diritti sociali? "Adeguare le varie fattispecie di reati alle nuove realtà - ha concluso Imposimato - e le sanzioni a nuove esigenze di risocializzazione, depurare il sistema penale vigente dai delitti di pura creazione politica che tendono a colpire le lotte sociali, adeguare le discriminanti alla nuova realtà sociale, ed escludere dall’area della rilevanza penale comportamenti che pur costituendo formalmente reati, presentano una carica di offensività così esigua da non giustificare il ricorso alla pena e alla detenzione, battersi per la concessione della amnistia e dell’indulto ai detenuti per reati di modesto allarme sociale".

Cagliari: progetto per dare lavoro a 800 "svantaggiati"

 

Redattore Sociale, 18 maggio 2005

 

La Regione Autonoma della Sardegna ha firmato una convenzione con il Ministero del Welfare che definisce il piano economico del Progetto ICS (Interventi di Coesione Sociale) che si inserisce nel quadro di riforma del mercato del lavoro, dei servizi per l’impiego e nella riorganizzazione delle competenze attribuite alle autonomie locali. Prevedono 5.916.000,00 euro a carico del Ministero e 3.620.000,00 euro di impegno della Regione.

L’analisi dei dati relativi al mercato regionale del lavoro rivela l’aggravarsi di alcuni fenomeni come lo spostamento del problema della disoccupazione su classi di età più anziane, la presenza di un elevato tasso di disoccupazione di lunga durata e un alto tasso di disoccupazione femminile. Peraltro non è sufficiente una politica di incentivi poiché questa favorisce la permanenza nell’occupazione piuttosto che il passaggio dalla condizione di disoccupati a quella di occupati. Ecco allora che emerge l’importanza di sperimentare azioni innovative capaci di coniugare politiche sociali e politiche attive del lavoro.

Per favorire l’incremento occupazionale dei soggetti più a rischio di marginalità sociale, l’Assessorato regionale del Lavoro, l’Agenzia regionale del Lavoro e Italia Lavoro/Insar propongono un progetto sperimentale chiamato ICS, Interventi di Coesione Sociale. Si tratta di un progetto che nasce dall’esigenza di avviare percorsi tesi a migliorare le chance occupazionali dei soggetti svantaggiati. A questo processo di intervento nei confronti dell’offerta si affianca l’attivazione dell’individuo nei confronti del proprio percorso professionale, in termini di competenze acquisite ma anche di relazioni sociali e di caratteristiche peculiari del territorio in cui egli si muove.

Il perno del progetto è pertanto il soggetto, che diventa così depositario di un valore aggiunto duraturo e permanente che ne accresce le condizioni di occupabilità e le potenzialità di inclusione sociale e professionale. Il progetto intende sperimentare modelli di rilevazione del fabbisogno professionale delle aziende favorendo un sistema integrato di incrocio domanda/offerta in linea con le esigenze di sviluppo locale. Il progetto - che mira a dare occupazione a 800 lavoratori svantaggiati residenti nella Regione Sardegna, quelli a maggiore rischio di esclusione sociale e oltre i 45 anni di età, ma anche lavoratori in mobilità e in cassa integrazione - si pone anche l’obiettivo di superare l’atteggiamento passivo nell’approccio al lavoro dei soggetti percettori di indennità e sussidi a sostegno del reddito innescando meccanismi che favoriscono la fuoriuscita da un sistema assistenziale.

In una prima fase il progetto sarà attivato per predisporre accordi istituzionali e costituire un gruppo di lavoro e coordinamento (della struttura centrale) e progettazione operativa. Successivamente saranno formati e selezionati dei tutor che guideranno i gruppi di lavoro nelle strutture decentrate nel territorio regionale. Questi gruppi saranno i protagonisti delle azioni più importanti del progetto. Le azioni sul territorio che consentiranno l’individuazione dei soggetti partner, cioè Servizi pubblici per l’impiego, Centri di inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, servizi socio-assistenziali, associazioni datoriali e sindacali, associazioni delle diverse categorie di disagio. Le azioni sull’offerta che consentiranno la selezione degli 800 destinatari del progetto, la loro accoglienza, la costruzione del loro profilo sociale e professionale e quindi l’elaborazione di un progetto professionale personalizzato, che individuerà ed erogherà eventuali fabbisogni formativi e infine accompagnerà il soggetto all’inserimento in azienda.

Bologna: semiliberi impiegati nell’assistenza degli anziani

 

Il Resto del Carlino, 18 maggio 2005

 

Oggi è un’alternativa al carcere, domani, forse, potrà diventare un vero e proprio lavoro. Sta nascendo in questi giorni "Papillon, un’alternativa sociale al carcere e una risorsa per i cittadini", e si tratta di un progetto realizzato tra l’associazione di promozione sociale "Papillon-Rebibbia" e i servizi sociali del comune di Casalecchio, con lo scopo di reinserire socialmente, una volta terminato il periodo di pena, gli attuali detenuti del carcere della Dozza attraverso quattro borse lavoro. La prima fase del progetto è partita mercoledì scorso con i primi due detenuti, ma l’iniziativa è stata presentata ufficialmente ieri anche perché operativamente il lavoro inizierà domani. Entro il 2005 si conta di coinvolgere altre due persone. La novità dell’idea sta nella nobiltà di quello che i due detenuti andranno a fare: operare in due centri diurni per anziani della città, Villa Magri e Cà Mazzetti.

L’assessore alle politiche sociali Massimo Bosso ne evidenzia le caratteristiche: "Questa è una prima fase sperimentale. Per noi costituisce infatti una strada nuova con le sue problematicità, ma se abbiamo promosso "Papillon" è perché cerchiamo di perseguire l’obiettivo di mettere in relazione due disagi da ridurre: gli anziani e i disabili da un lato, i detenuti con un loro percorso di recupero dall’altro. È chiaro che l’obiettivo sarà raggiunto se i due disagi sapranno comprendersi e darsi una mano reciprocamente. La prospettiva è quella di favorire un inserimento nel sociale di queste persone che in questo modo avranno una professionalità da usare, un domani, nella possibile formazione di una cooperativa sociale". Pur non negando che si tratti di un’iniziativa più che altro simbolica. Bosso conclude che "proprio simbolicamente è importante".

Ci sono anche gli operatori della sezione bolognese di "Papillon", Nadia D’Arco, che mette l’accento sul concetto che "inserire nel sociale significa anche rispettarne le regole di convivenza come tutti i normali cittadini", e Valerio Guizzardi, il quale, spiegando la nascita del progetto parla di una "co-progettazione nata da un pacchetto presentato inizialmente nel febbraio 2004 alla Regione e al comune di Bologna, poi rimasto nel cassetto. Il senso dell’idea sta tutto nel titolo: un detenuto reinserito socialmente è un delinquente in meno. Per noi questo è fondamentale, poiché pensiamo anche ai diritti delle vittime".

"Siamo partiti - spiega Susanna Frangini, coordinatrice dei centri diurni - con la presentazione del progetto di massima, per poi concordare con gli operatori cosa si poteva fare e dove, e sono stati individuati i centri diurni. I primi tre giorni sono serviti per fare conoscere anziani e detenuti. Da lunedì questi ultimi cominceranno a rimboccarsi le maniche, dalle 8.30 alle 14.30. In un primo momento fungeranno da tuttofare, poi si specializzeranno. Potranno anche fare gli animatori".

Le due persone individuate erano già in semlibertà. Escono dal carcere intorno alle 6.30, poiché devono cambiare due o tre autobus, e hanno l’obbligo di tornare uno alle 21 e l’altro alle 22. Per tre mesi, con contratto rinnovabile fino a un anno se tutto andrà bene.

Guizzardi conclude dicendo che non è facile per loro tornare la sera a fare i carcerati. È anche questo il prezzo del reinserimento. Il rammarico finale è di D’arco: "Peccato che le cose si siano fermate in Comune. Con Guazzaloca il progetto stava andando avanti. Dopo le elezioni, nonostante la disponibilità a parole di Scaramuzzino e Cofferati, non è stato più fatto nulla".

Alghero: una cooperativa di detenuti che si dedicano al restauro

 

L’Unione Sarda, 18 maggio 2005

 

L’antico cannone dei giardini di via Vittorio Emanuele si rifà il look grazie al lavoro dei detenuti del carcere di San Michele. Il residuato bellico che giace seminterrato vicino alla statua di Giuseppe Manno "verrà recuperato e restituito alla fruizione pubblica", si legge in una nota diffusa dall’assessorato allo Sviluppo economico. Finora, infatti, più che un cimelio di guerra da conservare a memoria storica ha rappresentato un rottame abbandonato. Ora, dopo tanti anni, la volontà di ridargli l’importanza che merita. Per prima cosa si dovrà costruire un affusto, un carro di legno che serva da base per il cannone. Un’opera che sarà realizzata dalla cooperativa "Apriti Sesamo" formata da volontari che prestano la loro attività di sostegno morale e reinserimento sociale nell’istituto penitenziario di Via Vittorio Emanuele. Il carro verrà assemblato nei laboratori di falegnameria del carcere, sulla base di un progetto predisposto graficamente da Giovanni Falchi e depositato presso l’archivio storico comunale. "Ancora non è stato deciso dove il cannone verrà collocato - ha dichiarato l’assessore Franco Simula - certamente in un luogo idoneo lungo i bastioni che verrà individuato in accordo con la Soprintendenza, con la quale concentreremo l’intera operazione. Ciò che importa ? - conclude l’assessore - è creare un’attrattiva ulteriore per una città che ha scommesso anche nella cultura".

Ivrea: detenuto di 18 anni rinchiuso in isolamento per 6 mesi

 

Social Press, 18 maggio 2005

 

Proprio così, nella democraticissima Ivrea succede anche questo. Si racconta, con una certa insistenza, di un ragazzo che a 18 anni è rinchiuso nella cella di isolamento del carcere a causa di una rissa. Oltretutto viene punito con il regime di "cella nuda", ovvero senza poter tenere nessun tipo di oggetto, neanche il materasso. In realtà, bontà loro, pare che almeno quello gli sia stato concesso. Non può avere nessuna relazione con altri detenuti o operatori carcerari.

Il tutto durerà sei mesi. Causa della punizione è la partecipazione a una rissa. Questo è quello che si racconta in ambienti vicini al carcere. E non stentiamo a crederci visti gli episodi che almeno da un anno a questa parte accadono in quel luogo. Dalla mancata notizia della suicidio di S.T., notizia uscita dopo più di una settimana dalla tragicità dell’evento, fino alla morte di Mhoamed, detenuto da tempo malato e lasciato morire di carcere. I suoi compagni che civilmente hanno protestato chiedendo un incontro con l’Amministrazione non solo non sono stati ricevuti, nonostante le promesse, ma puniti con trasferimenti e perdita di possibili sconti di pena.

Se qualche giorno fa raccontavamo di una situazione che genera pietà e conflitto, queste notizie fanno scivolare il rapporto verso quest’ultima forma. Non sappiamo con certezza i particolari di questo abuso commesso su un giovane di 18 anni, non siamo nemmeno a conoscenza se la decisione dipenda dalla Direzione del carcere di Ivrea o dal Dipartimento penitenziario o dalla magistratura. Sono informazioni che difficilmente trapelano e che, probabilmente, non sono chiare neanche a chi sta dentro il meccanismo. Ci verrebbe di invitarvi a chiedere notizie direttamente a relazioniesterne.dap@giustizia.it. Forse il vertice della piramide ha una visione di insieme più chiara e può dare qualche spiegazione.

Caltagirone: vigilanza ridotta a causa della carenza di personale

 

La Sicilia, 18 maggio 2005

 

Le segreterie dei sindacati Uil, Sappe e Osapp hanno lanciato, agli organi istituzionali in materia di Giustizia, l’ennesimo "sos", per giungere alla soluzione del problema carenza di organico alla Casa circondariale Noce di Caltagirone. Scende in campo anche la segreteria nazionale dell’organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp) che, in un documento, ha denunciato altre situazioni di disagio vissute dal personale di vigilanza nelle carceri di piazza Lanza e Bicocca di Catania, oltre che di Trapani e Agrigento. I sindacati, nel caso del carcere di Caltagirone, hanno altresì denunciato la "soppressione del servizio delle sentinelle di 12 ore".

La vigilanza si sarebbe così ridotta del 50 per cento: le torrette risulterebbero prive di agenti dalle ore 6 del mattino sino alle 18. Circostanze queste che, per ovvie ragioni, sono correlate al numero ridotto di agenti e, quindi, si traducono in termini di sicurezza. I sindacati hanno chiesto un incontro con il provveditore dell’Amministrazione penitenziaria per la Sicilia che, giusto appunto domani, si recherà in visita ufficiale alla Casa circondariale di Caltagirone, per presenziare a una manifestazione. "Avevamo già manifestato le nostre preoccupazioni al provveditore - ha spiegato Daniele Buscemi, vicesegretario regionale Osapp - Lamentiamo la costante violazione delle direttive imposte dall’accordo quadro sull’assegnazione degli orari di servizio e la gestione dei riposi".

Mamone: la Cgil contro il comandante del carcere

 

L’Unione Sarda, 18 maggio 2005

 

"Nella colonia penale di Mamone il sindacato di polizia penitenziaria entra solo dopo aver passato l’esame del comandante". Lo denuncia Francesco Quinti, responsabile del coordinamento nazionale Cgil. In una nota si sostiene infatti "l’impossibilità", nonostante la regolare autorizzazione dell’amministrazione, di svolgere una assemblea col personale "resa impossibile dal clima di tensione e ingiustificato nervosismo inspiegabilmente manifestato dal comandante dell’istituto".

Spoleto: detenuti "41 bis" protestano per un’ora di colloquio in più

 

Ansa, 18 maggio 2005

 

Chiedono il ripristino dell’ora supplementare di colloquio con i familiari, concessa dal direttore della struttura ma poi revocata dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, una novantina di detenuti al 41 bis nel supercarcere di Spoleto che da qualche giorno rifiutano il vitto in segno di protesta. o rende noto l’avvocato Vittorio Trupiano, responsabile giustizia-carceri per i Radicali di sinistra, nonché difensore di alcuni dei carcerati impegnati nella rivendicazione. Il legale ha parlato di uno ‘sciopero della fame quasi completò. Gli unici beni che vengono accettati sono sapone, francobolli e sigarette. "C’è invece un rifiuto totale - ha detto l’avvocato Trupiano - del vitto fornito dall’amministrazione statale, protesta che proseguirà a oltranza. Un fatto non da poco considerando che i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro, possono ricevere da casa solo un pacco al mese". L’avvocato ha poi reso noto che i detenuti, sempre come forma di protesta, battono le stoviglie metalliche contro le sbarre delle celle.

Avezzano (AQ): esposizione di manufatti in legno dei detenuti

 

Il Messaggero, 18 maggio 2005

 

Una simpatica iniziativa è stata messa su dall’associazione di volontariato "Liberi per liberare" e da "Solidequa" che ha lo scopo di valorizzare il lavoro dei detenuti. Tale iniziativa consiste nel fatto che i loro oggetti in legno verranno esposti nella centralissima Piazza Matteotti al numero 44 e cioè presso la "Bottega solidale" noto esercizio conosciuto da tutti gli avezzanesi. La vetrina espositiva dei manufatti in legno sarà inaugurata domani alle 17.30. Si mantiene in attività, dunque il "laboratorio artigianale del legno all’interno della Casa circondariale del San Nicola di Avezzano che trova ragione nell’opportunità di offrire ai detenuti una valida occasione per imparare a perfezionare l’arte della lavorazione di piccoli e medi oggetti accuratamente rifiniti". Ma.Bi.

Monza: da Rotary e Adidas una palestra per i detenuti

 

Ansa, 18 maggio 2005

 

Una palestra tutta nuova per i detenuti. È questo il dono fatto al carcere di Monza dal Rotary in collaborazione con Adidas. Si tratta della prima di una serie di donazioni destinate a luoghi "dove è impossibile fare sport" come hanno spiegato i responsabili della casa tedesca che proprio a Monza ha la sua sede italiana; la palestra è stata attrezzata con un nuovissimo fondo in materiale speciale che la rende agibile per praticare calcetto, basket, pallavolo.

"Un detenuto che fa attività sportiva è meno problematico nella gestione del carcere - ha detto il direttore dell’istituto di pena, Massimo Parisi - particolarmente in una struttura come questa che, nata per ospitare 450 detenuti, ne ha oggi 820". Parisi ha anche voluto illustrare le altre attività sportive, lavorative e formative, scolastiche e culturali che nella casa circondariale coinvolgono oltre 320 detenuti. All’inaugurazione è anche intervenuto l’assessore allo Sport del Comune di Monza, Dino Dolci, che ha detto che "la città considera i carcerati come una parte del proprio tessuto sociale e pertanto presta a loro la stessa attenzione che dedica ai cittadini non detenuti".

Roma: a Rebibbia detenuti dell’A.S. interpretano Shakespeare

 

Repubblica, 18 maggio 2005

 

Loro sono quelli di Fine pena mai. Sul palcoscenico c’è anche chi deve scontare solo pochi anni, ma sempre nel reparto di massima sicurezza. Quello di fianco agli impianti sportivi, sulla destra del lungo vialone di Rebibbia dove all’ora dei colloqui gli enormi cancelli si aprono e inizia una processione di gonne e sacchetti di plastica. Qualche vestito, cibo, la notizia che la casa è stata venduta, "tanto che ci fa?", sussurra una della fila all’amica. Nessuno ha fretta di arrivare o di uscire. Il tempo sembra sospeso: è "l’isola" Rebibbia questa. La stessa che andrà in scena domani con una ventina dei detenuti più pericolosi del complesso, tutti napoletani. Da ottobre stanno provando La Tempesta di Shakespeare nel teatro del carcere, ma in un’edizione speciale che nessuno ha mai rappresentato prima, quella che Eduardo tradusse e riscrisse in dialetto del Seicento assieme alla moglie Isabella.

De Filippo la scelse, ormai anziano senatore della Repubblica, su richiesta di Giulio Einaudi, negli stessi giorni in cui visitava il carcere minorile di Nisida, per quei giovani detenuti combatté tante battaglie. Per lui l’isola dove si rifugia Prospero, Duca di Milano a cui il fratello Antonio ha usurpato il regno, è il carcere, termine che torna spesso nella sua versione. "Ma è un carcere che ci aiuta ad evadere, perché l’arte abbatte il muro, lo rende trasparente", racconta Cosimo Rega, ergastolano, Prospero.

Si è già fatto 27 anni dentro, se e quando uscirà non lo sa, per lui vale il fine pena mai. Ma è grazie a lui che tra le poltrone viola del teatro del carcere si fa teatro. Qualcuno ridendo gli fa notare che i suoi capelli imbiancano di giorno in giorno. "Si invecchia prima in galera", commenta con un sorriso sbilenco, "si vegeta da vivi. Per poter recitare ho fatto lo sciopero della fame finché, un giorno, è arrivato il direttore Carmelo Cantone e mi ha detto: voi mettete la tavola, al piatto ci penso io", ricorda sedendosi con posa regale su una delle poltrone. "Gli altri detenuti li ho coinvolti tutti io - è il capocomico - non è stato facile. Se fossi stato un detenuto qualunque mi avrebbero riso in faccia, ma è grazie al mio curriculum malavitoso che li ho convinti".

Cosimo è uno che ha ammazzato per la camorra, lo dice senza problemi, è un "capo". E come lui anche molti del gruppo. Quando sfilano in cortile gli altri li salutano con rispetto, quello che si deve ai boss. "Anche se adesso mi sento una pecora. Interpretare il personaggio di Prospero mi ha messo in crisi, mi ha fatto riflettere, e soffrire, molto. Il teatro ha sciolto tutti i tabù, non ci sono più le gerarchie, e i capi sono andati in crisi perché ha creato un vuoto di potere, ha fatto calare la maschera di duri e i problemi sono affiorati tutti insieme", continua con gli occhi azzurri che si infiammano. "Per me la sua bacchetta è diventata quello che un tempo fu la pistola. Prospero è uno che ha perdonato: io non provo pietà per il pentito che mi ha venduto, ma neanche desiderio di vendetta. Ho capito che solo con l’amore si possono cambiare le cose". E sale sul palco.

Lo segue Ariele-Salvatore Striano, uno che a guardarlo dimostra quello che è ed è stato, uno scugnizzo. Qualche centimetro sopra il metro e sessanta, due occhi grandi e sgranati. Quando vede arrivare Valentina, l’unica attrice professionista del gruppo che viene "da fuori" insieme al regista Fabio Cavalli, si aggrappa alle sbarre della sua cella e la chiama a squarciagola: "Valentinaaaaaa, Valentinaaaaa". Ha trentadue anni, sei in galera, altri due per uscire.

Piccoli reati, aggravati dal "reato associativo" del 416 bis. "Grazie al teatro sto acquistando delle emozioni, roba che prima non sapevo neanche cosa fosse, e un po' mi fanno paura. Ariele è un personaggio molto più bello di me, e quando comincio a recitare non esiste più niente". Quando entra in scena lo fa cantando e ballando, si muove con l’agilità di una marionetta, una forza della natura, sembra nato per fare l’attore. Se n’è accorto anche Carlo Cecchi che è venuto qualche settimana fa a vedere le prove, e pare che adesso aspetti il rilascio per scritturarlo. Il dialetto secentesco gli esce fuori come un torrente, non sbaglia una virgola, adesso è tutto lì sopra.

Valentina Esposito, Miranda, gli è molto affezionata. È anche l’unica donna con cui hanno un contatto fuori dall’ora dei colloqui. "Le prime volte erano molto imbarazzati, mi tenevano a distanza. Avevano paura anche solo di sfiorarmi, anche se si trattava di movimenti scenici, e chiedevano sempre il permesso. Poi si sono sciolti. Con loro ho dovuto dimenticare la mia impostazione professionale, sono di una semplicità disarmante". Ormai si conoscono da due anni, Cosimo ha una figlia della sua età e la chiama "bimba".

Insieme hanno già recitato Napoli milionaria, sempre del prediletto Eduardo. E sempre per la regia di Cavalli, che ottenne la loro fiducia in quell’occasione dopo uno scontro che li mise ai ferri corti e che stava per far precipitare tutto. "Arrivai a lavoro iniziato grazie alla fondazione Enrico Maria Salerno che ancora oggi finanzia tutto. I ruoli delle donne li facevano da soli, con delle parrucche. Dissi subito di toglierle, e scoppiò il dramma. Nessuno voleva rinunciare alla sua, e neanche ai fondali dipinti. Lì ho capito quanto fosse forte il loro gusto partenopeo per il travestimento. Dopo delle lunghe litigate ho ceduto sulle parrucche e loro sui fondali". Adesso si affidano a Cavalli come dei bambini, "meglio degli attori professionisti che criticano sempre tutto". Fargli memorizzare la parte non è stato difficile, "è gente che comandava, il gotha del crimine: c’è chi si è preso una condanna di vent’anni pur di non fare i nomi dei complici. Da quando hanno capito che possono fidarsi di me, gli ho insegnato ad immedesimarsi nella parte, a piangere. Un giorno mentre sette di loro piangevano in scena, gli altri quindici che facevano da spettatori li hanno seguiti scoppiando in un pianto dirotto", ormai "nudi", costretti a fare i conti con se stessi. Il 25 a Rebibbia si proietterà il film Fatti della banda della Magliana di Daniele Costantini. Tra gli attori alcuni detenuti comuni. Anche per loro la recitazione è diventata un modo per uscire allo scoperto, riscattarsi agli occhi della famiglia e della società. Perché le loro sono Tempeste che infuriano dentro.

Rovigo: attori disabili vanno in scena in carcere

 

Il Gazzettino, 18 maggio 2005

 

Teatro e solidarietà arriveranno domani in carcere. Dalle 10, infatti, i detenuti della Casa Circondariale di Via Verdi potranno assistere allo spettacolo "C’è un casa per noi", allestito dalla compagnia "La Combriccola", formata dai ragazzi disabili del Ceod dell’Ulss 18. L’evento si inserisce nell’ampio progetto che vede l’istituzione carceraria, l’amministrazione comunale e l’Ulss lavorare assieme per migliorare la situazione dei detenuti, instaurando diversi canali di comunicazione con il mondo esterno, nell’ottica del recupero della persona. In questo caso, però, si intende realizzare qualcosa di più: il pianeta carcere incontra il mondo dei disabili, e si realizza un’occasione di contatto tra due realtà che, purtroppo, sono spesso ai margini.

L’assessore Gianni Saccardin ha testimoniato che "il lavoro del personale del Ceod è qualcosa che va ben oltre la sola professionalità, e dovrebbe costituire un esempio per tutti noi". "La Combriccola" è un gruppo a formazione flessibile, attualmente composto da una ventina di membri, e sta raccogliendo apprezzamenti un po' ovunque.

Il direttore del carcere di Rovigo, Fabrizio Cacciabue, entusiasta dell’iniziativa, chiama in causa la teoria platonica della coincidenza tra bello e buono, ed evidenzia che "non si tratta soltanto di un’operazione moralmente apprezzabile, ma di uno spettacolo ben allestito, realizzato da un gruppo ben rodato". La realizzazione di "C’è una casa per noi", per la regia di Viviana Larcati, ha visto la collaborazione di Barbara Palugan, Maria Grazia Soncini, Sabrina Pigato e Gisella Oltremari.

Fossombrone: palestra per i detenuti grazie a "Panatta Sport"

 

Corriere Adriatico, 18 maggio 2005

 

Attrezzature sportive, macchinari e pesi sono stati concessi in comodato d’uso gratuito dalla Panatta Sport al carcere di Fossombrone per le palestre dei detenuti. L’iniziativa - riferisce un comunicato - "si è giovata della generosità e sensibilità, sul terreno dell’impegno sociale", dell’azienda e ha avuto come interlocutore la facoltà di scienze motorie dell’Università di Urbino, già impegnata in attività a lungo termine con i reclusi dell’istituto di pena. "Da oggi in poi - dice ancora il comunicato - i detenuti avranno a disposizione attrezzature sportive professionali per svolgere una migliore attività fisica". Si tratta indubbiamente di una notizia molto positiva per i detenuti del carcere di Fossombrone; un modo per rendere più lieve, se possibile, l’espiazione.

Giappone: nuova legge carceraria soppianta codice del 1908

 

Affari Italiani, 18 maggio 2005

 

Ci sono voluti tre anni di dibattiti, ma alla fine il parlamento giapponese è riuscito a mandare in pensione la medievale legge sulle carceri. Oggi, dopo 97 anni, è stata infatti approvata la nuova normativa che, entro un anno, sostituirà l’antico codice, accusato a lungo da varie organizzazioni internazionali e dai reclusi stranieri di gravi violazioni dei diritti umani.

La nuova legge garantisce a tutti i carcerati il rispetto dei diritti umani, riconosce formalmente che la pena mira obbligatoriamente alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento nella società e cerca di incrementare la trasparenza nella gestione dei penitenziari. Tutti aspetti non specificamente contemplati nella legge finora in vigore, approvata dal parlamento imperiale nell’anno 41 dell’era Meiji, cioè nel 1908, e giunta ai giorni nostri praticamente intatta. Scritta in un giapponese aulico, quasi incomprensibile, era sempre stata assunta dalle autorità come base per respingere le accuse di grossolane violazioni dei diritti umani e di discriminazione dietro alle sbarre. A mettere a nudo la situazione di gravi violazioni nei penitenziari giapponesi fu lo scandalo del carcere di Nagoya, rivelatosi un vero e proprio museo degli orrori di violenze e brutalità gratuite delle guardie carcerarie. Un detenuto di 49 anni, era morto nel maggio 2002 dopo che gli era stato applicato per parecchie ore un cinturone di cuoio con le manette, per impedirgli l’uso delle mani a pranzo e al bagno. Un altro carcerato era morto dopo essere stato sottoposto per punizione, spalle al muro, a getti d’acqua ad alta pressione mirati all’ano. "La prigione di Nagoya è stata per anni un covo di sevizie coperto dalle autorità", avevano denunciato le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International, e i partiti di opposizione avevano chiesto le dimissioni dell’allora ministro della Giustizia Mayumi Moriyama, sospettata di non essere intervenuta benché al corrente della situazione. Sull’onda dell’indignazione sollevata dallo scandalo, fu costituita una commissione parlamentare di indagine sulle carceri. La commissione obbligò il ministero della Giustizia a presentare tutta la documentazione disponibile sulle morti in carcere negli ultimi 10 anni. Emerse, in base ai referti medici in gran parte incompleti ed evasivi, che su 1.592 morti, quasi un terzo, 484 casi, erano state morti sospette per possibili violenze delle guardie carcerarie e in 68 casi l’autopsia, ordinata dalle autorità giudiziarie, aveva accertato dirette responsabilità del personale a tutti i livelli.

Non è dato sapere quante di queste morti fossero di cittadini stranieri. Benché accusato spesso in passato da organizzazioni come Amnesty per il trattamento dei reclusi stranieri nelle proprie carceri, il Giappone aveva sempre respinto gli addebiti, affermando che gli stranieri non subiscono alcuna discriminazione rispetto ai carcerati giapponesi ma sono trattati allo stesso modo. L’uso di strumenti di tortura come i cinturoni di cuoio e i getti d’acqua ad alta pressione sono stati espressamente proibiti dal 2003 e la nuova legge approvata oggi obbliga le guardie carcerarie a sottoporsi a corsi di formazione sui diritti umani dei detenuti. Stabilisce inoltre la creazione di commissioni di esperti esterni incaricati di supervisionare la gestione di ogni penitenziario e di organismi indipendenti a cui i detenuti possono rivolgersi per denunciare eventuali maltrattamenti. "Un aspetto su cui purtroppo non possiamo ancora intervenire è il sovraffollamento delle carceri, tutte oltre il 100% delle loro capacità di accoglienza", ha ammesso il portavoce del ministero della Giustizia.

 

 

Precedente Home Su Successiva