Rassegna stampa 21 luglio

 

Teramo: s'impicca detenuto 38enne, è secondo suicidio in 3 mesi

 

Ansa, 21 luglio 2005

 

Un detenuto si è ucciso questa mattina impiccandosi nel carcere teramano di Castrogno. Si tratta di V.D., 38 anni. È il secondo caso avvenuto in pochi mesi nell’istituto di pena di Teramo. Il 23 aprile scorso Domenico Gentile, 56 anni, si impiccò con la cintura dei pantaloni alle sbarre della finestra della sua cella: stava scontando una condanna per tentativo di omicidio con fine pena a giugno 2006 ed era in possesso della cintura perché ritenuto "non a rischio".

Giustizia: dalla Camera via libera definitivo alla legge di riforma

 

Repubblica, 21 luglio 2005

 

L’aula di Montecitorio ha dato il via libera definitivo (con 284 voti favorevoli, 219 no e quattro astenuti) al testo di riforma dell’ordinamento giudiziario. Il voto è stato salutato da un applauso dei deputati della Casa delle libertà. I leader dell’Unione hanno "disertato" il voto finale. Che è stato preceduto da quello sull’articolo due del provvedimento, sul quale il governo aveva posto la questione di fiducia: a favore hanno votato 312 deputati, contro 225.

Nel corso delle dichiarazioni di voto per la fiducia tutti i gruppi hanno preso la parola, fatta eccezione per l’Udc. Un particolare che il capogruppo dei Ds Luciano Violante ha voluto sottolineare a testimonianza di una presunta frattura interna alla Casa delle libertà. Interpretazione che il segretario dell’Udc Marco Follini ha però negato seccamente: "La dichiarazione di fiducia - ha commentato - sta nel voto". La scelta del governo di ricorrere al voto di fiducia è stata duramente avversata sia dalle opposizioni che dall’Associazione nazionale magistrati, che contestano anche i contenuti della riforma. Contro le nuove norme elaborate dal ministro della Giustizia Roberto Castelli i magistrati nei mesi scorsi hanno anche attuato quattro giorni di sciopero.

Giustizia: le novità della riforma, concorsi e funzioni separate

 

Repubblica, 21 luglio 2005

 

La riforma della giustizia varata dalla Camera con il voto di fiducia deve ora essere controfirmata dal presidente della Repubblica, che nel dicembre scorso rinviò il testo di legge al Parlamento. I punti salienti della riforma sono la separazione delle funzioni di giudice e pm, la possibilità di fare carriera più rapidamente attraverso i concorsi, l’azione disciplinare obbligatoria e una norma, particolarmente contestata dall’opposizione, che sembra pensata per sbarrare la strada alla nomina di Giancarlo Caselli alla procura nazionale antimafia.

Separazione delle funzioni. Il concorso per entrare in magistratura resta unico, ma dopo cinque anni di servizio il magistrato dovrà scegliere se fare il pubblico ministero o il giudice. Per cambiare funzione dovrà sostenere un esame orale, frequentare un corso di formazione presso la Scuola della magistratura e ottenere una valutazione positiva. Ma soprattutto dovrà cambiare distretto giudiziario. La scelta poi diventa irrevocabile. Prima delle prove scritte e orali, il candidato dovrà indicare nella domanda, pena l’inammissibilità, se preferisce la funzione di giudice o di pm.

Colloquio psico-attitudinale. Nel primo testo della Camera si parlava di "test psico-attitudinale". Poi si è preferita la versione soft di "colloquio di idoneità psico-attitudinale". Si prevede che l’aspirante magistrato sia valutato anche da un punto di vista psicologico durante le prove orali. È una norma, questa, su cui Forza Italia ha puntato i piedi.

Sistema dei concorsi. Per fare carriera velocemente il magistrato dovrà affrontare concorsi per titoli ed esami. La prova dovrà riguardare la soluzione di un caso pratico. Accogliendo uno dei rilievi di Ciampi, il Senato ha stabilito che sull’esito dei concorsi il Csm avrà sempre l’ultima parola.

Norma anti-Caselli. Approvando un emendamento del senatore di An Bobbio il Senato ha cambiato alcune regole sui limiti di età, per il passaggio agli incarichi direttivi. Nella "tagliola" finirà il procuratore capo di Torino Gianfranco Caselli, che vede così sfumare la possibilità di essere nominato capo della procura nazionale antimafia.

Organizzazione delle procure. Solo il procuratore capo è titolare dell’azione penale: gli atti che incidono sulla libertà personale devono essere assunti con il suo preventivo consenso. Solo lui potrà avere rapporti con i giornalisti. Il procuratore avrà inoltre l’obbligo di segnalare al consiglio giudiziario tutti i magistrati "disobbedienti".

Scuola della magistratura. Ha il compito di gestire la formazione degli uditori giudiziari; organizzare i corsi di aggiornamento professionale; valutare la professionalità dei magistrati; promuovere iniziative di studio e ricerca. I corsi e gli esami della nuova scuola serviranno solo a concedere una idoneità, ma la decisione finale sulle carriere dei magistrati spetterà sempre al Csm: è questo uno dei punti modificati dal Senato per rispondere ai rilievi di Ciampi.

Azione disciplinare diventa obbligatoria. Nella riforma si indicano tutte le infrazioni dei magistrati che faranno scattare il procedimento: dall’iscrizione a partiti o a movimenti politici, fino al rilasciare dichiarazioni o interviste. L’azione disciplinare è esercitata dal procuratore generale presso la Cassazione entro un anno dalla notizia del fatto. Può essere promossa anche dal ministro della Giustizia.

Le nomine. Venendo incontro ai rilievi di Ciampi, il Senato ha eliminato il potere del ministro di impugnare davanti al Tar le delibere del Csm sugli incarichi dei magistrati: tale potere resta solo nei casi in cui i conferimenti di incarichi da parte del Csm presentino vizi di legittimità.

Relazione del ministro in Parlamento. Anche questo punto è stato cambiato in seguito al rinvio di Ciampi. Nella relazione il ministro dovrà presentare le leggi e le riforme che il governo intende far approvare dalle Camere. Sempre su sollecitazione di Ciampi è stato cancellato l’ufficio per il monitoraggio dell’attività dei Pm.

Incarichi extragiudiziari. Più pubblicità per gli incarichi extragiudiziari dei magistrati. Ogni sei mesi sarà reso noto un elenco degli incarichi autorizzati dal Csm: saranno indicati l’ente che conferisce l’incarico e l’eventuale compenso percepito.

Castelli: "Impegno mantenuto"; Fassino: "Ferita grave per il paese"

 

Repubblica, 21 luglio 2005

 

"Ricordo che questa riforma la vuole la Costituzione. E nessuno era riuscito prima di noi a farla. Questo governo e questa maggioranza hanno riportato la centralità del Parlamento. È un altro impegno mantenuto da questo governo". Il ministro della Giustizia Roberto Castelli commenta così il via libera definitivo alla riforma dell’ordinamento giudiziario. "A Costituzione vigente – aggiunge Castelli - questa era il massimo che potevamo fare e lo dimostra il fatto che siamo andati anche oltre visto che il Capo dello Stato ce l’ha rimandata". "Se vogliamo portare il paese al livello degli altri paesi europei più avanzati - conclude Castelli - dobbiamo cambiare la Costituzione". Di tutt’altro tenore le reazioni dell’opposizione. Il segretario diessino, Piero Fassino, parla di "ferita molto grave nell’assetto istituzionale del nostro paese". Per il leader della quercia "i cittadini avranno processi più lenti, una giustizia meno efficiente e meno sicura. Insomma, una giustizia di cui i cittadini avranno paura".

Secondo il verde Alfonso Pecoraro Scanio si tratta di una riforma fatta "per vendicarsi dei giudici che hanno condotto le inchieste contro i politici corrotti". Poi la promessa: "Questa riforma è incostituzionale, quando saremo al governo la cambieremo".

Critici anche i toni dei magistrati. Sia L’Unicost (la corrente di centro), sia Magistratura democratica (la corrente di sinistra), sono unite nel giudizio negativo della riforma. Mentre il procuratore generale Giancarlo Caselli commenta: "È tutta la legislatura che si fanno leggi sulla giustizia che non tengono conto di interessi generali, ma soprattutto di interessi particolari, le cosiddette leggi ad personam. Questa riforma dell’ordinamento giudiziario non si discosta da questa tendenza".

Giustizia: i soliti ignoti che stanno in carcere, di Marco Cafiero

 

Progetto Uomo, 21 luglio 2005

 

Anche questa estate torna l’attenzione dei media sul sovraffollamento degli istituti di pena. E poi? È inutile nascondersi dietro un dito. Ma, forse nessuno tenta più di farlo. La situazione carceraria è esplosiva. Ma non adesso, da sempre, perlomeno da quando io ricordi. Da tempo immemore, ormai, si parla di sovraffollamento, di amnistia o di costruzione di nuovi complessi carcerari come soluzioni possibili all’eliminazione di questo problema.

Leggo un articolo apparso su "La Repubblica" del 4 luglio 2005 dal titolo "Carceri, l’universo che esplode; mai così tanti detenuti: 60 mila". Titolo che, sicuramente, corrisponde alla realtà carceraria del nostro paese.

Mi colpisce come ci sia bisogno di ricorrere ad immagini così crude per sensibilizzare il potere politico a porre rimedio allo sfacelo umano dell’universo carcere. Il modo di proporre una tragedia è sintomo del bisogno di stimolare la comunità esterna a non limitarsi a prendere atto ma agire per far fronte a tutto ciò.

Non posso che condividere tale necessità ma ritengo doveroso ricordare come questa non sia una situazione nuova, ma una realtà che ci portiamo dietro da troppi anni, da troppe legislature, da troppi avvicendamenti di colorazioni diversificate, che si tramandano una pesante eredità.

Tutti concordi nel dire che il "carcere scoppia". Allora arrivano provvedimenti "ridicoli", per usare un eufemismo, come l’indultino, seguito da promesse di amnistie o condoni. Ma intanto nulla cambia. Voglio soffermarmi, però, sul concetto di "patto" di cui parla la direttrice del carcere di Saluzzo. Mi piace poco la denominazione, ma se serve a rendere l’idea accettiamola, senza perdere di vista che quello che definiamo "patto" in realtà è la visione trattamentale della pena introdotta dall’Ordinamento penitenziario del ‘75, corroborata dalla Legge Gozzini. La pena deve tendere alla rieducazione, a prescindere da "patti".

L’ottica riabilitativa della pena risponde alle esigenze di umanità della stessa, in netto contrasto, certo, con la realtà carceraria avente le caratteristiche che l’articolo in questione sottolinea in modo enfatico, quasi rappresentassero una novità. Il carcere è sempre stato così: a mio avviso non è cambiato, ma degenerato.

Perché? Ma sono tanti i motivi, non solo quelli sottolineati. Non dimentichiamo che accanto a tutti i soggetti emarginati, ivi rinchiusi, ed "immeritevoli" di accedere alle misure alternative, ci sono quelli che violano le misure stesse, nonostante siano loro concesse perché ritenuti "meritevoli". Se alcuni reclusi non possono sottoporsi al "patto" altri lo frantumano accrescendo la diffidenza dei Magistrati di Sorveglianza, nonché quella della pubblica opinione, abituata sicuramente a generalizzare ma, comunque, ad acclamare la sicurezza.

A questo punto, poiché è difficile inventare soluzioni ad un problema così complesso a cui, ripeto, nessuno ha voluto mettere mano in modo soddisfacente, propongo, quanto meno, di ristabilire quel clima di fiducia nelle misure alternative, quale reale modalità di pena riabilitativa. Una fiducia che deve partire da chi applica la misura, Magistratura di Sorveglianza, ed arrivare alla società civile che deve integrare ed accogliere chi ha sbagliato.

La tenuta delle misure rappresenta, sicuramente, una possibile soluzione al sovraffollamento carcerario ed il ricorso alle stesse la via per consentire la vivibilità di istituti penitenziari inadeguati al contenimento di una mole di ristretti impressionante. Tutto ciò può avvenire solo con una corretta cultura della pena e consente di aprire un discorso ampio anche sull’indulgenza, nonché sulla edificazione di strutture adeguate e rispondenti ai criteri introdotti dall’Ordinamento Penitenziario.

Sulmona: costruito un "ponte" tra il carcere e gli imprenditori

 

Il Tempo, 21 luglio 2005

 

Una nutrita delegazione di circa quaranta imprenditori di tutto il sistema Confindustria regionale ha incontrato la Direzione dell’Istituto Penitenziario di Sulmona. Il gruppo giovani Imprenditori dell’Aquila, promotore dell’iniziativa, vi ha tenuto una riunione del proprio consiglio direttivo. L’evento ha diverse finalità; la solidarietà a seguito dei violenti ed ingiustificati attacchi registrati a livello nazionale. L’altra etico-morale. Gli imprenditori hanno acquistato un murales il cui ricavato va a finanziare una ludoteca per i bambini dei detenuti. Sono stati formalizzati, altresì, gli accordi per il servizio di dog sitter - il progetto Argo - gestito dal carcere a favore dei clienti degli alberghi del territorio. I quali alberghi applicheranno a favore dei parenti dei detenuti una scontistica particolare. Ed infine sono stati visitati i cinque laboratori artigianali, di cui l’istituto è dotato, per verificare possibili utilizzi da parte di imprenditori esterni. L’evento è scaturito dalla necessità di dare un plauso, un riconoscimento alla Direzione dell’Istituto, particolarmente frizzante e dinamica, che nel complesso, arcaico e, a volte, "borbonico" mondo della pubblica amministrazione dell’intero territorio regionale, sta portando "innovazione" nelle relazioni tra gli stakeholders della comunità. Sta facendo scuola. Per la cultura di rapporti che sta creando con l’apertura del carcere ad una pluralità di eventi, alla comunità. Al territorio. Perché è il territorio che vince.

Larino: anche in carcere nascono iniziative contro il fumo

 

Il Tempo, 21 luglio 2005

 

Nuova importante iniziativa per gli studenti-detenuti della Casa Circondariale di Larino, iscritti all’Itis "E. Majorana" di Termoli. Ieri l’altro alle ore 10.30 hanno ricevuto la visita del dr. Roberto Boffi, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che ha consegnato loro gli attestati di partecipazione al concorso nazionale "Idee in fumo" per il quale i ragazzi hanno prodotto l’originale rap musicale "Sfumiamo", che è arrivato alla finalissima di Milano, ottenendo un lusinghiero secondo posto. Boffi, in una breve relazione aperta agli interventi di tutti, ha illustrato l’importanza di evitare di cadere nella trappola del tabacco, droga e grande business del secolo, rilanciando sempre l’opera di prevenzione.

Ha evidenziato con diversi esempi i gravi danni provocati dal fumo, sottolineando che sia quello attivo che quello passivo sono ugualmente nocivi e da condannare. "Tre sigarette inquinano l’aria più di un motore diesel" è stato uno slogan che ha fatto riflettere molto, così come i risultati della sua inchiesta condotta sugli Eurostar (prima che abolissero completamente le carrozze per fumatori), dai quali è risultato che i vagoni di questi treni erano davvero degli ambienti malsani, tanto da essere stati definiti provocatoriamente delle piccole camere a gas.

Il professore ha parlato anche delle difficoltà che incontra chi cerca di smettere di fumare, affermando che occorre, al di là dei surrogati che possono rappresentare alcuni prodotti come i cerotti oggi in commercio, soprattutto un grande lavoro sulle motivazioni e tanta forza di volontà. Ha quindi fatto i più sinceri complimenti agli studenti per il loro impegno e per la loro creatività, consegnando infine i graditi gadget della trasmissione televisiva "Le Iene", che ha sostenuto attivamente il progetto. Chiaramente soddisfatte dell’incontro la direttrice del carcere dott.ssa Rosa La Ginestra e la prof.ssa Martusciello, che ha coordinato questo lavoro nell’ambito di un percorso disciplinare di educazione alla salute a cui la particolare scolaresca ha risposto molto positivamente. Giuseppe Ciliberto

Caso Crovi: è in affidamento, uccide gioielliere e muore in rapina

 

Secolo XIX, 20 luglio 2005

 

Abano Terme, Padova. Finisce in tragedia il "colpo" di una banda di giostrai in un’oreficeria del centro. Nonostante una condanna definitiva, il malvivente era uscito di cella da quattro giorni. Una tentata rapina, una sparatoria: così, ieri, nel centro di Abano, hanno perso la vita un gioielliere di 64 anni, Gianfranco Piras, e un rapinatore di 30 anni, Emanuele Crovi, già condannato in passato per rapina, arrestato il 20 gennaio scorso perché doveva scontare una pena definitiva di un anno e 10 mesi nel carcere di Treviso, dal quale era invece uscito da quattro giorni. Erano da poco passate le 16 quando un rapinatore è entrato nella gioielleria Piras, dal nome del titolare, già vittima di rapina dodici anni fa. Fuori, altri due, forse tre complici: una banda armata di mitra e pistole. Ma nella zona pedonale della cittadina termale padovana nessuno si rende conto di quello che sta succedendo.

Alla vista dei rapinatori, Gianfranco Piras estrae una Beretta semiautomatica regolarmente detenuta, tenuta a portata di mano nel timore di un’altra rapina. Ma la mossa gli costa la vita: viene raggiunto da un colpo al torace, stramazza a terra. Quando riusciranno a soccorrerlo, è già in fin di vita. I rapinatori, intanto, fuggono, sparando colpi in aria. La gente cerca di fermarli. Dai balconi, fuori lancia vasi di fiori. Tuttavia, i rapinatori riescono a fuggire, utilizzando, sembra, la stessa auto - una vecchia Alfa rossa - con la quale avevano raggiunto la zona. Mentre in tutta la zona vengono disposti posti di blocco e si cercano i fuggitivi con gli elicotteri, Gianfranco Piras muore all’ospedale di Piove di sacco, dove è stato nel frattempo trasportato in condizioni gravissime.

Non si sa ancora che anche uno dei rapinatori è rimasto ferito. Emanuele Crovi - secondo fonti investigative, pregiudicato fin da giovane e affiliato ad una banda di giostrai stanziale a Brugine, sempre nel padovano - è stato ferito mortalmente da un colpo sparato dal gioielliere prima di morire: i complici lo scaricano, agonizzante, davanti all’ospedale di Piove di Sacco. Muore poco dopo durante la rianimazione.

Mentre proseguono le ricerche degli altri rapinatori, ad Abano la gente piange: il gioielliere Gianfranco Piras era conosciuto e benvoluto da tutti, nei bar della zona non parlano d’altro. "Sono sconvolto - dice un barista - è terribile perdere la vita così. Ma le polemiche sono destinate ad aumentare quando si saprà che uno dei rapinatori era appena uscito dal carcere per motivi sconosciuti persino al suo difensore. Che si dice stupito.

Secondo alcune fonti, a scarcerarlo sarebbe stato quattro giorni fa il tribunale del riesame di Venezia, per altre il mutamento di stato potrebbe esser stato deciso dal magistrato di sorveglianza, oppure Crovi potrebbe esser uscito dal carcere per entrare in una comunità di recupero grazie alla legge Gozzini, che prevede misure alternative alle pene detentive brevi per i tossicodipendenti con programma terapeutici idonei. "I meccanismi che possono accorciare una pena definitiva - risponde laconicamente un investigatore - sono molti".

Caso Crovi: Maisto; si rischia di infondere senso di impunità

 

Provincia di Como, 21 luglio 2005

 

Non è un problema di leggi e nemmeno di interpretazioni da parte del magistrato. Per Francesco Maisto sostituto procuratore generale alla procura generale di Milano, il vero nodo da sciogliere è la cattiva gestione del sistema della giustizia. Il caso di Emanuele Crovi, il bandito ucciso martedì nel conflitto a fuoco in cui è morto anche il gioielliere Gianfranco Piras, uscito dal carcere quattro giorni prima per seguire un programma di disintossicazione, non fa altro che confermare il malfunzionamento della giustizia da sempre poco celere nell’esaminare i singoli casi e nell’applicare della certezza della pena.Per uscire dal carcere infatti basta presentare una richiesta per seguire delle cure in una comunità terapeutica. Poi tutto il resto ci pensa la mala-giustizia che con i suoi tempi lunghi, quasi biblici, lascia liberi pericolosi detenuti in attesa che il tribunale di sorveglianza decida o meno se destinarli al carcere o affidarli a una struttura terapeutica.

 

Allora Maisto, il caso di Abano continua a suscitare polemiche. Com’è possibile che una persona così pericolosa venga lasciata libera di rapinare e uccidere?

Il meccanismo messo in atto è quello previsto per legge. La procura aveva firmato l’ordine di scarcerazione in attesa delle decisioni del tribunale di sorveglianza. In casi come questo, il pubblico ministero ha pochi margini di discrezionalità. Il fatto grave è un altro: e cioè che in Italia ci saranno almeno 40mila persone che presentano domanda di affidamento e sono nelle condizioni di liberi sospesi.

 

Sta dicendo che in Italia ci sono tanti potenziali Crovi?

Non credo che il problema debba essere posto in questi termini. Il fatto è che queste persone nelle condizioni di liberi sospesi mettono in una condizione molto grave la giustizia italiana che deve essere celere e deve essere in grado di garantire la certezza della sanzione. E invece non lo è. Ci sono persone già condannate che dopo aver presentato un’istanza simile a quella di Crovi, attendono anche degli anni prima di sapere se devono tornare in cella oppure seguire un programma di riabilitazione. A farne le spese è la giustizia. Non è infatti tollerabile che un numero così alto di persone condannate siano in libertà in attesa delle decisioni del tribunale di sorveglianza. Che tra l’altro non ha responsabilità al riguardo. Così come non è giusto dare la colpa alle leggi che per forza di cose non vengono applicate nella giusta misura.

 

Se non è colpa del tribunale di sorveglianza di chi è la responsabilità?

Il vero problema è che il sistema delle misure alternative non funziona secondo le previsioni di legge. Anche il tribunale di sorveglianza deve essere messo nelle condizioni di provvedere e di espletare in maniera celere tutte le sue funzioni. La legislazione prevede infatti dei tempi molto brevi per l’evasione di queste procedure, al massimo 45 giorni. Ma al lato pratico queste norme non vengono nemmeno prese in considerazione perché nel caso specifico il tribunale di sorveglianza non è riuscito nemmeno esaminare la richiesta e a disporre o meno l’affidamento in una struttura terapeutica.

 

Una cattiva gestione che espone i cittadini a correre sempre maggiori rischi. Che cosa si può fare?

I giudici devono essere messi nelle condizioni di funzionare. Questo vuol dire che gli organici devono essere completi. Anche gli stessi magistrati sono al corrente del problema tanto è vero che la magistratura di sorveglianza si è auto convocata a Fiuggi a ottobre per parlarne. No si tratta né di una ribellione e nemmeno di una rivolta.

 

Quali sono i rischi che si possono correre lasciando liberi così tanti delinquenti pluricondannati?

Il pericolo è che a lungo andare tutto questo porti a un senso di impunità collettivo. C’è gente che muore in carcere e altri che invece non ci vanno mai. La verità è che il sistema di esecuzione delle pene è ormai privo di razionalità e la giustizia non garantisce le regole più elementari. Mario Cagnetta

Caso Crovi: Pecorella; troppa superficialità, andava controllato meglio

 

La Provincia di Como, 21 luglio 2005

 

"Le leggi sono giuste. Forse c’è stata troppa superficialità nell’applicarle". Gaetano Pecorella commenta così la scarcerazione di Emanuele Crovi il detenuto rilasciato che appena quattro giorni dopo ha preso parte alla rapina del gioielliere Gianfranco Piras. La sua difesa nei confronti delle norme è totale. Minore è invece la sua considerazione sull’applicazione dell’articolo 94 sugli stupefacenti. A suo avviso sono ancora troppi i punti oscuri del caso Crovi: poco si sa della gravità della sua tossicodipendenza, meno ancora delle verifiche fatte dal magistrato sulla sua volontà di uscire dal tunnel della droga e della sua pericolosità una volta uscito dal carcere. Di fronte a tutti questi interrogativi lasciar libera una persona così pericolosa è stata una mossa troppo azzardata.

 

Professor Pecorella come valuta le motivazioni sulla scarcerazione di Crovi? È giusto che un pericoloso detenuto possa essere messo nelle condizioni di commettere di nuovo dei reati?

La legge sotto questo aspetto è giusta e anche molto chiara. Sulla base proprio delle disposizioni sono proprio le comunità alle quali vengono affidati i detenuti tossicodipendenti a tenerli sotto custodia. In questo modo si evita che un pericoloso detenuto possa riprendere a delinquere. Il meccanismo ha una sua razionalità. Quello che manca è la previsione di norme più severe per le comunità terapeutiche.

 

Insomma la legge per lei è giusta e va bene così, anche se poi ci sono detenuti come Crovi che quattro giorni dopo la scarcerazione rapinano una gioielleria.

Il problema non è di natura legislativa. La legge una sua funzione ce l’ha. Però non è possibile che una volta che i detenuti tossicodipendenti vengono trasferiti in una struttura terapeutica per tossicodipendenti, queste persone siano libere di andare dove vogliono. La colpa però è anche del magistrato, che avrebbe potuto informarsi meglio sul singolo caso e agire di conseguenza proibendo l’uscita del detenuto dal carcere.

 

La legge prevede però la scarcerazione senza una valutazione del richiedente da parte del magistrato. Secondo lei che cosa avrebbe dovuto fare?

Innanzi tutto non è vero che il magistrato non ha voce in capitolo. Nella mia esperienza di avvocato ho ricevuto diverse respinte in base a delle verifiche fatte dal magistrato. Come prima cosa si poteva vedere che tipo di tossicodipendenza era e poi rivedere le regole di custodia e di controllo in funzione della pericolosità dell’individuo. E infine si doveva dimostrare la volontà del detenuto tossicodipendente di uscire dal suo stato di dipendenza. Mi pare che nel caso specifico ci sia stata troppa superficialità.

 

Una volta accertate queste cose si poteva evitare l’omicidio del gioielliere?

Di sicuro si sarebbero corsi meno rischi. Un conto è essere tossicodipendente e un conto è prendere droga. La tossicodipendenza è una delle cause prime della criminalità. Il detenuto in questione lo scorso anno aveva già dimostrato di non essere intenzionato a farla finita con la droga. Mario Cagnetta

Immigrazione: Bertinotti (Prc); cancelliamo la Bossi-Fini

 

Apcom, 21 luglio 2005

 

"Per costruire una nuova politica dell’immigrazione bisogna cancellare la Bossi-Fini, e costruire per gli immigrati una cultura di cittadini tra i cittadini". Lo ha detto Fausto Bertinotti, segretario di Rifondazione Comunista, durante il faccia a faccia con Massimo D’Alema alla Festa dell’Unità di Firenze. Bertinotti ha anche parlato dei Cpt: "devi dire - ha detto rivolgendosi a D’Alema - che i centri di permanenza temporanea vanno chiusi. Bisogna cancellare un carcere preventivo che è un elemento intollerabile per un paese civile". Il leader comunista ha anche sottolineato come si debba "combattere l’immigrazione clandestina anche perché dobbiamo combattere le organizzazioni che la praticano".

D’Ambrosio: dopo questa riforma la giustizia sarà più ingiusta

 

Ansa, 21 luglio 2005

 

"È andata come doveva andare: malissimo". L’ex di procuratore di Milano, Gerardo D’Ambrosio, intervistato dalla Stampa, commenta l’approvazione della riforma della giustizia. "La giustizia era già ingiusta - afferma D’ambrosio - Ora lo sarà un po’ di più. Perché questa nuova legge affronta di tutto tranne che il punto principale della questione: la lentezza del processo. E se la giustizia arriva troppo tardi non é giusta né per l’innocente né per il colpevole. Questa é una riforma che riguarda tutti perché riguarda l’assetto della giustizia e intrinsecamente la stessa democrazia. La prima cosa che stupisce è che per una riforma di così vasta portata e interesse si sia fatto ricorso alla fiducia e si siano contingentati i tempi per l’opposizione. Una riforma che coinvolgerà l’amministrazione della giustizia per il futuro non doveva essere fatta a colpi di maggioranza". L’aspetto più negativo? "Il fatto che fin dall’inizio questa riforma ha assunto un aspetto punitivo nei confronti dei magistrati e soprattutto dell’indipendenza mostrata dalla magistratura in ben note inchieste. È davvero inquietante. E la riprova si ha nel fatto che il cosiddetto maxi emendamento all’ordinamento giudiziario fu stabilito il 7 marzo del 2003, cioè appena un mese dopo il rigetto a Brescia del ricorso di Berlusconi per legittimo sospetto dei procedimenti che riguardavano lui e Previti". "Questa nuova riforma riporta l’amministrazione della giustizia a prima del 1958, quando ancora risentiva delle influenze del ventennio fascista: interferisce sulle scelte dei capi degli uffici, dà al ministro più potere disciplinare, intimidisce i pm. Non reintroduce direttamente il controllo dell’esecutivo sui giudici ma ne crea i presupposti più pesanti. È da abolire al più presto", conclude l’ex procuratore.

Viterbo: udienza per causa di lavoro viene rinviata, tenta il suicidio

 

Il Tempo, 21 luglio 2005

 

Antonio Ricchiuto, da tempo in causa con un’azienda ceramica, ha provato a impiccarsi in Tribunale. Mattinata movimentata, ieri, al Tribunale di Viterbo, per il tentativo di suicidio messo in atto da un ex operaio della ceramica Brunelli di Civita Castellana. Antonio Ricchiuto, 60 anni, residente a Fabrica di Roma, appreso che l’udienza per la sua vertenza di lavoro che si doveva tenere davanti al giudice Pascolini era stata rinviata al 5 ottobre prossimo, dopo aver scambiato alcune parole con il suo legale, l’avvocato Enrico Picchiarelli, ha legato una corda alla scalinata in ferro tra il piano terra ed il primo piano dell’ingresso principale del Palazzo di Giustizia e si è infilato il cappio al collo, lasciandosi penzolare nel vuoto.

Fortunatamente alcune persone ed un operaio addetto alla manutenzione dell’ascensore, resisi conto di quanto stava accadendo, hanno afferrato l’uomo riuscendo a togliergli la corda dal collo. Immediatamente sul posto è intervenuta l’equipe medica del 118, che dopo le prime cure ha trasferito l’uomo all’ospedale di Belcolle. Antonio Ricchiuto è stato, anche recentemente, proprio davanti al Tribunale di Viterbo, protagonista di gesti clamorosi.

Circa una ventina di giorni fa, infatti, per protestare contro il suo licenziamento dopo 22 anni di lavoro, si legò, issando un cartellone in cui esponeva le sue ragioni. Ancora prima, sempre per protesta contro l’avvenuto licenziamento, aveva presentato diversi esposti alla Procura della Repubblica di Viterbo e inscenato proteste a Civita Castellan. Ieri, forse in preda alla sconforto, dopo il rinvio dell’udienza, ha messo in atto il tentativo di suicidio. A. B.

Giustizia: Riviezzo (Anm); così hanno voluto punire i magistrati

 

Repubblica, 21 luglio 2005

 

Ieri è stato "un giorno triste per la giustizia". Lo dice il presidente dell’Anm, Ciro Riviezzo, intervistato da Repubblica sull’approvazione del ddl di riforma dell’ordinamento giudiziario ieri alla Camera. "In realtà è evidente per tutti che la riforma ha un intento punitivo nei confronti delle toghe", dice Riviezzo, secondo cui la riforma Castelli "trasforma le toghe in burocrati". "I cittadini saranno meno garantiti nella tutela dei loro diritti", aggiunge. Quanto alle accuse di Silvio Berlusconi contro i "pm di sinistra", "quella di Berlusconi è un’accusa che nella sua genericità delegittima le toghe e getta discredito sulle istituzioni e sullo stato".

Brescia: protocollo d'intesa per il progetto "Lavoro in carcere"

 

Redattore Sociale, 21 luglio 2005

 

Anche catalogare pratiche pubbliche può dare un senso di libertà. Soprattutto se sei un detenuto in carcere. È stato presentato questa mattina alla Provincia di Brescia "Carcere e Lavoro", un progetto per favorire esperienze lavorative all’interno degli istituti penitenziari. L’iniziativa coinvolgerà 16 persone ospitate nei carceri della Provincia di Brescia, che saranno impegnate per un anno a inserire nei computer il materiale cartaceo in giacenza negli uffici della pubblica amministrazione. "Le nostre proposte hanno un duplice obiettivo – commenta Roberto Arturi, assessore al Lavoro -. Formiamo i detenuti perché una volta usciti dal carcere abbiano un bagaglio di competenze spendibili, ma cerchiamo anche di far entrare il lavoro in carcere perché non perdano il contatto con la vita ordinaria". "Carcere e lavoro" si inserisce nel Protocollo d’intesa che la Provincia di Brescia ha stipulato il 7 luglio scorso con la Direzione della Casa circondariale, l’associazione Carcere e Territorio e la Fraternità servizi s.c.s., un’onlus di Opitaletto (Bs).

"Abbiamo deciso di fare sistema attorno ad un unico obiettivo - spiega Roberto Arturi, -: dare la possibilità di lavorare a chi non ne ha più. Ma il primo impegno è stato quello di creare il protocollo". L’impegno della Provincia non si limita ad una firma: sono già stati stanziati 180 mila euro per garantire le iniziative a favore del reinserimento lavorativo dei detenuti. Ma l’attenzione alle fasce deboli non è una novità: l’assessorato al Lavoro negli ultimi 5 anni ha finanziato i propri Centri per l’impiego delle persone svantaggiate con oltre 400 mila euro.

Oltre all’intervento economico, il protocollo prevede il coinvolgimento di uno staff per monitorare e coordinare i detenuti, fornendo loro assistenza tecnica e informatica. Il Protocollo d’intesa impegna istituzioni pubbliche e associazioni non profit a creare opportunità di lavoro all’interno degli istituti penitenziari bresciani, dove sono già attivi dal 2001 gli sportelli di orientamento, uno strumento che mette in contatto imprese artigianali, cooperative e detenuti. "Pochi giorni fa abbiamo approvato un provvedimento per organizzare corsi di riqualificazione sociale, "Dall’esclusione all’inclusione" - conclude Arturi -. Ora stiamo cercando imprese, commercianti e laboratori disposte ad assumere persone che hanno già espiato la pena, ma siamo solo all’inizio".

Brescia: buoni i risultati dello "Sportello lavoro" nato nel 2001

 

Giornale di Brescia, 21 luglio 2005

 

Per il detenuto Adriano Sofri che esce dal carcere "Don Bosco" diretto alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove lavorerà alla catalogazione di alcuni fondi privati, si pestano i piedi giornalisti, fotografi e operatori televisivi. Al detenuto che ripara sciacquoni e rubinetti all’interno della casa circondariale di Canton Mombello, invece, spettano al massimo i ringraziamenti di chi non ne poteva più di quell’irritante sgocciolio.

Sono, certamente, le regole dell’informazione, ma anche l’estremizzazione di un problema - quello del lavoro in carcere e dei carcerati - serio, grave e non meno bisognoso di interventi della piaga-sovraffollamento. A questo proposito, la casa circondariale di Brescia versa peraltro in condizioni che non è esagerato definire drammatiche: Canton Mombello, che ha posto per 221 detenuti, finisce con l’ospitarne oltre cinquecento (oltretutto di trentadue ceppi linguistici) - il livello di "tollerabilità" si aggira intorno ai trecento reclusi -, mentre a Verziano i posti sono 70 e la situazione e decisamente più sopportabile, non superando i carcerati (in gran parte donne) il numero di 120.

Un problema per volta. Il lavoro: su una popolazione nazionale di 60 mila reclusi, soltanto dodicimila hanno un’occupazione; di questi, 10.500 l’hanno trovata all’interno dei penitenziari, ricorda il presidente dell’associazione "Carcere e territorio" (e docente di criminologia nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Brescia) Carlo Alberto Romano, intervenuto ieri mattina - nella sede di via Cefalonia della Provincia - alla presentazione del progetto "Lavoro in carcere".

Sono elettricisti e idraulici, aiuto cuochi e uomini delle pulizie, spiega Angelo Russo, responsabile dell’area Educazione di Canton Mombello (e scrittore): "Si fa quel che si può, anche perché il Ministero ha ridotto le ore di lavoro. Del resto, con 200-250 euro al mese non si va tanto lontano: altro che aiutare la famiglia, figuriamoci pensare di poterla mantenere".

L’unica, così, è sperare nei colpi di genio, come quello occorso qualche tempo fa a Giuseppe Magni, consigliere personale del ministro della Giustizia Roberto Castelli: una fabbrica di scarpe e camicie all’interno dell’istituto penitenziario di Sulmona per dare un lavoro a cinquanta detenuti, con un compenso di 650 euro al mese ("uno stipendio dignitoso", aveva dichiarato a suo tempo Magni); a un periodo di formazione per i detenuti è seguita la commercializzazione dei prodotti realizzati. Dalle scarpe e le camicie ai vini: "Quarto di Luna" e gli allusivi "Fuggiasco" e "Le sette mandate", prodotti dai detenuti della casa circondariale di Velletri, sono stati presentati nell’aprile dello scorso anno al Vinitaly di Verona, la più grande mostra italiana di prodotti vitivinicoli, in uno stand offerto gratuitamente dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Lazio. E se i "call center" inaugurati nei carceri di San Vittore e Bollate offrono ai reclusi un lavoro più "normale", forse troppo (quanti lavoratori dei call center si lamentano di essere trattati come detenuti), più creativo è sicuramente il progetto "Api in carcere", nato nel 2000 - dopo l’esperienza pilota di Pianosa - su iniziativa dell’Amministrazione penitenziaria in collaborazione con la Federazione apicoltori italiani. L’Amministrazione, oltre a mettere a disposizione appezzamenti di terreni e locali, si preoccupò di acquistare le arnie, gli sciami e le attrezzature per la lavorazione del miele, mentre la Federazione apicoltori organizzò i corsi di formazione professionale teorico-pratica.

In alcune realtà delle dodici coinvolte - da Gorgona a Castelfranco Emilia, da Venezia a Terni - si è raggiunta la rispettabile produzione di circa 400 chilogrammi di miele, venduto al personale dipendente dell’Amministrazione carceraria. A Brescia un ruolo di tutto rispetto ha ricoperto e continua a ricoprire lo "Sportello lavoro", nato su ispirazione del privato sociale e gestito da "Carcere e territorio", l’associazione presieduta da Romano e fondata nel 1997 dal compianto magistrato Giancarlo Zappa. L’iniziativa prese il via nel settembre 2001, quando la Provincia firmò con l’associazione un’intesa per la gestione di un ufficio che si occupasse del lavoro per detenuti e ex detenuti. In precedenza - ha ricordato in una precedente occasione il professor Romano - "per trovare lavoro ai carcerati ci si basava sulle conoscenze personali; ad accogliere ospiti ed ex ospiti delle carceri erano soprattutto le cooperative sociali e le imprese artigianali, supplendo alle carenze delle industrie, più restie all’accoglienza nonostante le associazioni di categoria avessero firmato il protocollo di intesa sul lavoro carcerario". Altri problemi da affrontare e risolvere: il timore degli imprenditori di accollarsi un detenuto o un ex detenuto, e gli inevitabili ostacoli burocratici.

Brescia: detenuti archivieranno i file dei Centri per l’impiego

 

Giornale di Brescia, 21 luglio 2005

 

A volte senza una casa, senza una professione "pulita" e privi di una rete di amici e conoscenti alla quale appoggiarsi. L’uscita dal carcere, per molti detenuti, si rivela spesso ad alto rischio di una "ricaduta". Creare opportunità di lavoro all’interno degli istituti di pena "non permette certamente di neutralizzare il problema della recidività, ma di abbatterlo significativamente", ha detto il presidente della Provincia Alberto Cavalli alla presentazione del protocollo di intesa sul progetto "Lavoro in carcere". L’accordo è stato siglato con la direzione della casa circondariale, l’associazione "Carcere e territorio" e la cooperativa sociale onlus "Fraternità servizi" di Ospitaletto. Palazzo Broletto finanzia l’iniziativa con uno stanziamento di 180 mila euro per il biennio 2005-2006: "Tengo a sottolineare che non si tratta di un binario morto, ma di un progetto di eccellenza", ha proseguito Cavalli. Dalla fine del ‘99 la Provincia ha assunto la responsabilità dei Centri per l’impiego, che hanno la necessità di archiviare in digitale gran parte della propria documentazione: ebbene, saranno alcuni detenuti di Canton Mombello a realizzare l’informatizzazione dei documenti.

L’assessore Roberto Arturi ha spiegato che sarà il settore Lavoro della Provincia a fornire lo staff che insegnerà l’utilizzo dei software. In futuro saranno individuati luoghi e modalità del lavoro anche all’esterno del penitenziario. Cavalli non si nasconde che "la situazione del carcere non è felice, a causa delle carenze strutturali e di organico": a Canton Mombello le celle arrivano a ospitare in pochi metri quadrati una decina di persone. Ma "poiché la condanna prevede pena e rieducazione", ci si deve occupare delle possibilità di reinserimento quanto delle condizioni di vita all’interno. "Il lavoro è elemento nodale: si tratta di un fine costituzionalmente protetto. Nonostante questo, l’Amministrazione carceraria non è mai stata in grado di fornirlo": il professor Carlo Alberto Romano, presidente dell’associazione "Carcere e territorio", si è detto così "felice che oggi si stia implementando una convenzione triennale per sviluppare il lavoro in carcere attraverso gli enti locali". Alberto Fedeli, amministratore delegato di "Fraternità servizi", ha spiegato che, dopo le prime stime da parte della direzione del carcere, la cooperativa svolgerà valutazioni sulle attitudini e le capacità personali, perché il lavoro risponda ai canoni di produttività del mondo esterno. La direttrice della casa circondariale Mariagrazia Bregoli ha sottolineato che aiutare i detenuti a imparare una professione "innalza il livello della loro autostima e serve a sensibilizzare l’opinione pubblica", mentre Grazia Ziliani, che dirige il Settore Lavoro della Provincia, ha ricordato come il numero di detenuti partecipanti al progetto - una decina - sia destinato a crescere. Per ora l’intesa prevede il coinvolgimento dei soli detenuti uomini di Canton Mombello; è però allo studio il progetto di costituire un laboratorio informatico anche per le donne recluse a Verziano.

Sara Centenari

Venezuela: traffico di armi e droghe, destituiti 16 direttori

 

Ansa, 21 luglio 2005

 

Sono almeno 16 i direttori di istituti penitenziari destituiti negli ultimi mesi per la "loro incapacità nel controllare il traffico di armi e droghe rinvenute tra i detenuti" dopo perquisizioni fatte dal ministero dell’Interno e della Giustizia. A rivelarlo è lo stesso ministro Jesse Chancón. Tre di questi sono sotto processo penale davanti alla Procura. L’Equipo de Reacción Inmediata da 4 mesi ha l’incarico di fare ispezioni periodiche nei 30 istituti penitenziari del Paese, e ha rinvenuto: 112 pistole, 104 revolver, 45 mitragliette, 289 "chopos" (armi fatte in casa), 59 granate, una mitragliatrice, più di 8.000 proiettili, 7.500 sacchetti di marijuana, 2.300 di cocaina e 4.200 di crack. "Fino a che ci saranno armi da fuoco in mano ai detenuti e droghe per placare il vizio e riempire il tempo libero, sarà difficile possa esserci una settimana in pace", ha detto Chancón sottolineando come l’obbiettivo del Governo sia quello che "nel sistema carcerario si rispettino, innanzi tutto, i diritti umani dei detenuti". Il sistema penitenziario venezuelano "ospita" 19.383 detenuti, nel 2004 i morti per fatti violenti sono stati 327 e 655 sono stati i feriti.

Pescara: presto proposta legge regionale su garante  dei detenuti

 

Il Messaggero, 21 luglio 2005

 

Una proposta di legge regionale, per l’istituzione di un garante per le persone sottoposte a misure restrittive e non solo. È quella che il Partito di Rifondazione comunista proporrà all’esame del Consiglio regionale entro il prossimo mese di settembre.

L’annuncio è stato dato dal capogruppo al Prc in Consiglio regionale, Daniela Santroni, dall’assessore alle Politiche sociali, Betti Mura, dal segretario regionale, Maurizio Acerbo e da quello provinciale, Giulio Petrilli, al termine di una visita nel carcere di massima sicurezza di Preturo dove sono rinchiusi oltre cento detenuti ristretti al regime "duro" del 41 bis insieme ad una cinquantina di detenuti comuni. "Da oggi - ha detto la Santroni - apriamo un percorso che ci può condurre ad una serie di colloqui con gli operatori di settore, con i direttori di carcere, con i volontari, per iniziare con loro un percorso di interlocuzione, di ascolto che possa prevedere in autunno l’istituzione di un ufficio del garante". Per i rappresentanti del partito di Rifondazione comunista, occorre innanzitutto fare uno screening all’interno degli otto istituti penitenziari presenti in regione per valutare problemi e cercare delle soluzioni.

Per l’assessore Mura è importante che l’Abruzzo dimostri di essere una regione civile. Mura ha sostenuto la necessità di portare l’Abruzzo a livello di molte regione italiane, maggiormente impegnate nelle azioni a favore dei detenuti. Gli esponenti del Prc hanno sottolineato che si tratta della prima di una serie di iniziative tese a costruire una politica regionale sulle carceri.

Padova: lotta al tabagismo nel carcere Due Palazzi

 

Adnkronos, 21 luglio 2005

 

Una proposta di intervento per assistere i detenuti tabagisti che vogliono smettere di fumare. È l’idea del Circolo ‘Mariannà di Legambiente, formato da detenuti del carcere Due Palazzi di Padova. Iniziato il 22 giugno scorso, il progetto, il primo in tutt’Italia, ha visto coinvolti 11 detenuti. La volontà sarebbe, spiega Legambiente in una nota, di ampliare l’iniziativa ad altre realtà penitenziarie. "È noto che il carcere per molti aspetti è causa di rischi aggiuntivi per la salute fisica e psichica dei detenuti e frequenti sono le malattie bronco-pneumopatie croniche ostruttive - ha spiegato il presidente del Circolo ‘Mariannà di Legambiente, Marco Marastoni - I problemi ambientali costituiscono pertanto il primo campo di intervento per la tutela della salute dei detenuti e di chi lavora all’interno dei penitenziari".

Ad alcuni detenuti con scarsissime risorse economiche sotto stati consegnati dei campioni gratuiti di cerotti alla nicotina, che servono per superare i malesseri dell’ astinenza durante i primi giorni. "Una difficoltà non piccola, per il successo del progetto, è quella di ordine economico - ha continuato Marastoni - infatti i cerotti di nicotina hanno un costo non indifferente e non sono mutuabili. Contiamo di portare a termine questo primo progetto pilota e di poterlo estendere ad altre realtà penitenziarie".

Seac: luci e ombre ordinamento penitenziario che compie 30 anni

 

Comunicato Stampa, 21 luglio 2005

 

Martedì prossimo 26 luglio si terrà a Roma un incontro dal titolo "26 luglio 1975: trent’anni dalla riforma dell’ordinamento penitenziario, l. 354" organizzato dal Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario – Seac per fare il punto su una legge che condizionato la vita delle persone detenute nel nostro Paese. L’incontro, che inizierà alle ore 11,30 alla Sala Grande dell’Hotel Bologna (Senato) in via Santa Chiara, vedrà la presenza di Alessandro Margara (ex presidente del tribunale di sorveglianza di Firenze ed ex direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), di Federico Palomba (ex direttore generale del Dipartimento Giustizia Minorile), di Emilio Di Somma (attuale vice capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), di Celso Coppola (ex dirigente di servizio sociale del Ministero della Giustizia), di Giovanni Conso (ex Ministro della Giustizia), di Elisabetta Laganà (presidente Seac) e di molti altri ospiti che hanno un ruolo importante nel complesso mondo dell’esecuzione penale. Il tutto sarà coordinato da Livio Ferrari (fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ed ex presidente nazionale del Seac).

"La riforma nacque con più timori che fiducia – rileva Alessandro Margara – un nuovo modello di carcere veniva concesso ad una organizzazione penitenziaria vecchia".

"Tra innovazioni e limiti – afferma Celso Coppola – la riforma ha avuto sia punti di eccellenza che regressioni, lasciando sopravvivere nicchie e tradizioni intollerabili. La riforma ha molti limiti e non è stata attuata in diverse sue parti, si è dibattuta spesso in un’alternanza di conquiste, arretramenti, incertezze e contraddizioni".

"Il carcere purtroppo – sottolinea Livio Ferrari – è diventata la risposta principale dello Stato ai problemi sociali, che ha rinunciato ad affrontare. Malati psichici, tossicodipendenti, stranieri irregolari, alcolisti, sieropositivi, e barboni popolano in numero sempre maggiore le carceri italiane, a fronte di una repressione che si esprime solo nei confronti dei più deboli. Si può parafrasare: dallo stato sociale allo stato penale". "Il carcere è ingestibile – conclude Margara – l’attuale sovraffollamento lo dimostra e la sua riforma sembra sempre più lontana".

 

Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario - SEAC

Via Aurelia, 773 – 00164 Roma – Tel. 06/483332 – Fax 06.47481239

volont.giustizia@tiscali.it - www.volontariatogiustizia.it

Bologna: Amnesty International; Dozza esplode, allarme malattie

 

Ansa, 21 luglio 2005

 

Si aggrava soprattutto il problema del sovraffollamento, tanto che l’Ausl di Bologna, nel rapporto semestrale relativo ai primi sei mesi del 2005, parla esplicitamente di "collasso dell’intera struttura carceraria": sono 1030 le persone attualmente recluse nella casa circondariale (di cui 555 extracomunitari), più del doppio rispetto all’effettiva capienza della struttura,che potrebbe ospitarne solo 437.

Lo spazio per tutti non c’è, ma lo si trova lo stesso, installando, per esempio, letti a castello nelle celle singole, che vengono così "condivise" da due o tre persone. Quanto ai pasti, anche questi si consumano in cella, assieme ai compagni: alla fine le stoviglie si lavano nel bagno comune. "Una situazione - denuncia oggi Vito Totire, responsabile per l’Emilia Romagna del movimento Medicina Democratica, presentando, come fa puntualmente ogni sei mesi, i numeri di questo ‘disastrò- che sconfina nel maltrattamento.Per questo abbiamo scritto ad Amnesty International e alla corte europea dei diritti dell’uomo. Se lo Stato ha deciso tenere in prigione queste 1030 persone, deve garantire loro standard di vita umani". Ai problemi del sovraffollamento si aggiungono quelli sanitari: quattro casi di tubercolosi, sette di scabbia, 277 tossicodipendenti, 20 persone Hiv positive, 95 affette da epatice C. "Nel rapporto - osserva Totire - si cita una convenzione ospedaliera, che fino ad oggi non abbiamo mai visto e che, come ci ha confermato una dottoressa dell’Ausl, non andrebbe avanti per mancanza di disponibilità economiche".

Bologna: Medicina Democratica; affollamento e carenze sanitarie

 

Redattore Sociale, 21 luglio 2005

 

Sovraffollamento, carenze igienico sanitarie, niente educatori professionali o assistenti sociali, presenza di barriere architettoniche e mancata vigilanza dell’Ausl sul cpt. Sono questi i problemi delle carceri bolognesi sollevati da Medicina Democratica e confermati anche dal Dipartimento di sanità pubblica dell’Ausl di Bologna nel suo rapporto relativo al primo semestre 2005, dove si legge che "i letti a castello installati nelle celle singole attualmente occupate da due o tre persone aggravano le condizioni di vita dei reclusi alla Dozza riducendo al collasso l’intera struttura carceraria".

Attualmente, le persone detenute nella casa circondariale della Dozza sono 1.030 (di cui 602 sono immigrate e 121 donne), a fronte di una capienza di 437 posti e di 932 reclusi che erano nell’ultimo semestre del 2004. Sul versante sanitario, si registrano quattro casi di tubercolosi e sette di scabbia, i detenuti tossicodipendenti risultano 277 e 20 le persone affette dal virus dell’Hiv. "Inoltre solleviamo perplessità in merito a due questioni - spiega Vito Totire, del circolo "Chico" Mendes e rappresentante di Medicina Democratica -: quella relativa alla convenzione ospedaliera che non va avanti per mancanza di fondi e quella che riguarda il "repertino" psichiatrico che consta di quattro posti letto, visto il dibattito che ruota attorno al possibile superamento degli opg. Infine un’ultima osservazione: nel rapporto dell’Ausl manca qualsiasi dato relativo al numero dei detenuti impegnati nelle attività lavorative".

Per quanto riguarda l’istituto penale per minori del Pratello, invece, a fronte di una capacità ricettiva di 12 persone, la struttura ospita 20 ragazzi di cui solo uno è italiano. Qui manca l’assistente sociale, il cortile non è sufficientemente spazioso per poter svolgere attività sportive come basket o pallavolo e il fatto che il carcere minorile sia in ristrutturazione "ha peggiorato la situazione degli spazi disponibili, rispetto all’ispezione precedente, per via delle cattive condizioni di manutenzione dei locali e del sovraffollamento delle celle", si legge nel rapporto dell’Ausl.

"Le carceri devono cessare di essere terra di nessuno dove i diritti delle persone rimangono ibernati - commenta Vito Totire -. Gli istituti penitenziari devono essere ricondotti alla dinamica secondo cui le incongruenze riscontrate devono essere sanate al più presto. Altrimenti le visite ispettive di tecnici e politici diventano vuote e inefficaci". Medicina Democratica chiede inoltre una composizione maggiormente multi disciplinare dell’équipe dell’Ausl che visita le carceri, in modo da poter valutare anche la situazione delle persone in regime di semilibertà, e quindi occupate, alla luce della sicurezza sul lavoro. Ma la polemica maggiore si scatena sui cpt. "Anche i centri di permanenza temporanea, che andrebbero comunque sciolti, dovrebbero essere sottoposti alla vigilanza delle Aziende sanitarie locali - propone Vito Totire -, così come avviene per qualsiasi locale pubblico e per tutte le prigioni". Il rappresentante di Medicina Democratica ha poi denunciato che, tranne Bologna, nessun Dipartimento di Sanità pubblica delle nove Asl dell’Emilia Romagna ha risposto alla loro richiesta di ricevere il rapporto sulle altre carceri presenti in regione.

Argentina: conclusa rivolta dei detenuti nel carcere di Mendoza

 

Adnkronos, 21 luglio 2005

 

Si è conclusa solo questa mattina una lunga rivolta dei detenuti del carcere di Mendoza. Per alcune ore una quarantina di reclusi hanno preso in ostaggio una guardia per chiedere miglioramenti nella loro condizione carceraria. La rivolta era partita ieri sera alle 19 ora locale nel padiglione numero 10, dove 41 giovani di 18 e 19 anni hanno avviato la protesta sequestrando un secondino.

Immigrazione: Antigone; proposta legge per superamento cpt

 

Redattore Sociale, 21 luglio 2005

 

Un intervento limitato alla modifica degli aspetti repressivi del Testo unico sull’immigrazione, a partire da cpt e centri d’identificazione per richiedenti asilo, consapevoli della necessità di una riforma organica delle politiche per l’immigrazione in Italia. Questi gli obiettivi della proposta di legge presentata oggi a Roma dall’associazione per i diritti dei detenuti "Antigone".

La proposta di legge non è ancora stata presentata in Parlamento, ma si sono già detti disponibili a firmarla nei prossimi giorni diversi parlamentari dell’opposizione: Carlo Leoni, Alba Sasso, Katia Zanotti (Ds), Giuseppe Fanfani (Margherita), Giuliano Pisapia, Giovanni Russo Spena, Elettra Deiana (Prc), Marco Boato, Mauro Bulgarelli (Verdi), Enrico Boemi (Sdi) e Gabriella Pistone (Comunisti italiani). Considerata la lentezza della macchina parlamentare e le molte posizioni favorevoli ai cpt, presenti nel centro destra e come nel centro sinistra, ben difficilmente la discussione del testo sarà calendarizzata prima di fine legislatura. "Siamo consapevoli che sicuramente non avrà vita lunga parlamentare - ha dichiarato in un’intervista Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone - ma vogliamo togliere un argomento a chi sostiene che è inevitabile avere i cpt e che non ci sono soluzioni alternative."

E le soluzioni alternative consistono innanzitutto nel superamento della detenzione amministrativa coatta dello straniero irregolare non identificato e in via di espulsione attraverso il vecchio istituto della "sorveglianza speciale". La persona destinataria di un provvedimento di espulsione non avrebbe che da dichiarare il domicilio eletto in pendenza del procedimento di espulsione, dove essere rintracciabile in certe ore del giorno. La detenzione nei cpt diverrebbe facoltativa e riservata a chi decida, non avendo domicilio, di eleggerlo presso tali strutture. Inoltre l’esecuzione del decreto d’espulsione sarebbe sospesa finché il provvedimento sia soggetto a gravame e, in caso di ricorso, fino all’udienza fissata. Per i centri d’identificazione per richiedenti asilo la modifica propone la loro chiusura unitamente all’abrogazione delle disposizioni relative all’immediata esecutività del provvedimento d’espulsione a seguito del diniego dello status di rifugiato. Fra le altre proposte, l’aumento da 60 a 90 gg. del termine per poter chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto senza che scatti l’espulsione e l’eliminazione dell’inderogabilità del limite minimo di 10 anni per il rientro in Italia degli espulsi, a discrezione del giudice e in base alla condotta dello straniero. Prevista anche l’abrogazione delle norme che regolano l’espulsione come misura di sicurezza a fine pena.

Per Mauro Bulgarelli (Verdi) non si può "affrontare il tema dei cpt solo dal punto di vista dei diritti di chi vi è detenuto" ma è "la struttura in sé che è malata, e ci pone un problema più ampio sulle politiche dell’immigrazione". Elettra Deiana (Prc) si dice pronta a firmare la proposta, ma ricorda che intervenire solo sulle emergenza cpt rischia di produrre "una risposta poco congrua rispetto alle grandi questioni giuridiche e costituzionali che sono alla base delle critiche ai cpt". Sulla stessa linea Alba Sasso (Ds) e Giovanni Russo Spena (Prc) per i quali la prossima legislatura dovrà riscrivere il Testo unico. (Gabriele Del Grande)

Usa: negati i medicinali ai detenuti di Guantanamo

 

Ansa, 21 luglio 2005

 

Gli avvocati di diversi prigionieri del campo nella Base di Guanatanamo hanno denunciato venerdì 15 un militare statunitense responsabile dell’ospedale della prigione, perché nega i medicinali ai detenuti che "non cooperano" negli interrogatori, ha informato PL.

Gli avvocati hanno denunciato il Capitano di marina John Edmonson, responsabile del fatto che i medici della base negano i medicinali ai detenuti. Il Tribunale Federale degli USA ha autorizzato lo svolgimento dei processi per alcuni prigionieri reclusi nella base, illegalmente occupata nella zona orientale di Cuba. Un gruppo di tre giudici ha stabilito all’unanimità che Salim Ahmed Hamdan accusato di essere l’autista del capo di Al Qaeda, Osama bin Ladin, dovrà essere processato da un tribunale militare. Più di 520 prigionieri delle guerre in Afganistan e in Iraq sono mantenuti in un questo limbo legale dal Pentagoni senza poter vedere un avvocato e senza diritto a un processo, mentre sono sottoposti a un trattamento disumano e a torture.

Il quotidiano La Prensa, di New York, ha affermato che Guantanamo è un peso per gli Stati Uniti e la sua prigione è diventata un simbolo per il resto del mondo della loro arroganza e del loro disprezzo. "Devono chiudere la prigione!", sottolinea il giornale, che ha denunciato anche che il fatto ancora più inquietante è che la maggioranza dei prigionieri è stata arrestata più tre anni fa, e non conosce le accuse imputate.

 

 

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