Rassegna stampa 20 luglio

 

Giustizia: su riforma ordinamento oggi alla Camera voto di fiducia

 

Adnkronos, 20 luglio 2005

 

Il governo ha posto la questione di fiducia sull’articolo 2 della riforma dell’ordinamento giudiziario, nel testo proposto dalla commissione e già approvato dal Senato. L’annuncio è stato dato ieri dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi. Ieri mattina l’assemblea di Montecitorio ha approvato a maggioranza l’articolo 1. Il voto di fiducia è previsto per oggi alle 16 alla Camera, secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Alle 14 avranno inizio le dichiarazioni di voto. Subito dopo la fiducia, si passerà al voto finale sul provvedimento e a nome dell’Unione dovrebbe parlare un unico portavoce, che potrebbe essere Marco Boato.

La decisione di porre la fiducia, intanto, ieri è stata contestata a più riprese dai banchi dell’opposizione. "È indecente che il governo debba ricorrere al voto di fiducia per un provvedimento di tale e devastante portata come la riforma dell’ordinamento giudiziario", ha affermato il segretario dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto, secondo il quale "è il chiaro segnale del completo sfaldamento della maggioranza, incapace di reggere i suoi stessi accordi di potere". "Nel merito del provvedimento - ha aggiunto Diliberto - va solo detto che è un altro, ennesimo, tassello di quei tanti colpi di piccone inferti alla Costituzione repubblicana in questi anni di governo Berlusconi, nonché un altro pesante attacco all’autonomia della magistratura".

"La Cdl prosegue come un panzer nell’opera di demolizione della magistratura e della sua autonomia. L’intento mai nascosto di indebolire e sottomettere la magistratura sta arrivando a compimento. È scandaloso che il governo abbia posto al fiducia su una riforma osteggiata da tutto il mondo giudiziario e che avrà gravissime conseguenze. Una riforma pessima che sfascia l’ordinamento giudiziario, compromette gli equilibri tra poteri dello Stato e limita l’indipendenza della magistratura". Così il presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, ha commentato la decisione del governo di porre la questione di fiducia alla Camera. "La Cdl - sottolinea ancora Pecoraro - preferisce la via della vendetta contro la magistratura piuttosto che un serio confronto sui temi della giustizia, che andrebbe riformata, certo, ma soprattutto per rendere i processi più veloci e il sistema più efficiente, così come chiedono i cittadini". Mentre per il presidente dei deputati della Margherita, Pierluigi Castagnetti, "quello dei presidenti delle Camere, all’indomani della polemica con il Csm, oggi è un incomprensibile, assordante silenzio. Non si capisce perché proprio loro, così sensibili alle vere o presunte interferenze sul Parlamento, non spendano una parola contro il governo per il sistematico ricorso ai voti di fiducia su tutti i provvedimenti di grande rilevanza istituzionale che configura una vera e propria espropriazione delle prerogative parlamentari".

L’Associazione nazionale magistrati ha accolto a sua volta con "amarezza" l’annuncio ufficiale della fiducia. "Siamo amareggiati - ha detto il presidente del ‘sindacato delle toghè Ciro Riviezzo - Dobbiamo prendere atto della chiusura a qualsiasi approfondimento e dialogo. Quanto accaduto sul Csm è paradigmatico: ogni intervento viene vissuto come un’interferenza, anche quando si tratta di una norma, come l’emendamento Bobbio, destinata a creare gravi problemi di funzionalità per il Consiglio, rallentandone il lavoro anche nell’immediato". Ma i magistrati non si daranno per vinti: "Chiederemo di non esercitare la delega laddove è incostituzionale, e secondo noi lo è in molte parti. Poi, a valutare l’eventuale incostituzionalità dei decreti ci penserà la Consulta, che sarà chiamata in causa dai ricorsi proposti da singoli magistrati".

Niente più dibattito oggi al Csm sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. Dopo la fiducia posta alla Camera dal governo sul provvedimento, è la certezza manifestata a Palazzo dei Marescialli, è diventata ormai "superflua" la discussione sul documento della Sesta Commissione che ‘boccià l’emendamento Bobbio. Documento che era stato messo all’ordine del giorno dei lavori del plenum di oggi pomeriggio, dopo che la scorsa settimana la decisione dei laici della Cdl di far mancare il numero legale ne aveva impedito la discussione, autorizzata dal capo dello Stato solo sulla parte relativa alla "nuova norma" introdotta al Senato.

Giustizia: Ciampi difende il Csm; "Ha il diritto di dare pareri"

 

Repubblica, 20 luglio 2005

 

"Già un’altra volta mi è capitato di salire al Quirinale e ritrovarmi a discutere con un calendario in mano...". Una battuta. Solo una battuta che ha fatto tornare la memoria al 1994. Eppure quella frase buttata là da Silvio Berlusconi con un suo deputato, ha fatto capire quanto sia stato teso il colloquio con il capo dello Stato. "Cordiale", ma teso.

E in effetti il faccia a faccia nello studio alla vetrata, davanti a soliti due testimoni d’eccezione, Gaetano Gifuni e Gianni Letta, è stato lo specchio di due linee spesso divergenti. Sulla giustizia e sulla data delle prossime elezioni politiche. Per non parlare delle polemiche suscitate dal presidente del Senato Pera sul ruolo del Csm. "Sono convinto - ha scandito con nettezza Ciampi - che il Consiglio superiore della Magistratura debba esprimere pareri al ministro competente. È la legge costitutiva del Consiglio che lo stabilisce". Il dibattito sull’ordinamento giudiziario, poi, è stato "strozzato" dal voto di fiducia.

La riunione è stata un susseguirsi di colpi di fioretto. All’inizio tutto sembrava filare liscio. L’appuntamento tra i due era stato fissato venerdì scorso, quando il premier aveva telefonato al capo dello Stato per preannunciargli la lettera di solidarietà contro la manifestazione leghista di Strasburgo. Così i primi minuti dell’incontro di ieri sono passati in pieno relax.

Il presidente della Repubblica ha ringraziato il capo del governo. Berlusconi, salito sul colle con il viso tirato, si è allora rilassato. Ha bevuto un bicchiere d’acqua minerale e si è sbottonato la giacca. Hanno parlato della riforma dell’Onu e del pacchetto anti-terrorismo. Una pausa, però, e l’atmosfera è cambiata di colpo.

Appena l’inquilino del Quirinale ha accennato alle prossime elezioni, è calata una cappa di diffidenza. "La mia preoccupazione - ha confermato Ciampi senza esitazioni - è quella di arrivare a giugno con un governo nella pienezza delle sue funzioni". Berlusconi ascoltava e lasciava che fosse Letta a parlare. Il capo dello Stato ha quindi dissolto un equivoco: l’eventuale voto anticipato non ha nulla a che vedere con il giudizio sull’esecutivo. "Il prossimo governo - ha puntualizzato Ciampi - dovrà approntare una finanziaria forte, quale che ne sia il colore. Già il vostro Dpef prevede una finanziaria 2007 difficile. Ecco questo è il criterio che a mio giudizio andrebbe seguito per fissare la data. È d’accordo?".

La domanda era rivolta al Cavaliere. "Se è così, sì. Sono d’accordo. Forse i giornali hanno male interpretato alcune riflessioni. Mi sembrava che ci fosse un giudizio negativo su di me, su di noi. Però non credo che la data del 9 aprile sia la migliore...". A questo punto, sulla scrivania "quirinalizia" è ricomparso, come 11 anni fa, il calendario. Ciampi ha proseguito il suo ragionamento prendendo spunto da quel "sì, sono d’accordo" pronunciato a mezza bocca dal premier. "I precedenti ci dicono che dal giorno delle elezioni al completamento di tutti gli adempimenti costituzionali passano dalle 8 alle 12 settimane. Basta quindi che, con il calendario, andate indietro da giugno per 8-12 settimane e troverete la data migliore". Insomma il 9 aprile, anche perché la domenica successiva è Pasqua. Poi c’è il "ponte" del 25 aprile e quindi c’è il primo maggio.

Berlusconi ha iniziato ad agitarsi sulla sedia. "Credo però - lo ha interrotto, questa volta con un tono serio - che sia il governo a stabilire la data". "Certo - gli ha risposto Ciampi - non spetta a me ma al governo. Ma quello che dice Gargani, ossia che si debba votare per forza a maggio, non è vero".

Non solo. L’ex Governatore di Bankitalia ha messo sul tappeto un altro nodo: l’election day. "Bisognerà anche abbinare le politiche alle amministrative. Si vota a Roma e a Milano, due città importanti". Una soluzione che a Via del Plebiscito hanno da tempo scartato proprio per evitare che un candidato forte, come Walter Veltroni, possa irrompere in campagna elettorale. Eppure, per evitare l’abbinamento senza una legge ad hoc l’unica possibilità è proprio il 9 aprile.

Il premier, però, non ha ceduto. La sua preferenza è ancora per il 14 maggio, tutt’al più per il 7 maggio. "Ne riparliamo un’altra volta", è stata l’unica concessione fatta dal Cavaliere.

Partita chiusa? Per niente. Subito dopo si è sfogliato un capitolo ancor più delicato. Quello della giustizia. Gli appunti di Pera sul Csm hanno lasciato l’amaro in bocca al presidente della Repubblica. Letta ha cercato di sdrammatizzare. Ma non c’è stato niente da fare. "Eppoi - ha allargato le braccia Ciampi - il dibattito sull’ordinamento giudiziario, la fiducia lo ha strozzato".

Nessun riferimento alla possibilità di non firmare per la seconda volta la riforma. Ma da parte del Colle tanto disappunto. "Sono convinto - ha insistito accompagnando le parole con i gesti delle mani - che il Csm debba esprimere pareri. È anche sbagliato sostenere che il caso Carnevale abbia dimostrato che il Consiglio non possa sollevare il conflitto davanti alla Corte. La Consulta ritiene solo che nel caso specifico il conflitto andava sollevato davanti al Tar". E comunque, "io ho legittimamente firmato l’ordine del giorno nel quale era inserito il parere sull’emendamento Bobbio. Ma ora, con la fiducia, cade tutto...".

Sono passati 90 minuti. Ciampi e Berlusconi sono rimasti sulle proprie posizioni. Si sono stretti la mano e si sono detti un arrivederci. Per farsi gli auguri di buone vacanze. O forse di buon lavoro direttamente a settembre.

Di corsa il Cavaliere è uscito dal Quirinale e si è diretto subito a Montecitorio. A parlare con Pier Ferdinando Casini. Con il presidente della Camera solo qualche cenno al colloquio con Ciampi. Hanno discusso soprattutto di partito unico e di legge elettorale. Casini vuole la proporzionale. Il premier non dice no, ma ad una condizione: "deve essere d’accordo anche An e la Margherita. Da soli non ce la facciamo. Tu puoi portarmi il sì della Margherita?".

Giustizia: Giovanardi; giustizia va riformata, non c’è forzatura

 

La Provincia di Lecco, 20 luglio 2005

 

"Il governo ha esercitato i suoi diritti in questa legislatura con oculatezza, nella media di quanto è avvenuto nelle passate legislature":così il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi, in riferimento alla questione di fiducia posta dal governo sul testo di riforma dell’ordinamento giudiziario. "Stiamo parlando di un provvedimento che è alla settima lettura - ha aggiunto Giovanardi - è stato vagliato da Camera e Senato, Senato e Camera un’infinità di volte, è stato modificato altrettante volte". "Finalmente - ha spiegato il ministro - anche i commentatori dei grandi giornali italiani se ne sono accorti, sottolineando il fatto che si tratta di stabilire, al di là delle singole norme contenute nel regolamento, se è il Parlamento, sede della sovranità popolare, legittimato a fare in questo Paese le leggi che riguardano la magistratura o se deve passare il principio che è la magistratura a imporre per il suo autogoverno e per la sua disciplina le regole che pensa siano più funzionali per essa stessa". "Io saluto con grande soddisfazione - ha sottolineato Giovanardi - il fatto che il Parlamento si appresta a ribadire il principio che in uno Stato democratico la sovranità popolare spetta al parlamento, a coloro che sono eletti in votazioni libere e democratiche dal popolo sovrano". Giovanardi ha poi sottolineato che il voto di oggi stabilisce un principio, e cioè che "le norme dell’ordinamento giudiziario sono varate dal Parlamento sovrano e non dalla magistratura che è parte in causa. Credo che, una volta approvata, la riforma non sarà toccata dal centrosinistra che nella scorsa legislatura tentò invano da fare una riforma ma venne paralizzata dalla magistratura che si oppose ad ogni tipo di riforma. Questa è una buona riforma, entrerà in vigore e servirà a rendere più costruttivo e sereno il rapporto tra i cittadini e la magistratura"

Giustizia: D’Alema; riforma pessima, vissuta da magistrati come attacco

 

Adnkronos, 20 luglio 2005

 

"Si è creata una situazione abbastanza eccezionale in cui evidentemente anche la preoccupazione della magistratura raggiunge toni che devono far riflettere. Ma all’origine di questo c’è la cosiddetta riforma dell’ordinamento giudiziario, una pessima legge vissuta dai magistrati, non senza ragioni, come un attacco alla loro autonomia". Così il presidente dei Ds Massimo D’Alema, intervenuto stasera alla festa dell’Unità del Mezzogiorno a Bitonto, in provincia di Bari, ha risposto a una domanda dei giornalisti a proposito della presunta ingerenza della magistratura sulle decisioni del Parlamento.

Giustizia: Mantovano; sciopero magistrati non ha sortito effetto

 

Adnkronos, 20 luglio 2005

 

"Credo che tutte le forme di protesta della magistratura associata siano state utilizzate, e forse anche in modo ripetitivo, per cui non hanno quell’effetto che un gesto particolarmente significativo qual è l’astensione dal lavoro per un giudice non sollecita quella curiosità o quell’interesse particolare che dovrebbe avere". Lo ha detto il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, commentando la decisione della magistratura associata di Palermo di scendere domani in piazza sospendendo, gli unici in tutta Italia, le udienze per 10 minuti.

Droghe: carcere per tossicodipendenti a regime solo nel 2006

 

Vita, 20 luglio 2005

 

Un tavolo di lavoro per completare il progetto per la casa di reclusione a custodia attenuata di Castelfranco Emilia (Modena) e poterne così avviare la fase sperimentale con i primi detenuti tossicodipendenti già dalla fine dell’anno, per essere a pieno regime nel 2006.

L’Amministrazione penitenziaria ha presentato ai soggetti interessati la bozza del progetto, che mette in chiaro, quasi a voler scongiurare le polemiche che segnarono l’inaugurazione della struttura, che tutte le fasi di intervento saranno dirette e gestite dall’Amministrazione. Il progetto di recupero però sarà "copartecipato", con il coinvolgimento di volontariato e comunità terapeutiche.

La bozza è stata presentata nel carcere, alla presenza del Ministro con i rapporti con Parlamento Carlo Giovanardi, che ha la delega alle politiche contro la tossicodipendenza. Con lui Nello Cesari, provveditore regionale della Amministrazione penitenziaria, Francesco D’Anselmo, direttore, del carcere, Andrea Fantoma, dirigente del Dipartimento delle politiche antidroga, oltre a rappresentanti di Regione, Provincia e Prefettura di Modena, Ausl e del Comune. Adesso nei 23 ettari di campi che circondano il carcere ci sono rotoballe di fieno, e le mucche, una trentina, sono ancora quelle pezzate bianco-nere. Ma secondo la bozza nel 2006 ci saranno "bianche modenesi" (di cui restano solo 30 capi), serre biologiche, arnie, vigneti, acetaie e una lavanderia industriale. Nella struttura si faranno corsi per cuochi, falegnami, calzolai, giardinieri, elettricisti, elettrauto, saldatori, tornitori e carpentieri. Nel carcere si verrà esclusivamente su base volontaria.

La casa è destinata solo ai tossicodipendenti condannati a pene superiori ai 4 anni (che non possono essere affidati ai servizi sociali). Ma potrebbero arrivare anche detenuti con pene inferiori, che potrebbero direttamente essere avviati al lavoro esterno. Saranno 40-60, solo uomini. Privilegiati i residenti della regione. Circa 55 gli agenti penitenziari previsti per la custodia. Per loro ci sarà un corso di formazione di tre mesi. Per finanziare i corsi per i detenuti viene ipotizzata la possibilità di accedere ai finanziamenti di Unione Europea e Regione. Tra carcere e Sert, comunità terapeutiche, cooperative sociali e mondo del volontariato ci sarà un rapporto partecipato. I volontari potranno, a determinate condizioni, lavorare nella struttura. Equipe miste valuteranno la possibilità di accesso alla riabilitazione e, in corso d’opera, l’effetto della riabilitazione.

Le comunità potranno poi proporre alla amministrazione anche misure alternative (come lavoro esterno o anche lo spostamento in comunità), ma la loro verifica potrà essere anche negativa, con revoca di queste misure. I piani di recupero saranno modulati sui singoli casi. Per i detenuti extracomunitari che avranno imparato un mestiere è prevista l’offerta di rimpatrio nel paese di origine per avviare una attività connessa alla professionalità acquisita. Infine il progetto individua anche quattro 4 comunità terapeutiche (San Patrignano, Ceis di Modena, L’angolo e Mosaico, Lag di Vignola), cinque cooperative sociali e tre associazioni che hanno dato la loro disponibilità a partecipare al progetto. "Abbiamo insediato un tavolo tecnico, che in tempi brevi, dovrà costruire anche le compatibilità finanziarie - ha detto Giovanardi - Non sarà un lager, né un campo di concentramento. Qui è la società che si interroga sulla possibilità di recuperare fin dalla reclusione quei detenuti che non possono uscire ma che fin da subito possono iniziare un percorso che li recuperi ad una vita sociale".

Lecco: gli studenti dell'istituto per geometri incontrano i detenuti

 

Provincia di Lecco, 20 luglio 2005

 

Un progetto che si è concretizzato durante gli ultimi esami di maturità e che ha portato un 100 e lode a Roberta Loi, autrice di una tesina sull’annullamento dell’essere umano nel carcere. Protagonisti, gli alunni della quinta C sperimentale dell’istituto per geometri "Bovara". L’iniziativa, iniziata l’anno precedente, ha portato gli studenti a passare un’intera giornata all’interno della casa circondariale di Monza. Lo spunto è stato squisitamente scolastico: lo studio di Cesare Beccaria e della sua opera "De delitti e delle pene". L’iter è stato semplice. L’insegnante di lettere, Simona Alberti ha proposto alla classe un incontro con una educatrice. Il confronto si è rivelato positivo oltre ogni aspettativa. Così è arrivato il primo incontro con Chiara Riva operatrice con alle spalle il tirocinio nel carcere alle porte di Milano. A cui poi è seguito il primo ingresso nella casa circondariale per assistere a uno spettacolo teatrale tenuto dagli stessi detenuti. Quest’anno, infine, è stata trascorsa un’intera giornata coi detenuti. I ragazzi sono stati guidati dagli insegnanti Simona Alberti, Augusto Butta e l’educatrice Chiara Riva. Gli alunni hanno condiviso coi detenuti i momenti dei laboratori e della redazione del giornalino "Opinione libera". "Il primo impatto con la realtà carceraria – conferma Roberta Loi – è stato molto forte, mi hanno colpito i colori cupi e la freddezza dell’ambiente". Ben diversa è stata l’impressione avuta quest’anno: "Ho incontrato ragazzi della mia stessa età – racconta la studentessa – Con i miei stessi gusti e la mia stessa voglia di vivere". Che il vissuto di questi due incontri sia stato indelebile per Roberta, lo dimostra la sua intenzione di continuare a fare volontariato: "Dopo le vacanze mi iscriverò all’università, ma continuerò a impegnarmi nelle carceri".

Padova: rapina ad Abano, uccisi il gioielliere e un rapinatore

 

Secolo XIX, 20 luglio 2005

 

Abano Terme. Finisce in tragedia il "colpo" di una banda di giostrai in un’oreficeria del centro. Nonostante una condanna definitiva, il malvivente era uscito di cella da quattro giorni. Una tentata rapina, una sparatoria: così, ieri, nel centro di Abano, hanno perso la vita un gioielliere di 64 anni, Gianfranco Piras, e un rapinatore di 30 anni, Emanuele Crovi, già condannato in passato per rapina, arrestato il 20 gennaio scorso perché doveva scontare una pena definitiva di un anno e 10 mesi nel carcere di Treviso, dal quale era invece uscito da quattro giorni. Erano da poco passate le 16 quando un rapinatore è entrato nella gioielleria Piras, dal nome del titolare, già vittima di rapina dodici anni fa. Fuori, altri due, forse tre complici: una banda armata di mitra e pistole. Ma nella zona pedonale della cittadina termale padovana nessuno si rende conto di quello che sta succedendo.

Alla vista dei rapinatori, Gianfranco Piras estrae una Beretta semiautomatica regolarmente detenuta, tenuta a portata di mano nel timore di un’altra rapina. Ma la mossa gli costa la vita: viene raggiunto da un colpo al torace, stramazza a terra. Quando riusciranno a soccorrerlo, è già in fin di vita. I rapinatori, intanto, fuggono, sparando colpi in aria. La gente cerca di fermarli. Dai balconi, fuori lancia vasi di fiori. Tuttavia, i rapinatori riescono a fuggire, utilizzando, sembra, la stessa auto - una vecchia Alfa rossa - con la quale avevano raggiunto la zona. Mentre in tutta la zona vengono disposti posti di blocco e si cercano i fuggitivi con gli elicotteri, Gianfranco Piras muore all’ospedale di Piove di sacco, dove è stato nel frattempo trasportato in condizioni gravissime.

Non si sa ancora che anche uno dei rapinatori è rimasto ferito. Emanuele Crovi - secondo fonti investigative, pregiudicato fin da giovane e affiliato ad una banda di giostrai stanziale a Brugine, sempre nel padovano - è stato ferito mortalmente da un colpo sparato dal gioielliere prima di morire: i complici lo scaricano, agonizzante, davanti all’ospedale di Piove di Sacco. Muore poco dopo durante la rianimazione.

Mentre proseguono le ricerche degli altri rapinatori, ad Abano la gente piange: il gioielliere Gianfranco Piras era conosciuto e benvoluto da tutti, nei bar della zona non parlano d’altro. "Sono sconvolto - dice un barista - è terribile perdere la vita così. Ma le polemiche sono destinate ad aumentare quando si saprà che uno dei rapinatori era appena uscito dal carcere per motivi sconosciuti persino al suo difensore. Che si dice stupito.

Secondo alcune fonti, a scarcerarlo sarebbe stato quattro giorni fa il tribunale del riesame di Venezia, per altre il mutamento di stato potrebbe esser stato deciso dal magistrato di sorveglianza, oppure Crovi potrebbe esser uscito dal carcere per entrare in una comunità di recupero grazie alla legge Gozzini, che prevede misure alternative alle pene detentive brevi per i tossicodipendenti con programma terapeutici idonei. "I meccanismi che possono accorciare una pena definitiva - risponde laconicamente un investigatore - sono molti".

Volontariato: Poggioreale, cercando Dio tra le mura del carcere

 

Avvenire, 20 luglio 2005

 

Maria Lidia Schettino, religiosa delle "suore di Ivrea" che abita vicino al penitenziario napoletano di Poggioreale ha raccolto in un libro le lettere che i detenuti le hanno scritto ininterrottamente in trent’anni di volontariato.

Possono nascere i fiori dal letame? Alla domanda, che sottintende naturalmente una metafora, risponde con un sì senza indugi suor Maria Lidia Schettino. Sessantotto anni, della provincia di Avellino, da ventinove fa volontariato con i carcerati. Assieme alla sua comunità di suore, che fanno parte della congregazione delle Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea, la cui casa napoletana è "a meno di trecento passi da Poggioreale", ha pubblicato un libro, "Nostalgia d’innocenza", edito dalle Edizioni Dehoniane di Bologna (pagine 379, 23euro). È una raccolta di lettere, scritte a suor Maria Lidia dai carcerati durante questo lungo periodo. Un libro che, come ha affermato padre Dalmazio Mongillo, preside dell’Istituto ecumenico "San Nicola" di Bari, scomparso pochi giorni fa: "è un testo di meditazione profondissima". Si resta spiazzati nel leggere queste lettere, anche se si è credenti: perché alle volte, sfiduciati dalla "bruttezza" del mondo in cui siamo costretti a vivere, ci dimentichiamo che è ancora possibile per gli uomini la redenzione. "Queste persone - racconta suor Maria Lidia - lì dove stanno, sentono di essere amate da Dio, ma lo sentono non perché glielo dico io, ma perché nella solitudine si percepisce di più Dio. È in questo rapporto più intimo e più silenzioso con Lui che scatta il desiderio e la volontà redentiva. C’é sempre il rifiuto del male commesso. Delle volte capita dopo pochi mesi, altre dopo anni".

Suor Maria Lidia era una professoressa nelle scuole superiori, nel 1965 decide di consacrarsi. Cerca una congregazione che possa farla continuare ad insegnare ed incontra le "suore d’Ivrea". Di tempo libero per fare volontariato ce n’é e l’occasione si presenta con la sostituzione della suora che andava in carcere. Suor Maria Lidia risponde così alla chiamata: "Adesso vado e vediamo di che cosa si tratta". E ammette: "È stato un atto di generosità incosciente voluto dall’Alto, perché io non conoscevo quell’ambiente". Così è stato subito "amore", anche se i momenti di sconforto in tutti questi anni non sono mancati, e non mancano nemmeno oggi "perché sono per età e per presenza la più anziana e tutti fanno riferimento a me".

Difficoltà quotidiane dovute anche alle "proporzioni", che alle volte ostacolano la possibilità di portare conforto: a Poggioreale per duemila detenuti ci sono quattro cappellani e non tutti esercitano il proprio ministero solo in carcere. "S’impegnano moltissimo - dice suor Maria Lidia - ma non è mai sufficiente. Un ergastolano mi ha detto: "dovete farla ogni otto giorni la Messa, perché quando entro nella cella e sto solo per tante ore rielaboro tutte le cose che ho sentito e non sapete che colloquio ho con Gesù Cristo!". C’é da credergli". Il tempo. Come lo si vive nelle carceri? "Il tempo di detenzione non è un tempo negato - racconta suor Maria Lidia - È il tempo in cui i detenuti possono esprimere la propria umanità. Qualche giorno fa abbiamo avuto in dono l’icona della Madonna dei miracoli di Ivrea, che abbiamo intronizzato in carcere con un passaggio dalle mani delle suore a quelle dei detenuti. Uno di questi nella risonanza fatta dopo otto giorni, durante la catechesi, mi ha detto di ringraziare le suore che erano venute in carcere, perché lo stupore che avevano nei loro volti ha sciolto il cemento delle mura e ha fatto sentire i detenuti persone libere". Storie che si rincorrono vibranti nella memoria della religiosa e che nelle pagine del libro rivivono in forma anonima.

Nate da un incontro dopo l’Eucaristia e la richiesta, messa per iscritto alla direzione del carcere, di parlare con Suor Maria Lidia. All’inizio, magari, per esigenze materiali: un paio di scarpe nuove, che in carcere non è sempre possibile avere, e che chiedono in special modo i tossicodipendenti, oppure uno shampoo. Ma che, grazie all’estrema affabilità della religiosa, diventano poi un percorso che lei sa accompagnare con discrezione e affetto. C’é il rigattiere poverissimo che rubava e beveva, con una moglie e cinque figli, che ha intrapreso, dopo la "redenzione", un serio cammino neocatecumenale. Poi, in una storia che parla di umanità ci sono sempre dei "figli". Suor Maria Lidia ne ha "adottati" due. Fratelli, erano rimasti senza genitori. Entrambi malati di aids. Il primo muore in ospedale, da detenuto e suor Maria Lidia lo assiste fino all’ultimo. L’altro rimane particolarmente legato alla religiosa: "È stato ospitato nella casa di mia madre d’estate per più di sette anni, pur essendo affetto da Aids. Poi ha sposato una ragazza ucraina. Ha dei bambini, negativi al test dell’hiv. La moglie non ha molto piacere che lui continui a frequentarmi. Ed io gli ho detto come fanno le madri: non ti preoccupare di venire da me, l’importante è che tu vada d’accordo con tua moglie".

Vicenza: "Il lembo del mantello" progetto Caritas per i detenuti

 

Avvenire, 20 luglio 2005

 

La Caritas vicentina promuove una cordata, che comprende mondo del lavoro e istituzioni penitenziarie, fra le sbarre. L’obiettivo è rieducare i detenuti al lavoro, in vista della fine della pena. Il progetto, dal titolo "Il lembo del mantello", parte dal presupposto che sempre meno il carcere assolve il suo compito costituzionale di rieducare la persona. "Di fatto - riflette il direttore della Caritas diocesana, don Giovanni Sandonà - se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce le si chiudono le porte in faccia. In attesa di interventi amministrativi più appropriati, tentiamo di irrobustire in questa istituzione il ruolo riabilitante attraverso l’applicazione convinta e non timorosa dell’ampio spettro di misure alternative al carcere già presenti nel nostro sistema penitenziario".

Il progetto vuole essere quindi una scommessa di reinserimento sociale e lavorativo e si rivolge ai detenuti che non si trovano in uno stato di tossicodipendenza conclamata e che non sono affetti da patologie psichiatriche debilitanti; per questi ultimi infatti intervengono già i servizi sociali preposti ed è possibile l’accoglienza in strutture idonee. L’attenzione si focalizza in particolare sui chi non può contare su sostegni familiari. Soggetti che, da un punto di vista dei costi, sarebbero esclusivamente a carico dei Comuni. Sono previsti percorsi di reinserimento sociale attraverso il lavoro, con stage in azienda e nella cooperativa presente nella casa circondariale di Vicenza, con l’appoggio di strutture residenziali. Lo scopo è evitare che queste persone, uscite dal carcere ma prive di adeguati riferimenti familiari ed abitativi, possano ricadere nella delinquenza.

Ecuador: 25 detenuti sono evasi dal carcere di Tulcan

 

Associated Press, 20 luglio 2005

 

Venticinque detenuti ecuadoregni, la maggior parte dei quali condannati per traffico di dorga, sono evasi in massa da un carcere vicino al confine con la Colombia. Lo ha annunciato la polizia. Il colonnello di polizia Patricio Herrera ha spiegato che i prigionieri sono evasi questa mattina dal penitenziario di Tulcan, 150 chilometri a nordest di Quito. "Abbiamo dato inizio a un’operazione di rastrellamento e abbiamo ripreso un detenuto di nazionalità israeliana", ha detto Herrera, aggiungendo che la polizia ha avuto informazioni secondo cui altri due evasi sono stati riacciuffati a Champanal, città colombiana vicina al confine.

Novara: indagini serrate sul suicidio di Giuseppe Balsano

 

La Sicilia, 20 luglio 2005

 

Il boss mafioso Giuseppe Balsano, 60 anni, di Monreale, è morto suicida: si è impiccato nella sua cella di isolamento nel carcere di massima sicurezza di Novara. La morte di Balsano, ritenuto vicino al boss Salvatore Riina, è stata resa nota solo dopo alcune ore di coma. Il suo corpo è stato ritrovato, infatti, dalle guardie penitenziare del carcere ancora in vita, anche se in stato comatoso. Per Balsano, che aveva il lenzuolo ancora stretto intorno al collo, non c’è stato però niente da fare.

La direzione del carcere di Novara, ha immediatamente avvertito i Carabinieri di Monreale che hanno comunicato la notizia ai suoi familiari, che abitano nella cittadina normanna. Un fratello di Balsano è già partito per il Piemonte per accompagnare la salma in Sicilia.

Non si sa ancora se la Questura di Palermo darà il nulla osta per fare svolgere regolarmente i funerali a Monreale, oppure si terranno, per questioni di sicurezza, a porte chiuse. Giuseppe Balsano, negli ultimi due anni, aveva già tentato per tre volte il suicidio. Proprio per questo motivo, i suoi legali, Roberto Tricoli e Aldo Caruso, avevano chiesto nel novembre del 2004 una perizia psichiatrica per il loro assistito per confermare l’incompatibilità con il regime di isolamento al 41 bis. I legali di Giuseppe Balsano avevano proposto ai giudici il ricovero in una struttura specialistica perché ritenevano che, dopo i tentativi di suicidio, non fosse più compatibile con il regime del carcere duro al 41 bis. Ma la perizia psichiatrica ritenne che Balsano potesse restare in isolamento.

"Purtroppo - spiega oggi l’avvocato Roberto Tricoli - i periti non capirono che le sue condizioni erano davvero gravi, ecco perché ritengo che sia importante la scelta dei consulenti medici in materia di incompatibilità carceraria". Il giudice palermitano Adriana Piras aveva chiesto e ottenuto il trasferimento di Baslano in una sezione speciale per infermi, a Livorno, ma subito dopo la perizia psichiatrica Balsano aveva fatto ritorno a Novara. Giuseppe Balsano, che era accusato di associazione mafiosa e omicidio, era considerato il capo delal famiglia mafiosa di Monreale, così come venne descritto dal pentito Giovanni Brusca. Dopo una latitanza durata dieci anni, venne arrestato il 22 maggio del 2002 dai Carabinieri del Reparto territoriale di Monreale. L’uomo si nascondeva in una casa ad Aquino, nei pressi proprio di Monreale.

Giustizia: Senato, tempi contingentati per pdl ex-Cirielli

 

Adnkronos, 20 luglio 2005

 

La conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama ha deciso di contingentare i tempi per l’esame del disegno di legge sulla prescrizione e la recidiva, la cosiddetta ex-Cirielli. Al provvedimento sono state assegnate sei ore ed è quindi verosimile che sarà approvato prima della pausa estiva, ma dovrà tornare alla Camera in quanto il Senato ha apportato alcune modifiche.

Sicurezza: Lega chiede superprocura e test dna obbligatorio

 

Gazzetta del Sud, 20 luglio 2005

 

Era "il giorno dei saggi", nel quale i responsabili giustizia della Casa delle libertà avrebbero dovuto esaminare le proposte sul tavolo e avviare una prima valutazione delle proposte della Lega. Così è stato, ma l’Udc, se mai vi fosse bisogno di rimarcare la propria diversità di opinioni con la Lega, vi si è chiamata fuori, non inviando Michele Vietti e diffondendo anche un comunicato gelido. "La segreteria – vi si legge – ribadisce che il partito attende con fiducia il varo delle misure prospettate dal ministro degli Interni. Trattative politiche sulla lotta al terrorismo sarebbero semplicemente improprie". Certo, all’incontro era presente Giovanardi, ma in via Due Macelli si è subito sottolineato che "la sua cortese presenza non può essere scambiata per un impegno politico dell’Udc".

Certo è che quando hanno letto il testo delle proposte, i partecipanti all’incontro hanno alzato più di un sopracciglio. Il pacchetto Castelli prevede infatti per i sospetti terroristi islamici il test obbligatorio del dna attraverso il prelievo forzoso di saliva e capelli, l’istituzione di una "procura nazionale antimafia antiterrorismo" e di una Polizia antiterrorismo. Espulsioni automatiche dei sospettati. E ancora, equiparazione dei terroristi ai mafiosi (compresa l’applicazione della legge sui collaboratori di giustizia), conservazione sine die dei dati delle telefonate, degli sms e del traffico internet, maggiori controlli sulle società che effettuano trasferimento di soldi dall’Italia all’estero. E naturalmente la sospensione del trattato di Shengen.

Uno dei quattro saggi, il responsabile Giustizia di Forza Italia Giuseppe Gargani, boccia senza appello alcune delle proposte come quella di affidare alla procura nazionale antimafia anche la questione terrorismo. Ma Gargani dice no anche al prelievo forzoso di capelli e saliva per risalire al Dna dell’indagato e all’istituzione di un corpo di polizia speciale. Anche An e Pri si sono detti contrari al test sul Dna, all’istituzione di una procura nazionale e della polizia antiterrorismo e all’estensione della normativa antimafia. "Il resto - osserva Giancarlo Anedda (An) - è da valutare. Come dicono gli inglesi, per sapere se il budino è buono bisogna mangiarlo. E quindi, vediamo l’articolato".

Non è molto, ma "comunque - chiosa Anedda - è positivo che Castelli non si sia irrigidito". E infatti Castelli, che ha negato l’intenzione della Lega di portare il fermo di polizia a quattro giorni e ha annunciato di aver "passato oltre" la proposta di sospendere Shengen, ha visto il bicchiere mezzo pieno: "Mi pare che ci sia stato un consenso sulle norme più importanti. Adesso trasformerò le proposte in articoli e le porterò a Berlusconi". L’incontro tra il premier, Fini e i ministri competenti (Pisanu, Castelli, Martino, Lunardi), secondo quanto conferma il sottosegretario Pasquale Giuliano, dovrebbe svolgersi oggi. "Entro venerdì ce la possiamo fare" assicura Castelli. È probabile che Berlusconi troverà l’intesa. Durissime le critiche da parte dell’Unione.

Giustizia: voto di fiducia sulla riforma, delusione dei magistrati

 

Gazzetta del Sud, 20 luglio 2005

 

Sulla riforma dell’ordinamento giudiziario il governo chiede il voto di fiducia. L’Unione protesta e parla di "decisione grave" che offende il Parlamento e il Capo dello Stato. Mentre i magistrati di Palermo sono pronti oggi a scendere di nuovo in piazza. Dopo le polemiche di lunedì per l’attacco del presidente del Senato Marcello Pera al Csm, ieri è stato di nuovo scontro.

Dopo averlo minacciato per giorni, il governo pone la questione di fiducia su un provvedimento che ha già i tempi contingentati. Ad annunciarlo in Aula è il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi. In mattinata l’Assemblea di Montecitorio esamina e vota le tre eccezioni di costituzionalità più la questione sospensiva sollevate dall’Unione. Bocciandole con circa 70 voti di scarto. Poi si passa al primo articolo del testo che passa con 291 sì, 222 no e un astenuto. Subito dopo si sospende la seduta e quando riprende il ministro Giovanardi annuncia la decisione del governo. Il voto è previsto per oggi alle 16, ventiquattro ore dopo la richiesta dell’esecutivo. Così come prevede il regolamento della Camera. Le dichiarazioni di voto cominceranno alle 14 e dopo la fiducia avranno luogo le dichiarazioni di voto e il voto finale.

L’iniziativa del governo è contestata dall’opposizione. Per Anna Finocchiaro (Ds) si tratta dell’ennesima dimostrazione che non c’è alcuna "volontà di discutere il testo". Mentre per il responsabile Giustizia della Margherita Giuseppe Fanfani è un fatto "grave" visto che "è la prima volta che si mette la fiducia su un provvedimento che è stato rinviato alle Camere". Così facendo, aggiunge, "si offende il Parlamento e il Capo dello Stato". Dello stesso avviso il leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro. E duro è il commento del leader del Pdci Oliviero Diliberto: "È indecente – dichiara – che si debba ricorrere al voto di fiducia per un provvedimento di tale e devastante portata. È il chiaro segnale del completo sfaldamento della maggioranza incapace di reggere i suoi stessi accordi di potere". Ma contro la fiducia scende in campo anche l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che definisce la decisione del governo "un passo non nobile". "Quello dei presidenti delle Camere, all’indomani della polemica con il Csm – dichiara infine il capogruppo della Margherita alla Camera Pierluigi Castagnetti – è un incomprensibile, assordante silenzio".

Nel giorno della fiducia è ancora forte l’eco delle polemiche per l’attacco di lunedì al Csm da parte del presidente del Senato Marcello Pera che aveva definito la protesta delle toghe contro la riforma "azioni contrarie alla Costituzione". Il leader dei Ds Piero Fassino, in particolare, definisce "sbagliate" le parole di Pera e contesta la riforma che rappresenta "lo stravolgimento delle regole fondamentali del diritto e dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge". Analogo il commento di Massimo D’Alema che giustifica il risentimento dei magistrati osservando che si tratta di "una pessima legge vissuta dalla magistratura non senza ragione come un attacco alla propria autonomia". Solidarizzano invece con il presidente del Senato il leader di An Gianfranco Fini, che afferma di condividere "pienamente" le sue dichiarazioni, e il ministro delle Riforme Roberto Calderoli. "Le parole di Pera sul Csm – afferma l’esponente del Carroccio – sono le stesse che ho detto io una settimana fa...".

Per oggi all’ordine del giorno del plenum del Csm compare di nuovo il parere sulla riforma. Anche se è quasi sicuro che si arriverà di nuovo ad un nulla di fatto. I laici della Cdl infatti minacciano di far mancare ancora il numero legale e poi c’è il voto di fiducia. Se questo dovesse arrivare prima che si riesca ad aprire il dibattito, a palazzo dei Marescialli si potrebbe non avere più interesse ad andare avanti.

Il presidente dell’Anm, Ciro Riviezzo, esprime tutta la sua delusione per il voto di fiducia sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. "È il segno della mancanza di volontà di qualsiasi dialogo".

Estate: nelle carceri niente di nuovo… e ricomincia la protesta

di Luigi Manconi, Garante dei Diritti dei Detenuti, Comune di Roma

 

Comunicato stampa, 20 luglio 2005

 

Dopo un altro anno dissipato inutilmente, senza che la politica penitenziaria del Governo mostrasse un qualunque segno di attenzione per la popolazione detenuta, la situazione delle carceri italiane – come agevolmente prevedibile – è ulteriormente precipitata. E l’estate rende ancora più crudeli le condizioni ambientali e igienico-sanitarie dei detenuti che dall’attuale Governo e dal suo Ministro della Giustizia non hanno visto realizzare il più minuscolo provvedimento di riforma. Che dico? Di riforma? Nemmeno il più minuscolo provvedimento che riguardasse la situazione delle carceri e la giustizia penale.

La conseguenza, la più prevedibile e comprensibile, è che l’altro ieri, il 18 luglio, in alcune carceri italiane, come Avellino, Benevento, Roma, è iniziata una pacifica protesta, con sciopero del vitto dell’amministrazione, sciopero del sopravvitto, battitura delle sbarre. Ciò che si chiede è attenzione, a partire da una risposta, che sia chiara e definitiva, sulla questione amnistia. Ci sono, inoltre interi reparti, come il Centro Clinico di Rebibbia Nuovo Complesso, che protestano per la grave insufficienza dell’assistenza sanitaria, fatta di ricoveri mancati, di terapie che variano di settimana in settimana a seconda del medico, di visite tramite cartella ("non c’è bisogno di vederlo, il detenuto"); protestano per la mancanza di un Servizio Sociale ministeriale adeguato, per la scarsa presenza del Magistrato di Sorveglianza, per la predominanza della psichiatria su ogni altro aspetto socio-sanitario. Stiamo parlando in particolare dei detenuti dichiarati incompatibili con il regime carcerario, e quindi di coloro per i quali sarebbe necessaria una cura più sensibile e intensa e la disponibilità di risorse maggiori. Ma se tutto ciò non è disponibile per questi detenuti, per tutti gli altri allora? Protesta legittima, dunque, nel cuore di un’altra estate uguale a tutte le altre.

Ascoli: detenuti di Fermo protestano per sollecitare l’amnistia

 

Il Messaggero, 20 luglio 2005

 

Da lunedì scorso i detenuti della casa di reclusione di Fermo, in adesione con altre carceri italiane, hanno iniziato una protesta che ha lo scopo di sensibilizzare il Governo per la concessione di una amnistia ed indulto. "La sottoscritta popolazione detenuta, decide la seguente forma di esprimere la nostra volontà, affinché questo Governo prenda con seria attenzione la possibilità di una amnistia ed indulto", scrivono il comitato del carcerati di Fermo.

"La forma con cui decidiamo di aderire è pacifica - scrivono i detenuti - ci asterremo dal prendere il cibo dell’amministrazione e faremo tre battiture al giorno alle ferrate esterne". Una forma di protesta come si può vedere molto soft. I carcerati della casa di reclusione di Fermo si faranno sentire battendo contro le ferrate esterne delle finestre alle 8.30 del mattino, quindi alle 12.30 e alla sera alle 18,30. "La durata della dimostrazione sarà subordinata alla possibile conseguente risposta delle autorità competenti", concludono i carcerati. La dimostrazione-protesta è iniziata lunedì scorso e proseguirà, come hanno scritto, fino a quando il Governo non prenderà in seria considerazione la possibilità di una amnistia. Già lo scorso anno, sia nel carcere di Marino del Tronto che in quello di Fermo ci fu un’analoga protesta conclusasi nel nulla. la promessa di un impegno da parte del Governo è rimasta lettera morta.

Pozzuoli: due inchieste sul direttore del carcere sospeso

 

Il Mattino, 20 luglio 2005

 

Doppia indagine: una amministrativa e l’altra penale per il direttore del carcere di Pozzuoli Francesco Saverio De Martino, trasferito a Napoli per essere stato trovato in compagnia di una detenuta, semilibera. Così come prevede la legge, il risultato dell’operazione di controllo è stato inviato in Procura per accertare eventuali responsabilità penali. Il blitz della polizia penitenziaria in casa di Carolina, la giovane venezuelana trovata insieme con il dirigente aveva uno scopo: cercare una base per lo spaccio di droga. E una bustina sospetta di polvere bianca, di pochi grammi, è stata trovata in quell’appartamento; presto si saprà se si tratta di una sostanza stupefacente oppure di borotalco o altro. Le analisi sono in corso.

De Martino, sospeso dal servizio dal dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, dovrà chiarire inoltre perché era con quella donna. "È ancora prematuro dare un giudizio su questa vicenda - spiega il provveditore regionale della polizia penitenziaria, Tommaso Contestabile - Intanto voglio chiarire che non sapevo nulla dei controlli e dell’indagine condotta dagli agenti di polizia penitenziaria. Ho avuto le carte solo dopo il blitz. Per ora stiamo portando a termine un’indagine amministrativa nei riguardi di De Martino, nulla è deciso.

Dopo le ferie il funzionario tornerà a Napoli, presso la sede del nucleo operativo di Secondigliano, ma non è escluso che non riprenda il suo posto a Pozzuoli". Dall’altra parte però ci sono i sindacati, il segretario provinciale del Sinappe, Antonio Matazu attacca: "In pochi anni ci sono stati oltre dieci dipendenti che hanno chiesto il trasferimento da Pozzuoli perché esasperati. C’era tensione. Sì, volevamo che De Martino andasse via, ma non così, ora è un uomo distrutto. Nel penitenziario però si sta male, c’è poco personale".

Nel palazzo in via Pergolesi ci sono 180 detenute e 108 agenti di polizia penitenziaria. Per anni i sindacati hanno chiesto, e mai ottenuto, più dipendenti. La tensione è arrivata a livelli altissimi quando, nelle scorse settimane, 58 dipendenti sono stati mandati da De Martino in commissione disciplina per aver protestato contro i nuovi turni. "C’è un odio contro di me, almeno venti persone mi sono ostili in quel carcere - spiega il direttore - C’è un complotto dietro questa grande bufala, ma presto la verità verrà fuori". Alcuni agenti del carcere invece lasciano intendere che l’attenzione del direttore verso le detenute era troppa.

 

Le detenute: non ha mai alzato lo sguardo su di noi

 

"È una menzogna, una trappola. Il direttore non ha mai alzato lo sguardo su di noi". A parlare è Luisa Paladini, 48 anni, occhi intensi, è in carcere da dieci anni per spaccio di droga. Luisa è di Scampia, ma in una cella di Pozzuoli ha passato un lungo periodo della sua vita. Ora è felice: grazie al progetto di recupero può pagarsi il tempo libero, lavorando.

Anche ieri, insieme con altre due semilibere, ha indossato la tuta verde e ha cominciato a pulire le aiuole della necropoli di via Celle, come fosse un giorno come tanti, ma così non è a Pozzuoli. "Guardi, rinunciamo al progetto e alle ore al mare se torna il direttore", continua. Al suo fianco c’è Carolina Nieddo, venezuelana, 24 anni: in cella per spaccio di droga, all’inizio tace, poi non ce la fa e abbraccia la sua compagna: "Faremo una petizione, una lettera di solidarietà, siamo con De Martino. Stiamo raccogliendo le firme - continua la ragazza - Il direttore lavora bene e mai, ma proprio mai, siamo state importunate o solo sfiorate con gli occhi.

Per me è come un padre". Carolina sogna di tornare in Venezuela, ma non ha progetti per il suo futuro: "Voglio dimenticare, cancellare tutto. Non so se ho l’energia per ricominciare, qui però ho imparato a lavorare". Rebecca Thrieda, nigeriana, ha treccine colorate rosso fuoco, un sorriso generoso e occhi tristi: "De Martino ama la sua famiglia. Ora come reagirà la moglie a tutto ciò? E il suo bimbo? Questa è una sporca storia". Ieri dopo le parole sussurrate, gli articoli sui giornali e l’arrivo del nuovo dirigente Cosimo Giordano (con incarico temporaneo) nella casa circondariale femminile di Pozzuoli non si parlava d’altro che del direttore e della detenuta.

Carolina M., 28 anni, venezuelana, la donna trovata insieme con De Martino, nella sua casa ad Arco Felice è in cella. Lei in Italia è arrivata tre anni fa, con l’idea di trovare un lavoro, ha lasciato suo figlio di otto anni nel suo paese. È diventata una spacciatrice, è finita in carcere. Qui tutti la descrivono come una donna di grande fascino, con un corpo mozzafiato: occhi grandi e profondi, pelle olivastra e liscia, capelli lunghi e nerissimi. Da due giorni è in cella di isolamento. "Piange, sì Carolina piange, in questa storia non c’entra niente neanche lei. Sono tutte infamie. Non può parlare con noi, è in isolamento, ma è disperata", continua Luisa. All’ingresso del carcere, in orario da ricevimento, si apre la porta e qualche agente di polizia penitenziaria sussurra: "Ci dispiace per il direttore, ma con noi non si è comportato bene. È autoritario, qui i turni sono stressanti, disumani". Un altro aggiunge: "C’è troppa rabbia: tutto viene scoperto se le conflittualità sono enormi". Poi la porta si chiude. Torna il silenzio, pesante come non mai.

Libri: esce "Patrie galere, viaggio in Italia dietro sbarre"

 

Ansa, 20 luglio 2005

 

La corrispondenza dei detenuti non è censurata, tuttavia nelle carceri italiane non si può fare uso di telefoni cellulari. In parecchi casi alla radio non si possono ascoltare le stazioni Fm. E poi ogni carcere e una repubblica a sé. Il regolamento penitenziario è ovviamente lo stesso in tutta Italia, tuttavia nella stessa città, a pochissimi chilometri di distanza, si può essere rinchiusi in carceri particolarmente dure o in altre dove le condizioni sono più tollerabili. Può anche capitare che non si riesca a vedere la fine di una partita di calcio alla tv se ci sono i tempi supplementari. Dipende tutto dall’elasticità del direttore, dalla pericolosità dei detenuti, o semplicemente dalla disponibilità degli uffici a venire incontro alle esigenze dei detenuti.

Sono solo alcuni spunti contenuti nel volume "Patrie galere: viaggio nell’Italia dietro le sbarre", edito da Carocci, scritto da Stefano Anastasia e Patrizio Gonnella, fondatori e dirigenti di Antigone, un’associazione che da anni si occupa dei diritti dei detenuti e della questione carceraria in Italia. Anastasia, inoltre, è attualmente presidente della conferenza nazionale del volontariato della giustizia, organizzazione ci cui fanno parte le maggiori associazioni di volontariato che si occupano di carceri. Scopo dell’opera, da oggi in libreria, è lanciare uno sguardo disincantato sull’emergenza dei penitenziari italiani usando un linguaggio meno specializzato e più narrativo. "Patrie galere" non è l’ennesima analisi sociologica di denuncia basata su cifre e statistiche, quanto piuttosto un racconto della condizione di vita di un detenuto in Italia, dall’arrivo nell’ufficio matricola, all’ingresso in cella, al rapporto basato spesso su regole non scritte con i secondini o con gli altri detenuti. Ed è dal semplice elenco dei fatti che accadono dietro le sbarre che il lettore può farsi un’idea sul problema. "Sino a oggi ci si è occupati di carcere - osserva Stefano Anastasia nel corso della presentazione del volume alla Festa dell’Unita di Roma - solo in occasione dei 55-60 suicidi l’anno. Il copione è sempre lo stesso.

A noi di Antigone ci viene richiesto un articolo sulla morte dietro le sbarre che inevitabilmente è più o meno sempre uguale. Ma il rischio di questo approccio è il tono vagamente moralistico dei nostri interventi, ricchi di informazioni, ma con l’evidente obbiettivo di provocare indignazione. Stavolta, invece, con questo libro, cerchiamo di raccontare il carcere così com’è, con disincanto, un luogo dell’assurdo che ormai non svolge più la sua funzione. A finire dentro sono quasi sempre gli stessi, sempre di più stranieri, un terzo della popolazione carceraria, di cui nessuno si cura più di tanto. Il problema oggi non è tanto riformarlo, quanto liberarsi dalla sua necessità, visto che oggi la galera soddisfa unicamente il bisogno di sacrificio umano che c’è nella società. Altre pene alternative, quelle interdettive, non soddisfano questo bisogno, non vengono nemmeno considerate pene".

D’accordo con Anastasia, il senatore Ds, Guido Calvi, anche lui presente alla presentazione del libro: "Certamente in una società moderna la pena detentiva non ha la stessa efficacia di quella interdittiva. Ricordo bene il caso del calcio scommesse. Per quei calciatori le giornate in carcere erano delle feste continue, tutti venivano a trovarli, abbracciarli, lodarli. La vera sanzione che loro temevano non era certo quella penale, quanto quella amministrativa. La pena di cui avevano più paura era la sospensione della loro partecipazione al campionato, non del carcere.

Merito del libro è far conoscere la vera vita del carcere, che nessuno conosce. Anch’io, che come avvocato entro continuamente in carcere, della vita reale dei detenuti non ne so molto. Una volta - prosegue Calvi - il processo era segreto ma la pena, la gogna più che l’impiccagione, era pubblica e aveva un forte significato simbolico. Poi, con l’illuminismo e l’affermazione dei diritti, il processo è diventato pubblico, mentre la pena è privata e segreta. Il merito di questo libro è rivelare a tutti le terribili condizioni dei detenuti italiani".

Reggio Calabria: delegazione comunale in visita al carcere

 

Adnkronos, 20 luglio 2005

 

Si è svolta ieri mattina una visita al carcere San Pietro di Reggio Calabria da parte del Presidente del Consiglio Comunale Chizzoniti e dei Capigruppo Pensabene, Canale, Barilla ed Arillotta. Una visita finalizzata alla istituzione del Garante dei diritti dei detenuti. Si tratta di un’iniziativa, quella dell’organo consultivo municipale, molto importante perché costituisce l’unico punto di raccordo tra l’interno della casa circondariale ed il territorio.

"La mia proposta - ha informato Chizzoniti - è quella di convocare il civico consesso all’interno della struttura con un unico punto all’ordine del giorno: l’istituzione del Garante che rappresenta, oggi, una figura indispensabile". Notevole la disponibilità della direttrice della struttura carceraria, Maria Carmela Longo, che ha accolto l’iniziativa con grande entusiasmo sottolineando l’importanza di una tale figura all’interno della casa circondariale.

"Sono grata al Presidente Chizzoniti, ai capigruppo ed all’intero Consiglio Comunale - ha affermato Longo - non avevo mai riscontrato un tale interesse nelle altre istituzioni cittadine e non abbiamo mai avuto le forze politiche al nostro fianco nei momenti difficili. L’istituzione del Garante è necessaria perché all’interno del carcere c’è anche gente che non ha i minimi mezzi di sussistenza né la possibilità di tutelare i propri diritti". Della stessa idea Pensabene che ha spiegato che, pur esistendo la figura dell’assistente sociale costui si occupa solo dell’aspetto personale. A sostenere l’iniziativa anche i consiglieri Sarica e La face. La direttrice ha anche fornito qualche dato sul carcere: sono 275 i detenuti di cui 20 donne, nella sezione femminile. "Un carcere molto affollato - ha concluso la direttrice - come la maggior parte degli istituti italiani". Un problema, quello del carcere reggino, per il quale non si accenna ad una risoluzione: interdetti i lavori di adeguamento per San Pietro in vista della costruzione del Carcere di Arghillà che, dal canto suo, è stata sospesa per problemi relativi alla progettazione.

 

 

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