Rassegna stampa 12 luglio

 

Giustizia: Pisanu; controllare migliaia di persone in poche ore

 

Il Messaggero, 12 luglio 2005

 

Mentre in Inghilterra il ministro Clarke sta ancora pensando per quanti anni vorrebbe conservare i dati telefonici dei cittadini Ue, da noi Beppe Pisanu ha le idee chiare: due anni in più, oltre i quattro che sono attualmente previsti. È una delle proposte inedite che oggi, alle 15.00, il ministro dell’Interno esporrà al Parlamento per affrontare al meglio la nuova emergenza terrorismo. Ce ne sono anche altre, anch’esse inedite, che si affiancheranno a quelle già trapelate nei giorni scorsi, come l’allungamento del fermo di polizia, i permessi di soggiorno per chi collabora, la superprocura antiterrorismo ed altre ancora. Ma andiamo con ordine.

Conservazione dei dati telefonici. È forse la proposta che farà maggiormente discutere, anche perché cade nel bel mezzo di un dibattito europeo sulla proposta inglese di conservare a tempo indeterminato dati telefonici, e-mail ed sms. Il ministro Pisanu proporrà di prorogare di 24 mesi il termine per la cancellazione dei dati delle nostre telefonate e dei nostri sms, rispetto ai quattro anni attualmente previsti. A questo proposito occorre ricordare che nei mesi scorsi era arrivato dalle procure più esposte nella lotta al terrorismo l’auspicio che il termine di quattro anni potesse essere portato a otto.

Operazione "Vie libere". Si tratta di quelle che in gergo vengono definite ad "alto impatto", e sono basate su un nuovo modello operativo di intelligence e di controllo del territorio. Saranno mirate all’individuazione di cellule di presunti terroristi islamici nel nostro paese. Sono state introdotte in questa legislatura e, finora, sono state organizzate per fronteggiare fenomeni che creano allarme sociale come la prostituzione, l’immigrazione clandestina, lo spaccio di sostanze stupefacenti, l’abusivismo commerciale e i reati contro il patrimonio come i furti, gli scippi, le rapine. La caratteristica di questo tipo di operazione è il grande dispiegamento di forze che viene utilizzato in un limitato arco di tempo. Questo consente di controllare migliaia di persone nell’arco di 24-48 ore e quasi sempre porta al fermo di migliaia di sospetti. Tanto per dare un’idea della portata di questo strumento investigativo, l’ultimo bilancio dell’operazione "Vie libere" parla di 6.594 persone arrestate di cui 2.724 italiani e 3.870 italiani.

Vigilantes privati in porti e stazioni ferroviarie. Il ministro Pisanu intende proporre al Parlamento l’utilizzo di guardie giurate private per il controllo dei bagagli e delle persone nei porti e nelle stazioni ferroviarie. Accade già negli aeroporti, dove tutti i metal detector per l’accesso agli imbarchi sono gestiti da vigilantes privati. La misura servirà a liberare poliziotti e carabinieri da questi compiti di vigilanza, per destinarli al controllo del territorio.

Procedure di espulsione più rapide. Utilizzando una serie di meccanismi giuridici, Pisanu intende accelerare al massimo le procedure di espulsione degli immigrati che sono sospettati di legami con il terrorismo. La proposta del ministro prevede tempi rapidissimi sia nel caso di immigrati in attesa di giudizio, sia nel caso di immigrati che hanno già fatto ricorso al Tar contro il decreto di espulsione. In questo modo, il titolare del Viminale intende andare incontro alle esigenze delle forze dell’ordine, che per tutto il periodo del giudizio di impugnazione di un decreto di espulsione devono controllare quasi a vista il clandestino interessato al provvedimento, utilizzando personale che potrebbe essere destinato ad altri incarichi.

Le altre misure. Sono quelle già rese note nei giorni scorsi: si va dal fermo preventivo esteso alle 24 ore ai permessi di soggiorno per i clandestini che collaborano; dalla superprocura antiterrorismo che dovrà coordinare le indagini delle varie procure alla possibilità di effettuare colloqui informativi in carcere con detenuti extracomunitari. Inoltre, una serie di circolari ad hoc del ministro Pisanu disporranno misure di sorveglianza speciali per le città più a rischio attentati: Roma, Milano, Napoli e Torino. Si tratta delle città in cui è presente una forte comunità islamica nella quale trovano spazio anche elementi radicali. Particolare attenzione è poi riservata al Vaticano, dove sono state ulteriormente intensificate le misure di sicurezza.

Giustizia: Brutti (Ds); sì alle intercettazioni, ma attenzione…

 

Il Messaggero, 12 luglio 2005

 

Il senatore Massimo Brutti, responsabile per la Giustizia della Quercia, ex sottosegretario alla Difesa e agli Interni, non è "pregiudizialmente" contrario alla proposta di prolungare i tempi di intercettazione per telefoni, e-mail e sms. Ma dice: "Naturalmente vanno disposte, a tutela delle garanzie della persona, anche forme di controllo che ne garantiscono la segretezza e impediscano gli abusi".

 

Quali forme di controllo?

"Intanto ogni forma di indagine e di utilizzo di intercettazione deve essere autorizzata e vagliata dalla magistratura. E naturalmente finalizzata alla specificità dell’antiterrorismo. Non si può dar vita alla formazione di un’immensa banca dati in contrasto con i diritti costituzionali dei cittadini".

 

I Ds sembrano favorevoli ad appoggiare il pacchetto antiterrorismo del governo.

"Non conosciamo ancora le proposte del governo, ma le vaglieremo con la massima disponibilità. A patto che non prevalga la logica emergenziale. La sicurezza va garantita nel rispetto delle regole, puntando alla valorizzazione e al potenziamento delle risorse nel campo dell’ intelligence e delle forze di polizia. In questa fase è quanto mai indispensabile anche il coordinamento dell’attività di contrasto e questa non può che competere alla magistratura".

 

A che punto è la Procura nazionale antiterrorismo?

"Ho qui davanti agli occhi la proposta di un disegno di legge che ho presentato nel febbraio 2002. Finora se ne è molto parlato, ma non se n’è fatto niente. L’urgenza di uno scambio informativo tra procure e di un’azione integrata anche a livello internazionale è sotto gli occhi di tutti. L’esperienza della lotta alla mafia e del terrorismo interno ci deve aiutare".

Giustizia: sulla proposta di Pisanu c’è l’apertura dell’Ulivo

 

Corriere della Sera, 12 luglio 2005

 

Un provvedimento da approvare in sede legislativa e dunque con procedura d’urgenza. È la strada scelta dal titolare dell’Interno Giuseppe Pisanu per l’approvazione del pacchetto di misure contro il terrorismo che sarà portato domani all’esame del Parlamento. Ieri il ministro ha incassato un via libera di massima dai Ds. E adesso valuta anche la possibilità di prorogare da 12 a 24 ore il fermo di polizia. Ci si muove in linea con gli altri Paesi europei. E dalla Gran Bretagna arriva la proposta di archiviare per un anno tutti i tabulati delle telefonate e delle comunicazioni via Internet dei cittadini europei. È il ministro dell’Interno britannico Charles Clarke a farsi portavoce dell’esigenza - condivisa dai suoi colleghi di Italia, Spagna, Francia e Germania - di tenere sotto controllo conversazioni e messaggi Controllo in metro (Fotogramma) nella speranza di scoprire contatti tra personaggi sospetti. L’accordo potrebbe essere formalizzato durante la riunione straordinaria convocata mercoledì a Bruxelles.

Oggi l’Unione cercherà una posizione unitaria sul voto per il rifinanziamento della missione in Iraq, mentre sembra spianata la strada per concedere strumenti più efficaci a investigatori e magistratura. Secondo il segretario Ds Piero Fassino "bisogna mettere in campo tutto ciò che è necessario per garantire la sicurezza dei cittadini" e il capogruppo Luciano Violante propone "senza isterismi" di "ripescare l’esperienza della lotta al terrorismo anni 70". Pisanu mette a punto gli ultimi dettagli. Nodo centrale resta quello di concedere il permesso di soggiorno a chi collabora, misura premiale che ha già dato buoni risultati nelle indagini sullo sfruttamento della prostituzione e del traffico di immigrati. Con il provvedimento potrebbero essere autorizzati anche i colloqui investigativi, attualmente previsti soltanto nelle indagini contro la criminalità organizzata, che consentono di parlare con i detenuti senza la presenza del difensore. In questo ambito non viene esclusa la possibilità di concedere un vero e proprio programma di protezione a chi fornisca informazioni determinanti per prevenire un attentato.

Decisiva viene ritenuta la riscrittura dell’articolo 270 bis e lo snellimento delle procedure per le espulsioni. In particolare l’Antiterrorismo chiede che i provvedimenti amministrativi vengano motivati in modo che non possano essere annullati dal Tar e diventino immediatamente esecutivi. Utile viene giudicata anche la proroga da 12 a 24 ore del fermo di polizia che concede maggiori possibilità di identificazione degli indagati, spesso sprovvisti di documenti autentici e celati dietro numerosi "alias". Sarà invece il Parlamento a dover valutare l’eventuale creazione di una Procura antiterrorismo.

In Italia i dati sul traffico telefonico vengono conservati per quattro anni, mentre quelli sulle comunicazioni via internet (e-mail e accesso ai provider non a pagamento) devono essere distrutti in tempo reale. Il ministro britannico Clarke chiede invece che l’archiviazione duri almeno un anno perché "sapere quali chiamate sono state fatte, da quale numero, a chi e quando, è di grande importanza per l’ intelligence ". Dai Paesi del G5 è già arrivato un assenso di massima e adesso si aspetta la riunione di mercoledì per la formalizzazione della procedura.

Giustizia: Pecorella; sì alla legittima difesa, no al Far West

 

La Stampa, 12 luglio 2005

 

"Una maggiore tolleranza per chi usa le armi sotto forma di legittima difesa, mi va bene. Ma se deve diventare il Far-West, quello no". Gaetano Pecorella, avvocato e garantista, deputato di Forza Italia e presidente della commissione Giustizia della Camera, commenta la nuova legge approvata al Senato. "Il principio di proporzionalità non può cadere. Non potrò mai sparare a un ragazzo perché ruba una mela. Certamente c’è una grande esigenza di sicurezza da parte dei cittadini. E qualche volta i magistrati hanno applicato male il principio della legittima difesa, in situazioni in cui effettivamente la persona era vittima di rapine o di cose del genere. Se applicata bene, la vecchia norma era più che sufficiente per garantire la possibilità di difendersi. Ma spesso nella giurisprudenza accadeva che venisse applicata male. Faccio un esempio: se una persona aveva commesso una rapina e si stava allontanando, si diceva che il pericolo non era più attuale e quindi non si poteva più intervenire. Pretendendo così dal cittadino una capacità di valutazione con il bilancino, su quando finisce un’aggressione o quando no. Se la norma ha esteso ragionevolmente la legittima difesa, probabilmente risponde a un’esigenza. Se viceversa diventa un farsi giustizia da sé, allora non sono d’accordo", conclude Pecorella.

Giustizia: Di Pietro; no alla "legittima difesa" per protezione beni

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

"Avrei votato senza esitazioni no alla norma che amplia la legittima difesa alla difesa dei beni. E per una ragione ben evidente". Lo afferma Antonio Di Pietro ai microfoni del Gr3. "Essa è a un tempo - spiega il leader di Italia dei Valori - inutile e dannosa. Ai cittadini non viene chiarito bene, ma chi è del mestiere sa che la legittima difesa è una norma frutto di duemila anni di storia, che già esiste abbondantemente nel nostro codice e che ha già trovato la sua mitigazione nella cosiddetta legittima difesa putativa e nella cosiddetta proporzionalità tra difesa e offesa".

Giustizia: Castelli; a creare il Far West sono i delinquenti

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

La norma approvata al Senato che aumenta le possibilità di legittima difesa "tutela Abele contro Caino, perché a creare il Far West non sono i bravi cittadini ma i delinquenti": lo ha detto il ministro della giustizia, Roberto Castelli, parlando stamani con i giornalisti dopo l’inaugurazione del nuovo carcere di Perugia. Castelli si è domandato come si faccia a "evocare il Far West quando una persona che sta dormendo si trova un’ombra ai piedi del letto e, in quell’occasione, dovrebbe mettersi a considerare se quella persona la vuole stuprare, uccidere, o vuole rubare qualche collanina". Il ministro ha ribadito di "rifiutare il principio secondo cui solo i cittadini onesti debbono rispettare i delinquenti. La nostra - ha detto - è una battaglia culturale contro l’andazzo masso-comunista, secondo cui i delinquenti hanno tutti i diritti e i cittadini onesti nessuno".

Giustizia: Gasparri; le amnistie non risolvono il sovraffollamento

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

Per l’on. Maurizio Gasparri (An), il sovraffollamento nelle carceri "non si risolve con le amnistie, perché non si può affrontare il problema mettendo in circolazione persone che potrebbero compiere nuovi reati". Parlando in serata a Trieste con i giornalisti, a margine di una manifestazione di An, Gasparri, che nel pomeriggio aveva visitato il carcere del capoluogo giuliano ("struttura eccellente, dove si lavora con grande professionalità e competenza e con grande senso civico"), ha auspicato una continuazione del processo di rafforzamento dell’edilizia carceraria, voluto dal governo. "Ci sono state anche iniziative innovative", ha detto facendo riferimento a Castelfranco Emilia (Modena), dove c’è una struttura carceraria che tiene conto dei problemi dei tossicodipendenti.

"Sulle carceri c’è un impegno forte del governo - ha aggiunto Gasparri - e io credo che se purtroppo resta alto il numero dei reati, noi non possiamo adattare il numero dei detenuti alle capienze. Bisogna prendere atto di quante persone devono stare in carcere e, ahimè, temo che ce ne stiano meno di quelle che ci dovrebbero stare". Secondo l’ex ministro delle Comunicazioni, "c’è anche un eccesso di immigrazione clandestina che si riflette sul carcere, perché in molte realtà la metà e più di detenuti sono stranieri, il che dimostra che purtroppo in Italia se molti vengono per lavorare, troppi vengono per delinquere. Quindi occorre - secondo l’esponente di An - maggiore severità, maggiore fermezza, maggiore applicazione delle norme della legge Fini-Bossi e, semmai, renderle ancora più aspre nei confronti dei clandestini, anche alla luce dei fenomeni di terrorismo che spesso, attraverso il fondamentalismo, si servono dei flussi di clandestini per una espansione minacciosa in Occidente".

Giustizia: Udc ritira gli emendamenti su riforma ordinamento

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

L’Udc, dopo aver presentato 42 emendamenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario, ha poi deciso in commissione Giustizia di ritirarli. La decisione è stata presa dal capogruppo dei centristi, Luca Volontè, dopo un invito in tal senso da parte del relatore del provvedimento, Francesco Nitto Palma. Decaduti anche i due emendamenti presentati da An poiché il suo firmatario, Sergio Cola, non si è presentato in commissione.

"Abbiamo votato secondo quanto ci ha detto il relatore invitandoci a riflettere in vista dell’Aula. Dato che per sei volte le nostre richieste sono entrate a fare parte del provvedimento confidiamo che anche stavolta la maggioranza le prenda in considerazione". È quanto ha detto il capogruppo dei deputati dell’Udc Luca Volontè, che oggi ha sostituito Erminia Mazzoni in commissione Giustizia, parlando con i giornalisti dopo il ritiro da parte del suo partito dei 42 emendamenti presentati al ddl sulla riforma dell’ordinamento giudiziario.

Lodi: "Il lavoro debole", parte progetto provinciale per i detenuti

 

Redattore Sociale, 12 luglio 2005

 

Anche i detenuti potranno cercare lavoro, direttamente dal carcere. Sarà sufficiente per loro rivolgersi allo sportello di orientamento che li aiuterà a cercare proposte di lavoro adatte alle loro capacità. L’iniziativa si inserisce nel progetto "Lavoro debole" , un piano di reinserimento occupazionale approvato dalla Provincia di Lodi in collaborazione con la Direzione del Carcere di Lodi, il Dipartimento Assi dell’ASL di Lodi, la Cooperativa il "Mosaico" e il Centro di formazione professionale del Lodigiano. Il progetto attende ancora il via libera della Regione Lombardia. "Abbiamo presentato in Regione "Lavoro debole" - spiega Luisangela Salamina, assessore alla Formazione professionale e alle Politiche del lavoro -, è la nostra proposta per ottenere i fondi stanziati dalla Regione a favore del reinserimento sociale dei detenuti (Dgr n. VII/18409 del 30 luglio 2004)". Grazie a un’indagine sulle esperienze professionali e le abilità dei singoli detenuti sarà creata una banca dati. Sarà dunque possibile soddisfare le esigenze lavorative di aziende e detenuti. Per i carcerati extracomunitari è inoltre previsto un servizio di mediazione culturale. "Vogliamo creare una rete di attori attivi per aiutare i carcerati a progettare il loro percorso lavorativo e di vita - prosegue l’assessore. Per questo c’è stato anche il coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali locali".

"La ricerca di lavoro è il problema dei problemi per chi esce dal carcere - commenta Sergio Segio del Gruppo Abele-. L’ex-detenuto si trova di fronte un deserto di opportunità e spesso non trova la possibilità di inserirsi a livello sociale". Lo dimostrano anche le stime calcolate dalle associazioni che si occupano di detenuti: il 60% dei carcerati, una volta in libertà, commette lo stesso reato. "La recidiva è l’indice della mancanza di alternative - spiega Segio. L’offerta lavoro è bassa e chi riesce a trovare lavoro nel 90% dei casi deve ringraziare le cooperative o le associazioni di volontariato". Un problema reale che unisce pregiudizi culturali e mancanza di finanziamenti. "Il modo più efficace e meno estemporaneo per incentivare la disponibilità di posti di lavoro sarebbe quella di far devolvere agli enti locali il 10% delle proprie commesse di lavoro - aggiunge -. Così si otterrebbero i finanziamenti per creare delle borse di formazione professionale, un ponte per sostenere i detenuti nel primo periodo fuori dalle mura del carcere".

Modena: istituire garante delle persone private della libertà

 

Modena 2000, 12 luglio 2005

 

Istituire il garante per i diritti delle persone private della libertà personale. La richiesta è contenuta in un ordine del giorno approvato nei giorni scorsi dal Consiglio provinciale su proposta della maggioranza di centro sinistra e il voto contrario di Lega Nord, An e Forza Italia.

Il documento invita la giunta provinciale ad "attivarsi" per istituire questa figura di garanzia, possibilmente in collaborazione con i Comuni di Modena e Castelfranco Emilia. Per persone private della liberta personale si intendono coloro che sono detenuti negli istituti di pena (a Modena sono mediamente 500), oltre alle persone presenti nel Centro di permanenza temporanea e ai quei cittadini presenti nelle strutture sanitarie perché sottoposti a Tso, il trattamento sanitario obbligatorio.

La figura del Garante, si legge nell’ordine del giorno, sarebbe chiamata a svolgere un ruolo propulsivo, di stimolo e di tutela dei diritti costituzionali (in particolare l’articolo, terzo comma: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato") e delle leggi sulla detenzione, con un occhio di riguardo ai malati di Aids, alle detenute madri, dei tossicodipendenti, dei cittadini extracomunitari. Nel documento approvato dal Consiglio si evidenzia anche che quella del Garante non è una scelta contro l’istituzione carceraria, ma si tratta della individuazione di un interlocutore forte e stabile per rafforzare la collaborazione tra istituti di pena e enti locali, fra carcere e territorio, per una maggiore attenzione verso le persone private di libertà personale.

Algeria: 300 detenuti in sciopero della fame nel carcere di Algeri

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

Trecento detenuti della prigione di El Harrach di Algeri stanno osservando da venerdì scorso uno sciopero della fame illimitato dopo la morte di un loro compagno gravemente malato di diabete. Lo riferisce il quotidiano algerino El Watan.

Il decesso dell’uomo di 56 anni, la cui identità non è stata rivelata, colpito non solo da diabete ma anche da altre malattie che "ormai avevano attaccato gravemente tutto il suo corpo", ha scatenato la collera dei 300 detenuti tutti reclusi per reati legati al terrorismo.

Migliori condizioni igieniche e più attente cure mediche, sono alcune delle richieste dei manifestanti. "Chiediamo di essere trattati come i detenuti comuni", hanno dichiarato. "I detenuti sembrano determinati nel portare fino in fondo le loro rivendicazioni", scrive il quotidiano del paese maghrebino sottolineando come molti siano in "detenzione provvisoria".

Dal 2002 gli stabilimenti penitenziari algerini, che contano circa 38.000 detenuti, sono stati scossi da numerose rivolte e incidenti che hanno provocato decine di morti e centinaia di feriti. Le motivazioni sono sempre le stesse: il miglioramento delle condizioni di detenzione e una maggiore rapidità nei processi.

Torino: oggi si è tenuta la rappresentazione "Concorso letterario"

 

Comunicato stampa, 12 luglio 2005

 

Oggi alle ore 15.30 nella Casa Circondariale "Lorusso e Cutugno" ha avuto luogo la rappresentazione "Concorso letterario" quale momento conclusivo di un laboratorio di lettura e approfondimento culturale realizzato dai detenuti delle sezioni I e IV del padiglione C (Alta Sicurezza) in collaborazione con l’associazione "Formazione 80".

L’iniziativa nasce nell’ambito del progetto "Da libro a cantiere culturale", finanziato dall’Assessorato alla Solidarietà Sociale della Provincia di Torino e realizzato anche con la collaborazione dell’associazione "La Tenda", del Centro Interculturale, del sistema bibliotecario urbano. L’obiettivo è di offrire un percorso culturale soprattutto rivolto ai detenuti che per difficoltà linguistiche o altri motivi di emarginazione vivono in carcere una ancor più difficile condizione di isolamento.

Il progetto prevede anche il potenziamento del servizio di biblioteca esistente in Istituto. Dal 1988 la Casa Circondariale ha firmato con il Comune di Torino una convenzione per l’istituzione di una sezione distaccata della biblioteca civica, curata dal funzionario comunale Angelo Toppino. Essa dispone, attualmente, di oltre 16.000 testi, periodicamente aggiornati e sempre più rispondenti alle esigenze di un grande carcere multietnico. "Dal libro al cantiere culturale" si propone di rendere il servizio di biblioteca sempre più diffuso all’interno del carcere e di raggiungere in maniera capillare anche le zone detentive più emarginate. Per tale motivo, in via sperimentale e del tutto innovativa, si è avviata un’attività di formazione nei confronti di detenuti che lavorano in carcere come "scopini" o addetti ad altre mansioni "domestiche". L’idea è di coinvolgerli nella gestione del servizio di biblioteca, perché divengano, all’interno dell’Istituto, veicoli e promotori di "sapere".

La giornata del 12/07/2005, a cui è prevista la partecipazione del Garante dei detenuti, Maria Pia Brunato, dell’Assessore alla Solidarietà Sociale della Provincia di Torino Eleonora Artesio, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Torino Fiorenzo Alfieri, segnerà un’altra tappa di un progressivo percorso di apertura del carcere alla cultura quale elemento determinante nel processo di reinserimento.

Bari: documento dell’Assemblea per la chiusura dei Cpt

 

Melting Pot, 12 luglio 2005

 

I movimenti per la libertà di circolazione e per la chiusura dei centri di detenzione per migranti accolgono positivamente l’iniziativa dei presidenti di regione e rivendicano il percorso di movimento che l’ha resa possibile.

Il Forum di oggi dimostra che si è aperto un profondo conflitto istituzionale. La legge Bossi-Fini e il ministro dell’interno Pisanu hanno trasformato il problema politico dell’immigrazione in guerra permanente contro tutti i migranti, amplificando gli aspetti negativi della legge Turco-Napolitano, che comunque rifiutiamo.

Ad una settimana dagli attentati di Londra diventa prioritario rifiutare ogni misura antiterrorismo emergenziale, penale o amministrativa che fa dei migranti le prime vittime ed i capri espiatori di una criminalizzazione preventiva. Infatti, l’attuale politica sull’immigrazione è basata su una razionalità emergenziale e securitaria. La chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali di ingresso legale, il restringimento delle possibilità di ricongiungimento familiare, l’esasperazione della precarietà della condizione dei migranti a causa di una rigida connessione tra la durata (e il rinnovo) del permesso di soggiorno ed il rapporto di lavoro, la negazione del diritto d’asilo stanno producendo clandestinità, ricattabilità, irregolarità.

Le misure restrittive della libera circolazione e l’uso mediatico di un’associazione continua di clandestino e criminale, hanno portato ad una progressiva clandestinizzazione dei migranti e reso di fatto il clandestino un criminale sui generis, un criminale d’eccezione che non può semplicemente essere arrestato, ma deve essere internato pur non avendo commesso reato alcuno.

Tutto questo sta continuando ad alimentare un falso allarme, per indurre ed amplificare una domanda sociale di esclusione, di restringimento dei diritti di cittadinanza che riguardano tutte e tutti.

Il trattamento del migrante è diventato il prototipo del controllo sociale e della precarizzazione del lavoro e della vita di tutti, istituzionalizzati anche dalla legge 30.

Il perverso intreccio tra contratto di soggiorno e precarizzazione del lavoro mette i migranti in una condizione di continuo rischio di clandestinità rendendo più ricattabili tutti. Le politiche di repressione sono servite a sperimentare un diritto speciale e separato per categorie di persone (migranti, tossicodipendenti, prostitute, attivisti). Dal 1998 – anno in cui la legge Turco-Napolitano ha istituito i centri di permanenza temporanea – un’ampia rete di attivisti ha attuato una critica pratica alla detenzione-deportazione che li sorregge. Il normale funzionamento di queste galere etniche è stato messo in discussione ed è stato rifiutato sia dall’esterno sia dai migranti detenuti all’interno. In forme diversificate è stata praticata la legittima disobbedienza ad una legge ingiusta, riaffermando la contrarietà alla detenzione etnica ed amministrativa, alla distinzione tra persone legali ed illegali, sanabili ed insanabili, e denunciando l’impossibilità di una riforma umanitaria dei Cpt. È per questo che consideriamo e chiediamo siano dichiarati illegittimi i procedimenti giudiziari tutt’ora pendenti a carico di centinaia di migranti e di attivisti che, in questi anni, dall’interno e dall’esterno dei centri hanno messo radicalmente in discussione la detenzione amministrativa.

I Cpt così come i Cdi (Centri d’identificazione per richiedenti asilo) sono istituzioni europee e si assiste al loro proliferare dentro e fuori l’Europa.

Chiudere ogni campo di detenzione per i migranti vuol dire opporsi in Italia, in Europa ed al di fuori dello spazio Schengen: ad ogni dispositivo che rende clandestini i movimenti di popolazione alle deportazioni, ai rimpatri, ai respingimenti alle delocalizzazioni delle politiche di controllo dei flussi all’allestimento dei campi all’esterno dell’UE. Vuol dire cancellare l’istituto della detenzione amministrativa ed ogni forma di diritto differenziale. Vuol dire ripensare radicalmente e completamente le migrazioni perché l’unica forma di opposizione ai centri di detenzione è la libertà di circolazione.

 

Chiediamo

La chiusura di tutti i centri di detenzione dentro e fuori l’Europa

La non apertura di quelli in costruzione

Amnistia e depenalizzazione di tutti i reati sociali

Abrogazione di tutti i reati connessi alla condizione di irregolarità dei migranti sul territorio

Rilanciamo la ripresa delle iniziative per la chiusura dei centri di detenzione con due manifestazioni nazionali e la ripresa delle campagne contro gli enti gestori dei centri.

Chiediamo ai presidenti di regione riuniti in questo Forum, iniziative di boicottaggio gestionale delle strutture di detenzione.

Rilanciamo la ripresa delle iniziative per l’abrogazione della Bossi-Fini, il non ritorno alla Turco-Napolitano, la revoca dei regolamenti attuativi, l’elaborazione di una legge organica sull’asilo.

 

Proponiamo a tutti

campeggio a Licata, in Sicilia, organizzato dalla rete antirazzista siciliana a fine luglio

giornata di mobilitazione ed azioni articolate nei territori a settembre

ad ottobre due manifestazioni per la non apertura del CPT a Gradisca d’Isonzo ed a Bari S. Paolo

manifestazione per l’abrogazione della legge Bossi-Fini a novembre

I movimenti per la libertà di circolazione e per la chiusura dei centri di detenzione per migranti

Usa: esecuzione vicina per Robert Lovitt, ultimo appello

 

Apcom, 12 luglio 2005

 

Solo tra qualche ora, sarà un altro dead man walking. Ma nel frattempo, prima che il suo appuntamento con la morte arrivi, Robin Lovitt continua a essere fiducioso. E a gridare la propria innocenza. L’ultima speranza per il protagonista di quest’ennesimo controverso caso americano di sentenza capitale è la Suprema Corte degli Stati Uniti, che oggi esaminerà l’appello del condannato: 47 pagine, per ripercorrere la sua vicenda, ma soprattutto mettere in fila l’una dietro l’altra tutte le presunte incongruità del procedimento, a cominciare dalla distruzione dell’esame del Dna. Se il verdetto dell’Alto tribunale non dovesse essere positivo, il destino di Lovitt, 41 anni, sarà nelle mani di Mark R. Warner, governatore della Virginia, secondo stato dopo il Texas per numero di esecuzioni.

"Un uomo potrebbe essere condannato a morte in assenza di prove, come il test del Dna, andato colpevolmente distrutto", affermano avvocati e rappresentanti religiosi, fautori di una campagna per la conversione in ergastolo della sua condanna. Così, in un’era in cui gran parte delle sentenze capitali vengono decise proprio dal Dna, il caso di Lovitt ha suscitato grande attenzione nell’opinione pubblica, anche per la notorietà del suo avvocato, Kenneth W. Starr, già grande accusatore del presidente Bill Clinton nello scandalo Lewinsky.

Lovitt fu arrestato sei anni fa per l’omicidio di Clayton Dicks, quarantacinquenne manager della Arlington, pugnalato durante una rapina da 200 dollari. I giudici ci misero due ore per arrivare alla sentenza di condanna a morte, ma poi il procedimento prese un’altra piega in fase di appello. Quando i suoi avvocati chiesero di esaminare il fascicolo, scoprirono che gran parte degli elementi erano andati distrutti. Compreso il test del Dna. "Ci sono altre prove contro Lovitt, dai testimoni oculari all’accusa di un altro detenuto", è stata la replica del portavoce del procuratore generale, Emily Lucier, alle obiezioni dei legali dell’imputato. E quello di Lovitt è stato tra i primi dei 161 esami del Dna ad essere rivisti, nel mese di maggio, su ordine del governatore Warner. Più volte, i laboratori sono stati accusati di errori. Insoddisfatti del riesame dei documenti, a loro dire troppo superficiale, gli avvocati di Lovitt tornano a puntare il dito sull’assenza di prove schiaccianti circa la colpevolezza del loro assistito.

Di quella notte di sei anni fa, Lovitt ha ammesso da subito la sua partecipazione alla rapina, ma ha sempre negato ogni responsabilità nell’omicidio. Determinanti nel suo caso sono state la deposizione di un informatore penitenziario e di un testimone oculare, che dichiarò di essere sicuro "all’80%" dell’identità del killer. Nessun indizio utile è arrivato invece dall’arma del delitto: un paio di forbici, le cui tracce di sangue però erano solo della vittima.

L’avvocato di Lovitt fissa nel 21 maggio del 2001 la data della manipolazione del fascicolo. Erroneamente convinto della chiusura del caso, un funzionario del tribunale decise di gettare via quasi tutti i fascicoli del caso Lovitt, per fare spazio. Ben poco si riuscì a recuperare, ricordano ora i legali di Lovitt nella petizione al governatore, per chiedere la grazia. Secondo Starr, oltretutto, la pena di morte avrebbe qualche utilità sociale solo per serial killer e terroristi e solo in caso di un altissimo margine di certezza, supportato da test del Dna.

E sono state proprio le tante zone d’ombra del caso di quest’uomo di colore, ex tossicodipendente, cresciuto in un’angusta casa di Arlington, a convincere il principe del foro Starr ad accettare la difesa. "Come può un giudice avere sulla coscienza la morte di un uomo davanti ad una costellazione di incongruenze?", si chiede Starr. E mentre i familiari di Lovitt vanno, forse per l’ultima volta, a salutarlo in carcere, i figli del manager assassinato si preparano ad assistere all’esecuzione del condannato.

Lanciano: la protesta degli agenti, costretti a turni massacranti

 

Il Messaggero, 12 luglio 2005

 

"Per tanto tempo siamo rimasti in silenzio, sottoponendoci senza protestare a stressanti carichi di lavoro, ma dopo che ogni nostra richiesta non è stata neppure presa in considerazione, ci siamo visti costretti a proclamare lo stato di agitazione per portare all’esterno, attraverso gli organi di informazione, la situazione di estremo disagio e le insuperabili difficoltà in cui ci troviano ad operare, in un settore così delicato qual è quello delle carceri". A parlare sono i rappresentati sindacali (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Sinappe, Cnpp) della polizia penitenziaria del supercarcere di Villa Stanazzo di Lanciano. Da due giorni, le guardie carcerarie si astengono dalla fruizione del cibo, e ieri mattina hanno dato vita ad una manifestazione di protesta con un sit-in davanti ai cancelli del penitenziario, diffondendo un comunicato in cui illustrano le motivazioni dell’agitazione. Tra l’altro, si chiede un’ispezione ministeriale mirata alla verifica della carenza di organico.

"Il nostro organico - dice Ruggero Di Giovanni della Ugl - è carente di oltre cento unità. In base al rapporto di unità di detenuti in carica, dovremmo essere 286, invece siamo 170, di cui una decina distaccati in altri uffici. Non è bello fare paragoni, ma dobbiamo constatare come, tanto per fare un esempio, a Sulmona, che è un carcere di "primo livello" come il nostro, l’organico della polizia penitenziaria è completo. Forse perché a Sulmona sono successi episodi incresciosi, ma non sembra questo il metro giusto per garantire la sorveglianza nelle carceri. I nostri turni, invece che di sei ore, arrivano anche a nove ore; alcuni di noi devono ancora godere delle ferie del 2001".

Sotto accusa, in particolare, viene posto il Provveditore regionale agli istituti penitenziari. "Non sappiamo - scrivono le guardie del supercarcere di Lanciano - come faccia il Provveditore a dire che, sia in Abruzzo che in Molise, l’organico è completo, quando noi siamo sotto organico di circa cento uomini. Inoltre, il signor Provveditore vuole aprire a Lanciano un nuovo reparto di detenuti con disturbi mentali che ha necessità di una sorveglianza più accurata, ma non si parla di aumento di organico. Abbiamo ferie arretrate anche di cinque anni; siamo costretti a lavorare in maniera molto insicura, ricoprendo più posti di servizio; con difficoltà garantiamo il livello minimo di sicurezza, mettendo a repentaglio la nostra vita, la sicurezza dell’Istituto e quelle dei cittadini". Il supercarcere di Lanciano (tecnicamente si dice di "primo livello") ospita anche le sezioni speciali dei boss della mafia, della camorra e del crimine organizzato. Vi passano "personaggi" di primo piano. Nella contrada di Villa Stanazzo in molti ricordano quella volta che tutta la zona venne accerchiata dalle forze dell’ordine, con poliziotti fin sugli alberi. Si seppe, poi, che era arrivato Carmine Alfieri, big della nuova camorra napoletana. C’è un’inchiesta per telefonini trovati nelle celle di alcuni malavitosi. Un’altra inchiesta ha coinvolto l’ex direttore Medugno.

Usa: in Texas 99 anni di prigione per il furto di un cellulare

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

99 anni di prigione per aver rubato un cellulare: il tribunale di Waco, cittadina del Texas, ha condannato Gleen Alvin Reed a passare tutta la vita in carcere per il furto di un telefonino avvenuto lo scorso autunno ai danni di un camionista. Reed, 31 anni, non si è limitato a rubare il cellulare: lo ha usato per picchiare il proprietario. Il condannato non è nuovo ad atti di aggressione. È stato in passato ritenuto colpevole di lesioni gravi e furto ai danni di un anziano. Nella fedina penale di Reed compaiono anche quindici reati minori compiuti fino al 1991, tra cui dodici violazioni di domicilio.

Droghe: secondo l'Unione Europea Italia non ha una strategia globale

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

L’Unione europea a 25 si è dotata di una strategia a lungo termine (2005-2012) in tema di lotta alle tossicodipendenze, con una verifica, nel 2008, dell’impatto di questo piano d’azione ai fini del raggiungimento degli obiettivi: lo ha detto Danilo Bullotta, dell’Osservatorio europeo di Lisbona, intervenendo a un convegno della "Società della ragione" sulle politiche in tema di droga. È la prima volta, ha sottolineato Bullotta, che l’Europa si dà un termine per una valutazione d’impatto di una strategia. Il piano, ha spiegato, fornisce le linee guida agli Stati membri per uniformare le politiche in materia di lotta alla droga. Gli Stati, dal canto loro - ed è un’altra novità - sono tenuti ad adottare la strategia comune, con indicatori e obiettivi. "È un passo avanti sulla strada del formarsi di un approccio comune europeo in tema di droga" ha commentato.

Obiettivo principale della strategia europea è quello di "ridurre il numero di tossicodipendenti e di evitare i danni che il consumo e il traffico di sostanze stupefacenti portano alla società e all’individuo". Attualmente, ha detto Bullotta, sono 22 su 25 gli Stati europei che riportano di avere una strategia per la lotta alle tossicodipendenze: l’Italia è tra i tre, insieme a Olanda e Austria, che non si è ancora dotata di un piano d’azione. O meglio, esiste - è la proposta di legge Fini - ma è ancora in fase di discussione. Tra i punti di più difficile armonizzazione tra gli Stati membri, ha sottolineato, c’è quello del riconoscimento del ruolo della riduzione del danno: in dieci Paesi è considerata un pilastro delle politiche, in nove è un tema tra gli altri, in tre Stati non se parla proprio. Obiettivo del piano europeo è quello che gli Stati migliorino l’accesso al trattamento per la riduzione del danno "tenendo conto dei piani nazionali".

L’altro aspetto spinoso è quello della cannabis, sui quali le politiche differiscono molto da Paese a Paese, oscillando tra repressione e legalizzazione. In 16 Paesi, ha detto Bullotta, il consumo personale dà luogo a reati amministrativi, in altri nove scatta invece il reato penale. È ampiamente noto, poi, che due terzi della spesa in materia di lotta alla droga è destinato alla repressione, e solo un terzo a prevenzione, riduzione del danno, cura. E proprio a proposito di spesa, il rappresentante dell’Osservatorio europeo ha denunciato come "pochi Paesi sanno quanto spendono" in materia di lotta alla droga.

Livorno: 100 in sit-in davanti al carcere per ricordare Marcello Lonzi

 

Ansa, 12 luglio 2005

 

Un centinaio di persone provenienti da tutta la Toscana hanno manifestato questo pomeriggio davanti al carcere delle Sughere, a Livorno, per ricordare la morte di Marcello Lonzi, il giovane detenuto morto l’11 luglio del 2003 proprio in quell’istituto penitenziario. La madre, Maria Ciuffi - che ha organizzato il sit in - è sempre più convinta che suo figlio sia morto in seguito alle percosse subite in prigione, ipotesi però che non è stata mai accolta dalla procura livornese che ha archiviato il caso come "morte per cause naturali". Il picchetto in memoria di Marcello Lonzi è iniziato alle 16 e proseguirà fino alle 19. Davanti ai cancelli delle Sughere è stato steso uno striscione con su scritto "Secondini assassini" e alcuni mazzi di fiori sono stati poggiati alle sbarre dalla madre e dai manifestanti. Anche alcuni volontari del carcere fiorentino di Sollicciano hanno deposto fiori davanti al cancello.

Sulmona: domani i giovani imprenditori si riuniscono nel carcere

 

Il Messaggero, 12 luglio 2005

 

Domani pomeriggio il Consiglio direttivo dei Giovani imprenditori dell’Unione provinciale dell’Aquila si riunirà all’interno del supercarcere sulmonese di via Lamaccio; l’iniziativa è stata assunta d’intesa con il direttore dell’istituto di pena, Giacinto Siciliano.

"L’incontro - dice il presidente dei Giovani imprenditori, Fabio Spinosa Pingue - vuol costituire un forte e costante dialogo tra tutti i protagonisti della comunità e punta a rafforzare le sinergie, sempre più auspicate, tra tutti i settori della pubblica amministrazione ed il mondo imprenditoriale. All’evento di domani parteciperanno rappresentanti di tutte le Unioni provinciali, oltre ad imprenditori della nostra regione che fanno parte del sistema Confindustria. Nell’incontro, oltre alla visita ai laboratori del carcere (calzaturiero, tessile, falegnameria, centro di cottura gastronomico e rilegatoria), per un eventuale utilizzo che prevede il lavoro di detenuti e di esterni, verrà firmata la convenzione per il progetto Argo, il servizio di custodia dei cani per gli ospiti degli alberghi , e verrà ufficializzato l’accordo che prevede, da parte degli alberghi, condizioni particolarmente vantaggiose per l’alloggio dei parenti dei detenuti. Contestualmente verrà acquistato, da parte del gruppo Giovani imprenditori, un murales il cui ricavato andrà a favore della costruenda ludoteca per i figli dei detenuti". L’evento è naturalmente anche un modo attraverso il quale i Giovani imprenditori intendono esprimere solidarietà a questa istituzione che nel recente passato è stata oggetto di duri attacchi a seguito della triste sequenza di suicidi. "Un istituto -aggiunge Spinosa Pingue- che, invece, merita il plauso ed il riconoscimento per l’azione rinnovata e frizzante della direzione, che fa "innovazione" su un territorio che deve imparare a dialogare".

La storia di Anna Boniardi, 77 anni, impegnata tra i detenuti

 

Famiglia Cristiana, 12 luglio 2005

 

Due ore di viaggio all’andata, due ore al ritorno, su tre mezzi pubblici. Ciononostante, una volta a settimana, Anna Boniardi, 77 anni, si reca nel carcere milanese di Opera per fare colloqui di sostegno ai detenuti. "Prima potevo andarci più spesso", racconta dispiaciuta, "ma ora ho una sorella malata di cui devo prendermi cura". La signora Boniardi vive da sempre con le due sorelle in un quartiere a nord di Milano. Da quando è in pensione è lei che si occupa dell’amministrazione della casa e, da qualche tempo, anche di accudire la sorella. L’impegno nel carcere però resta un appuntamento fisso, cui non intende rinunciare. Tutt’altro, se potesse, farebbe di più. È un pozzo di energia Anna Boniardi, ha una vitalità e un’esuberanza fuori dal comune.

Al volontariato la signora Anna si è avvicinata fin dai tempi dell’oratorio, "se c’era da dare una mano, io ero la prima a farmi avanti. Perché per me il volontariato vuol dire anche questo: farsi carico delle cose con volontà, non soltanto come se fosse un dovere". Che la signora Boniardi abbia sempre affrontato la vita "di petto" lo si capisce anche dalla sua carriera: insegnante in una scuola materna, diventa direttrice di asilo e poi, da ispettrice, si trova in prima linea a battersi per la scuola.

Le sue prime esperienze da volontaria, all’interno della San Vincenzo, sono in favore dei poveri. Ai problemi dei detenuti, però, la signora Anna è sempre stata particolarmente sensibile. "Io credo", spiega, "che sia dipeso dal fatto che da ragazzina rimanevo sempre colpita quando al cinema vedevo le immagini dei carcerati con la palla al piede, magari sulle navi, costretti a remare. Provavo una pena incredibile! Così ho sempre avuto il desiderio di scrivere ai detenuti. Più in là con gli anni ho conosciuto una ragazza che lo faceva, ma mi diceva di aspettare perché era una cosa molto delicata".

Così, Anna decide di lasciar perdere, fino a quando, 13 anni fa, incontra una conoscente che stava andando a iscriversi a un corso per volontari carcerari alla Sesta Opera San Fedele, associazione di gesuiti. "È un invito a nozze ho pensato. L’ho seguita", racconta, "mi sono iscritta e così ho iniziato. È stato un corso interessantissimo: tutti i sabati per più di un anno. Mi ha aiutata molto ad affinare l’arte dell’ascolto, fondamentale nell’attività che svolgo".

Oggi la signora Boniardi fa circa 600 colloqui all’anno. Vede tra i 150 e i 200 detenuti ed è diventata un punto di riferimento non solo per loro, ma anche per educatori e agenti di custodia. Nel corso della sua giornata nel carcere, Anna amministra la cassa messa a disposizione dalla Sesta Opera per chi si trova in difficoltà, distribuisce i vestiti del guardaroba e, soprattutto, parla con i detenuti. Si trattiene con loro da pochi minuti fino a un’ora e mezza, a seconda delle loro esigenze e del tipo di confidenza che hanno con lei. "Io per principio non chiedo mai per quale motivo sono in carcere; aspetto che siano loro a dirmelo, se ne hanno voglia".

Dopo sei ore, intorno alle 15.30, la signora Anna riprende la strada di casa. È soddisfatta e gratificata. Su questo punto è molto sensibile: "Non mi si dica che si fa volontariato solo per amore", sbotta, "noi volontari vogliamo come tutti delle gratificazioni ed è anche per questo che facciamo quello che facciamo, per dare ma anche per ricevere".

 

 

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