Rassegna stampa 15 giugno

 

Grazia: Ciampi contro Castelli… "illegittimi i suoi veti"

 

Panorama, 15 giugno 2005

 

Rese note le motivazioni del documento con cui il presidente ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sul conflitto di attribuzione con il Guardasigilli: "Il potere di grazia è prerogativa esclusiva del capo dello Stato".

A chi spetta il potere di grazia? Può il Guardasigilli rigettare un decreto del presidente della Repubblica adducendo ragioni di merito? Sono queste alcune delle domande attorno a cui si scontravano da anni i più esimi costituzionalisti del nostro Paese. E attorno a cui è esploso (infine) in modo aperto e politicamente riconoscibile un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato nelle persone di Carlo Azeglio Ciampi e Roberto Castelli. Il casus belli lo conoscete: nell’ottobre scorso, il presidente aveva firmato un decreto di grazia per Ovidio Bompressi che, gravemente malato, era stato condannato in via definitiva (assieme a Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani) per l’omicidio del commissario Calabresi. Il Guardasigilli si era rifiutato di controfirmare la richiesta avanzata dal Presidente affermando che al suo ufficio non tocca un semplice potere di controfirma "notarile" degli atti del capo dello Stato, ma un vero e proprio potere di merito politico essendo il presidente, per definizione, "politicamente irresponsabile". Come che sia, la cosa sembrava essersi chiusa lì, per così dire, con Pietrostefani latitante, Bompressi malato, e Sofri (che non ha mai chiesto la grazia per sé) nel carcere di Pisa.

Ma il presidente non si è arreso e ieri ha chiesto alla Consulta di esprimersi una volta per tutte sul potere di grazia: a chi spetta? Può il Guardasigilli rifiutarsi di firmare un atto del presidente adducendo, come ha fatto Castelli, ragioni di coscienza? Secondo Ciampi, no, Castelli non avrebbe potuto, Costituzione alla mano, rifiutarsi di controfirmare la richiesta di Ciampi. Le motivazioni della sua richiesta alla Consulta sono state rese note oggi. In sintesi ha chiesto che la Corte costituzionale riconosca con una sentenza ufficiale che l’unico titolare del potere di grazia è il capo dello stato; che la controfirma ministeriale è un atto tecnico e non di merito politico; che non spetta al Guardasigilli di turno di porre veti a tutte le azioni del capo dello Stato elencate nell’articolo 87. Il potere di controfirma ministeriale non passerebbe - secondo il documento firmato dal vice-avvocato generale dello Stato, Ignazio Francesco Caramazza, e composto da quindici pagine più sette di documenti allegati - attravreso un giudizio di merito politico del Guardasigilli, il che si risolverebbe in una grave menomazione dei poteri costituzionalmente riconosciuti al capo dello Stato. Il ragionamento di Ciampi è semplice: "È naturale che l’esercizio di un potere di tale elevata e delicata portata venga riservato in via esclusiva al Capo dello Stato, quale organo rappresentante dell’unità nazionale". Si tratta di un "potere che in tutti i regimi e in tutte le epoche è stato riconosciuto come parte inscindibile delle prerogative proprie della massima autorità dello Stato". Ciò tanto più nel vigente ordinamento costituzionale, scrive il capo dello Stato, "nel quale il presidente della Repubblica, per il suo ruolo istituzionale di garante super partes della Costituzione, è l’unico organo che offra la garanzia di un esercizio imparziale del potere di grazia". Conclusione: "La concessione della grazia esula del tutto da valutazioni di natura politica, e tanto meno può essere riconducibile all’indirizzo politico della maggioranza di governo".

 

Il potere di grazia nella Costituzione

 

Il potere di grazia nasce all’epoca delle monarchie assolute quale prerogativa regia. Con l’avvento della Costituzione tale potere viene attribuito al Presidente della Repubblica. Nell’ordinamento costituzionale italiano il potere di concedere la grazia viene attribuito espressamente, al comma 11 dell’art. 87 della Costituzione, al Presidente della Repubblica. Tale potere non può essere sottoposto a controllo di legittimità costituzionale.

Il problema sorge tuttavia rispetto all’articolo 89 della Costituzione che prevede che gli atti del Presidente siano validi solo se controfirmati dal ministro proponente che se ne assume la responsabilità. Sebbene infatti la prassi preveda la necessità della controfirma ministeriale anche per l’atto della concessione della grazia non è chiaro il suo valore giuridico. Quella del ministro è una valutazione di merito politico o puramente formale? L’interpretazione più diffusa tra i giureconsulti propende per considerare il potere di grazia mera prerogativa presidenziale, ma il testo costituzionale non chiarisce i confini politici della controfirma ministeriale. E qui è nato il conflitto.

Grazia: un "braccio di ferro" giunto alla Corte Costituzionale

 

Gazzetta del Sud, 15 giugno 2005

 

Due anni fa, per la precisione nell’ottobre del 2003, il Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, non gradì di apprendere dai giornali la decisione del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, di archiviare la domanda di grazia presentata da Ovidio Bompressi. E perciò decise di cambiare le regole. O meglio, di modificare la prassi che per lungo tempo aveva consentito al ministro della Giustizia di chiudere un fascicolo, senza neanche informarne il Capo dello Stato, quando riteneva che non ci fossero i presupposti per concedere la grazia. È quanto emerge dagli atti del ricorso del presidente alla Corte Costituzionale sui poteri della grazia. "Le chiedo di fare in modo che, d’ora innanzi, il Capo dello Stato sia regolarmente informato della conclusione di tutte le istruttorie in materia di grazia", scrisse Ciampi a Castelli. Sollecitazione che il Guardasigilli accolse subito, convenendo con il Capo dello Stato che la fuga di notizie sul caso Bompressi fosse stato "un episodio spiacevole". Al Colle furono subito inviate le relazioni su 26 richieste di grazia archiviate con esito negativo. Tra queste c’era quella di Ovidio Bompressi, ma non quella di Adriano Sofri, l’altro ex di Lotta Continua, che non ha mai presentato domanda di grazia. Il 30 marzo del 2004 Ciampi chiese a Castelli un approfondimento del caso Bompressi e di istruire un fascicolo su Sofri. Il resto è cronaca nota di un braccio di ferro arrivato ora alla Corte Costituzionale. L’avvocatura generale dello Stato, che ha presentato il ricorso per conto del Quirinale, tiene però a sottolineare la "svolta" di Ciampi nel 2003, quando pretese il cambiamento di una prassi che "finiva per attribuire in qualche misura al ministro della Giustizia dei poteri di decisione sostanziale" sulla grazia. Quella vecchia prassi – si sostiene nel ricorso – era in contrasto con principi e norme che regolano il potere di grazia, di cui invece il titolare costituzionale è il Presidente della Repubblica (art.87 della Costituzione). Non si tratta quindi di un potere "duale", come invece ha sempre sostenuto il ministro Castelli. Tant’è che l’Avvocatura afferma che "non è invocabile l’esistenza di una consuetudine costituzionale secondo cui la concessione del provvedimento di clemenza consegue a una collaborazione tra Presidente della Repubblica e ministro della Giustizia". Questa collaborazione, secondo il vice avvocato generale dello Stato, Ignazio Francesco Caramazza, che ha firmato il ricorso del Quirinale, è cambiata nel tempo, di pari passo con "le modifiche subite dalle norme dell’ordinamento penitenziario" che hanno previsto misure alternative alla detenzione. In questo modo l’istituto della grazia, al quale fino a non molto tempo fa si ricorreva per svuotare le carceri, è tornato ad essere un atto di clemenza con una "intima natura equitativo-umanitaria", come del resto è "evidente" dalla "drastica riduzione del numero delle grazie concesse".

Grazia: Boato; giusta risposta di Ciampi al boicottaggio leghista

 

La Stampa, 15 giugno 2005

 

Fa una premessa, alle nove di sera: "Sono appena tornato dal carcere di Pisa, dove ho incontrato Adriano Sofri. Abbiamo parlato di referendum e di massimi sistemi. Della grazia no". È sorpreso per la strana coincidenza, Marco Boato, parlamentare Verde, appena sceso dall’auto dopo quattro ore di viaggio per rientrare a Trento, da sempre promotore e sostenitore della campagna per la grazia al leader di Lotta Continua in carcere per l’omicidio del commissario Calabresi. Nel giorno in cui ha incontrato Sofri, il Capo dello Stato ha sollevato conflitto di attribuzione per la vicenda della grazia non firmata dal Guardasigilli nei confronti di Ovidio Bompressi. "Doppiamente bene ha fatto Ciampi. Primo perché - è il commento di Boato - ha aspettato che si chiudesse il ciclo elettorale e referendario, alla vigilia della lunga campagna per le politiche del 2006. Secondo perché ha rispettato le aspettative della vigilia. Era chiaro che il Capo dello Stato avrebbe aperto il conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale. Mi auguro che Adriano Sofri e Ovidio Bompressi possano ottenere la grazia al più presto".

 

Onorevole Boato, spetterà adesso alla Corte Costituzionale interpretare fino in fondo la volontà dei Padri Costituenti.

"La Costituzione è chiarissima sul punto. L’articolo 87 attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di concedere la grazia e di commutare le pene. Altro è la prassi consolidata nel tempo in base alla quale si è instaurato un potere duale condiviso, che dà al Guardasigilli il potere di controfirmare la grazia, ovvero di bloccarla in assenza del suo consenso".

 

Nel dicembre del 2003 lei si fece promotore di una proposta di legge ordinaria che attuava la Costituzione per cui la grazia sarebbe stata concessa dal Capo dello Stato senza la controfirma del Guardasigilli. Ma l’articolo 89 della Costituzione prevede il potere di controfirma del ministro...

"Nel caso in cui si tratti di un ministro proponente. Di più, anche il Codice di procedura penale viene in soccorso alla mia tesi nel senso che stabilisce che la grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o di proposta".

 

Come nel caso di Adriano Sofri, che si ostina a non chiedere la grazia.... "Perché si dichiara innocente e non intende riconoscere una colpa che non ha". Anche il leader radicale Marco Pannella, che da sempre conduce una battaglia perché il Capo dello Stato proceda d’imperio, senza attendere la controfirma del Guardasigilli, criticò quella sua proposta di legge.

"Non perché non la condividesse ma perché temeva che venisse stravolta. Come poi è accaduto tant’è che anch’io non l’ho più appoggiata e la legge è stata bocciata".

 

Stravolta da una iniziativa di An e della Lega.

"Furono loro massimamente impegnati a boicottarla. La legge snaturata prevedeva che la grazia non fosse più di iniziativa del Capo dello Stato. Il Parlamento, il 17 marzo dello scorso anno, ha chiuso il discorso, bocciando la legge. Tre mesi prima, il 30 dicembre, il Capo dello Stato si era rivolto pubblicamente al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, per informarsi sull’iter della legge, lasciando intendere di condividerla. Nello stesso giorno, il Guardasigilli in una intervista alla "Padania" ammise di star esercitando un potere di interdizione, di aver espropriato i poteri del Capo dello Stato, invocando la prassi costituzionale".

 

Con la decisione del conflitto di attribuzione dei poteri, Ciampi non ha voluto rimandare oltre la questione.

"Nell’aprile scorso disse che sua intenzione era quella di agire di conseguenza. L’ha fatto un anno dopo sperando che Castelli cambiasse posizione e lasciando che il ciclo elettorale si esaurisse. Apprezzo la scelta del momento. Opportuna. A questo proposito, lancio un invito pubblico a tutti coloro che da tempo portano avanti uno sciopero della fame, invitandoli a fermarsi per rispetto del Capo dello Stato e della Corte Costituzionale".

Volontariato: 7.800 volontari e operatori sociali per le carceri

 

Agi, 15 giugno 2005

 

I volontari e gli operatori del terzo settore attivi nelle strutture detentive italiane nel 2004 ammontano a circa 7.800 e sono presenti in quasi tutte le strutture (98%), con un dato in aumento rispetto alla rilevazione del 2003, quando erano presenti nel 94% delle strutture: sono infatti solo tre gli istituti penitenziari che risultavano privi, lo scorso anno, di presenze di operatori non istituzionali. I dati sono contenuti nella relazione di Renato Frisanco, della Fondazione italiana per il volontariato, riguardante la quarta rilevazione nazionale sul volontariato penitenziario dal titolo: "Il carcere di tante carceri, in un’Italia di tante Italie". Rispetto alle rilevazioni precedenti il rapporto fa però anche rilevare un’interruzione nel trend ascendente (-1,7%) rispetto al numero degli operatori. Il decremento di oltre 100 operatori non istituzionali rispetto alla precedente rilevazione è da attribuire ai volontari dell’ art. 78 (68,4%). Al contrario aumenta ancora il numero dei detenuti presenti nelle strutture: a fine 2004 gli istituti penitenziari avevano in media 292 persone ristrette per un ammontare complessivo di 58.388 unità. Nella scorsa rilevazione i detenuti erano in numero inferiore sia nel complesso (54.659) che per struttura (273).

I volontari e gli operatori esterni appaiono distribuiti in modo più omogeneo nelle diverse aree del Paese rispetto agli anni precedenti. Si riduce poi lo storico svantaggio della circoscrizione meridionale rispetto al Centro-Nord. Infatti, a fronte del 45,5% degli istituti il Sud aggrega il 32,7% degli operatori non istituzionali - quota che era del 19,4% nella rilevazione precedente - mentre al 21,5% delle strutture penitenziarie del Centro corrisponde il 31,7% delle risorse umane. Al Nord, invece, strutture e operatori della società civile incidono in misura equivalente sul totale nazionale. La significativa variazione a vantaggio del Sud dipende presumibilmente da una sottostima del fenomeno meridionale negli anni precedenti quando la rilevazione non era sotto il controllo amministrativo del Dap. Tra le regioni spiccano in positivo la Toscana per numero assoluto di operatori, la Basilicata che ha il miglior coefficiente di presenza in rapporto ai detenuti e precede in questa graduatoria, oltre alla Toscana, Sardegna, Trentino-Alto Adige e Veneto, mentre, al contrario, il rapporto meno favorevole tra detenuti e operatori non istituzionali, si registra in Campania e in Molise. Il rapporto numerico tra detenuti e operatori esterni è di 9 a 1, con la situazione più favorevole del Centro (7 detenuti per operatore non istituzionale) e quella meno del Sud (10 detenuti ogni operatore esterno).

Il rapporto conferma lo stato di abbandono in cui versano dal punto di vista dell’umanizzazione dell’internamento 4 dei 6 Ospedali psichiatrici giudiziari. Se gli operatori volontari sono piuttosto attivi nelle strutture di Barcellona (Me) e di Reggio Emilia (1 ogni quattro internati) lo è molto meno nei restanti quattro Ospedali psichiatrici giudiziari (1 volontario per 25 internati) aggravando la condizione di totale esclusione dei detenuti psichiatrici.

La maggior parte degli operatori "non istituzionali", inoltre, sono di fatto volontari, cioè spontaneamente attivi con gratuità e disinteresse: sono nettamente preminenti infatti i non remunerati che rappresentano 6 operatori su 10. Anche i progetti finanziati sono poco più del 20% dei casi. Un altro aspetto esaminato dal rapporto è quello relativo alla frequenza con cui gli operatori sono presenti e attivi nelle strutture. Il 27% degli assistenti volontari e il 18% degli agenti esterni sono presenti almeno due volte alla settimana. Un terzo del personale esterno registrato è attivo invece sporadicamente. La presenza più sporadica riguarda le regioni del Sud, in particolare per gli ammessi con l’art. 17, e la componente maschile.

La quota più cospicua dei volontari (85 su 100), con un incremento del 2% rispetto alla precedente rilevazione, è ammessa con applicazione dell’art. 17 che prevede la "partecipazione della comunità esterna" al trattamento rieducativo. Si tratta di 6.611 persone, presenti nell’85% delle strutture, con una media di 33 unità per istituto (3 in più rispetto al precedente monitoraggio) e per lo più appartenenti al mondo della cooperazione sociale e dell’ associazionismo.

I volontari autorizzati in base all’art. 78 sono in numero più ridotto (1.181 pari al 15,1% del totale), in media 6 per struttura; sono i cosiddetti "assistenti volontari", singole persone o appartenenti ai gruppi dediti esclusivamente al volontariato in carcere e più propensi ad un intervento individualizzato e più orientato al sostegno morale e materiale dei detenuti. La loro presenza si registra nel 75,5% degli istituti. Il numero più elevato di volontari che beneficiano dell’art. 17 si deve, oltre che ad una più agevole procedura di autorizzazione (richiesta su carta semplice) per l’ingresso in carcere, alla presenza di associazioni di promozione sociale di diffusione nazionale che promuovono e realizzano nelle strutture detentive attività più strutturate, veri e propri progetti di attività concordati con la direzione del carcere e sostenuti da finanziamenti pubblici. Sono questi, in generale, anche gli operatori che frequentano in modo meno continuativo o episodico le strutture penitenziarie. Nella maggior parte delle strutture esaminate - il 61,5% - sono presenti gli operatori di entrambi gli status giuridici di ammissione. Nelle regioni settentrionali vi sono poi in misura più elevata gruppi compositi di volontari e altri operatori di terzo settore: nel 51,5% delle strutture a fronte del 37,2% del Centro, mentre al Sud si riscontrano solo 6 casi. La variabile degli operatori non istituzionali segnala una prevalente presenza femminile (53%), in modo indifferenziato in tutte e tre le aree del Paese.

Vallanzasca: ho chiesto la grazia pensando a mia madre

 

Vita, 15 giugno 2005

 

Degli anni della banda della Comasina dice: "più che pentimento, provo rimpianto". Ho chiesto la grazia pensando alla gioia di mia madre": così Renato Vallanzasca, intervistato da Quotidiano Nazionale. L’ex capo della banda della Comasina, in carcere per scontare quattro ergastoli (più di 260 anni) per una lunga lista di crimini, spiega la sua richiesta: "Non ho la sfera di cristallo per affermare con certezza che vita mi aspetterà fuori. So che incontrerò delle difficoltà, e che ci potrà anche essere chi me ne procurerà di supplementari, ma penso che le contrarietà mi spingeranno a dare il meglio di me. Penso - aggiunge - che se mi verrà data un’opportunità riuscirò a concludere dignitosamente la mia esistenza". E ricordando le sue scelte afferma: "Non mi sono fermato dopo il primo errore perché non li ritenevo errori. Il pentimento? Il termine pentito mi dà un po' il voltastomaco. Più facile parlare del rimpianto di avere imposto ai miei genitori e alle persone che mi hanno veramente amato l’inferno in terra".

Giustizia: amnistia e grazia, Bruno Berardi torna a digiunare contro

 

Ansa, 15 giugno 2005

 

Torna a digiunare il presidente dell’associazione "Domus Civitas, Vittime del terrorismo e della mafia". Bruno Berardi protesta contro le ultime richieste di amnistia per i detenuti avanzate da alcuni gruppi politici e contro i tentativi di concedere la Grazia ad Adriano Sofri. "Ho intrapreso un nuovo sciopero della fame ad oltranza - si legge in una nota - per ribadire al Capo dello Stato Ciampi che la Grazia deve essere data a chi si pente". Berardi, affrontando invece la questione dell’amnistia per i detenuti, ha puntato il dito contro "l’ipocrisia dei nostri politicanti". "Comincia a perdere pezzi - ha aggiunto - la tanto acclamata lotta alla criminalità".

Ragusa: carcere troppo affollato, i detenuti sono 220-230

 

La Sicilia, 15 giugno 2005

 

Il carcere di contrada Pendente rischia di scoppiare. A fronte di una capienza normale di 188 posti-cella, la casa circondariale iblea in atto, mediamente, ospita fra 220 e 230 detenuti. E di contro l’organico della polizia penitenziaria ha subito una riduzione del 10 per cento.

Tali dati obiettivi hanno spinto l’on. Saverio La Grua a rivolgere al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, una interrogazione urgente, con risposta scritta, con la quale "si denuncia la gravità della situazione in cui versa la casa circondariale di Ragusa a causa della carenza dell’organico della polizia penitenziaria, del sovraffollamento della popolazione detenuta, e dello stato di degrado di alcuni reparti detentivi per insufficienza di fondi per la normale manutenzione". Il deputato di An sollecita l’intervento del ministro Castelli per "porre fine alla difficile condizione in cui si trova il carcere ragusano".

E l’on. La Grua, con l’interrogazione urgente mette in evidenza le conseguenze negative del sovraffollamento sia per le legittime proteste dei detenuti (ad alcuni dei quali non è possibile garantire un posto-letto), sia per l’impossibilità di attuare la necessaria separazione dei detenuti in adeguati reparti; alcuni dei quali talmente degradati da determinare malcontento fra i detenuti stessi, con il pericolo che possano registrarsi proteste difficili da controllare".

Il rappresentante alla Camera dei deputati di An infine chiede al Ministro Castelli "di valutare l’opportunità di potenziare il personale della Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Ragusa di almeno 15 unità e di procedere allo sfollamento dei detenuti; e infine di stanziare somme adeguate per migliorare le strutture detentive".

L’on. La Grua ha tracciato un quadro quanto mai veritiero e reale. "In effetti - dice il direttore della casa circondariale, Aldo Tiralongo - ci troviamo da qualche tempo a questa parte, in costante emergenza. Mi limiti a citare delle semplici cifre: rispetto ad un anno fa possiamo contare su 15 unità in meno nell’organico della Polizia penitenziaria, sia per fine servizio, sia per il rientro alle sedi di appartenenza di alcuni elementi per fine missione. In altri termini siamo passati dalle 145 unità di un anno fa alle 130 unità del momento; senza dire che 12 di tali elementi fanno parte del "nucleo traduzioni". "Per quanto riguarda i detenuti dobbiamo dire che un anno fa ci si era attestati (anche per via degli effetti dell’indultino) sulle 170 unità; ora viaggiamo attorno alle 220-230 unità giornaliere; con una percentuale del 30 per cento per gli extracomunitari. Dobbiamo dire anche che sono attivate tutte le sezioni: media sicurezza, alta sicurezza, sezione femminile, sezione minorati fisici (una delle tre funzionanti in tutta Italia). Si comprende benissimo che la situazione non è delle migliori e che non si può continuare a fare miracoli. In atto il personale effettua turni di otto ore; in questi giorni si sarebbero dovute effettuare delle esercitazioni di tiro: siamo stati costretti a sospenderle". E intanto in campo regionale la Polizia penitenziaria (il problema degli organici è generale) ha proclamato lo stato di agitazione al quale ha aderito anche il personale in servizio presso la casa circondariale di contrada Pendente.

Verona: 727 detenuti dove potrebbero starcene solo 243

 

L’Arena di Verona, 15 giugno 2005

 

"Il carcere a Verona: c’è vita dentro queste mura?". È la domanda, su un tema di drammatica attualità, alla quale cercherà di rispondere l’incontro organizzato per domani, alle 20.45, a Corte Molon, dai giovani del gruppo "Welfare-Dotazione Sociale" dell’associazione "Città Popolare". Dopo il saluto di Gianni Fontana, presidente dell’associazione "Città Popolare", è prevista l’introduzione ai lavori di Marta Ambrosi, coordinatrice del gruppo giovani. Moderati da Marurizio Ruzzenenti, (associazione Progetto Carcere 663- "Acta non verba") interverranno: don Luciano Ferrari, cappellano della Casa Circondariale di Verona-Montorio; il commissario Luca Bontempo, comandante della Polizia penitenziaria della casa circondariale di Montorio; Gabriella Trenchi, direttore sanitario della casa circondariale; Raffaele Fontana, psichiatra della casa circondariale; Maria Rosaria Caso, direttrice del Centro servizio sociale per adulti e il consigliere regionale Franco Bonfante.

L’iniziativa offrirà importanti elementi di conoscenza per far luce sulla pesante condizione in cui versa la struttura carceraria scaligera, al pari delle altre sparse sul territorio nazionale, per il fenomeno del sovraffollamento, denunciato di recente dagli allarmanti dati resi noti dal Governo. La Casa Circondariale di Montorio è stata inaugurata il 1 aprile 1995: come è noto, prima di questa data i detenuti erano confinati nella struttura carceraria di via del Fante,in uno stabile ormai troppo vecchio e fatiscente, comunque inadatto ad accogliere un numero sempre crescente di reclusi. A dieci anni dalla sua apertura, i detenuti vivono in una situazione di sovraffollamento. Gli standard strutturali parlano di una capienza regolamentare pari a 243 detenuti maschi e a 37 femmine, e di un’eventuale capienza tollerabile di 461 maschi e 60 femmine (pari a 521 persone).

La situazione reale, però, differisce parecchio da tali limiti. Attorno al 31 dicembre 2004, la struttura accoglieva circa 727 detenuti (685 maschi e 42 femmine). Di questi, 401 (377 maschi e 24 femmine) figuravano condannati in via definitiva, 179 (172 maschi e 7 femmine) ancora da giudicare, 117 (107 maschi e 10 femmine) già giudicati ma appellanti o ricorrenti in Cassazione. 28 detenuti, fra cui una sola donna, godevano del regime della semilibertà, uno speciale istituto penale che, pur consentendo loro di lasciare la struttura per lo svolgimento dell’attività lavorativa durante il giorno, li costringe a farvi ritorno durante le ore notturne, generalmente non oltre le ore 22.Due detenuti erano ammessi al lavoro esterno.

Oltre a queste suddivisioni, va sottolineato il fatto che dal primo gennaio 2004 al 31 dicembre 2004 nella struttura di Montorio sono entrati 1.282 maschi e 233 donne, per un totale di ben 1515. "Questo incontro", spiega Marta Ambrosi, "è il primo di una serie dedicati al tema della realtà carceraria e delle relative problematiche, ne seguiranno altri che cercheranno di tracciare un percorso propositivo dibattendo i nodi delle alternative al carcere, la questione dell’amministrazione della giustizia e il post carcere. Il titolo è una provocazione. Parafrasando la celeberrima frase tratta dal Giulietta e Romeo di Shakespeare (Non c’è vita fuori di queste mura), come cittadini di Verona, dovremmo sentirci tutti emotivamente coinvolti su un argomento così scottante ed attuale, magari esclusivamente per fini egoistici".

Roma: i volontari della giustizia denunciano il sovraffollamento

 

Agi, 15 giugno 2005

 

Sono circa 7.800 i volontari impegnati ogni anno all’interno delle carceri italiane. Una presenza numerosa, anche se in leggera flessione rispetto allo scorso anno. Donne e uomini carichi di buona volontà che scelgono di vivere sulla propria pelle parte dei disagi e delle sofferenze patite dai detenuti. Sono loro, per bocca di Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, a lanciare l’allarme: "Migliaia di volontari denunciano con forza il sovraffollamento dei penitenziari. Al primo giugno si contavano oltre 59mila detenuti nei 206 istituti che, complessivamente, hanno una capienza di 42mila posti. Una cifra record per il nostro Paese".

Un’emergenza che si fa più pressante con l’arrivo del caldo estivo, quando le celle divengono invivibili sia dal punto di vista umano sia, soprattutto, dal punto di vista igienico. Per discutere di questo e di altri temi legati alla condizione carceraria, venerdì 17 giugno si terrà a Roma la "Quarta rilevazione nazionale sul volontariato penitenziario" intitolata "Il carcere di tante carceri in un’Italia di tante Italie".

Organizzato dalla Conferenza nazionale volontariato giustizia, l’incontro si terrà a Roma, nella Sala grande dell’Hotel Bologna (Senato) in via di Santa Chiara. Parteciperanno, tra gli altri, Livio Ferrari, Maria Pia Giuffrida, dirigente generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Di Mauro, presidente della consulta penitenziaria del Comune di Roma e Guido Memo, direttore del Cesiav (Centro studi e iniziative per l’associazionismo e il volontariato).

Pisanu: immigrazione clandestina minaccia crescente per il paese

 

Gazzetta del Sud, 15 giugno 2005

 

Perdono. È la parola ricorrente, in una giornata dai toni pacati, dai messaggi distensivi, dopo l’incubo della guerriglia urbana e della giustizia "fai da te". Vladimir Mnela, 21enne albanese, ha chiesto perdono per quello di cui è stato accusato e arrestato: il barbaro assassinio di Claudio Meggiorin, quasi coetaneo barista di Besano intervenuto a sedare una rissa fra lui e i giovani del posto, nella strada davanti al suo locale. "Vorrei chiedere perdono alla famiglia di Claudio – ha detto, in un italiano stentato, a chi lo ha visto in carcere: non volevo ucciderlo, me ne sono accorto solo dopo". Poche parole, le parole di un ragazzo venuto da una manciata di giorni in Italia clandestinamente e che adesso, dopo la spavalderia di una serata, spavalderia accresciuta dal pugnale portato addosso, si sente solo in una città ostile.

Le sbarre del carcere varesino dei Miogni lo proteggono, ma non dallo smarrimento che ha dentro di sé. "Mi hanno offeso – è stata la sua tesi che ripeterà oggi davanti al gip che lo interrogherà per la convalida del fermo – e ho avuto come una improvvisa ira, ma solo quando mi hanno arrestato ho capito di averlo ucciso". Dunque, nulla di premeditato. E tuttavia il suo gesto è stato letto da molti, a cominciare dagli amici della vittima, come un segnale di ostilità. Lo hanno cercato, lo hanno inseguito per un tratto nella sua fuga, si sono spinti a cercare suoi connazionali per vendicarsi. L’avvocato d’ufficio che ieri lo ha incontrato ai Miogni ha visto un ragazzo "annichilito". A Varese è solo, non ha alcun parente.

La madre vive sola in Albania, il padre è morto, il fratello si trova negli Stati Uniti, solo la sorella sarebbe in Italia ma non è ancora stata rintracciata. Oggi Vladimir, che avrebbe ucciso Claudio Meggiorin con un pugnale lungo trenta centimetri, spiegherà la sua versione al magistrato. Ma intanto, in fondo al baratro della disperazione, c’è anche l’amico 17enne, Fatjon. Si conoscono dall’infanzia, sono cresciuti insieme a Scutari. Poi, ognuno per la sua strada. Fatjon con la famiglia regolarmente in Italia, a Besano, nel Varesotto. La settimana scorsa Vladimir è entrato clandestinamente in Italia (così lui sostiene) ed è andato a trovare Fatjon.

Erano amici, come Fatjon era amico di Claudio Meggiorin. E adesso non si dà pace, in carcere. "Claudio è morto, il mio amico Claudio è morto", ripete all’avvocato che è andato a trovarlo al Beccaria di Milano. E ricorda le chiacchierate insieme al bar. "Non c’entro nulla nell’omicidio, non sapevo che lui avesse quel coltello", è la tesi difensiva. Fatjon ha visto un amico uccidere un altro amico. Intanto, il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu commenta l’omicidio: "L’omicidio di Claudio Meggiorin conferma purtroppo che l’immigrazione clandestina rappresenta una minaccia crescente per la sicurezza e l’ordine pubblico nel nostro paese". Pisanu sottolinea che "nessuno spazio può essere lasciato a reazioni aberranti, al di fuori della legge".

Immigrazione: De Zulueta (Verdi); unico irresponsabile è governo

 

Agi, 15 giugno 2005

 

"Irresponsabile è la campagna d’odio promossa dal Governo che, in questi giorni, non ha fatto altro che strumentalizzare l’omicidio del barista 23enne avvenuto nel varesotto". Risponde così la senatrice dei Verdi Tana de Zulueta al ministro dell’Interno Pisanu che ha definito "irresponsabili" coloro che intendono aprire le frontiere e chiudere i Cpt.

"La verità è che l’Esecutivo dovrebbe prendere atto del fallimento della legge Bossi-Fini. Una proposta sbagliata, da cancellare e sostituire con un legislazione all’altezza di un paese civile. I Centri di permanenza temporanea dovrebbero semplicemente accogliere gli immigrati per un tempo limitato, mentre il Governo li sta utilizzando impropriamente come strutture per controllare gli immigrati irregolari e richiedenti asilo. I Cpt, e non finiremo mai di ripeterlo, sono diventati luoghi di detenzione indegni di un paese democratico e noi - conclude l’esponente del "Sole che ride" - continueremo a chiederne la chiusura".

Immigrazione: Landi (An); dopo dichiarazioni Pisanu ora i fatti

 

Agi, 15 giugno 2005

 

"Siamo grati al Ministro Pisanu per le sue parole forti contro il fenomeno dell’immigrazione clandestina, ma ora abbiamo il dovere di chiedere al governo fatti e decisioni politiche non più procrastinabili". È quanto dichiarano i deputati di Alleanza Nazionale: Landi di Chiavenna, Saia, Giorgetti, Menia, Conte, Migliori, Bornacin, Raisi, Saglia, Del Mastro, Foti, Butti.

"Per combattere la sempre più preoccupante presenza di immigrati clandestini e la loro propensione alla perpetrazione di gravi fatti di ordine penale, i deputati di Alleanza Nazionale chiedono: Introduzione del reato di immigrazione clandestina punito come delitto e da celebrarsi con rito direttissimo; espulsione immediata conseguente alla condanna in via definitiva con obbligo di espiazione della pena nel Paese di origine o provenienza con il quale definire accordi mirati; istituzione e/o potenziamento dei CPT nelle aree a maggior tensione; terziarizzazione urgente delle pratiche amministrative per il rilascio ed il rinnovo dei permessi di soggiorno al fine di decongestionare gli uffici di Pubblica Sicurezza; introduzione urgente di alcune correttive alla Legge Fini/Bossi per ottimizzarla alle nuove esigenze emerse dalla sua applicazione pratica valorizzando i suggerimenti di chi opera quotidianamente per una giusta politica dell’immigrazione che non faccia sconti a quella clandestina ed a quella criminale".

Sulmona: un convegno dell'Unicef sui "Diritti negati"

 

Il Messaggero, 15 giugno 2005

 

Il Comitato provinciale Unicef il 21 giugno, nella sala cinema del carcere di Via Lamaccio in collaborazione con la direzione dello stesso, ha organizzato un convegno dal titolo "Diritti negati"; i lavori sono organizzati su due aspetti e si svolgeranno in due tempi: il 21 giugno si tratteranno gli abusi sui minori, mentre in ottobre verrà affrontato l’argomento relativa al diritto di famiglia.

Nel primo incontro verrà affrontato un tema spinoso e nel tempo stesso di grande interesse umano e sociale, la cura dei bambini, così come convenuto con un Patto di solidarietà, tra l’Unicef e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Partecipano al convegno: Giacinto Siciliano, direttore del carcere, M. Antonietta Colasacco dell’Unicef che tratterà il tema "Un mondo a misura d’uomo... cioè il bambino", Fiorella Ranalli Area pedagogica, Piera Federici Unicef che parlerà su "Vivere in strada. Il caso di Salvador de Bahia" ed Enrico Novello dell’Unicef. I lavori avranno inizio alle ore 15.

Terni: i detenuti scendono in campo, campioni di fair play

 

Il Messaggero, 15 giugno 2005

 

"Ogni anno, a fine stage gli chiediamo :Ma a te, il prossimo anno ti ritroviamo?". Gianni Masiello e Nicola Traini sono arrivati al quarto anno del progetto del Coni "Vivi lo sport", che si svolge nei mesi di maggio e giugno all’interno del carcere di vocabolo Sabbione. Lunedì scorso si è disputato l’incontro finale tra i venticinque giocatori selezionati tra le varie sezioni. Si sono così affrontate la squadra delle sezioni A e C, contro quella delle sezioni D, E e F. Ha vinto per cinque a tre, la squadra "AC". Entrambe le formazioni sono state premiate con targhe consegnate dal presidente del Coni Massimo Carignani, alla presenza del direttore del carcere Dall’Aira. Il tifo durante la gara non è mancato, anche se proveniente da lontano, da dietro le sbarre delle celle.

Sono rimasti molto colpiti l’arbitro Croci e i due assistenti Vivio Virgili e Tortorotò Daniele: entrare in un carcere è sempre un’esperienza forte. "Quest’anno abbiamo aumentato le sedute settimanali - proseguono Masiello e Traini - da due, a tre volte alla settimana. Hanno bisogno di correre, si sfogarsi. Per questo non insistiamo più di tanto con schemi e fondamentali, non avrebbe senso". Ha più senso, invece, starli ad ascoltare. Sentire le loro storie di vita non facile. "Hanno sbagliato, lo sanno e vi posso garantire che la privazione della libertà è una pena severissima - commenta Maso - a volte, ti manca l’aria anche quando sei all’aperto".

Un ringraziamento particolare va alla Ternana Calcio che ha fornito due mute complete, scarpe e palloni. Quest’anno massicia la presenza dei detenuti italiani, a differenza delle passate edizioni dove la stragrande maggioranza dei partecipanti era di origine extracomunitaria. Un passo in più per il successo della manifestazione. Giu.Sco.

Roma: il Garante per i diritti dei detenuti ha un sito internet

 

Comunicato stampa, 15 giugno 2005

 

Vi informiamo che è attivo il sito www.garantedetenuti.it. Il sito, oltre a descrivere il lavoro del nostro Ufficio, vuole essere uno degli specchi, insieme a tutti voi, della situazione detentiva a Roma e in Italia. Qui riceveremo le vostre segnalazioni e notizie. Vi chiediamo, inoltre, di inserirci tra i vostri link, per far sì che il maggior numero di persone venga a conoscenza della figura istituzionale del Garante e vi si possa rivolgere.

Ufficio del Garante per i diritti e le opportunità delle persone private della libertà personale del Comune di Roma - Lungotevere dè Cenci 5 - 00186 Roma - Tel. 06.67106344 - Fax 06.67106275. l.astarita@comune.roma.it - garante.detenuti@comune.roma.it. Laura Astarita

 

 

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