Rassegna stampa 9 febbraio

 

Don Rigoldi: Tomas evaso per paura, non è più un delinquente

 

Corriere della Sera, 9 febbraio 2005

 

"Negli ultimi giorni era molto agitato. Forse aveva saputo da qualcuno che sarebbe stato trasferito. Ha avuto paura e ha fatto un colpo di testa, ma così si è fatto del male". Don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e presidente dell’associazione Comunità Nuova, conosceva bene Tomas B., il giovane condannato a nove anni e mezzo di reclusione per l’omicidio di Vito Pisciotta, un barbiere di Ponte Chiasso (Como), e fuggito durante un permesso concesso dopo neppure tre anni e mezzo di reclusione.

Il sacerdote, che da oltre 30 anni si occupa dei ragazzi detenuti al Beccaria, con Tomas aveva parlato e lavorato: "È un ragazzo intelligente e capace d’apprendere tutto quello che veniva impartito nelle lezioni in carcere". In particolare, i corsi per diventare pasticciere: "Visto che è sempre stato molto collaborativo - aggiunge don Rigoldi -, è stato deciso di metterlo alla prova e di farlo uscire per lavorare come apprendista fuori dal Beccaria".

Una scelta che il cappellano del carcere minorile difende: "Tomas si era assolutamente reso conto della gravità del fatto da lui commesso. E nei tre anni e mezzo trascorsi in detenzione aveva fatto un grande cambiamento, grazie anche all’opera degli operatori. Il discutere e il lavorare assieme è stato molto importante per farlo crescere e per renderlo consapevole del reato commesso".

Gli investigatori che avevano seguito l’inchiesta sull’uccisione di Pisciotta hanno sempre tratteggiato del giovane un ritratto da ragazzo difficile. Poco collaborativo. L’ex fidanzata, nel corso del processo che aveva subito per favoreggiamento, aveva detto di essere stata affascinata "dal suo spirito alla Vallanzasca", mentre il pubblico ministero lariano Mariano Fadda lo aveva bollato come un "Pinocchio traviato da un Lucignolo (Marino Zandi, il complice nel delitto, ndr )".

Per don Rigoldi, però, quel "ragazzo immaturo ora è cresciuto e cambiato". Una certezza così granitica da fargli sottolineare: "Non siamo certamente di fronte a un pericolo in libertà, perché non ha una natura di delinquente. È solo un ragazzo che scappa".

Sui motivi della fuga don Gino è sicuro: "Con il compimento dei 21 anni doveva essere trasferito al carcere di Bollate, dove molti detenuti nel Beccaria vengono portati e dove c’è una situazione di grande attenzione con ampie opportunità lavorative. Noi volevamo prepararlo al cambiamento, ma lui deve aver saputo del trasferimento da qualcun altro e questo lo ha molto agitato. Un colpo di testa legato all’ansia". Secondo don Gino, però, "così facendo Tomas si fa del male, perché entro un anno al massimo sarebbe potuto uscire definitivamente dal carcere usufruendo dell’affidamento ai servizi sociali".

Sulle polemiche legate ai permessi dati a un reo confesso per omicidio dopo neppure 4 anni di carcere, il cappellano del Beccaria difende la scelta dei giudici: "Cominciamo con il dire che gli omicidi volontari con protagonisti minorenni sono pochi e che dunque non si può ripensare alle vicende legate al rito minorile partendo dagli omicidi. Inoltre il giudice di sorveglianza è tutto tranne che un tenerone: non regala nulla e concede opportunità soltanto quando la legge lo prevede. Infine, per ciò che posso vedere al Beccaria, c’è un’organizzazione molto attenta a fare in modo che chi ha commesso un reato così grave, come quello imputato a Tomas, si renda conto del male che ha fatto e possa essere reinserito nella società". Una difesa a tutto campo, quella di don Rigoldi, anche se alla fine ammette: "L’ordinamento minorile si impone lo scopo di rieducare e non solo di punire. Certo, queste fughe non fanno bene, anche perché i giudici ora saranno molto meno propensi ad accettare il rischio di autorizzare uscite dal carcere".

Milano: evade per non andare nel carcere degli adulti

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 9 febbraio 2005

 

Tomas B., che era minorenne quando partecipò con un complice alla rapina sfociata in omicidio, a Ponte Chiasso, è evaso quando, compiendo i 21 anni, per lui si stavano aprire le porte del carcere. Scomparso, il giorno del suo ventunesimo compleanno, quando per lui, nel dicembre scorso, si stavano per aprire le porte del carcere degli adulti.

Tomas B., che era minorenne quando partecipò con un complice alla rapina sfociata in omicidio, a Ponte Chiasso, del barbiere Vito Pisciotta, ucciso nell’agosto 2001, ha deciso di non rientrare dal lavoro esterno. Il giovane, dopo una condanna a nove anni e mezzo, godeva anche di permessi, dopo l’approvazione da parte del Tribunale dei minori del cosiddetto trattamento "extramurario".

Tomas lavorava in una pasticceria, dopo che nel carcere minorile Beccaria di Milano aveva seguito dei corsi. "Era decisamente contento - ha spiegato il suo avvocato, Edoardo Pacia -. Il trasferimento nel carcere di Bollate era preventivato, sembrava non preoccuparlo più di tanto. E, invece, questo colpo di testa...". "Per usare un’espressione forse un po’ pomposa - ha continuato l’avvocato - sembrava decisamente avviato sulla retta via".

Della paura del carcere degli adulti parla anche il procuratore dei Minori di Milano, Giovanni Ingrascì, che non nasconde il suo rammarico: "è un peccato, perché Tomas era sulla via del recupero. Credo che sia stato determinante la paura del ragazzo dell’imminente trasferimento". Ingrascì ha spiegato che "ogni tanto può capitare che un minorenne si renda irreperibile, in occasione di permessi. Di solito è però questione di qualche ora, al massimo di uno o due giorni, poi si rendono conto e rientrano". Provvedimento "normale" definisce Ingrascì il lavoro esterno in casi come quelli di Tomas.

E il Tribunale dei Minori di Milano in una nota precisa: "tale trattamento, approvato e attuato nel rispetto della normativa vigente è stato proposto dagli operatori dell’Amministrazione penitenziaria in considerazione della positiva valutazione del percorso rieducativo del ragazzo". Il lavoro che Tomas svolgeva regolarmente rappresentava la prosecuzione di un percorso formativo cominciato all’istituto di pena minorile milanese e il "programma di trattamento" era stato proposto e definito dalla direzione del carcere, in base alle valutazioni date dagli operatori (educatori, psicologi, assistenti sociali, ecc...) dopo un periodo di osservazione che è durato, come in tutti i casi, non più di nove mesi.

Il magistrato di sorveglianza, è spiegato in ambienti giudiziari, approva senza entrare nel merito il programma e lo rende esecutivo, mentre l’Amministrazione penitenziaria lo può concedere o revocare. Per Tomas la valutazione era stata positiva: all’apparenza sembrava volesse imparare un lavoro per diventare autonomo e condurre una vita normale. Il ragazzo aveva ottenuto anche la liberazione anticipata, 45 giorni di riduzione di pena ogni sei mesi, "per regolare condotta".

Poi, però, qualcosa è successo. Secondo quanto spiegato negli stessi ambienti, capita spesso che chi compie 21 anni e deve affrontare il passaggio dal carcere minorile a quello per adulti abbia parecchi timori. Gli educatori e gli psicologi all’interno del Beccaria, come in qualsiasi altro istituto di pena minorile, hanno il compito di preparare il giovane a questo passaggio.

"Il problema - spiegano al Tribunale dei minorenni di Milano - è quello di creare strutture di transito tra il carcere minorile e quello per gli adulti con passaggi di consegne e con la possibilità che i progetti educativi iniziati possano proseguire senza interruzioni troppo vistose". Un reparto di questo genere esiste a Bollate, dove sarebbe dovuto andare il giovane che, tra l’altro, dopo una breve pausa, anche nel carcere "normale" avrebbe potuto usufruire del permesso per lavorare fuori e, forse, con il tempo avrebbe potuto sperare in misure alternative. Tomas, ora, è ufficialmente un evaso, ricercato anche all’ estero: se dovesse essere catturato dovrà subire un processo per evasione con la possibilità che gli venga inflitta una pena con le regole "dei grandi".

Milano: "Baci rubati", poesie d’amore scritte dai detenuti

 

Corriere della Sera, 9 febbraio 2005

 

"Che forma ha l’amore? Sapevo che era quella del tuo viso. Ora che l’odore, il calore e la forma sono svaniti so solo che brucia la carne, l’anima e i sogni". Questi versi sono di Gregorio Facchini, uno degli autori di "Baci rubati", raccolta di poesie e testi in prosa scritti dai detenuti di San Vittore redattori del web magazine "Il due", e dai partecipanti al corso di lettura e scrittura creativa condotto da Silvana Ceruti nel penitenziario di Opera.

Ideato e curato da Emilia Patruno, il libro è una risposta a tutte le donne con il partner in carcere. Come Arjel, la cui lettera fa da prefazione al testo: "Ho 31 anni, un bambino di 2 anni e mezzo, un lavoro chic e il mio amore, da ottobre 2003, in galera. Lui è lì ed io, da fuori, continuo ad amarlo fottutamente, a contare i giorni che mi separano da un nuovo colloquio oltre una lastra di vetro". Il testo sarà scaricabile gratuitamente da venerdì su www.ildue.it. Al bar Acquaviva di piazza Filangieri, invece, sono in vendita, a partire da 18 euro, delle scatole di cioccolatini contenenti messaggini romantici create ad hoc dagli stessi detenuti.

Lodi: il vice direttore di San Vittore guida il carcere

 

Il Cittadino, 9 febbraio 2005

 

È il vice direttore del carcere di San Vittore, Fabrizio Rinaldi, 35 anni, il reggente della casa circondariale di via Cagnola. Ha assunto l’incarico da lunedì 31 febbraio, per il passaggio di consegne dovuto al pensionamento del direttore Luigi Morsello, 67 anni compiuti il mese scorso.

"Una reggenza che dovrebbe durare poche settimane - spiega Rinaldi -, in attesa che il provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria, assieme al dipartimento, designino il nuovo direttore". Che possa essere lui stesso a subentrare definitivamente a Morsello, o che invece l’incarico venga assegnato ad altri funzionari, questa è una previsione che il reggente non se la sente di fare.

La prima impressione sulla struttura lodigiana è stata buona: "Sicuramente i problemi di sovraffollamento qui sono pressoché inesistenti, ma è troppo presto per avanzare altre valutazioni". Rinaldi passa nel suo ufficio di Lodi alcune giornate della settimana, per assicurare continuità nella gestione della struttura, ma per le urgenze è sempre e comunque reperibile.

La reggenza è comunque una prassi, e non un provvedimento urgente preso dall’amministrazione carceraria per evitare periodi di vacanza. Morsello, originario di Potenza, era alla direzione della casa circondariale di Lodi dal settembre del 1997, e ha lavorato per 38 anni nell’amministrazione carceraria, per la quale tra l’altro aveva richiesto di poter prestare servizio per un ulteriore triennio. Era stato molto apprezzato per la disponibilità al dialogo e la volontà di offrire opportunità concrete di riabilitazione e integrazione all’interno della struttura, tra le quali il periodico scritto dai detenuti "Uomini liberi".

Lodi: il carcere di Via Cagnola apre le porte per un giorno

 

Il Cittadino, 9 febbraio 2005

 

Cosa si nasconde dietro quel muro di via Cagnola 2? Chi sono gli "abitanti" della Casa circondariale di Lodi? Chi sono i redattori del mensile "Uomini Liberi" che viene pubblicato anche come allegato a "Il Cittadino"? Come si vive in un carcere? A queste e ad altre domande saranno gli stessi cittadini a rispondere

Per la terza volta, dopo le positive esperienze del 2004, la struttura carceraria di Lodi sabato 12 marzo aprirà le porte a un gruppo di cittadini e cittadine che vorranno trascorrere qualche ora dietro le sbarre per conoscere una realtà troppo nascosta, lontana dalle nostre consuetudini e dai luoghi che frequentiamo normalmente ma non distante dalle nostre case vista la centrale posizione del carcere di Lodi. Ancora una volta un centinaio di cittadini avrà la possibilità di entrare in carcere per conoscere una realtà troppo spesso dimenticata.

E così ancora una volta Lodi sarà protagonista di una iniziativa davvero singolare che rappresenta una delle poche esperienze in questo genere.È un’occasione per sfatare molti luoghi comuni legati al mondo del carcere: la televisione in cella, le comodità del carcere. L’idea nasce dalla redazione di "Uomini Liberi" il mensile realizzato interamente presso la Casa circondariale di Lodi: da settembre ad oggi numerosi lettori della rivista hanno imparato a conoscere la realtà carceraria attraverso i racconti, gli aneddoti, gli articoli di cronaca di Franco, Livio, Massimiliano, Carlo, e di tutto il gruppo redazionale.

Ma "toccare con mano", guardare negli occhi chi scrive, conoscere il lavoro del corpo di polizia penitenziaria, della direzione e degli operatori è ciò che permetterà a chi entrerà per un giorno in carcere di essere portatori di una testimonianza. Un incontro che nasce dalla richiesta dei numerosi lettori di "Uomini Liberi" che hanno chiesto alla redazione di potersi incontrare, di scambiare opinioni.

Il carcere aprirà le porte in due momenti diversi della giornata (al mattino verso le 10 e al pomeriggio verso le 15) consentendo a due gruppi di conoscere la casa circondariale accompagnati dal direttore, dall’educatore e dal comandante Raffaelle Ciaramella. Per informazioni e adesioni contattare al più presto, ma non oltre il 20 febbraio (gli accessi sono limitati) Andrea Ferrari di "Uomini Liberi" al telefono (al 335.5361187) oppure attraverso e-mail (andrea.ferrari70@libero.it).

Immigrazione: lettera aperta ai Vescovi e ai credenti sui Cpt

 

Melting Pot, 9 febbraio 2005

 

La quotidianità dei migranti e i fatti che continuano ad accadere nei Cpt sono sempre più drammatici. Nei giorni scorsi gettandosi da una finestra, quella dell’ospedale di Lamezia Terme, si è tolto la vita Said Zugoui, di nazionalità marocchina e padre di due figli, pur di non tornare a vivere nell’inferno del Cpt dove era internato prima del ricovero.

Al "Regina pacis" di San Foca, provincia di Lecce, sempre alcuni giorni fa l’ennesimo tentativo di fuga è finito ancora una volta nel sangue. Da una finestra simile a quella dove pochi mesi prima si è gettato un giovane moldavo rimanendo a vita senza l’uso delle gambe, hanno tentato la fuga altri migranti. Il risultato è stato lo stesso di sempre: repressione poliziesca e arresto di chi non voleva farsi nuovamente internare. Don Cesare Lodeserto, direttore del Cpt, ha partecipato come sempre negli ultimi anni alle fasi di repressione e, come in molte altre occasioni, è stato ferito leggermente (4 giorni di prognosi).

Sono solo gli ultimi drammatici episodi, altri ne sono accaduti e ne accadranno in altri Centri di permanenza temporanea di cui è già stata annunciata la proliferazione. Tutto mentre continuano gli sbarchi, le espulsioni e il calpestio dei diritti civili, spesso, anche di chi ha un regolare permesso di soggiorno.

A stare a fianco dei migranti, ci si accorge che la situazione peggiora sempre più di giorno in giorno nel silenzio generale e tra l’agire dissennato di chi divide gli esseri umani con logiche e prassi che nulla hanno a che fare con la comprensione e la solidarietà. Per questo rivolgiamo in primo luogo ai nostri Vescovi, ma anche ai credenti e comunque a tutti i cittadini e alle istituzioni italiane, questo appello in forma di lettera aperta che continuerà a raccogliere adesioni e che nei prossimi mesi speriamo sarà accompagnato da molte altre iniziative. La lettera inizia con una citazione dal messaggio di Giovanni Paolo II, dello scorso anno, in occasione della novantesima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato:" Nessuno resti insensibile dinanzi alle condizioni in cui versano schiere di migranti! Nei campi dove vengono accolti sperimentano talora gravi restrizioni..."

Stiamo assistendo negli ultimi anni in questo Paese ad una gestione disumana delle politiche sull’emigrazione, puntate quasi esclusivamente sulla repressione, sull’esclusione e sull’espulsione dei migranti in fuga da guerre e carestie. Ciò influisce pesantemente, oltre che ovviamente sui diritti civili e religiosi degli stessi migranti, sul sentire dell’opinione pubblica condizionata anche da come i media e l’informazione trattano l’argomento: troppo spesso con accezioni negative, con notizie che enfatizzano (a volte anche erroneamente) fatti di cronaca nera in cui sono coinvolti stranieri. O addirittura nascondendo o minimizzando vicende anche gravissime di cui sono loro stessi ad essere vittime (pensiamo allo sfruttamento nel mondo del lavoro, agli internamenti nei "Centri di permanenza temporanea", al caso del Cpt "Regina pacis" - retto ancora oggi dalla Curia leccese - inquietante e drammatico esempio di contro-testimonianza, dove sino ad oggi sono stati rinchiusi oltre 70 mila migranti). È proprio per l’esistenza di questi centri, per l’agire di chi li gestisce e per le direttive del governo italiano che impongono la nascita di un nuovo "Centro di permanenza temporanea" in ogni regione, che ci appelliamo a Voi affinché vi esprimiate in piena coerenza con il Vangelo e con le parole accorate del nostro Pontefice. Per questo vi chiediamo:

un netto rifiuto della logica repressiva che incrementa razzismo e xenofobia e affronta la questione immigrazione quasi esclusivamente come un problema di ordine pubblico.

un netto rifiuto dei "Centri di permanenza temporanea" dove, molto spesso in assenza dei più elementari diritti umani, vengono internati con la forza e per 60 giorni i migranti che non hanno commesso alcun reato, solo perché considerati irregolari in attesa d’espulsione.

un deciso invito per stampa e televisioni al rispetto, nell’informazione locale e nazionale, della dignità e delle identità etniche e religiose dei migranti. Lo stesso invito al ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu e al governo in carica a rivedere decisioni che hanno il sapore di censure preventive, come quella di impedire ai giornalisti l’accesso nei "Cpt".

Un severo monito verso chi ancora oggi permette la gestione del Cpt "Regina pacis", ne prevede la "riconversione" in "Centro di identificazione per rifugiati" o chissà che altro nascondendosi dietro ai dettami di leggi disumane e dietro a regolamenti di attuazione che "non garantiscono i diritti dei richiedenti asilo" (come ha già dichiarato la Caritas italiana); verso chi continua a incamerare denaro sulla pelle dei migranti internati (decine e decine di tentativi di fuga repressi con la forza e gesti disperati di autolesionismo; un giovane moldavo rimasto senza l’uso delle gambe nel tentativo di scappare; le denunce di 17 internati sulle gravissime violenze che hanno messo sotto processo l’intero staff del "Regina pacis"); verso chi non ha mai pensato neppure di sospendere dalla direzione del Cpt, almeno sino a quando la giustizia terrena avrà fatto il suo corso, don Cesare Lodeserto (sotto processo oltre che per le gravi violenze fisiche e morali denunciate nel novembre del 2002, anche con la precedente accusa di essersi appropriato di fondi destinati all’accoglienza degli immigrati).

 

Don Angelo Cassano (parroco a Bari), don Alessandro Santoro (parroco a Firenze), p. Michele Stragapede (Comboniani Bari), don Albino Bizzotto (Beati costruttori di pace, Padova), p. Giorgio Poletti , p. Claudio Gasbarro, p. Franco Nascimbene (Comboniani Castel Volturno), don Luciano Saccaglia (parroco a Parma), don Andrea Gallo (Comunità San Benedetto, Genova), p. Cosimo Spadavecchia (Comboniani Messina).

Foggia: progetto "Speranza", detenuti imparano a custodire boschi

 

Corpo Forestale dello Stato, 9 febbraio 2005

 

Cominceranno a fine mese i corsi per insegnare ai detenuti ad avvistare e spegnere gli incendi boschivi, a difendere il patrimonio ambientale e anche a seguire un’attività di rimboschimento. Le lezioni teoriche saranno svolte dal personale del Corpo forestale dello Stato, che non percepirà alcuna remunerazione. Il progetto coinvolgerà 45 detenuti - la cui posizione giuridica è definita - delle case circondariali di Foggia, Lucera e San Severo.

Si chiama "Speranza" il progetto di formazione-lavoro che sarà presto portato in carcere, con corsi studiati apposta per affidare ai detenuti la custodia dei boschi e soprattutto per aiutarli a reinserirsi nella società. I detenuti impareranno ad avvistare e spegnere gli incendi boschivi, a difendere il patrimonio ambientale anche attraverso la pratica di un’attività di rimboschimento. Il progetto - messo a punto dal Ministero della Giustizia, dipartimento amministrazione penitenziaria, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Corpo forestale dello Stato e Ispettorato ripartimentale delle Foreste - prevede il coinvolgimento di 45 detenuti delle case circondariali di Foggia, Lucera e San Severo, che potranno così frequentare un percorso di formazione-lavoro.

Il corso, che partirà entro la fine di questo mese, avrà la durata di 110 ore, ripartite tra lezioni teoriche svolte da personale del Corpo forestale dello Stato, e prove pratiche, delle quali si occuperà l’Ispettorato ripartimentale delle Foreste di Foggia, in entrambi i casi senza percepire alcuna remunerazione. Le lezioni pratiche si svolgeranno nel Bosco dell’Incoronata, al Castello Svevo di Lucera e in una zona urbana di nuovo insediamento a San Severo. Ci saranno anche due visite formative alla Foresta Umbra e al vivaio Orto di Zolfo di Biccari. Per queste due escursioni il comune di Foggia ha messo a disposizione due autobus dell’Ataf. Il corso è destinato a detenuti con una posizione giuridica definita, e che quindi nel giro di pochi anni potrebbero varcare le porte del carcere e tornare in società.

Medicina: biografie criminali, esistono 22 gradi di malvagità

 

L’Unione Sarda, 9 febbraio 2005

 

Una scala della depravazione: nell’America del dopo 11 settembre, l’America che ha visto le sevizie di Abu Ghraib e i decapitati in Iraq, l’America dei serial killer e del dibattito sulla pena di morte un piccolo gruppo di psichiatri e medici legali ha cominciato a interrogarsi sulla natura del male. In uno sforzo di trovare standard nei crimini più orrendi un gruppo della New York University ha cominciato a sviluppare una "scala della depravazione", che classifica l’orrore di un atto in base alla somma dei suoi particolari più macabri.

E alla Columbia University il professor Michael Stone, psichiatra e esperto di studio delle personalità, ha pubblicato una gerarchia di 22 gradi di malvagità, derivata dalle biografie dettagliate dei 500 criminali più violenti della storia degli Usa. Stone è adesso al lavoro su un libro in cui invita i suoi colleghi a non aver paura della parola "male" quando si giudicano certi criminali.

"Parliamo di gente che ha commesso atti che mozzano il fiato, che lo fanno ripetutamente, che sanno quel che fanno e lo fanno in tempo di pace", ha detto Stone che nel suo lavoro di psichiatra ha esaminato parecchi assassini nel Mid-Hudson Psychiatric Center di New Hampton nello stato di New York e altri nel penitenziario psichiatrico Creedmore a Queens. "Sappiamo dalla nostra esperienza chi sono queste persone, e come si comportano: è ora di dare a questo comportamento il nome che merita. E questo nome è male".

È nozione comune, nel pensiero politico, filosofico e religioso occidentale, che quasi tutti gli esseri umani sono in grado di compiere atti brutali anche quando non sono direttamente minacciati. Nel mondo reale le degradanti immagini delle sevizie commesse da militari americani sui prigionieri di guerra a Abu Ghraib e le decapitazioni per mano dei leader dell’insurrezione irachena di prigionieri occidentali, hanno portato in tv i livelli fino a dove un essere umano può arrivare quando si sente giustificato. "Il male è endemico, è costante, è un potenziale in ciascuno di noi", ha osservato Robert Simon, psichiatra della Georgetown University e autore del libro "I buoni sognano quel che fanno i cattivi".

Caltanissetta: nell’ex carcere mandamentale si farà ippoterapia

 

La Sicilia, 9 febbraio 2005

 

Ci voleva don Vincenzo Sorce, presidente dell’associazione Casa Famiglia Rosetta, per accogliere una sfida tanto impegnativa da avere finora scoraggiato tutti: la gestione del carcere di Villalba da trasformare da "cattedrale nel deserto", qual’era fino a ieri, in una struttura moderna e polifunzionale capace di garantire posti di lavoro e formazione, unendo quindi professionalità con l’erogazione di servizi.

Ieri la firma del comodato d’uso tra il presidente dell’associazione Casa Rosetta e il sindaco di Villalba Eugenio Zoda. "Abbiamo recepito il carcere di Villalba - dice padre Sorce - per trasformarlo in un centro polifunzionale. Faremo attività formativa, corsi ed erogazione di servizi sul territorio, come ad esempio l’ippoterapia".

 

Quando pensate di metterci mano?

"Già abbiamo firmato il comodato d’uso a titolo gratuito e domattina cominceranno le pulizie, così come facciamo noi le cose, con celerità".

 

E quando pensa di avviare le attività?

"Al più presto possibile".

 

Oltre all’ippoterapia, cos’altro pensa di realizzare in quello che ormai si può definire l’ex carcere di Villalba?

"Una scuola di formazione di ippoterapia. C’è stata una concomitanza di sfide che ho accolto e ora speriamo di operare bene (l’altra sfida è quella di prendere in gestione, sempre in comodato d’uso, il Palacultura di Mussomeli dove ieri si è recato in visita e dove già funziona l’università della Lumsa portata da Casa Rosetta, n.d.r.)".

 

Che finanziamenti le occorreranno per rimettere in funzione l’ex carcere?

"Fondamentalmente la struttura è sana. Bisogna sistemare le grondaie che stavano facendo perdere la struttura, togliere i cancelli e tutto ciò che sa di carcere e poi vedremo".

Vibo Valentia: l’Ass. "Diritti civili" in aiuto a detenuto paraplegico

 

Asca, 9 febbraio 2005

 

Il leader del Movimento Diritti Civili Franco Corbelli, chiede l’intervento del Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, per la vicenda del giovane vibonese, Antonio Grillo, 37 anni, gravemente malato, costretto alla sedia a rotelle, e arrestato per scontare una condanna definitiva a 6 anni di reclusione per estorsione: Si tratta di reati commessi nove anni addietro. Un "fatto gravissimo che, al di là del rispetto della legge - dice Corbelli - viola i principi e i diritti elementari della persona umana".

"Domenica scorsa, a Vibo Valentia - spiega Corbelli - un uomo, colpito da una grave malattia ereditaria e costretto alla sedia a rotelle, è stato accompagnato, su una carrozzella, al locale carcere per scontare una condanna definitiva a 6 anni per estorsione. Domando: si può consentire una simile disumanità? Può la legge giustificare e permettere tutto questo? In nome di quale diritto e di rispetto della dignità della persona umana si può portare in carcere un uomo paralizzato su una sedia a rotelle? Si può definire questa una giustizia giusta e umana?

Mentre pericolosi mafiosi, terroristi, criminali, assassini vengono scarcerati, un paraplegico, condannato per estorsione, per episodi di 9 anni fa, viene condotto in carcere su una sedia a rotelle! Chiedo al Ministro Castelli, solerte a intervenire per tante altre vicende - dice Corbelli - di volere promuovere, nell’ambito delle sue competenze, tutte quelle iniziative, previste dalla legge.

Chiediamo ai giudici un atto umano e immediato: la scarcerazione del detenuto, per il quale è stato chiesto, dal suo legale, il differimento della pena. Quest’uomo, per poter sopravvivere, deve continuare una particolare terapia presso specialisti, che non può certo garantire il carcere. Grillo chiede solo di potersi curare - conclude Corbelli - e di stare insieme al suo piccolo figlio". La stessa malattia che ha colpito il signor Grillo aveva causato anche la morte della giovane madre.

Milano: San Vittore, in mostra una piccola città dentro la metropoli

 

Ansa, 9 febbraio 2005

 

Far riflettere chi è "dentro" e far conoscere la vita di chi vive dietro le sbarre alla gente fuori che di solito su carceri e detenuti sa poco e, quindi, "coltiva molti pregiudizi". È questo il significato della mostra fotografica inaugurata oggi a San Vittore con cui Roby Schirer, 52 anni, nato a Zurigo ma dal ‘73 a Milano, ha ripercorso, scatto dopo scatto, 12 anni di vita del carcere.

Così fino al 25 febbraio alle pareti del lungo corridoio su cui si affaccia l’infermeria, sono appese 67 fotografie in bianco e nero che documentano ciò che accade in quella, come è stata definita da Gloria Manzelli, direttrice di San Vittore, "piccola città dentro la metropoli": dal momento in cui con le manette si passa all’ufficio matricola per lasciare i propri dati anagrafici e le impronte, a quello in cui ci si ritrova in una delle celle chiamate dei nuovi giunti con i muri pieni di scritte e graffiti; dalla messa di Natale celebrata dal Cardinal Martini, alla preghiera dei musulmani in una stanza allestita per loro.

E poi ancora: lo spettacolo dei Blues Brothers, la sfilata di moda della scorsa primavera, la partita di basket tra le donne, gli agenti di polizia penitenziaria e il tipico spaccato di come si trascorre il tempo in cella: televisione accesa e una partita a carte. Durante l’inaugurazione, con catering preparato dagli stessi detenuti, oltre all’assessore alle politiche sociali del Comune di Milano, Tiziana Maiolo e a Schirer, c’erano Luigi Pagano, per tanti anni direttore di San Vittore e ora provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, il giudice del Tribunale di Sorveglianza Maria Rosaria Sodano e, tra gli altri, anche un gruppo di detenuti.

A fare gli onori di casa Gloria Manzelli che ha definito le immagini di Schirer, fotografo storico di San Vittore, "poesie scattate nel rispetto dei detenuti, senza violare la loro dignità personale e la privacy". La direttrice ha anche voluto segnalare le immagini che raffigurano gli agenti e il personale, "testimonianza del loro lavoro che è duro e di cui spesso non si riconosce la giusta valenza: la rieducazione del condannato e l’attività di sostegno, di aiuto e di conforto".

La mostra, dove "momenti, volti e stagioni", sono stati fissati con l’obiettivo, è stata sponsorizzata da Ministero della Giustizia, da Palazzo Marino, da Grandi Stazioni e dal Consiglio Regionale dell’Ordine dei Giornalisti e presto uscirà dal carcere: dal 3 al 21 marzo traslocherà alla Stazione Centrale al Binario 21.

Castelli: sentenza di Lecco, la goccia che fa traboccare il vaso

 

La Repubblica, 9 febbraio 2005

 

"La sentenza di Lecco è solo l’ultima di una serie, è la goccia che fa traboccare il vaso, e dimostra che almeno una parte della magistratura è lontana dal comune sentire popolare": lo ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli, intervistato questa sera da Radio Padania Libera, emittente della Lega Nord parlando della sentenza che ha liberato due nomadi che avevano tentato di rapire un bimbo.

"Ci ho pensato una notte intera prima di parlare - ha spiegato Castelli - poi mi sono determinato ad entrare nel merito di una sentenza per la prima volta da quando sono ministro. E l’ho fatto perché prima che ministro sono rappresentante del popolo che mi ha eletto". Il Guardasigilli ha poi spiegato il suo punto di vista sui rapporti tra i poteri e sul ruolo della magistratura: "La Costituzione - ha proseguito Castelli nel suo ragionamento - fa risalire al popolo il potere reale.

E anche la Giustizia, secondo la Costituzione, è amministrata in nome del popolo, questo hanno stabilito i padri costituenti". "Il magistrato - ha aggiunto Castelli - deve sentenziare secondo il comune sentire del popolo e ciò significa saper interpretare quel che, in un dato momento storico, è il sentimento popolare, cosa che naturalmente non significa giustizia sommaria".

Nuoro: Badu e’ Carros, salvaguardare la salute dei detenuti

 

Sardegna Oggi, 9 febbraio 2005

 

Maria Grazia Calligaris, consigliere dello Sdi-Su, lancia l’allarme sulle drammatiche condizioni di vita all’interno del carcere nuorese "Bade è Carros". È necessario, dice, realizzare degli interventi immediati sulle strutture al fine di salvaguardare la salute dei detenuti. Manca da oltre un anno un dentista, il riscaldamento è inadeguato, l’acqua calda per la doccia è disponibile solo per due ore al giorno. Gli spazi dedicati al socializzare sono obsoleti, da oltre 6 mesi la biblioteca è chiusa. Occorre intervenire celermente.

Le condizioni di vita nel carcere nuorese di Bade è Carros" negli ultimi mesi sono peggiorate. È necessaria un’immediata iniziativa del Provveditore regionale per realizzare interventi sulle strutture che salvaguardino la salute dei detenuti". Lo sostiene in una dichiarazione la consigliera dello Sdi Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione Diritti Civili.

È inoltre indispensabile - ha aggiunto - ripristinare alcuni importanti momenti di socializzazione. I detenuti lamentano che il riscaldamento è insufficiente e dalle finestre di molte celle, oltre agli spifferi e al freddo, quando piove entra l’acqua.

Non possono fare regolarmente la doccia sia perché funzionano soltanto tre impianti per 90 detenuti sia perché l’acqua calda è disponibile soltanto due ore al giorno. Per quanto concerne gli spazi di socialità - ha sottolineato l’esponente socialista – la situazione non è migliore.

Gli agenti non sono in numero adeguato e, nonostante in molti debbano ancora fruire delle ferie del 2002 e del 2003, non riescono a far fronte ai bisogni dei detenuti. Vi sono solamente due educatori uno effettivo e l’altro pan time.

Da sei mesi la biblioteca è chiusa: non è quindi possibile leggere libri e consultare testi. Da diverse settimane inoltre non è utilizzabile il campo sportivo e l’ora d’aria viene trascorsa in uno spazio talmente angusto da apparire una voliera. Le condizioni sanitarie, per ovvi motivi, lasciano infine a desiderare. Da un anno manca un dentista. L’epidemia di influenza, sfociata in alcuni casi di polmonite, è stata facilitata dalle condizioni precarie degli infissi delle finestre che hanno necessità di manutenzione o di sostituzione e dalla struttura fatiscente.

Tutto ciò - ha concluso Caligaris - contrasta con le ottime iniziative assunte dal Consiglio Comunale che ha istituto il Garante del detenuto e dall’amministrazione provinciale con l’introduzione nell’istituto di pena dei corsi di educazione per adulti (Eda).

Livorno: muore ex detenuto, indagato un medico elbano

 

Il Tirreno, 9 febbraio 2005

 

Malato di tumore da due anni viene dimesso dall’ospedale contro la sua volontà e rimandato a casa senza l’assistenza domiciliare. Dopo pochi giorni, Vincenzo Varano, 64 anni, calabrese che da anni viveva a Procchio, da solo, in una casa-baracca, è morto nel reparto di oncologia dell’ospedale di Livorno il giorno di Natale. Con l’accusa di abbandono di "incapace a provvedere a se stesso", è stato indagato il primario del reparto di chirurgia dell’ospedale di Portoferraio, Roberto Bernardini, che non avrebbe comunicato alla Asl di riattivare il servizio di assistenza domiciliare.

A denunciare il caso alle autorità è stato il maresciallo Alessandro Adinolfi, della caserma di Marciana Marina. Oltre ad aver stretto un’amicizia con l’uomo, viste le sue difficoltà economiche e di salute, il maresciallo lo aveva aiutato in più di un’occasione: "Siamo intervenuti dopo che l’uomo ci ha chiamato e ci ha raccontato l’accaduto - racconta il maresciallo -. Conoscevamo la sue difficili condizioni di vita e abbiamo cercato di aiutarlo. Quando è rimasto da solo a casa mi ha chiamato ci siamo e subito attivati per provvedere ad un nuovo ricovero e ridare ad una persona malata una condizione umana e dignitosa. A Procchio tutti lo conoscevano e lo aiutavano, ma poi la malattia lo ha stroncato". L’uomo viveva da molti anni nella frazione di Marciana, in località Literno, in una piccola abitazione di pochi metri. Con un contributo dei servizi sociali e con una piccola attività di agricoltore tirava avanti non senza difficoltà. Ma prima di approdare a Procchio, Varano aveva conosciuto anche il carcere. Una storia per la quale aveva pagato la sua pena nel penitenziario San Giacomo di Porto Azzurro. Un’esperienza chiusa circa 20 anni. Dopo, Varano aveva cercato di rifarsi una vita.

Una volta uscito dal carcere si era trasferito a Procchio dove viveva del suo lavoro di contadino, vendendo i prodotti del suo orto. In paese tutti lo conoscevano come una persona con un passato burrascoso, che da solo si era ristabilito nonostante le difficoltà economiche. Tutto fino a due anni, fa quando scoprì di avere una grave malattia. Dopo alcuni ricoveri nei periodi di fase acuta del tumore, nei primi giorni di dicembre 2004 Varano è stato costretto a tornare in ospedale. Ma dopo appena 4 giorni, dal reparto di chirurgia arrivano le dimissioni dell’uomo. Dimissioni contro la sua volontà: viste le sue condizioni di salute Varano non voleva tornare a casa. Gli stessi volontari dell’ambulanza, una volta chiamati per riportarlo a casa avrebbero espresso perplessità sulla decisione di dimetterlo. Ma non ci fu niente da fare e Vincenzo Varano fu rimandato nella sua casetta che ricorda una baracca. Nessuno pensò ad attivare il servizio di assistenza domiciliare della Asl. Immobilizzato a letto, in preda alla disperazione e abbandonato a se stesso, l’uomo si rivolse al suo amico maresciallo. I militari del comando di Marciana Marina, in seguito alla chiamata andarono nell’abitazione di Literno e vi trovarono l’uomo in completo stato di abbandono. Chiamarono il medico di base, che non era stato informato delle dimissioni dall’ospedale. Considerate le gravi condizioni di salute, Varano fu di nuovo ricovero nel reparto di medicina dell’ospedale di Portoferraio, ma la situazione era grave e fu trasferito all’oncologia di Livorno, dove l’uomo è morto il giorno di Natale. Ma i carabinieri hanno voluto vederci più chiaro. Hanno fatto verifiche e quindi denunciato il caso alla procura. Dopo è scattata la procedura d’ufficio nei confronti del primario, che è stato indagato per abbandono di incapace.

Milano: dai detenuti cioccolatini e un libro di racconti e poesie

 

Redattore Sociale, 9 febbraio 2005

 

Una scatola di cioccolatini, un libro di poesie. La fantasia dei detenuti delle carceri milanesi di San Vittore e Opera trasforma i più classici doni di San Valentino in un regalo originale. "Baci rubati" è il nome di un cioccolatino e il titolo di un libro, per capire come si vive l’amore dietro le sbarre. "Mi piacerebbe che questa iniziativa innescasse una riflessione sul tema del corpo in carcere - dice la curatrice del progetto Emilia Patruno.

Una condizione che riguarda anche l’attività sessuale dei detenuti, che dietro le sbarre è come mutilata, andando a punire non solo i ristretti, ma anche i loro partner. Nazioni come Spagna e Svizzera hanno già allestito le "stanze dell’amore" all’interno delle carceri, dovremmo fa qualcosa anche noi". L’amore desiderato e la difficoltà di viverlo sono raccontati nei testi narrativi e nelle poesie composti da 12 persone ristrette a San Vittore e da altre 18 che si trovano nel carcere di Opera. Le opere sono raccolte in un volume di 98 pagine che, dalla serata di venerdì 11 febbraio sarà disponibile gratuitamente sul sito dei detenuti di S. Vittore (www.ildue.it).

Ma la creatività dei detenuti milanesi non ha limiti: ‘Baci Rubatì è anche il nome dei cioccolatini che saranno in vendita presso il bar-tabacchi di via Filangieri, davanti al carcere di San Vittore. "È una produzione limitata a 100 scatole - dice la Patruno. I cioccolatini, preparati da una pasticceria con solo cioccolato fondente, saranno avvolti da una fascetta con le frasi d’amore scritte dai detenuti". Le due confezioni disponibili, da 12 e 35 pezzi, saranno vendute rispettivamente a 18 e 25 euro. Il ricavato andrà a sostegno delle attività di comunicazione curate dai detenuti.

Perugia: apre il nuovo carcere, ma con poco personale

 

Il Messaggero, 9 febbraio 2005

 

Con l’imminente l’apertura del nuovo carcere di Capanne, si torna a parlare di sicurezza. Ieri, rappresentanti dell’Amministrazione, tra cui il sindaco Locchi, hanno incontrato una delegazione della Cgil Perugia e della Fp-Cgil provinciale.

Nel corso dell’incontro, il sindaco, parlando soprattutto in previsione della nuova struttura di Capanne, ha condiviso la necessità di un adeguamento di organico, un potenziamento delle forze di polizia penitenziaria necessarie a coprire in futuro un’area di quasi 48 ettari. Locchi ha anche ricordato che il trasferimento riguarderà, contestualmente e per quanto possibile, tutte le strutture dell’attuale carcere di piazza Partigiani.

Per quanto riguarda la Cgil e la Fp-Cgil, il nodo è evitare la coesistenza in città di due strutture. Da qui la richiesta che il Centro clinico, nel quale all’occorrenza vengono anche ricoverati detenuti sottoposti a "41bis", venga trasferito in via definitiva. Il trasferimento, ha esplicitamente richiesto la delegazione dei sindacati, dovrà avvenire in tempi rapidi, per consentire una maggiore sicurezza e garantire le condizioni necessarie e realizzare la "Cittadella giudiziaria" nella vecchia sede carceraria.

In particolare, la Cgil, a detta dei segretari Luigi Bori e Mario Bravi, "non vuole che l’apertura del nuovo carcere si riveli solo un’operazione "di facciata", ma l’affermazione di un percorso di maggior sicurezza per tutta la città, a cominciare dai lavoratori e dalle lavoratrici direttamente interessati". Al termine dell’incontro, il sindaco Locchi si è comunque impegnato a richiedere un ulteriore incontro con i responsabili nazionali e locali del Ministero della Giustizia, per discutere le problematiche del caso.

Fossombrone: mostra di Marco Pace, detenuto e geniale pittore

 

Corriere Adriatico, 9 febbraio 2005

 

Mario Pace, detenuto, alunno modello e pittore. Ha ottenuto notevole successo la mostra dei suoi quadri allestita presso la scuola media di Lucrezia. Il tratto si fa sempre più sicuro. Il messaggio che Mario Pace manda ai suoi estimatori è: "Spero prima o poi di andare a prendere un caffè in un bar di Fossombrone".

I suoi quadri sono il frutto di un impegno costante dai colori sempre più vivaci e carichi. Soggetti che spesso si ritrovano a dover fare i conti con una solitudine struggente. Mai rassegnata. Mario Pace è uno degli studenti del corso Sirio aggregato al polo superiore "Luigi Donati". Si tratta di uno quegli alunni che si sono messi a studiare per conseguire il diploma di ragioniere.

Altri reclusi non solo si sono diplomati dopo aver superato il regolare esame di stato, ma hanno proseguito gli studi all’università. Diverse le opere di Mario Pace esposte. Una rassegna che ha richiamato l’attenzione. La notizia dell’adozione a distanza effettuata da Mario Pace è uno di quegli eventi che sono destinati non tanto a destare curiosità. E confermano come cambiare la vita dei reclusi che hanno la possibilità, di entrare in contatto con persone ed ambienti nuovi.

Lombardia: un milione di euro per interventi sanitari in carcere

 

Giornale di Brescia, 9 febbraio 2005

 

Un milione di euro in più per interventi sanitari rivolti a chi in carcere è alcool o tossico dipendente, o ha problemi di salute mentale, per mediazioni linguistiche e formazione, per inserimenti lavorativi. È questo quanto previsto dalla legge "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Lombardia" approvata oggi dal Consiglio regionale. Commenta Margherita Peroni (FI) - Presidente Commissione Territorio: "Sono 8.339 i carcerati in regione Lombardia e di questi 3.048 sono soggetti seguiti dai servizi socio sanitari per problemi di tossicodipendenza o alcooldipendenza. Gli immigrati sono 3.498. A Brescia e Verziano, il 30 giugno 2004 i detenuti erano 492 di cui 240 tossicodipendenti seguiti dai servizi e di questi 106 stranieri. Si deve aggiungere il problema del sovraffollamento, per cui la popolazione carceraria è circa il doppio di quella che dovrebbe essere detenuta; si pensi a Brescia dove i carceri permetterebbero una detenzione di 206 persone rispetto alla 492 che sono registrate nel giugno 2004".

Secondo la Peroni "Proprio per affrontare questa complessa situazione la Regione Lombardia, a partire dalla scorsa legislatura, ha avviato iniziative specifiche quali la prima sottoscrizione del Protocollo d’Intesa con il Ministero di giustizia sin dal 1994, successivamente l’Accordo Quadro nel 2003 ed a partire dal 2000 ha istituito la Commissione speciale Carceri. La legge si inserisce a pieno titolo in questo percorso avviato da tempo ed affronta i principali bisogni che la popolazione detenuta manifesta, sia essa all’interno degli istituti o ammessa a misure alternative".

Viterbo: master universitario per esperti in devianza giovanile

 

Progetto Uomo, 9 febbraio 2005

 

Aperte le iscrizioni al Master universitario per affrontare e prevenire le situazioni di disagio adolescenziale. Saper valutare, saper intervenire, saper prevenire: sono i requisiti indispensabili per affrontare i non facili casi di minori coinvolti in baby-gang, tossicodipendenza, alcolismo, microcriminalità, abusi sessuali, atti di violenza verso se stessi e verso gli altri.

Per andare incontro alle nuove esigenze di competenza sollecitate dagli operatori del settore, l’Istituto di ricerca e formazione "Progetto Uomo" propone il Master universitario di primo livello per diventare Esperti in Valutazione e Intervento Psicosociopedagogico nella Delinquenza e nella Devianza Adolescenziale e Giovanile.

Il Corso si rivolge a quanti già operano o vogliono operare in servizi di valutazione e orientamento (Centri di Prima Accoglienza, Comunità diurne, Ser.T., servizi sociali degli enti locali, Prefetture); in strutture diurne e residenziali di detenzione, recupero e di reinserimento sociale (Istituti penitenziari, Comunità Alloggio, Case famiglia, Comunità terapeutiche per minori); in agenzie educative (Scuola, Centri giovanili, Parrocchie, Oratori); in organismi giudiziari (Tribunali e Cssa).

Sono ammesse al Master persone in possesso di laurea o diploma universitario in Scienze dell’Educazione, Psicologia, Sociologia, Scienze della Formazione, Servizio Sociale, Giurisprudenza, Filosofia o indirizzi affini. Potranno iscriversi anche operatori delle strutture sopraindicate, purché provvisti di adeguato curriculum.

Il Corso dell’Istituto "Progetto Uomo" si propone di offrire ai partecipanti una formazione teorico-pratica per condurre una valutazione sulle caratteristiche essenziali dei fenomeni devianti adolescenziali e giovanili - con particolare attenzione alla forme delinquenziali -, di intervenire nelle situazioni individuali e di gruppo, di elaborare progetti di prevenzione e risocializzazione.

Le lezioni del Master si svolgono a Viterbo, presso il Complesso rinascimentale S. Maria della Quercia, in due giornate mensili (venerdì e sabato) a partire dal 25 febbraio 2005 fino a gennaio 2006, per un totale di 60 crediti formativi universitari (CFU), comprendenti corsi teorici (didattica frontale), attività seminariale, laboratori ed esercitazioni individuali, tirocini, studio individuale e lo sviluppo dell’elaborazione finale per il conseguimento dei crediti.

Informazioni e iscrizioni: Segreteria Istituto "Progetto Uomo", dott.ssa Simona Ricci, Viale Fiume n. 112 - 01030 La Quercia - Viterbo - tel. 0761.322700; fax 0761.321326; e-mail: ricci@progettouomo.net. Termine ultimo per le iscrizioni: 18 febbraio 2005. Per ulteriori informazioni consultare il sito web: www.progettouomo.net. Riservato ai giornalisti: per ulteriori informazioni contattare Luigi Pagliaro tel. 335.318537 - 0761.220316; e-mail: ufficiostampa@ticonzero.com

Gran Bretagna: uno show con torture ai concorrenti-detenuti

 

Quotidiano Nazionale, 9 febbraio 2005

 

La mania globale del reality show non risparmia neppure Guantanamo, la località cubana dove l’esercito statunitense rinchiude i presunti seguaci di Al Qaeda per interrogarli sui rapporti con l’organizzazione di Osama Bin Laden. La rete tevisiva Channel 4 ha annunciato che entro la fine del mese manderà in onda un reality show incentrato sulle torture inflitte dai militari Usa ai prigionieri islamici. Niente sarebbe stato lasciato al caso: ai sette volontari sono state inflitte umiliazioni di tipo religioso e sessuale, privazione del sonno e condizioni climatiche estreme.

Una sessione particolarmente cruenta di tortura ha previsto l’incatenamento dei volontari-prigionieri per 48 ore all’interno di una gabbia, alternandolo a fasi di interrogatori. Dei sette volontari sottoposti al trattamento, uno ha deciso di abbandonare lo show per le conseguenze dell’ipotermia di cui ha sofferto, mentre altri due hanno dato di stomaco nel corso della detenzione.

Sebbene il Pentagono abbia sempre respinto le accuse di tortura sui detenuti accusati di terrorismo, nel corso di questi ultimi mesi numerosi reduci del campo di prigionia avevano denunciato gli abusi subiti. Sospetti che sono divenuti quasi una certezza dopo la pubblicazione delle fotografie delle torture inflitte nella prigione irachena di Abu Graib.

Venezia: deve assistere compagna incinta, niente espulsione

 

Tg Com, 9 febbraio 2005

 

Il Tribunale dei minori di Venezia ha autorizzato a rimanere in Italia un montenegrino arrestato per sei volte ed espulso altrettante. I giudici hanno motivato la decisione con il fatto che la sua convivente, anch’essa irregolare, è incinta. Dragan Mitrovic, 20 anni, è stato salvato dal suo avvocato, il quale è riuscito ad ottenere l’autorizzazione a rimanere in Italia per un anno. L’uomo è stato scarcerato subito e quindi rimesso in libertà.

Il giovane, Dragan Mitrovic, di 20 anni, è stato fermato durante un controllo nella zona di Marano, nel veneziano, dai carabinieri di Mestre che,dopo una verifica, hanno scoperto che nei suoi confronti erano stati emessi ben cinque decreti di espulsione. Il Questore aveva addirittura diffidato Mitrovic dal restare in Italia, perché ritenuto persona particolarmente pericolosa.

Il montenegrino, arrestato in passato per furto, rapina e spaccio di droga, aveva ricevuto il primo provvedimento di espulsione il 20 maggio 2004; a questo avevano fatto seguito gli altri arresti (e successivi decreti di espulsione) il 27 giugno, il 3 dicembre, il 25 dicembre dello stesso anno e l’11 gennaio scorso. Provvedimenti che l’uomo ha sempre ignorato.

Finito in carcere per l’ennesima volta, Mitrovic è stato però salvato dal suo avvocato, il quale è riuscito ad ottenere dal tribunale l’autorizzazione a rimanere in Italia per un anno, per stare accanto alla convivente incinta. L’uomo è quindi stato subito scarcerato e rimesso in libertà.

Perù: scontri a fuoco in un carcere, 4 morti e 24 feriti

 

Reuters, 9 febbraio 2005

 

Quattro prigionieri sono stati uccisi e almeno 24 sono rimasti feriti in scontri a fuoco verificatisi oggi nel più grande carcere sudamericano, in quelli che il capo della prigione peruviana ha definito battaglie per il territorio fra bande. "È un conflitto fra... mafie interne", ha detto a radio Rpp Wilfredo Pedraza, capo dell’Istituto carcerario nazionale del Perù (Inpe), commentando l’accaduto nel carcere Lurigancho di Lima.

"Sfortunatamente a Lurigancho... (le pistole) entrano per via della negligenza e della corruzione. È la realtà", ha spiegato. I prigionieri si stavano scontrando per il traffico di cibo, alcol e vendita di cellulari, "tutte cose difficili da controllare in una prigione delle dimensioni di Lurigancho... che ha oltre 8.000 detenuti", ha aggiunto Pedraza. Jose Avila, un medico che sta curando alcune delle persone rimaste coinvolte, ha detto che ci sono 24 feriti, per lo più con ferite da armi da fuoco. Pedraza ha detto che quattro detenuti sono morti e 13 sono stati portati negli ospedali di Lima.

Il capo dell’istituto ha detto che le autorità carcerarie avevano ispezionato la prigione alla fine di dicembre e all’inizio di gennaio per analoghi scontri fra detenuti, ma non erano riuscite a trovare pistole. Erano state trovate circa 50 armi nel 2003 e 44 nel 2004.

La sicurezza carceraria in Perù è finita sotto i riflettori la settimana scorsa quando un testimone chiave in processi per droga è stato ucciso da un altro detenuto in quello che Pedraza ha definito un "omicidio su commissione" in un carcere nel nord del Paese. Sempre la scorsa settimana, in un’altra prigione un detenuto che è testimone contro gli stessi imputati è sfuggito al terzo tentato omicidio, riferiscono le autorità carcerarie.

 

 

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