Rassegna stampa 8 febbraio

 

Giustizia: con il "sostanzialismo" certezza del diritto a rischio

 

L’Arena di Verona, 8 febbraio 2005

 

È un coro: giudici, basta con i cavilli. Siate sostanzialisti. In un mondo così difficile, abbiamo il diritto di stare tranquilli: perché ci impedite di sentirci sicuri cedendo alla dottrina del cavillismo leguleio? Tutti ricordano, sempre, che un cittadino non è colpevole fIno a sentenza defInitiva; ora, invece, l’Italia scopre che per essere giudicati colpevoli non occorre nemmeno attendere una sentenza di primo grado, ribaltabile da appello e Cassazione: basta un’ ordinanza di rinvio a giudizio, se non addirittura un’iscrizione nel registro degli indagati. Esattamente quel tipo - e non un altro - di iscrizione nel registro degli indagati che, subito da altri, diventa ipso facto un arbitrio giustizialista.

Verosimilmente per garantirsi dal rischio che un imputato scompaia e non sconti la possibile pena, la legge Bossi-Fini dice che non si può espellere un cittadino straniero che sia sotto processo per un reato grave qual è, appunto, il terrorismo. Come potrebbe, un magistrato, decidere diversamente? Forse in omaggio a un principio sostanzialista? E perché - com’è giusto - non è necessariamente "sostanza" una prova raccolta da un pm a sostegno, per esempio, di un’ipotesi di corruzione, ed è invece certamente "sostanza" una prova raccolta da un pm a sostegno di un’ipotesi di terrorismo?

E chi decide, poi, quale sia la "sostanza"da far prevalere sulla lettera delle leggi? Con quale criterio? L’unico che viene in mente è quello della sensibilità sociale. Ma in un’ipotetica società molto sensibile, per esempio, alla violenza domestica, un giudice potrebbe condannare pesantemente un imputato che sculaccia i figli anche se per la legge queste percosse non costituissero un reato grave di per sé; e in un’altra piuttosto fredda verso il favoreggiamento, un giudice potrebbe mandare assolto un imputato anche se la legge prevede che quel comportamento configura un reato. Sarebbe il contrario di ciò che si chiama "certezza del diritto". Ma chissà: forse adesso la società è più sensibile alla certezza della pena. Perlomeno di alcune pene.

Cagliari: i giovani reclusi di Quartucciu diventano sceneggiatori

 

L’Unione Sarda, 8 febbraio 2005

 

L’arte come mezzo per evadere dalla routine e lenire la sofferenza della reclusione. Nel carcere minorile di Quartucciu, i ragazzi detenuti cercano di uscire dal tunnel anche grazie a laboratori di teatro e di poesie tenuti all’interno dell’istituto da operatori specializzati. Un’attività che va avanti da anni, e che ha permesso ai giovani di aggiudicarsi nei giorni scorsi il terzo premio a un concorso nazionale per la sceneggiatura di uno spot televisivo.

Il riconoscimento arriva dopo il premio conquistato lo scorso ottobre dal ventenne quartese Antonio Serra, che con la sua poesia "Luce" era riuscito a sbaragliare tutti i concorrenti in un concorso letterario organizzato a Pisa. Ora i ragazzi dell’istituto sono impegnati nella lavorazione dello spot, che verrà presentato nei prossimi mesi durante un festival del cinema a Roma. "I ragazzi sono stati bravi ad aggiudicarsi il terzo premio del concorso di sceneggiatura", si complimenta il direttore del carcere minorile Giuseppe Zoccheddu, "un concorso a livello nazionale al quale hanno partecipato tutti gli istituti minorili italiani. Adesso lo realizzeremo per partecipare al Festival".

Il tema dello spot è il superamento delle barriere: due bande giovanili passano attraverso varie situazioni, partendo da un ambiente ostile, per poi arrivare a un equilibrio. All’interno dell’istituto di prima accoglienza sono attivi vari laboratori. Primo fra tutti quello di animazione teatrale, portato avanti grazie alla collaborazione del consorzio Mani comunicanti. Poi c’è la biblioteca, dove i giovani portano avanti attività manuali, tra cui la lavorazione della creta e della plastilina. "In questo modo", aggiunge Zoccheddu, "vengono fuori la creatività e l’estro di questi ragazzi, coadiuvati ovviamente dagli operatori". È appena iniziato anche un laboratorio di musicoterapia, finanziato nell’ambito di un progetto di prevenzione, mentre è nato da qualche mese il laboratorio di giardinaggio. L’insieme di queste attività è nato per rendere meno dura la realtà della prigionia ai detenuti, ma anche per cercare di recuperarli e reinserirli nella vita normale. Riscuote grande successo anche l’attività sportiva, attuata grazie alla collaborazione del Selargius 82.

"A breve", dice Zoccheddu, "inizieremo un torneo: le nostre, per forza di cose, saranno tutte partite in casa". Sono attualmente venti i ragazzi reclusi nel carcere minorile di Quartucciu. Di questi, il trenta per cento è imputato di omicidio. Gli altri reati: rapine, furti, spaccio di droga. Il penitenziario è l’unico in Sardegna che accoglie anche ragazzi stranieri come cinesi, albanesi, tunisini e slavi. Tutti i ragazzi vivono in celle abbastanza spaziose, con il bagno. L’unico contatto con l’esterno sono i colloqui con i familiari, una volta alla settimana, e una telefonata settimanale della durata massima di dieci minuti. All’interno del penitenziario lavorano una novantina di persone divise tra agenti di polizia penitenziaria, educatori, medici, infermieri, psicologi, psichiatri, insegnanti e allenatori sportivi.

Milano: condannato per omicidio, evade durante permesso premio

 

Corriere della Sera, 8 febbraio 2005

 

Condannato a 9 anni e 6 mesi per concorso in omicidio, è evaso durante un permesso premio. Si tratta di Thomas B., residente a Como e detenuto nel carcere del Beccaria di Milano. Il giovane era stato arrestato per l’omicidio del parrucchiere Vito Pisciotta, 62 anni, ucciso durante una rapina nel suo negozio avvenuta la sera del 19 agosto 2000.

All’epoca aveva 17 anni e, come dimostrarono le indagini della Procura di Como, si introdusse nel negozio insieme a Marino Zandi, 23enne comasco, per rubare l’incasso del negoziante. I due giovani non si aspettavano di trovare all’interno del negozio, situato nel quartiere di Ponte Chiasso a Como, l’anziano parrucchiere che da qualche tempo si era trasferito a dormire nel retrobottega visti i suoi precari rapporti di famiglia. Lo sorpresero seduto su un divano mentre guardava la tv. Le indagini ricostruirono cosa accadde poi: Marino Zandi infierì sul parrucchiere colpendolo più volte con un coltello e premendogli sul volto un cuscino. Thomas avrebbe inferto l’ultima coltellata.

Terzo settore in Italia, i numeri del volontariato "dietro le sbarre"

 

Giornale di Sicilia, 8 febbraio 2005

 

Numerose le associazioni che operano all’interno del "pianeta" carcere, che aiutano i detenuti al reinserimento nella società - Nel 1996 è nata la Conferenza nazionale volontariato giustizia con lo scopo di rappresentare enti, associazioni e gruppi impegnati in esperienze di volontariato nell’ambito della giustizia e all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari.

Esiste un mondo che immaginiamo lontano e distante. Nel quale pensiamo vivano solo uomini e donne diversi e peggiori di noi. Questo mondo, invece, è contiguo e speculare al nostro. Contiene persone diverse solo perché private della libertà. Questo mondo si chiama carcere. Se ne parla e se ne sente parlare quando avvengono episodi eclatanti e la pubblica opinione si interroga sulla efficacia di provvedimenti che spesso non conosce. Con l’aiuto dei dati ufficiali del ministero della Giustizia, Dipartimento amministrazione penitenziaria, servizio per l’informatica e la statistica, proviamo a fare un punto sulla situazione del "contenitore" carcere, ma anche del "contenuto", cioè degli uomini e delle donne che lì dentro vivono, attraverso le esperienze delle Associazioni di volontariato che al carcere tendono una mano accorciando una distanza tra chi è fuori e chi è dentro.

Le carceri, in Italia sono distinte in quattro categorie: case di reclusione, che ospitano i detenuti definitivi o con più di 5 anni di condanna, le case circondariali, che accolgono i detenuti in attesa di giudizio, gli istituti per le misure di sicurezza (come gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le case mandamentali, strutture più piccole che ospitano persone con un basso tasso di pericolosità. Nel nostro Paese gli istituti di questo tipo sono 231.

La presenza di detenuti adulti al 28 febbraio 2001 è stata calcolata, secondo i dati del Ministero, in 54.373 persone. Nei 15 paesi dell’Unione Europea sono oltre 400 mila i cittadini ristretti in carcere. In Italia la popolazione detenuta è oltre un decimo del totale, con un esubero rispetto alla capienza di ben 5 mila unità. Nel marzo 2000 i detenuti erano 52.784, mentre nel marzo ‘99 erano 50.117, con un incremento di oltre 4 mila unità in soli due anni. Degli attuali 54.373 detenuti, 52.030 sono uomini e 2343 le donne. Diverse però sono le posizioni giuridiche tra le quali bisogna distinguere: imputati, condannati e ricorrenti. All’interno della categoria degli imputati esistono tre livelli che corrispondono al livello di giudizio degli imputati: primo grado di processo (giudicabili), secondo grado (appellanti) e ricorso in Cassazione (ricorrenti). Gli imputati sono in totale 24.827, pari al 45,66 per cento della popolazione detenuta. Di questi 13.847 sono in attesa del primo grado (pari al 25,47 per cento), 7.722 gli appellanti (il 14,20 per cento) e 3.258 i ricorrenti (il 5,9 per cento). I condannati, invece sono 28.089 (51,66 per cento) e gli internati 1457 (il 2,68 per cento).

Nel capitolo "detenuti entrati dalla libertà" uomini e donne sono divisi per fasce d’età nell’arco temporale che va dal 1987 ad oggi. Nel 1987 le presenze maggiori investivano la fascia d’età tra i 21 e i 24 anni ed erano 19.591 su 80.652. Nel 1990 i detenuti più numerosi, 15.126, avevano tra i 25 e i 29 anni. Nel 2000 le presenze maggiori riguardano ancora questa fascia d’età, con 17.362 presenze, contro quella tra i 40 e 49 anni che riguarda solo 10.445 unità. Segno che la popolazione detenuta adulta sta progressivamente, purtroppo, ringiovanendo.

 

Carcere e volontariato

 

"Più si parla di sicurezza nella società civile e più gente finisce in galera" dice con amarezza Don Virginio Balducchi, responsabile della Caritas Diocesana di Bergamo e cappellano in carcere. Don Virginio è il referente della Conferenza regionale Lombarda della Conferenza nazionale Volontariato Giustizia. La Conferenza nazionale è nata nel 1996 allo scopo di rappresentare enti, associazioni e gruppi impegnati quotidianamente in esperienze di volontariato nell’ambito della giustizia e all’interno e all’esterno degli istituti penitenziari. Il progetto di costituire un tavolo di confronto per tutto il volontariato che opera in questo settore vede riuniti i più importanti enti e associazioni nazionali: Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario), Arci-Ora d’Aria, Antigone, la Caritas italiana, la San Vincenzo de’ Paoli, Libera associazione, nomi e numeri contro le mafie e non ultima la Fondazione italiana per il volontariato (Fivol) che si propone proprio come terreno neutrale per far incontrare tante realtà nazionali diverse e investire in risorse e organizzare la ricerca e i servizi. Alla Conferenza Nazionale partecipano anche le Conferenze Regionali, costituite in Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto. Altre Regioni stanno costituendosi, come Calabria, Campania, Friuli Venezia - Giulia, Puglia e Umbria.

Nel giugno 1999 la Conferenza ha firmato un protocollo d’intesa con il ministero di Giustizia, che rappresenta un fatto storico per tutto il volontariato del settore.

Dalla Conferenza è nata l’esigenza di studiare il mondo del volontariato in carcere e ha prodotto "Non solo carcere. Indagine nazionale sulle organizzazioni di volontariato nell’ambito della giustizia". Una ricerca fondamentale, che vede tra gli altri autori Paola Atzei, che ha permesso di individuare 351 organismi che operano in favore di detenuti ed ex. Un volontariato nato per metà dopo il 1988, che si concentra nel 45 per cento dei casi al Nord e che per il 62 per cento è d’ispirazione religiosa. Associazioni di media e piccola dimensione composte da una quarantina di persone, anche se 4 su 10 non superano i 10 volontari. Praticamente 8.500 persone che operano all’interno delle associazioni, metà dei quali volontari attivi. Con 11.700 ore di lavoro settimanali e 34.000 utenti contattati e presi in carico, dei quali 27.000 detenuti, decine di miliardi come risorse di sostentamento e finanziamento, per metà di provenienza pubblica.

Un volontariato di non sola "consolazione" ma di rafforzamento della legalità, di conoscenza del terreno culturale del carcere, un volontariato che porta il carcere dentro il territorio, lo svela, lo racconta e aiuta a reinserirsi nel sociale chi lo ha vissuto. Questa la vera sfida di uomini, donne, preti raccolti attorno al pianeta carcere.

Biella: 1.500 sfilano in corteo per un carcere più umano

 

Il Manifesto, 8 febbraio 2005

 

Hanno risposto in millecinquecento all’appello dei familiari e degli amici dei detenuti del carcere di Biella. Nonostante il freddo si sono dati appuntamento in piazza Vittorio per un corteo che ha attraversato le vie di una città deserta, complice il giorno di festa. I pullman sono arrivati da Milano, Bergamo, Bologna, e poi tante macchine da Firenze, Torino. La manifestazione è stata promossa per denunciare l’imposizione da parte della direzione di un nuovo regolamento carcerario. Tra le altre cose è stato vietato ai detenuti di tenere libri. Dopo una violenta perquisizione, il 20 dicembre scorso, sono stati requisiti tutti i libri e le riviste.

Il nuovo regolamento prevede ora che ogni detenuto possa tenere soltanto quattro tra libri e riviste. Per denunciare questa nuova violazione dei diritti i familiari hanno lanciato una campagna, "un libro in più di Castelli" e hanno invitato cittadini e associazioni a spedire ai detenuti libri e riviste. La risposta del carcere non si è fatta attendere: pacchi, libri, lettere rispedite al mittente. Una ulteriore violazione, visto che non è affatto vero che i detenuti non possono ricevere posta da persone che non siano i familiari come invece sostiene la direzione del carcere.

Ieri alla manifestazione hanno partecipato anche i tre librai biellesi che hanno aderito alla campagna, mettendo a disposizione le loro librerie e ospitando la raccolta dei volumi da spedire al carcere. In una città quasi spettrale, l’unico suono era quello della musica lanciata dal furgoncino che apriva il serpentone umano. In testa lo striscione dei familiari e degli amici dei prigionieri comunisti in carcere. Dietro c’erano i torinesi: il centro sociale Askatasuna di Torino, il collettivo rosse fuoco, Radio Black out e poi ancora quelli delle case occupate nella città della Mole. Tantissimi gli aderenti a titolo individuale. E poi quelli di Biella, dai giovani comunisti a Rifondazione, al segretario della camera del lavoro.

Il corteo è giunto davanti al carcere dove sono partiti slogan e mini fuochi d’artificio. Del resto lo scopo era anche riuscire a farsi sentire dai prigionieri. E quando sono comparse delle improvvisate bandiere rosse alle finestre a sbarre, tra i manifestanti c’è stata la certezza che tutto quel rumore non era stato affatto per nulla. Musica, slogan, piccoli comizi, interventi al microfono del camioncino. Tutti con un messaggio: no alla repressione.

E soprattutto no alla negazione di diritti come quello di avere libri e riviste, ma anche musica visto che ora è molto più complesso anche avere cd da ascoltare. È stato denunciato inoltre il ricorso massiccio all’isolamento che ora avviene nelle celle e non più nella sezione dove i prigionieri sono rinchiusi. A manifestazione conclusa qualcuno ha voluto sottolineare che la presenza di così tante persone non era stata gradita. Forse da una macchina, mentre il corteo stava ritornando al punto di ritrovo dei pullman, una mano naturalmente invisibile ha lanciato in mezzo alla folla diversi lacrimogeni. Così, soltanto per dare ulteriore sfoggio di prepotenza. Ma senza riuscire ad offuscare o nascondere la realtà di una manifestazione che ha portato il carcere fuori dalle mura e dalle sbarre.

Porto Azzurro: nel penitenziario progetto di teleformazione

 

Rai News, 8 febbraio 2005

 

Undici postazioni destinate a formare i detenuti che insieme all’ora d’aria potranno usufruire di corsi didattici on-line. Grazie al progetto pilota "Trio" i detenuti del quarto reparto, ex sezione isolamento del carcere di Porto Azzurro, Isola d’ Elba potranno imparare attraverso un progetto di e-learning che prevede oltre 600 pack di formazione.

Lingue o la matematica, apprendere un mestiere, specializzarsi, la rosa dell’offerta formativa realizzata dalla Regione Toscana e dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria è il primo esperimento di questo tipo in un carcere italiano.

Le sbarre non ci sono più. le celle sono state trasformate in piccole postazioni telematiche. Assistiti da un tutor i detenuti potranno "evadere" grazie alla cultura.

L’accordo ha permesso ai primi undici detenuti di viaggiare nel web. Usufruendo di una linea adsl, la più veloce collegata sulla rete telematica della Regione Toscana, i detenuti potranno d’ ora in poi studiare on line assistiti da un tecnico che risponderà alle loro domande e da un tutor che li guiderà nel percorso formativo.

Undici per volta ciascuno su una postazione per aprirsi al mondo che intanto fuori è cambiato. Nel carcere di Porto Azzurro ci sono detenuti con pene definitive: a oggi, sono 280 e tutti hanno chiesto di poter usufruire del programma Trio. Il nuovo polo di teleformazione Trio è nato per iniziativa della Regione con l’intento di garantire ai i cittadini la possibilità di accedere a percorsi di formazione semplicemente utilizzando un computer.

È possibile individuare il settore di interesse e iscriversi al corso prescelto in modo del tutto gratuito. È una modalità che favorisce chi abita in zone disagiate, chi non è in grado di spostarsi da casa, chi per vari motivi non può frequentare corsi di tipo tradizionale.

Trio è nato nel 1998,come progetto di Teleformazione finanziato dalla Regione Toscana tramite il Fondo Sociale Europeo. Durante questa prima fase, conclusasi il 30 Giugno 2002, vengono realizzati materiali didattici innovativi che sono poi messi a disposizione degli utenti tramite il Catalogo Corsi e tramite i Poli di teleformazione.

In quel periodo, Trio riceve l’Italian Web Awards 2002 (il sito del progetto Trio è tra i migliori 100) e il "Premio Pubblica Amministrazione" nel giugno 2002. A partire da luglio 2002, comincia la seconda fase: un nuovo gestore, il raggruppamento True-learning, ed una nuova dimensione per Trio: un modello centrato sull’utente. Non più solo produzione ed erogazione di corsi, quindi, ma un offerta formativa a tutto tondo :informazione, promozione, orientamento, tutoraggio e certificazione. Garantendo la massima fruibilità e facilità di accesso, grazie soprattutto all’uso delle tecnologie web, ed offrendo risposte a cittadini e imprese interessate all’offerta formativa.

Roma: noi, guardie carcerarie, dimenticate dallo Stato…

 

Roma One, 8 febbraio 2005

 

Gli agenti di Regina Coeli tornano in strada per i problemi di sempre: orari massacranti, carenza di personale, assenza di risposte. Il sindacato autonomo: "I poliziotti non manifestano perché costretti a coprire i turni". Mancanza di personale, turni di lavoro massacranti, mense inadeguate e molti altri disagi. La polizia penitenziaria del carcere giudiziario di Regina Coeli torna a protestare. Attraverso il Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) gli agenti hanno manifestato, ancora una volta, problemi professionali e strutturali già esposti in passato.

La protesta è portavoce di un disagio di centinaia di agenti, ma su via della Lungara, proprio di fronte all’istituto penitenziario, sono in pochi a parlare al megafono, a suonare trombe da stadio e trombette di Carnevale, a distribuire volantini a passanti e automobilisti fermi al semaforo del Lungotevere.

Una piccola voce per un grande disagio, spesso, ripetono i poliziotti, "dimenticato dalle stesse istituzioni". Luana Zanella, deputato dei Verdi, si ferma a parlare con alcuni di loro. "Insieme a Paolo Cento faremo un’interrogazione parlamentare e porteremo qui altri deputati. Ho visto - spiega l’onorevole - molte carceri al Nord, anche minorili, e posso dire che la situazione di esasperazione è uguale. Peggiori - conclude - sono le situazioni dei poliziotti, peggiori saranno quelle dei detenuti". Forti del loro motto, "res non verba", le guardie carcerarie, ora chiedono risposte.

A parlare è Nicola Maselli, 34 anni, 13 dei quali con la divisa da agente, vicesegretario Regionale Lazio Sappe. Berretto di lana in testa e megafono sulle labbra è lui a gridare "vergogna" mentre rispetta, per protesta, il suo sciopero della fame e della sete.

 

Sig. Maselli, come mai il Sindacato Autonomo di polizia penitenziaria è sceso ancora una volta in strada?

"Nel carcere di Regina Coeli ci sono 9000 detenuti e 350 agenti divisi in tre turni giornalieri. A questo si aggiunge la qualità del cibo della mensa, dove i pasti non sempre rispettano l’ordine prestabilito. Il personale non ce la fa più perché è stanco. A volte le guardie sono tolte da qui per effettuare piantonamenti in ospedale. Può capitare che una sezione con due agenti sia dimezzata lasciando un solo poliziotto a gestire anche cento detenuti".

 

Una situazione di grande stress per voi.

"La gente non ce la fa più. Deve stare sempre qui a lavorare, anche 13-14 ore. A volte la famiglia non si vede mai. Quasi sempre c’è bisogno di fare un servizio più lungo del normale. I nuclei non hanno unità a disposizione e quindi devono prenderle da altre sezioni".

 

Da quanto va avanti questa situazione?

"Da 5-6 anni. Abbiamo sempre protestato. Oggi siamo arrivati a proclamare lo sciopero della fame e della sete. Ma i problemi da risolvere sono quelli in altri tavoli".

 

A che si riferisce?

"Ai tavoli ministeriali. Al ministro Castelli è stato detto più volte qual è la situazione. I problemi sono rimasti sempre gli stessi".

 

Quanto guadagna un poliziotto penitenziario?

"In media 1.200 euro, senza straordinari. Ma se uno è sposato e ha assegni familiari può arrivare fino a 1.400 - 1.500 euro al mese. È la volontà che ci spinge a lavorare".

 

In queste condizioni si assiste anche ad una carenza di persone disposte a diventare agenti carcerari?

"Non vengono fatte assunzioni. Le ultime riguardavano 1500 unità. La maggior parte è finita al nord. E Roma? La dimenticate?"

 

La vostra situazione è simile a quella di altri penitenziari?

"Rebibbia ha i nostri stessi problemi. È più grande come istituto, ha più detenuti e il rapporto è quasi lo stesso. Le difficoltà sono le stesse".

 

Oggi siete in pochi. Come mai i vostri colleghi non hanno aderito?

"Questo è un altro punto. È vietatissimo manifestare mentre stai lavorando. È necessario avere un permesso sindacale. Ma anche se hai l’autorizzazione, in caso di turni scoperti, devi comunque lavorare. È questo il problema".

Torino: pubblicato libro "Carcere e immigrazione in Piemonte"

 

Enaip Piemonte, 8 febbraio 2005

 

È stato pubblicato nei giorni scorsi il volume "Carcere e immigrazione. La popolazione detenuta straniera negli istituti di pena piemontesi" a cura della dottoressa Roberta Ricucci. Questa ricerca fa parte delle attività dell’Osservatorio sull’immigrazione, realizzato dall’Ires per la Regione Piemonte e intende contribuire alla conoscenza del tema della devianza degli immigrati che è oggetto di un vivace dibattito. L’indagine fornisce un quadro delle informazioni disponibili sulla situazione degli stranieri presenti nel sistema penitenziario regionale. La ricerca, realizzata nel corso del 2003, intende offrire elementi utili per interpretare, comprendere e, successivamente, intervenire sul tema della popolazione straniera detenuta in Piemonte.

A tal fine, sono state condotte interviste strutturate a direttori degli istituti di pena (con la presenza di comandanti delle guardie carcerarie e di educatori) e operatori che lavorano all’interno degli istituti di pena (assistenti sociali, insegnanti, mediatori culturali). Attraverso le interviste è stata ricostruita l’evoluzione della presenza straniera nelle carceri, le sue caratteristiche (provenienza, condizione giuridica, tipologia di reato), l’organizzazione della vita in carcere a seguito dell’aumento della componente immigrata extracomunitaria, le iniziative progettuali realizzate in risposta ai bisogni e alle esigenze poste dalla presenza di cittadini stranieri.

La presenza di un allarme sociale diffuso, unita al risalto dato dai mass media a episodi di violenza in cui sono coinvolti cittadini stranieri, contribuisce ad associare la criminalità con il fenomeno migratorio. Più di una ricerca ha dimostrato l’aumento di insicurezza nella popolazione italiana dovuto al fenomeno migratorio, come ad esempio la ricerca del Censis del 2000 su "Le paure degli italiani. Criminalità e offerta di sicurezza", dove il 74% degli intervistati riteneva che vi fosse una correlazione diretta fra la presenza di extracomunitari e l’aumento dei fenomeni delinquenziali.

I motivi che gli italiani adducono a spiegazione di tale stato di cose riguardano la condizione di necessità in cui gli stranieri si trovano, le condizioni di marginalità indotte dalla clandestinità, l’essere vittime di organizzazioni criminali. Gli immigrati sono divenuti la minoranza avvertita come minaccia al bene "sicurezza". Ricerche condotte su questo versante non suffragano però l’ipotesi di un’emergenza reale, dovuta alla compromissione con il mondo illegale da parte dei migranti. Emerge piuttosto la tesi secondo cui il rapporto del mondo dell’immigrazione con quello dell’economia illegale sia, in realtà, l’effetto di un processo di sostituzione dei migranti agli autoctoni - simile a quello che avviene nel mercato del lavoro legale o sommerso - nelle attività illegali meno remunerative e più esposte, e forse per questo motivo "abbandonate" dalla criminalità locale. Eppure, che l’immigrazione provochi sempre un aumento dei reati nel paese di arrivo è un fatto inconfutabile, perché in ogni popolazione umana vi è sempre una quota di persone, che per diversi motivi o in una certa fase della vita, commettono reati. Ne consegue che l’arrivo di migranti comporterà anche l’aumento del numero dei reati, anche nell’ipotesi che il loro tasso di delinquenza sia minore di quello della popolazione autoctona. È altresì vero che occorre scindere la devianza straniera nelle sue diverse componenti, per poterla meglio comprendere ed interpretare.

La componente straniera nelle carceri piemontesi è significativa. Le presenze maggiori riguardano gli istituti, con funzione prevalente di custodia cautelare e grande mobilità individuale, del capoluogo e di qualche altra provincia, mentre la percentuale diminuisce negli istituti con popolazione stabile e prevalentemente in esecuzione di pena. Rispetto al futuro, l’aspettativa è quella dell’aumento della presenza straniera. L’entrata nel circuito detentivo dello straniero e il suo costante aumento ha significato per l’amministrazione penitenziaria un maggiore impegno gli stranieri, attraverso progetti finalizzati sia a migliorare la comprensione della nuova realtà presente in carcere sia ad accompagnare l’immigrato nella struttura carceraria, le sue regole e, in generale, il sistema della giustizia.

In tale scenario, le amministrazioni locali possono svolgere un ruolo decisivo per attuare, con le strutture detentive e il volontariato, programmi indirizzati verso i detenuti stranieri fornendo risorse conoscitive e professionali da spendere in Italia ma anche nel proprio paese d’origine qualora non riescano a trovare (o non sia previsto dalla normativa) la via per rimanere in legalità. L’attuazione dei progetti svolti negli istituti penitenziari e destinati all’utenza detenuta ha dato, secondo i commenti degli intervistati, risultati positivi. La presenza di mediatori culturali, soprattutto, ha favorito la crescita della sensibilizzazione al problema degli operatori penitenziari appartenenti ai diversi settori e l’acquisizione di un certo grado di conoscenza delle specificità culturali dei reclusi stranieri. Nel territorio piemontese, si è assistito allo sviluppo di azioni nate dall’incontro tra politiche penali e politiche sociali.

Nuoro: Badu ‘e Carros è in condizioni sempre peggiori

 

Ad Majora, 8 febbraio 2005

 

"Le condizioni di vita nel carcere nuorese di Bade è Carros - ha affermato in una nota per la stampa il consigliere Sdi-Su Maria Grazia Caligaris - negli ultimi mesi sono peggiorate. È necessaria un’immediata iniziativa del Provveditore regionale per realizzare interventi sulle strutture che salvaguardino la salute dei detenuti".

Il consigliere regionale ha presentato una lunga lista di gravi carenze della struttura nuorese, in cui anche la situazione degli agenti di polizia penitenziaria è gravissima, spesso non sono in numero adeguato e, nonostante in molti debbano ancora fruire delle ferie del 2002 e del 2003, non riescono a far fronte ai bisogni dei detenuti.

Da sei mesi la biblioteca è chiusa e non é quindi possibile leggere libri e consultare testi. Da diverse settimane, inoltre, non è utilizzabile il campo sportivo e l’ora d’aria viene trascorsa in uno spazio talmente angusto da apparire una voliera. Infine le condizioni sanitarie, per ovvi motivi, lasciano a desiderare. Da un anno manca un dentista.

L’epidemia di influenza, sfociata in alcuni casi di polmonite, è stata facilitata dalle condizioni precarie degli infissi delle finestre che hanno necessità di manutenzione o di sostituzione e dalla struttura fatiscente. "I detenuti - conclude Caligaris - lamentano che il riscaldamento è insufficiente e dalle finestre di molte celle, oltre agli spifferi e al freddo, quando piove entra l’acqua. Non possono fare regolarmente la doccia sia perché funzionano soltanto tre impianti per 90 detenuti sia perché l’acqua calda è disponibile soltanto due ore al giorno".

Benevento: libri alle detenute da Consulta Regionale Femminile

 

Il Mattino, 8 febbraio 2005

 

È solo l’inizio di un programma culturale che prevede manifestazioni, dibattiti su tematiche di attualità e sui progetti di vita. Il primo incontro della Consulta regionale femminile, presieduta da Emilia Tagliatatela, con le detenute è avvenuto negli istituti penitenziari di Bellizzi Irpino e di Benevento, dove alcune componenti della commissione per le carceri (la coordinatrice Erminia Bosnia con Rita Festa, Mirella Nardullo e Anita Sala), a nome della Consulta, hanno dotato le due strutture femminili di una piccola biblioteca.

Diverse decine di testi, alcuni dei quali messi a disposizione dalla libreria Evaluna e dalla casa editrice Ceim, che sono stati l’occasione per aprire una vivace discussione sull’esigenza e sulla opportunità di approfondire determinati argomenti, soprattutto su temi di carattere sociale, sulla salute delle donne che vivono la difficile condizione delle carceri.

Non sono stati dimenticati i bambini che vivono con le mamme nella struttura carceraria: per loro quaderni e libretti che sono stati subito utilizzati. E non è mancato un momento musicale offerto dal coro femminile dell’Università Orientale, diretto da Giovanni Rea. E ancora, l’impegno con il direttore del carcere di Bellizzi Irpino, Cristina Mallardo, e con la vicedirettrice di Benevento, Armanda Rossi, di allargare l’impegno ad altre iniziative.

Milano: Regione Lombardia approva legge sulle carceri

 

Varese News, 8 febbraio 2005

 

Tra le misure prevista l’organizzazione di corsi base per l’apprendimento linguistico, oltre ad attività socio educative e di formazione al lavoro. Il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza la legge sulla "Tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari".

Il testo (di iniziativa di Antonella Maiolo, Presidente della Commissione Speciale sulla situazione carceraria) promuove la tutela della salute delle persone in carcere, dei loro affetti e legami familiari e sociali.

È inoltre prevista l’organizzazione di corsi base per l’apprendimento linguistico, oltre ad attività socio educative e di formazione al lavoro. "Si tratta del primo provvedimento, in Italia, che ha forma di legge - ha commentato Antonella Maiolo - e in quanto tale segna un passaggio importante. Il testo è innovativo e riprende, puntualizzandolo, il protocollo esistente fra Regione e Ministero. Tutte le iniziative e le regole previste dalla legge sono finalizzate al recupero reale dei detenuti e alla riduzione del fenomeno della recidività".

"La legge stanzia direttamente 1 milione di euro - informa la Presidente Maiolo - ma molte delle attività regolamentate da questo testo saranno in capo ai diversi assessorati che si faranno carico di finanziarle, aumentando di molto quindi il budget complessivo dedicato all’attuazione della legge".

Teramo: ex detenuto suicida nel bosco, ritrovato dopo 5 mesi

 

Il Messaggero, 8 febbraio 2005

 

Se non fosse stato per quel giovane che era andato in giro per boschi a far legna, forse mai si sarebbe saputo della sua morte. E invece, quel cadavere mummificato, ormai ridotto quasi a uno scheletro, è di Marco Ippoliti, che adesso avrebbe 30 anni. È stato trovato impiccato a una pianta, in un boschetto impervio e scosceso, con piante e arbusti fitti, nella frazione di Borgo Trinità di Bellante, domenica pomeriggio.

Sulle prime si era pensato a una macabra esecuzione, poi appurata l’identità di quella pietosa salma, il quadro è stato meglio chiarito anche se la storia ha mantenuto i contorni della drammaticità. La morte, il suicidio per meglio dire, di Ippoliti, risalirebbe a oltre cinque mesi fa, allo scorso mese di agosto. A quella data si fa risalire, secondo la testimonianza della madre, la scomparsa di casa del giovane, la cui pur breve esistenza era stata costellata di piccoli ma grandi problemi, a cominciare dalla tossicodipendenza.

Marco Ippoliti aveva cercato di uscire dal tunnel della droga e per un periodo c’era riuscito. Deciso, convinto di farcela, aveva lasciato una strada irta di difficoltà e problemi per avviarsi verso un’altra più tranquilla e meno rischiosa. Anche la parentesi dell’arresto per rapina, avvenuto circa quattro anni fa, per aver assaltato una tabaccheria di Civitella del Tronto, sembrava un ricordo legato a un periodo buio, anche se in attesa di pagare le proprie responsabilità.

I carabinieri avevano sul loro tavolo la segnalazione dell’allontanamento da casa (era sottoposto agli obblighi) e una nota di ricerca formale. Ieri si è scoperta un’altra tragica verità: Marco Ippoliti aveva deciso di farla finita, come ci aveva provato, stando ad alcune testimonianze, all’interno del carcere quando fu arrestato. Stavolta non ci sono stati gli agenti di polizia penitenziaria a salvarlo.

Ha scelto un boschetto impenetrabile, non frequentato, molto vicino a casa ma molto lontano dalla realtà, da quella realtà alla quale forse lui voleva sfuggire. Si è ucciso lasciandosi soffocare da una corda appesa al robusto ramo di una pianta e lì è rimasto solo per oltre cinque mesi, fino a domenica pomeriggio quando un suo coetaneo lo ha trovato per caso e ha avvertito i carabinieri. E adesso quel dramma umano è purtroppo un caso chiuso, ricerche concluse, fascicolo archiviato.

Scuola: al via 3 progetti per disabili e per minorenni detenuti

 

Ansa, 8 febbraio 2005

 

Il Comitato dei Ministri per la Società dell'informazione ha approvato oggi tre importanti progetti riguardanti il settore istruzione. "Si tratta di tre progetti altamente innovativi e di grande impatto sociale", ha spiegato il ministro dell'Istruzione, Letizia Moratti. "I primi due si rivolgono a due categorie di ragazzi svantaggiate: gli studenti disabili e i minorenni detenuti negli istituti di pena. Il terzo progetto, invece, introduce la sperimentazione dei libri elettronici in 150 scuole, uno strumento molto atteso dagli studenti e dalle famiglie".

 

 

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