Rassegna stampa 27 aprile

 

Se l’emarginazione finisce in carcere, di Patrizio Gonnella

 

Il Manifesto, 27 aprile 2005

 

Prigioni federali, prigioni statali, prigioni di contea. Prigioni private. Braccialetti elettronici, cavigliere elettroniche. Libertà vigilate, libertà condizionate. In tutto 6milioni di persone sottoposte a controllo penale, di cui un terzo rinchiuso in galera. Ogni 45 persone libere ve ne è una che sta per entrare in carcere, che potrebbe entrare in carcere, che è già finita in carcere. Numeri che nel mondo non trovano concorrenti. La Russia, con 500 detenuti ogni 100mila abitanti, e la Cina, con la sua cifra oscura di prigionieri, sono gli unici rivali significativi. C’è da chiedersi come mai gli Stati uniti si siano indirizzati verso il più grande internamento di massa dal dopoguerra ad oggi nel mondo intero. Solo nei periodi bellici si sono riscontrati numeri di questa portata, ma si trattava di prigionieri di guerra, di soldati di un esercito nemico richiusi nei campi di prigionia. Oggi invece la grande reclusione americana trova ben altre spiegazioni. Le radici in cui si innesta sono quelle di una società neo-liberale che ha costruito il proprio consenso sulla esclusione sociale, sulla incarcerazione delle povertà. Quella ampia quota di persone escluse dalla democrazia maggioritaria, marginale nei processi produttivi, che fa statistica in negativo nelle percentuali degli occupati, e diventa oggetto delle politiche di "tolleranza zero" da Rudolph Giuliani in poi. Il senza casa, l’eroinomane, l’afro-americano non sono più un costo sociale ma una opportunità economica su di loro si è consolidato il sistema pubblico-privato delle prigioni americane.

Ci sono stati dove l’incidenza di carceri e carcerati sul Pil è ben superiore alla produzione industriale. Così i detenuti crescono, i disoccupati diminuiscono, le spese sociali non sono più necessarie. Si origina un meccanismo circolare: meno welfare, inevitabilità della scelta criminale, repressione della devianza, prigionizzazione diffusa. Meno di un decimo dei detenuti è recluso in carceri gestite dal Federal Bureau of Prison. Tutti gli altri sono dentro prigioni di proprietà statali, di contea o private. Il dipartimento federale della giustizia non sa cosa accade dentro quelle carceri, non dispone né di poteri di indirizzo né di poteri di controllo. Una società privata che gestisce un carcere può porre il segreto aziendale di fronte a chi vuole indagare sulla qualità della vita detentiva o sul trattamento riservato ai detenuti. Anche se ad indagare sono le Nazioni unite. D’altronde gli Usa non hanno mai voluto firmare e ratificare il protocollo alla convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo di ispezione universale dei luoghi di detenzione. Questa è l’America al tempo di George Bush.

Eppure l’America non è sempre stata così. Trent’anni fa i detenuti erano un sesto di quelli attuali. La politica era meno truce. La cinematografia americana era piena di film che sulle prigioni avevano un altro occhio. Papillon, Fuga da Alcatraz, The Blues Brothers. Sì, perché John Beluschi e Dan Aykroyd iniziano e finiscono le loro avventure musical-sociali da carcerati. Oggi le figure del carcerato simpatico, del carcerato eroe, del carcerato vittima non appartengono più all’immaginario hollywoodiano e americano in generale. La nostrana ex Cirielli sulla recidiva guarda all’America con invidia, si ispira a quella logica penale, insegue quei numeri. Oggi i detenuti nelle carceri italiane sono 57.500, il sovraffollamento determina condizione di vita tragiche, si parla di amnistia come soluzione per ridurlo. Se avessimo i tassi di detenzione americana arriveremmo a 350mila reclusi. Numeri insopportabili per un paese che nella Costituzione ha sancito il diritto alla rieducazione.

Usa: oltre 2 milioni di detenuti, un abitante ogni 138 in cella

 

Il Manifesto, 27 aprile 2005

 

Settecentoventisei persone in carcere ogni 100 mila abitanti. O un detenuto ogni 138 residenti. O ancora, 2,1 milioni di cittadini dietro le sbarre. Comunque la si voglia mettere, il nuovo dato pubblicato ieri dal Dipartimento di giustizia americano non potrebbe essere più chiaro: negli Stati uniti è in corso un fenomeno che potrebbe essere definito senza enfasi "carcerazione di massa", come infatti lo definiscono autorevoli columnist della stampa americana. In un anno - dal 30 giugno 2003 al 30 giugno 2004 - la popolazione carceraria è cresciuta di 48.452 persone, con un tasso del 2,3%. Ciò significa che, ogni settimana, negli Stati uniti sono finite in carcere in media 900 persone. E questo nonostante da dieci anni il tasso di criminalità sia in costante decremento.

Il trend va avanti da anni: "Questo dato va messo in relazione alle politiche contro la droga messe in campo tra gli anni ‘80 e gli anni ‘90, come risposta all’incremento di crimini connessi alle sostanze stupefacenti", ha spiegato Paige Harrison, funzionario del Dipartimento di giusitizia e coautrice del rapporto. Ma secondo il Sentencing Project, un think-thank con sede a Washington che promuove le alternative al carcere, molti detenuti che languono nelle celle americane sono stati condannati per reati di piccola entità. "Se non iniziamo a promuovere politiche di alternativa alla prigione - ha detto Malcom Young del Sentencing Project - continueremo a essere il paese leader in fatto di carcerazioni". Secondo i dati dell’istituto Justice Policy, infatti, gli Usa sono al primo posto nelle statistiche mondiali per numero di persone detenute: 726 ogni 100 mila residenti. Nel Regno unito sono 142 ogni 100 mila, in Cina 118, in Italia 100.

Le statistiche del Dipartimento di giustizia statunitense confermano, inoltre, che la composizione della popolazione carceraria vede una penalizzazione delle minoranze e, in generale, delle fasce sociali più deboli: il 12,6% dei detenuti tra i 20 e i 30 anni d’età sono uomini afroamericani, contro il 3,6% degli ispanici e l’1,7% di maschi bianchi. Le donne rimangono il segmento che cresce più velocemente nella popolazione carceraria, con un tasso di incremento del 2,9%. Secondo alcuni osservatori del sistema giudiziario americano - che rimane uno dei più avanzati, almeno formalmente, per quanto riguarda i diritti riconosciuti all’imputato - a partire dagli anni ‘80 è iniziato un "irrigidimento" delle regole processuali e del codice penale. L’ultima polemica risale all’inizio di quest’anno, quando sulla scia di una sentenza che ha condannato a 30 anni di carcere uno spacciatore di cocaina (Usa v. Booker) sono state riviste le direttive che regolano l’applicazione delle pene, spingendo l’acceleratore verso un sistema di pene minime obbligatorie. Ma la legge-madre additata da tutti gli enti di tutela è la cosiddetta "three-strikes-and-you’re-out", più o meno: al terzo reato sei bruciato. Quella che punisce con pene molto salate la recidiva. Quella che, sia detto a futura memoria, ispira la "nostra" Cirielli. Cinzia Gubbini

Forlì: in carcere si presenta "Esperando" di Samuel Beckett

 

Bandiera Gialla, 27 aprile 2005

 

Giovedì 5 maggio alle ore 16.30 presso la Casa Circondariale di Forlì la Compagnia della Rocca composta da detenute e detenuti della Casa Circondariale di Forlì presenta Esperando, rappresentazione teatrale liberamente tratta da Aspettando Godot di Samuel Beckett.

Esperando - frutto di un percorso di lavoro durato quasi un anno - è la quarta opera teatrale messa in scena dalla Compagnia della Rocca, formata da detenute e detenuti della Casa Circondariale di Forlì, dove da quattro anni è in vita un¹esperienza di "teatro in carcere"condotta dall’autore e regista teatrale Michele Zizzari. L’opera è interpretata e allestita da Adolfo Nappi, Adriana Zandomenichi, Agim Quolja, Aymen Chaieb, Carlo Palumbo, Enrico Roveri, Ghanmi Ridha, Gianfranco Martone, Ilona Tomasik, Michele Sartini, Mirsad Tahirovic, Lorenzo Madonna e Valeria Olei. Con la partecipazione di Tony Florestano. Riadattamento e regia di Michele Zizzari

Biella: "Sprigioniamo diritti", un dibattito pubblico sul carcere

 

Comunicato stampa, 27 aprile 2005

 

Nel carcere di Biella, da alcuni mesi, i detenuti sono sottoposti ad un nuovo regolamento interno. Con pignoleria da caserma, tutte le dotazioni personali dei carcerati sono uniformate: dalla quantità di calzini e mutande agli articoli da toeletta, dagli abiti alle coperte, dalle scarpe… ai libri. In cella non si possono tenere più di quattro "pezzi", tra riviste e libri. Per averne di più, occorre fare domanda alla direzione, che si riserva la facoltà di concedere o di rifiutare le richieste. È un luogo comune che il carcere sia un albergo; "hanno la televisione, sono mantenuti, cosa vogliono di più?" Quante volte si sentono queste frasi! E infatti: per la televisione non ci sono limitazioni, ma per i libri sì. Nella nostra società si stanno costruendo muri ovunque; barriere fisiche e simboliche per rinchiudere e dividere gli esseri umani in spazi fisici e mentali ristretti, abitati da ignoranza e paura. Nella destra che governa, la cultura è vista con sospetto: scuole, università, istituti di ricerca sono nel mirino della riforma Moratti, la memoria storica è oggetto di continue manipolazioni per riabilitare il passato fascista, i "professori" sono derisi e i manager esaltati… Si potrebbe continuare. E, come è successo in passato - in epoche molto buie - ad essere oggetto di attacchi particolari sono i libri. Se si pongono ostacoli allo sviluppo mentale dei cittadini, è più facile manipolare le coscienze e ridurre le capacità critiche, specialmente in un’epoca di guerra come questa. In questo contesto in cui ripetutamente si porta offesa all’intelligenza delle persone, con una comunicazione sociale sempre più censurata e trasformata in spot pubblicitari, e mentre si sta trattando la nostra Costituzione con disprezzo ignorante, modificandola in senso autoritario a colpi di maggioranza parlamentare, questi nuovi provvedimenti carcerari – restrittivi del diritto di leggere e di studiare per persone che spesso sono rinchiuse da decenni – sono un campanello d’allarme per tutti coloro che hanno a cuore la condizione della democrazia. E si aggiungono – nella loro particolarità – a tanti altri provvedimenti "correzionali": dai centri (i CPT) in cui sono internati i migranti in attesa di espulsione, al progetto di "correggere" i consumatori di droghe con la reclusione, a quello di colpire come sovversivi coloro che si battono contro le tante ingiustizie sociali ed economiche vigenti.

Se questa politica continuerà senza un’ampia opposizione che ponga il problema del rispetto dei diritti civili, possiamo prevedere ulteriori difficoltà per la democrazia in Italia, e un ulteriore sviluppo del sistema carcerario, magari sul modello americano che incontra il gradimento del ministro Castelli. I democratici di Biella, specialmente giovani e… anziani che non hanno perso la memoria, si sono subito mobilitati e hanno raccolto – presso alcune librerie cittadine e con un banchetto in via Italia – centinaia di libri per i carcerati di Biella, e hanno manifestato davanti al carcere. Inoltre c’è stato l’interessamento di consiglieri regionali e rappresentanti delle istituzioni locali, con diverse visite al carcere. Grazie a questo movimento di solidarietà, il caso ha avuto risonanza anche al di fuori di Biella, ed un primo, importante risultato è stato raggiunto: i carcerati hanno ottenuto di poter tenere 20 libri in cella, senza sottoporsi ad autorizzazione preventiva, e gli altri libri, compresi quelli spediti, di averli a disposizione in magazzino. Ma c’è il bisogno di continuare, con altri gesti di solidarietà, per cancellare dal regolamento, e non solo sospendere, le clausole limitative della lettura e per sviluppare un controllo democratico delle condizioni umane in cui vivono i detenuti a Biella. Per questo stiamo organizzando un pubblico dibattito, con la partecipazione di uomini di legge, a cui la cittadinanza e le istituzioni sono fin da ora invitate, per venerdì 27 maggio, alle ore 21, presso l’Aula magna dell’I.T.I.S. di Biella.

Pescara: polizia penitenziaria; un carcere pieno di problemi

 

Il Tempo, 27 aprile 2005

 

Parole tante, fatti nessuno. È questo, in soldoni, che il vicesegretario regionale della Cgil funzione pubblica, Carlo Balbo, rimprovera agli organismi di gestione della Casa circondariale di Pescara. "È inutile - scrive Balbo in un documento - che si continui a discutere senza mai prendere decisioni sulle questioni affrontate, che sono fondamentali per il buon funzionamento dei servizi di Polizia Penitenziaria. La Casa circondariale di Pescara, nonostante la collaborazione sindacale offerta, dal giugno del 2004 continua a mantenere una gestione ambigua, adottando determinazioni unilaterali senza la dovuta informazione preventiva alle organizzazioni sindacali e disattende l’applicazione del protocollo d’intesa regionale". Una situazione arrivata ormai al limite che, come si rileva nello stesso documento, sta provocando scoraggiamento e demotivazione nel personale. Gli argomenti della trattativa, specifica Blabo "sono tanti e sempre gli stessi" e vanno dall’avvicendamento dei servizi di istituto scaduti nel novembre dello scorso anno alla mancata emanazione delle disposizioni organizzative dei posti di servizio". C’è poi la questione del lavoro straordinario "vi è uno sforamento del budget assegnato - è specificato nel documento - e la direzione non ritiene di adottare alcuna strategia di intervento. C’è poi la mancata consegna dei prospetti dei turni espletati dal personale e il continuo impiego di personale in turni difformi da quelli ordinari, condizionando così l’equità nella distribuzione nei posti di servizio,

E ancora, impiego iniquo del personale nelle turnazioni ed emanazione del piano ferie estivo senza il dovuto confronto con le organizzazioni sindacali". Ma ci sono anche le questioni riguardanti la sezione femminile, fatiscente e in precarie condizioni igieniche. La Cgil funzione pubblica ha quindi proclamato lo stato d agitazione "non intendiamo più avallare incontri finti in cui si discute di altro, lasciando nel dimenticatoio i problemi posti già da tempo e non risolti".

Sulla vincenda dei quattro agenti di polizia penitenziaria, coinvolti nell’inchiesta che ha portato all’arresto del medico del carcere di San Donato, Felice Giuliani, accusato di aver rilasciato "certificati medici facili" che avrebbero permesso ad alcuni reclusi di uscire dal carcere, interviene la segreteria della Cgil Funzione Pubblica Aziendale di Polizia penitenziaria, che in una nota esprime "solidarietà a loro e alle rispettive famiglie". Auspicando che "il corso della giustizia faccia piena luce sull’inchiesta" il sindacato sostiene che "i tre colleghi coinvolti sono persone di notevole capacità operativa, ligi al proprio dovere di poliziotti, con esperienza ventennale e mai implicati in casi analoghi". Domani intanto inizieranno gli interrogatori del medico e degli agenti di polizia: e sicuramente verranno fuori particolari interessanti e utili per delineare con maggiore precisione i termini delle responsabilità di ciascuna delle persone coinvolte. Il caso è scoppiato lo scorso settembre, in seguito alla confidenza rilasciata al capo della Mobile da parte di un detenuto del San Donato. Da lì sono partite le indagini, che hanno portato all’arresto del professionista, che attualmente è ai "domiciliari".

Roma: l’orrore di Abu Ghraib in mostra nei dipinti di Botero

 

Tiscali Notizie, 27 aprile 2005

 

Le violenze inflitte dai militari statunitensi ai detenuti del carcere di Abu Graib sono state per Fernando Botero uno shock fortissimo. Così il pittore colombiano ha deciso di convogliare la sua collera su tela raccontando, secondo la sua inconfondibile cifra stilistica, l’orrore di quei giorni.

In cinquanta opere la rabbia e lo sdegno si trasformano in gesto artistico che dà sfogo alle emozioni, e nel contempo aiuta a non dimenticare, tanta disumana violenza. E così i prigionieri di Abu Ghraib non sono più corpi magri, indeboliti dalla denutrizione e dalle violenze, ma si trasformano in personaggi corpulenti: il divario fisico tra la vittima, più debole, e il carnefice, più forte, è annullato rendendo grottesca ma per ciò ancora più atroce l’immagine che si presenta allo spettatore. È un’immagine "inconsueta", lontana dall’iconografia che fino a oggi ha rappresentato o documentato la violenza degli esseri umani sui loro simili. Quello stridere, quel contrasto tra i corpi robusti e le violenze che sono costretti a subire, è un insolito che emerge dalla tela toccando in modo inedito l’osservatore. Le cinquanta opere, insieme ad altri cento lavori tra dipinti, sculture e disegni realizzati da Botero nei suoi ultimi tredici anni di attività, saranno esposte a Roma dal 7 giugno fino al 25 settembre 2005 nella retrospettiva che Palazzo Venezia dedicata al pittore colombiano. Le opere ispirate alle fotografie delle torture americane nel carcere iracheno, dopo l’esposizione romana saranno donate a musei americani ed europei. "Ma dovranno essere esposte nel mondo intero - ha aggiunto Botero - per salvaguardare la memoria di questa infamia".

Giustizia: Renato Vallanzasca chiede la grazia a Ciampi

 

Ansa, 27 aprile 2005

 

Sembra uno sfogo umano più che una richiesta di grazia, un misto di amarezza e disperazione, venate di ironia. Renato Vallanzasca, sospeso lo sciopero della fame nel carcere di Voghera, dopo una settimana ad acqua e tè, ha scritto una lettera a Carlo Azeglio Ciampi chiedendo alla direzione del penitenziario di inoltrarla al presidente. Una lettera che per ora non risulta essere arrivata al ministero della Giustizia e neppure al magistrato di sorveglianza di Pavia (competente per territorio). Più concreta, la domanda che ieri ha presentato per il trasferimento da Voghera a San Vittore, dove sarebbe più facile fargli visita per la madre ottantacinquenne e potrebbe ricevere adeguate visite odontotecniche. La notizia della richiesta di grazia - pubblicata ieri da Libero - sarebbe stata meditata per mesi, anche se con poche speranze di successo. Se il terreno si rivelerà favorevole, Vallanzasca potrebbe rivolgersi a un avvocato - deve trovarsi un legale, in quanto il suo vecchio difensore nel frattempo è andato in pensione - per formalizzare la richiesta.

Ma già il semplice annuncio ha provocato reazioni negative. Bruno Berardi, presidente dell’associazione vittime di terrorismo e mafia "Domus Civitas", ha rivolto ieri un "accorato appello al capo dello Stato di vigilare per l’ordine e il rispetto delle regole di convivenza". E Gabriella Vitali D’Andrea, la vedova di Luigi D’Andrea, il poliziotto ucciso il 6 febbraio del ‘77 a Dalmine (Bergamo) dalla banda Vallanzasca, dice: "Con le armi in pugno ruggiva e oggi bela in modo vergognoso". Di certo il "Bel René" sta attraversando un periodo molto difficile. Ha sulle spalle condanne per quattro ergastoli e 260 anni di carcere, ne ha scontati finora quasi 35, è evaso varie volte. Ha compiuto 55 anni, non sta benissimo di salute, litiga spesso con gli altri detenuti e finisce continuamente punito in isolamento. Ha un figlio che non vede da 23 anni, la prima moglie si è risposata, la seconda pare abbia anche lei diradato le visite in carcere. L’unico che va a trovarlo ogni tanto è un nipote, mentre l’anziana mamma ha problemi seri a spostarsi fino a Voghera.

Nel testo della lettera a Ciampi riportato da Libero Vallanzasca scrive: "Trentacinque anni di prigione sono una vita intera!". Poi aggiunge: "Perché dovrebbe essermi concessa la grazia? Onestamente non lo so. Pensandoci mi sovvengono molte più ragioni per non concedermela, visto i tanti disastri da me commessi. Sì, ne ho combinate decisamente troppe, anche se qualcuna in meno di quante alla fine mi sono state attribuite o di cui mi sono accusato".

L’ex-bandito ricorda poi che era già in carcere quando l’uomo sbarcò sulla luna e di aver passato in prigione la maggioranza della sua vita. Ma non sceglie la via del pentimento per averne un vantaggio: "Non penso di dover giurare contrizioni e cambiamenti: mi sembrerebbe ipocrita, oltre che irriguardoso per le mie vittime e i loro parenti. Tanto più che un radicale cambiamento e la voglia di confrontarmi con la realtà mi paiono sicuramente più espliciti (visto anche il comportamento che ormai da anni sto mantenendo) che non tante parole". (e.b.)

Bologna: la Provincia contro il taglio dei docenti nelle carceri

 

Emilianet, 27 aprile 2005

 

Sull’annunciato taglio all’organico delle scuole bolognesi che interessa anche gli insegnanti che operano all’interno della Casa circondariale di Bologna, il Consiglio provinciale ha approvato un ordine del giorno presentato da Rc, Ds, Lista di Pietro, Margherita, PdcI e Verdi e approvato con 21 a favore (Rc, Ds Margherita, Verdi e PdCi) e 3 contrari (An e FI). Il documento esprime "sconcerto e preoccupazione per questa gravissima decisione che non consentirà più ai detenuti la possibilità di frequentare la scuola interna del Carcere"; tale decisione - continua l’odg - lede i diritti delle persone che stanno scontando pene detentive di poter accedere a percorsi di recupero e riabilitazione che consentano un pieno reinserimento nella nostra società, come previsto dalla nostra Costituzione. Il documento impegna la Giunta provinciale ad avviare ogni possibile azione di sostegno che assicuri ai detenuti il rispetto dei loro diritti e chiede "all’amministrazione scolastica competente di rivedere tali decisioni e di ripristinare le risorse di organico necessarie per continuare l’attività di alfabetizzazione", tenendo conto anche della grande densità di cittadini stranieri presenti nelle nostre carceri.

Palmi: solidarietà per studentessa universitaria di Rosarno

 

Quotidiano di Calabria, 27 aprile 2005

 

Un oceano di solidarietà. Che ha oltrepassato i confini regionali, nazionali e ora anche le fredde sbarre di un istituto di pena. L’ultima offerta di potenziale donazione è arrivata ieri infatti da alcuni giovani reclusi del supercarcere di Palmi che si sono dichiarati disponibili "a rendersi utili per salvare una vita umana".

Quella di Silvia, una giovane studentessa universitaria nemmeno 30enne originaria di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, che dall’ottobre scorso lotta contro una gravissima forma leucemica contro la quale l’unica possibilità di salvezza è un trapianto di midollo osseo. La ragazza, da mesi, giace, circondata dall’affetto turbato dei suoi familiari, in una stanza dell’Ospedale "Niguarda" di Milano, in attesa di una buona notizia. Un’attesa lunga ed estenuante la sua: una corsa contro il tempo, l’inesorabile avanzare della malattia e la ridottissima probabilità (1 su 100 mila tra i "non consanguinei", dicono le statistiche) di riuscire a reperire un donatore che dall’esame del Dna, risulti compatibile, condizione indispensabile per una concreta speranza di guarigione. Un calvario, quello di Silvia, iniziato dunque sette mesi fa, quando la giovane, iscritta presso l’Università di Messina, accusa insoliti disturbi di spossatezza. L’esito degli accertamenti è terribile: la patologia che l’ha colpita è una forma di leucemia particolarmente aggressiva. Il travaglio che segue invece è quello solito, in questi casi: il trasferimento obbligato a Milano con tutta la famiglia, e le prime cure che però non sortiscono effetti. Ci vuole un trapianto di midollo. Tra i consanguinei (tra i quali, sempre stando ai dati, la probabilità dovrebbe essere più alta: 1 su 4) però non c’è nessuno che sia compatibile. Iniziano perciò le ricerche, attivate dal Centro Trapianti dell’ospedale, presso il Registro Italiano dei Donatori di Midollo Osseo, una sorta di banca dati dei potenziali donatori. Si muove anche l’Associazione Nazionale dei Donatori di Midollo Osseo, ma finora senza frutto purtroppo. Le condizioni di Silvia restano preoccupanti intanto. Urge ampliare ancora di più il bacino di ricerca, invitando sempre più gente a effettuare l’esame del sangue per verificare l’eventuale compatibilità e poter donare così il midollo alla ragazza. Ed ecco allora che si mette in moto l’appello alla generosità: una sorta di tam tam al di fuori dei canali ufficiali della donazione, innescato dagli amici della ragazza, divulgato da "il Quotidiano" e ripreso quindi dal vicesindaco della cittadina reggina, Giuseppe Lacquaniti. Il caso di Silvia, in capo a qualche giorno, approda sui grandi circuiti dell’informazione nazionale che amplificano l’appello sulla carta stampata, la televisione, il web. In pochi giorni, sul numero di telefono che appare nella richiesta di aiuto, arrivano qualcosa come un migliaio di telefonate, dalla Lombardia, dal Lazio, dal Molise, finanche dal Belgio e dalla Germania. Le sorelle di Silvia mercoledì scorso, invitate dalla Rai, hanno rilanciato l’appello dagli schermi della trasmissione "Piazza Grande", condotta da Giancarlo Magalli. Un "sos" che ieri è stato raccolto, come detto, pure dai detenuti della casa circondariale di Palmi, che si sono detti disposti ad effettuare il test sulla compatibilità. Un gesto di grande sensibilità che deve fare da sprone.

Perché la gara di generosità per Silvia non sarà finita fin quando non si troverà il donatore compatibile. Per partecipare a questa "gara per la vita", basta chiamare il numero telefonico 320.7923341 per avere le informazioni sulle procedure da adottare circa gli esami da effettuare per la compatibilità e prenotarsi per l’eventuale trapianto.

Catania: agenti protestano contro le carenze di organico

 

La Sicilia, 27 aprile 2005

 

Le organizzazioni sindacali di Cgil, Cisl e Uil, e di categoria "Osapp", "Sappe" e "Fsa", hanno proclamato lo stato d’agitazione del personale in servizio (169 agenti a fronte dei 300 necessari) al carcere di località "Noce" a Caltagirone. Una maglia che si riapre, dunque, a distanza di appena pochi giorni da un primo campanello d’allarme lanciato sempre da sindacati e lavoratori. Per altri versi, una protesta silenziosa che, nei prossimi giorni, sfocierà con sit-in e altre manifestazioni. Il nocciolo della questione è essenzialmente legato carenza di organico del personale polizia penitenziaria; situazione analoga anche per il personale civile che svolge attività educative e d’inserimento sociale. I sindacati non ci stanno e, di contro, hanno puntato l’indice contro il Dipartimento regionale di polizia penitenziaria, reo - a loro dire - di avere disatteso le precedenti rivendicazioni. Una sorta di "ultimatum" che - secondo quanto si legge in un documento - scadrà il prossimo 7 maggio. In questo lasso di tempo, dunque, si dovrebbero riaprire le trattative e, di conseguenza, anche il dialogo con gli organi gerarchicamente superiori. Ciò per accogliere le rivendicazioni di tutti i dipendenti.

"Saranno garantiti i servizi essenziali - dichiara il segretario territoriale del sindacato Funzione pubblica Cgil, Giuseppe Contrafatto - così come previsto dagli obblighi contrattuali. Il personale ha sinora atteso invano che venissero colmate le lacune in organico. Il 7 maggio è previsto un sit-in di protesta". Modalità e particolari, relativamente alle azioni di protesta, saranno definite nei prossimi giorni. La situazione, a ogni modo, rimane appesa a un filo. Questa, dunque, la premessa prima di analizzare meglio una problematica che, già nei giorni scorsi, aveva coinvolto lavoratori e i vertici della direzione carceraria di Caltagirone. Il direttore del Carcere di Caltagirone, dott. Claudio Mazzeo aveva già affermato che "le sollecitazioni di sindacati e lavoratori erano state segnalate agli organi preposti". Il direttore del carcere di Caltagirone, in sostanza, ha profuso il massimo impegno, al fine di riportare serenità in seno al personale e garantire il normale svolgimento delle attività. La struttura penitenziaria di Caltagirone ha attivato una serie di corsi professionali e perfino universitari. "Ci sono serie difficoltà - conclude il segretario Cgil, Giuseppe Contrafatto - per il personale impegnato con il nucleo traduzioni e per tutti gli agenti, che sono alle prese con orari prolungati. In ben 3 incontri non sono stati assunti provvedimenti. Il problema sarà avvertito in una dimensione maggiore, con l’approssimarsi dei calendari per definire il programma delle ferie esitive". Gianfranco Polizzi

Ravenna: venerdì convegno sulle problematiche del carcere

 

Romagna Oggi, 27 aprile 2005

 

Venerdì 29 aprile dalle ore 9 alle 14 a sala D’Attorre si parlerà della realtà del carcere e delle problematiche del recupero dei detenuti una volta scontata la pena. "Un’occasione- affermano gli organizzatori – per parlare di una istituzione che a Ravenna molti ignorano, e rimane di fatto un luogo astratto ove vengono collocati i protagonisti della cronaca nera. C’è tuttavia una parte di cittadini che dentro questo luogo ha pazientemente costruito relazioni, ha scoperto risorse e potenzialità, cose che ci sembra importante comunicare. È importante far sapere che il carcere non è un contenitore di vuoti a perdere, ma può essere un laboratorio sociale dove si sperimentano ipotesi per il recupero di una dimensione umana dignitosa.

Lo dimostra anche la recente apertura di uno spazio ricavato dal cortile interno del penitenziario adibito per incontri con i familiari, in particolare con i figli, attività ricreative e lavorative. Tale iniziativa è scaturita dal tavolo coordinato dal Consorzio per i servizi sociali che raccoglie tutti i soggetti coinvolti attorno alla realtà carceraria, dalla cooperativa sociale La Pieve, il Centro di formazione professionale in primis". L’argomento sarà affrontato sotto diversi aspetti: da quello giudiziario a quello più legato alle strutture sociali; dal volontariato alla legalità, alla concezione di un nuovo welfare. La giornata di studi sarà arricchita dall’importante contributo del giornalista scrittore Candido Cannavò che, partendo dall’esperienza condotta per 8 mesi a S. Vittore come "giornalista volontario" (da cui è scaturito il libro "Libertà dietro le sbarre" (Rizzoli editore), affronterà il tema "Il carcere che vive: viaggio nell’umanità di S. Vittore".

Cassino: progetto di solidarietà per le famiglie dei detenuti

 

Il Tempo, 27 aprile 2005

 

È stato presentato ieri il progetto di solidarietà a favore delle famiglie dei detenuti della casa circondariale di Cassino, promosso dalla Caritas diocesana, in collaborazione con il comune di Cassino e l’80° Reggimento Roma e con la partecipazione di enti pubblici e scuole della città. La Caritas, su idea del vescovo di Montecassino Bernardo D’Onorio, intende installare nell’area antistante il carcere San Domenico, una struttura prefabbricata attraverso la quale prestare assistenza ai familiari dei detenuti.

È stata la direttrice della Caritas, Rosaria Lauro, a spiegare che "questo progetto nasce dalla constatazione che la maggior parte dei detenuti del San Domenico proviene da molto lontano (il 47% sono immigrati) e che i loro familiari, in attesa di poter entrare per il colloquio sono costretti ad attese anche di ore". La raccolta di fondi si avrà attraverso la vendita di biglietti d’ingresso allo stadio "Salveti", il 12 maggio alle 17 per assistere a un torneo triangolare di calcio a cui parteciperanno nazionale Parlamentari, forze armate ed enti pubblici di Cassino. Il costo del biglietto ammonta a un euro per gli studenti e 2.50 per gli adulti.

Giustizia: quando cucina e slow food entrano nelle carceri

 

Il Mattino, 27 aprile 2005

 

La buona gastronomia e gli ortaggi biologici arrivano nei penitenziari e portano ai detenuti, partecipanti ai primi corsi in carcere dietro le sbarre, con la pasticceria e i buoni sapori, la speranza di nuovi mestieri da svolgere, una volta scontata la pena. Corsi di torrefazione sono appena stati attivati dalla direzione del penitenziario torinese "Le Vallette" e da Slow Food "così i carcerati imparano un buon mestiere e l’import diretto di due miscele guatemalteche, selezionate al Salone del gusto e Terra tra i presidi internazionali, sosterrà i piccoli produttori dell’altopiano centroamericano". La miscela della torrefazione sarà gestita dai detenuti di Volterra. Non solo cibo ma anche il recupero di lavorazioni artigianali guidano le iniziative dell’associazione di gastronomi tra le mura delle carceri italiane. A Biella, per creare un raccordo con la locale tradizione tessile, sono previsti lezioni di tessitura durante le quali i detenuti produrranno gadget e shopper Slow Food. Obiettivo comune delle iniziative nelle case circondariali è l’impiego proficuo del tempo di detenzione al fine di costruire nuove professionalità e facilitare il reinserimento sociale dopo la pena. Soffermarsi a parlare di gastronomia dietro le sbarre può quindi favorire la comunicazione fuori e dentro la casa di pena. I pregiudizi tra consumatori e carcerati sembrano non esserci a Venezia dove sette detenute dell’istituto di pena della Giudecca, riunite nella cooperativa "Rio Tera dei pensieri", usufruiscono dell’articolo 21 per vendere tutti i giovedì fiori, verdura biologica e aromi in un banchetto davanti al penitenziario femminile nell’ex convento delle Convertite. In dieci anni le detenute, particolarmente orgogliose dell’asparagiaia e della carciofaia, hanno trasformato oltre 6.000 metri quadrati di terreno incolto in un "orto delle meraviglie", festeggiato ogni anno a settembre in una tradizionale giornata di apertura "occasione di conoscenza di questa piccola realtà produttiva in laguna". Sono inoltre una quindicina le detenute che ogni anno partecipano ai corsi di ortofloricoltura. E come affermava la canzone di Fabrizio De Andrè, "anche in carcere il caffè lo sanno fa" l’enogastromia in cella può diventare un business: lo conferma l’esperienza dei detenuti di Velletri, riuniti nella piccola società cooperativa Lazzaria, per produrre 12.000 bottiglie di vino, vendute in esclusiva nei supermercati Coop, con un giro d’affari di circa 100.000 euro e soprattutto un concreto progetto di recupero sociale.

Libri: "Il Gambero Nero, ricette dal carcere", di Michele Marziani

 

Redattore Sociale, 27 aprile 2005

 

Non è un reportage, non è un semplice libro di fotografie. È un viaggio in un piccolo carcere piemontese, quello di Fossano, attraverso i pranzi e le cene dei detenuti. Si intitola "Il Gambero Nero - ricette dal carcere" l’ultimo lavoro di Michele Marziani (giornalista enogastronomico e scrittore) e del fotografo piemontese Davide Dutto, da oggi in libreria (per Derive Approdi). Di che cosa si tratta?

"Di un libro fotografico - spiega Michele Marziani -, un racconto scritto per immagini di un anno passato nel carcere di Fossano, insieme ai detenuti. Da cui è nato, strada facendo, anche un piccolo ricettario dei piatti che vengono cucinati all’intero del carcere".

L’idea del libro è nata da una curiosità: "Come giornalista enogastronomico, da tanti anni - prosegue Marziani - mi piaceva l’idea di avvicinarmi al carcere da un diverso punto di vista. Non volevo fare un reportage, con il rischio di sfiorare i soliti luoghi comuni. Ero però venuto a conoscenza del fatto che i detenuti, con piccoli fornelletti, si cucinano piatti dentro le celle: cucine improvvisate, sapori che sopravvivono attraverso l’uso sapiente di utensili autocostruiti e fornellini da campeggio. I detenuti passano interi pomeriggi a cucinare. La cosa che colpisce di più in un carcere, infatti, è proprio il tempo, il tempo e le giornate che non passano mai. Ho voluto quindi approfondire questo fatto, e i detenuti del carcere di Fossano mi hanno permesso di intraprendere questo viaggio. È stata un’esperienza molto bella, un percorso tra i pranzi e le cene del carcere".

Il libro racconta quindi una realtà della vita dei detenuti, attraverso le fotografie prima di tutto, e poi con aneddoti e ricette. Ma "Il Gambero Nero" parla anche di altro, del cibo come simbolo di resistenza e d’affetto, "come mezzo per umanizzare una dimensione disumana – aggiunge l’autore - come chiave per penetrare in un luogo inaccessibile. Un libro che nasce dalla volontà di parlare del carcere, di un mondo sconosciuto e volutamente dimenticato, e di farlo senza implicazioni sociologiche e senza moralismi, con una chiave di lettura universale: i buoni sapori".

Non solo: "il cibo – conclude Marziani- è un elemento fondamentale, perché mette in contatto persone di etnie diverse, di Paesi differenti che si incontrano nel prepararsi a vicenda i propri piatti. Il cibo, infatti, parla sempre di casa, di ciò che si era prima di entrare in una cella". (en)

Bologna: quando l’effetto Moratti si abbatte sul carcere…

 

Il Manifesto, 27 aprile 2005

 

Dal prossimo anno niente insegnanti per i detenuti di Bologna. Così ha deciso il Centro servizi amministrativi della città emiliana (l’ex provveditorato) che in questi giorni - come in tutte le province - è alle prese con il complicato gioco a incastro della distribuzione dell’organico di diritto nelle scuole. Sforbicia qui, taglia là, questa volta c’è andata di mezzo la casa circondariale Dozza: dall’anno venturo non ci saranno più le cinque cattedre di scuola elementare.

Ovvero niente più corsi di alfabetizzazione e corsi di lingua inglese per chi si trova dietro le sbarre. I cinque insegnanti verranno ridistribuiti sulle scuole elementari bolognesi dove, a quanto si dice, mancano docenti di lingua inglese. "È una decisione incomprensibile", protestano gli insegnanti del carcere che hanno prontamente inviato una lettera agli enti locali, ai sindacati e al Centro servizi amministrativi cittadino. "Non abbiamo ricevuto alcuna convocazione ufficiale - racconta Gianluca D’Errico, da cinque anni impegnato come maestro tra le mura della prigione bolognese - a comunicarci che il Csa di Bologna ha deciso di tagliare le cattedre è stata la dirigente del nostro circolo". "Si tratta di una decisione arbitraria e ingiustificata", scrivono i maestri.

Arbitraria perché i corsi di alfabetizzazione in carcere sono "di istituzione ministeriale e la scelta di abolirli non dovrebbe fondarsi su un atto di natura amministrativa". Ingiustificata perché dei corsi di alfabetizzazione c’è bisogno: diciassette le classi messe in piedi l’anno scorso al Dozza per le elementari. Da Csa bolognese evitano di fare commenti. Voci di corridoio dicono, tuttavia, che la decisione è stata presa anche in base a un piccolo éscamotage: da anni il ministero dell’istruzione non attiva i corsi per rilasciare un attestato necessario a chi lavora nei penitenziari. Cosicché la gran parte dei maestri che insegna nelle carceri non ce l’ha. Inoltre poiché la riforma Moratti ha cancellato gli esami di licenza elementare - questione molto dibattuta all’interno delle scuole, tanto che alcuni circoli hanno deciso di farli comunque - la presenza di insegnanti di scuola elementare per i detenuti non sarebbe più così necessaria.

Ma il motivo vero è un altro: anche se la finanziaria prevede per quest’anno la conferma degli organici di diritto concessi nel 2004-2005, nella provincia di Bologna le iscrizioni sono in crescita: "Un migliaio di bambini in più nelle nostre scuole primarie", spiega Mara Orsi della Cgil bolognese. A ciò si aggiunga che l’anno scorso la scure del ministro Moratti si è abbattuta con violenza sulle scuole, complice la sua riforma che "risparmia" anche sul tempo-scuola. "Siamo stati tenuti all’oscuro dell’operazione sul Dozza, ma daremo battaglia - assicura Orsi - mancano insegnanti, è vero, ma non si possono certo togliere dal carcere". Secondo i maestri della casa circondariale c’è un rischio in più: "Apriranno le porte ai privati - dice Gianluca D’Errico - E la scuola pubblica perderebbe questo presidio formativo fondamentale".

Giustizia: appello per Vallanzasca, trasferirlo a San Vittore

 

Ansa, 27 aprile 2005

 

Un appello in favore di Renato Vallanzasca, affinché sia accolta la sua richiesta di essere trasferito nel carcere di San Vittore, a Milano, è stato rivolto dal giornalista Mario Campanella, autore di numerose interviste all’ ergastolano, attualmente detenuto a Voghera. "Proprio perché si tratta di una persona che ha ucciso - afferma Campanella - è giusto e doveroso dimostrare il senso etico dello Stato, che non attua vendette, ma esercita la giustizia. Da quattro anni Vallanzasca non vede la mamma e non può curarsi una grave malattia ai denti: ha chiesto solo di essere trasferito a San Vittore ed è ingiusto non occuparsene. Il garantismo - conclude Campanella - è un principio inequivocabile, ma va interpretato non solo in fase istruttoria, ma come garanzia di pena giusta ed equanime".

Vietnam: amnistia per 30° anniversario da fine della guerra

 

Asca, 27 aprile 2005

 

Amnistia in Vietnam in occasione del 30mo anniversario della fine della guerra, che cade in questo fine settimana. Il regime di Hanoi libererà 7.751 detenuti, compresi i prigionieri politici e 19 cittadini stranieri. La decisione è stata presa dal presidente Tran Duc Luong per sottolineare i trent’anni dalla caduta di Saigon, l’ex capitale del Vietnam del sud, occupata dalle forze comuniste il 30 aprile del 1975. Fra i prigionieri che verranno rimessi in libertà ci sono alcuni dissidenti accusati di propaganda contro il regime e di aver organizzato l’espatrio di alcuni connazionali. Fra gli stranieri in via di rilascio figurano sei cinesi, quattro cittadini del Laos, tre cambogiani, due canadesi, due australiani, un olandese e un americano, ma le autorità non hanno diffuso i loro nomi, né le accuse con le quali sono stati imprigionati.

Sicurezza: Sappe; nuovo governo, vecchi problemi per polizia

 

Comunicato stampa, 27 aprile 2005

 

"Governo "nuovo", problemi vecchi per le Forze di Polizia. L’Esecutivo Berlusconi manterrà ora le promesse elettorali fatte al Comparto Sicurezza? A chiederselo è la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, l’Organizzazione più rappresentativa del Corpo con oltre 13 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività, nell’editoriale dell’Agenzia di Stampa "Sappe Informa" odierno, direttore responsabile il segretario generale Donato Capece.

Scrive l’organo di stampa del Sappe: "Nelle comunicazioni di ieri pomeriggio alla Camera dei Deputati, il premier Berlusconi ha affermato, tra le altre cose, che "…nel corso di questi anni, il Governo e la maggioranza hanno realizzato alcune importanti riforme, da quella del mercato del lavoro e quella delle pensioni, da quella della scuola a quella delle opere e delle infrastrutture pubbliche, riforme delle quali rivendichiamo la rilevanza per la modernizzazione del Paese."

Riteniamo sia arrivato il momento che l’Esecutivo Berlusconi riservi la dovuta attenzione agli appartenenti alle Forze dell’Ordine, e adotti urgentemente i necessari e concreti interventi legislativi sui nodi strutturali della nostra professione. In 4 anni di Governo è stato fatto poco, troppo poco, e spesso ciò che abbiamo ottenuto (ad esempio lo sganciamento dal Pubblico impiego ed i parametri stipendiali) sono il risultato di impegni di singoli, seppur autorevoli, esponenti dell’Esecutivo con i Sindacati aderenti alla Consulta Sicurezza (Sappe - Sap - Sapaf) che non la dimostrazione di una visione organica di questo Governo sul tema della sicurezza e della professionalità delle Forze di Polizia.

Sono impresse bene nella nostra mente le promesse elettorali di Silvio Berlusconi leader dell’opposizione al Governo di centro-sinistra dal 1996 al 2001, le sue assicurazioni di un’attenzione forte alle esigenze delle Forze dell’Ordine. Berlusconi vinse le elezioni del 13 maggio 2001 con oltre 18 milioni di voti, ma le sue promesse elettorali verso le Forze di Polizia sono rimaste tali. I problemi veri del personale delle Forze di Polizia sono stati lasciati ad incancrenire. E, nella consapevolezza che la responsabilità politica è il metro di giudizio dei cittadini - con l’espressione del voto - dell’azione di Governo, dovrebbero far riflettere molto seriamente Silvio Berlusconi ed il suo Esecutivo gli esiti delle recenti elezioni regionali.

Il Governo Berlusconi ha dunque un anno di attività per tentare di recuperare il tempo perduto con le Forze di Polizia. Ed il Sappe pone sul tavolo dell’Esecutivo alcune assolute priorità:

l’incorporamento in servizio permanente effettivo dei circa 600 Agenti ausiliari di Polizia Penitenziaria attualmente in servizio;

immediata convocazione del Governo per sostenere la legge di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di Polizia, con l’unificazione dei ruoli degli Agenti-Assistenti e dei Sovrintendenti e la conseguente revisione ed omogeneizzazione di tutti gli altri Ruoli e qualifiche;

apertura del tavolo politico per la modifica del decreto Ministeriale che recepisce le piante organiche del Corpo di Polizia Penitenziaria;

apertura del tavolo delle trattative per la "coda contrattuale" - contratto 2004/05;

impegno concreto, in sede di Finanziaria 2006, per l’incremento degli oneri di spesa da destinare al rinnovo contrattuale delle Forze di Polizia e per la parte accessoria.

Il Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria conclude l’editoriale parafrasando una nota frase del Premier: "Ci consenta, Presidente Berlusconi: fatti, non parole!"

Fivol: nessuna garanzia per il futuro dei lavoratori atipici

 

Comunicato stampa, 27 aprile 2005

 

Dopo anni di lavoro continuativo, i collaboratori della Fivol rischiano di essere liquidati a fine contratto senza nessun tipo di riconoscimento e di tutela per il loro futuro professionale. A pochi giorni dalla scadenza dei contratti degli 11 collaboratori atipici, la direzione della Fondazione Italiana per il Volontariato non ha ancora dato nessun tipo di informazione rispetto al piano di ristrutturazione di cui si parla da tempo, alle possibili forme di sostegno e alla eventuale ricollocazione dei lavoratori.

A fine dicembre i collaboratori della Fivol avevano ottenuto una proroga dei contratti per quattro mesi al fine di aprire un tavolo di trattativa con la dirigenza. A metà aprile il Consiglio di Amministrazione ha finalmente deliberato l’apertura del tavolo, ma il vice presidente Giulio Theodoli ha comunicato ai rappresentanti sindacali di non voler rinnovare i contratti fino alla chiusura della transazione, venendo meno a un impegno preso pubblicamente davanti alle rappresentanze sindacali. L’accordo prevedeva di rinnovare i contratti fino alla chiusura del tavolo per consentire la sua gestione in un clima di serenità e fiducia reciproca: non è possibile discutere di alcuna ristrutturazione rimanendo esterni e senza nessun tipo di garanzia contrattuale.

La Fondazione Italiana per il Volontariato è stata fondata nel 1991 dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Roma. La sua mission prevedeva - e prevede tuttora - la promozione e il sostegno al volontariato in tutte le sue forme e in tutti i campi, su base nazionale e internazionale. In tutti questi anni ha appoggiato e supportato molte associazioni di volontariato e realtà del Terzo Settore, attraverso pubblicazioni, percorsi formativi, consulenze, iniziative di cooperazione internazionale. Inoltre da 14 anni pubblica la "Rivista del Volontariato", uno dei primi periodici in Italia sul mondo dell’associazionismo e del non profit.

Paradossalmente, la Fivol, che fa della solidarietà la sua stessa ragione di esistere, non solo in questi anni si è servita con persistenza e continuità di contratti atipici per un terzo dei suoi dipendenti affidando loro attività strutturali, ma oggi che è in odore di crisi rischia di liquidare questi lavoratori proprio in virtù della loro precarietà. Nidil Cgil condivide le rivendicazioni dei precari Fivol e continuerà a sostenere la loro lotta. Per informazioni: Angelo Salvi, Tel. 339.4782608 e Sandra Spagnuolo, Tel. 339.6136373

 

 

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