Rassegna stampa 26 aprile

 

Dei delitti e delle pene: lo sciopero della fame per l’amnistia

 

L’Adige, 26 aprile 2005

 

Lo sciopero della fame e sete di Marco Pannella al fine di portare i parlamentari a dar seguito ad uno degli ultimi desideri del defunto pontefice Giovanni Paolo II, che durante l’incontro con i parlamentari si espresse a favore dell’amnistia, ha giocoforza riportato all’attenzione di chi ha seguito il dibattito sia sulla carta stampata che alla radio che alla televisione, le condizioni in cui giacciono i carceri italiani e di conseguenza i carcerati.

Nel tentativo di spiegare il perché di quest’amnistia, spesso l’accento è caduto sulla finalità riabilitativa del carcere come una delle ragioni fondanti di questa istituzione, che costringe migliaia di detenuti, magari poi innocenti a rimanere in carcere, sovraffollandolo per l’inefficienza della giustizia. Ecco quindi che anche la condanna del giudice all’imputato giudicato colpevole non può esimersi, anche nei casi più efferati e che quindi maggiormente scuotono la coscienza, di sentenziare tenendo conto anche di quest’aspetto riabilitativo del condannato, mettendolo qualora ne ricorrano i presupposti in condizione di "recuperare". Ma, nel contempo, ritengo debbano essere anche tenuti presenti i diritti, perché tali sono, di coloro che sono stati oggetto direttamente o indirettamente del reato. Ritengo che chi è stato offeso una prima volta, non lo debba essere una seconda nel momento in cui, un massacro, perché di questo si è trattato nel caso dell’omicidio della signora Chistè, porta ad un effettivo periodo di detenzione di tre anni e mezzo e che vedrà il colpevole di questo massacro beneficiare della semilibertà (dormire in carcere e condurre con qualche restrizione una vita normale nelle restanti ore della giornata) fra 3 anni e mezzo.

Le argomentazioni giuridiche portate dalla difesa, "tecnicamente" non fanno una grinza, pertanto sono state debitamente tenute in conto dal giudice. Né ,tanto meno, possono essere messe in discussione le riduzioni di pena previste dalla legge derivanti dalla scelta del rito abbreviato e dalla concessione delle attenuanti.

Non mi sento di giudicare, di emettere a mia volta sentenze, ma qualcosa comunque stride! La richiesta magari asfissiante e ossessiva della restituzione di un debito (che quindi prima o dopo andava comunque restituito), giustifica forse un atto di violenza estrema come l’omicidio? E quante persone conducono quotidianamente la loro vita, magari con "fardelli psicologici" (altro elemento vincente della difesa in questo e tanti altri casi) ancora più pesanti dell’omicida, senza per questo dare fastidio a nessuno se non a se stessi? Se da una parte c’è un omicida che ha sicuramente diritto, se pentito, redento con la propria coscienza, e in regola con la giustizia a rifarsi una vita, non dimentichiamoci che dall’altra parte c’è chi la vita non ce l’ha più perché gli è stata tolta, e i famigliari della vittima che non vivranno più una vita normale segnata pesantemente da quest’esperienza. E mi farebbe estremo piacere leggere, che l’eventuale ricorso in appello sarà fatto per motivi giuridici, e non economici relativi alla congruità o meno del risarcimento. Nessuna cifra di denaro riporterà in vita la vittima, ma vorrei sperare alleviare il dolore della perdita di un caro. Piero Paganini

Voghera: Renato Vallanzasca sospende sciopero della fame

 

Ansa, 26 aprile 2005

 

Renato Vallanzasca, detenuto nel supercarcere di Voghera, ha interrotto già da venerdì lo sciopero della fame per protesta contro il carcere duro. L’ex criminale, condannato a 3 ergastoli per una serie di rapine e omicidi anche di rappresentanti di forze dell’ordine, spiegava i motivi del suo gesto con il fatto che gli fosse impedito di vedere l’anziana madre malata.

Dopo una trattativa con il direzione del carcere, l’uomo, che ha alle spalle diverse fughe dalle carceri dove era detenuto, ha interrotto la sua protesta. Comunque, al di là dello sciopero, eventuali richieste di permesso dovranno essere valutate dal magistrato del tribunale per la sorveglianza e dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Voghera: Renato Vallanzasca chiede la grazia a Ciampi

 

Vita, 26 aprile 2005

 

In una lettera al presidente della Repubblica Ciampi, pubblicata oggi dal quotidiano Libero e ripresa dalle agenzie di stampa, Renato Vallanzasca ha chiesto la grazia. "Perché dovrebbe essermi concessa la grazia - si chiede il celebre bandito - onestamente non lo so. Pensandoci e ripensandoci mi sovvengono molte più ragioni per non concedermela, visto i tanti disastri da me commessi. Ma, al di là dei reati più orribili che uno possa aver commesso, 35 anni di prigione sono una vita intera!".

Nuoro: un sit-in davanti al carcere per chiedere l’amnistia

 

L’Unione Sarda, 26 aprile 2005

 

Un sit-in davanti al carcere di Badu ‘e Carros per chiedere un provvedimento di amnistia. L’iniziativa è stata indetta da Anna Corsi, presidentessa dell’Arci Solidarietà e Sviluppo di Nuoro, per invitare l’intera comunità a partecipare all’appuntamento che si terrà giovedì mattina alle 10. "L’intento ? dice la Corsi ? è quello di soffermarci a riflettere sulle realtà penitenziarie.

Quando muore un Papa è consuetudine che venga concessa un amnistia ai detenuti, un provvedimento di grande civiltà e clemenza che deve caratterizzare la democrazia di ogni territorio. Uno stato di diritto deve necessariamente compiere atti di giustizia nei confronti di coloro che, per vari motivi, sperimentano la dolorosa esperienza del carcere. Consapevoli che i detenuti hanno diritto al nostro rispetto e alla solidarietà, siamo convinti che con la fine della detenzione possano riscattarsi e rifarsi una nuova vita, favorendo così la promozione civile e il reinserimento nella società. Dovremo ridare dignità umana a persone che non sono "figli di un dio minore" solo perché rinchiusi all’interno di una prigione ma uomini come noi, che hanno fatto scelte sbagliate". (l. l.)

Como: presentato libro "Lo Stato ha diritto di uccidere?"

 

Provincia di Como, 26 aprile 2005

 

"Le libertà di religione, di pensiero, di stampa derivano dal diritto alla vita. E se diamo allo Stato la possibilità di togliere la vita, gli diamo la possibilità di toglierci tutte le altre libertà". Parole semplici e profonde, ispirate dal Vangelo più che dalle lotte per i diritti civili, con le quali Padre Tacisio Agostoni ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a scrivere il libro "Lo Stato ha diritto di uccidere?" di fronte ai tanti riunitisi mercoledì sera per ascoltarlo.

Teatro della presentazione del volume, organizzata dall’assessorato comunale alla cultura e dalla biblioteca e con la partecipazione di Giulio Bizzozero e Pierpaolo Nicolini, la sala consiliare del Comune di quella Cabiate da cui Padre Tarcisio, appena trentunenne, partì alla volta dell’Africa per placare il proprio desiderio di servire il Signore. E dove poi è restato per decenni aiutando, istruendo e, soprattutto, testimoniando la dura realtà dell’Uganda.

Proprio il desiderio di mostrare agli occhi del mondo le iniquità compiute ogni giorno nel carcere di massima sicurezza di Luzira, dove operava come cappellano, lo hanno convinto nel 2000 a scrivere quest’opera. "Ricordo che arrestarono 18 dei "miei ragazzi" - ha raccontato il missionario, che proprio mercoledì ha festeggiato il 59° anniversario della propria ordinazione - formati nell’Azione cattolica e io andai in carcere per liberarli. Ma da allora cominciai a essere coinvolto nella vita dei detenuti, soprattutto dei condannati a morte".

L’Uganda, infatti, è uno degli 86 Paesi al mondo che ancora applicano la pena capitale anche per crimini quali le rapine, generate da una fame disperata. "Mi rendo conto che moralmente siano atti assolutamente sbagliati - ha sottolineato il comboniano - ma la pena di morte non è giustizia e non riduce l’incidenza della criminalità, come si è potuto constatare negli Stati Uniti. È una pena vendicativa, non educativa". Nel 1999, in una sola notte, a Luzira vennero impiccati 28 prigionieri. Da qui la decisone di scuotere le coscienze di un sistema giuridico che lasciava le sorti dei detenuti - in massima parte poveri - nelle mani di avvocati d’ufficio che, spesso, nemmeno si presentavano in aula. E la scossa è partita da una manciata di pagine in inglese dalla copertina gialla, oggi tradotte anche in italiano dall’Editrice missionaria italiana in una versione ampliata.

La strada per l’abolizione della pena di morte è lunga e impervia - anche se, in seguito alla distribuzione del "yellow book" non si sono più avute esecuzioni in Uganda - ma Padre Tarciso continua il suo cammino, pagando di tasca propria gli avvocati. E 29 dei 32 detenuti dei quali si è occupato sono stati rimessi in libertà. Ma non basta. "Occorre educare cristianamente coloro che in futuro avranno nelle proprie mani i destini dei poveri - ha ribadito il minuto missionario, che nel 59 fondò, a questo scopo, la rivista "Leadership" - perché sono le azioni degli uomini che cambiano il mondo". Silvia Cattaneo

New York: censiti i clochard, in 4.400 dormono in strada

 

Il Gazzettino, 26 aprile 2005

 

Alcuni dormono sotto i ponti, altri accampati nei parchi, altri nelle viscere della metropolitana, su cartoni stesi a sera sui gradini di una chiesa: New York ha contato i suoi homeless in una rigida notte di marzo e ha scoperto che sono quasi 4.400 i diseredati che quella notte non hanno avuto un tetto. Il censimento è il primo che ha coperto tutti e cinque i quartieri della città: in quella stessa sera del 7 marzo altri 8.600 clochard avevano trovato rifugio negli ospizi pubblici per gli adulti senzatetto. Il numero emerso dal censimento è elusivo, ha ammesso la stessa organizzazione municipale che ha condotto il rilevamento.

È però un primo tentativo di fotografare una piaga che New York divide con altre grandi metropoli, prima tra tutte San Francisco, considerata negli Usa la capitale dei senzatetto con una popolazione censita di oltre seimila anime. A San Francisco il rapporto tra clochard e totale degli abitanti è di uno a 283: ben più bassa la stima per New York dove uno su 1.840 residenti dorme in strada.Con 1.805 senzatetto Manhattan è la zona di New York dove i clochard sono più numerosi. Il secondo gruppo per consistenza, 845 senzatetto, è stato trovato disperso sulle pensiline delle metropolitane. A Brooklyn e nel Bronx sono stati contati meno di 600 homeless, poco meno del doppio dei 335 senzatetto individuati a Queens e i 231 a Staten Island. Il Comune della Big Apple, visti conti, ha tirato un sospiro di sollievo: se la cifra del censimento è attendibile, la piaga dei senzatetto nell’unica città degli Stati Uniti dove gli homeless di strada hanno il diritto legale a trovare un tetto, non si è aggravata rispetto all’anno scorso. I movimenti per i senzatetto hanno però preso con le molle le stime della Grande Mela. "Pensiamo che la cifra sia sbagliata per difetto", ha detto Patrick Markee, della Coalition for the Homeless: "Il numero di chi dorme in strada è molto più alto".In realtà, per quanto hanno constatato esperti e i giornalisti del quotidiano Newsday sguinzagliati sui marciapiedi di New York a incontrare gli homeless, per molti senzatetto la strada è una scelta obbligata perché gli ospizi "sono peggio della prigione", ha detto Chris Chapalauske, che ogni mattina si sveglia sui gradini della Presbyterian Church su Fifth Avenue a Manhattan. Gli stessi gradini che condividono Halla Boltik e la sua fidanzata, finiti in mezzo alla strada nel 2003 dopo aver entrambi perso il lavoro ed esser stati sfrattati dal padrone di casa: "La gente non capisce che potrebbe essere a una busta paga di distanza dal finire come noi".

Palmi (Rc): detenuti offrono midollo per malata leucemia

 

Tg Com, 26 aprile 2005

 

In una lettera inviata al vicesindaco di Rosarno, Giuseppe Lacquaniti, alcuni detenuti del carcere di Palmi hanno riferito di essere disponibili a donare il midollo osseo per Silvia, la giovane calabrese affetta da una grave forma di leucemia. La ragazza è ricoverata attualmente nell’ospedale Niguarda di Milano. I carcerati dicono di "volersi rendere utili per salvare una vita umana".

In tanti si stanno mobilitando per Silvia e per questo il sindaco di Rosarno, Giacomo Saccomanno, ha espresso "un grato sentimento di riconoscenza per tutti coloro che si stanno prodigando per salvare la vita di una giovane donna" ed ha lanciato un nuovo appello "alle istituzioni, ai vari livelli di responsabilità, perché ci si attivi al meglio per giungere a risultati positivi nel più breve tempo possibile perché ogni giorno che passa si restringono i margini di intervento".

Una storia toccante che ha ben presto fatto il giro dell’Italia. Adesso si aspetta soltanto che si trovi un donatore compatibile e si intervenga al più presto affinché Silvia, 30 anni, possa tornare a vivere la sua gioventù.

Australia: giudice si addormenta durante un processo

 

Corriere della Sera, 26 aprile 2005

 

Processo per stupro, il giudice durante il dibattimento si addormenta e inizia a russare. È successo in Australia. Jan Dodd non sarà comunque fatto oggetto di sanzioni disciplinari, anche se tutti si sono accorti del suo stato mentre una donna raccontava di come, dall’età di sei anni, fosse vittima di aggressioni sessuali.

Il giudice avrebbe russato per 15 minuti facendo ridere pubblico e giurati. Ma non sono state solo risate, molti si sono irritati. Prima fra tutte la vittima che ha detto di essersi sentita "umiliata e distrutta". Il comportamento del giudice è stato considerato ininfluente ai fini del processo, per questo non sono state decise punizioni.

Velletri: serve servizio di autobus efficiente per il carcere

 

Il Messaggero, 26 aprile 2005

 

Il Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, ha annunciato l’invio di una lettera ai sindaci di Velletri, Civitavecchia e Viterbo per sollecitarli a risolvere i disagi per raggiungere le case circondariali dai centri urbani.

L’iniziativa è stata presa dopo che, mesi fa, l’ufficio del garante ha raccolto diverse segnalazioni e lamentele avanzate, non solo da detenuti e dalle loro famiglie, ma anche dagli agenti della polizia penitenziaria e da chi lavora presso le carceri in argomento. In base alle istanze ricevute, l’ufficio ha tracciato una sorta di mappa del disagio definendo enorme il fastidio quotidiano sofferto da coloro che hanno a che fare con i tre istituti penitenziari. Soprattutto i parenti dei detenuti, che spesso debbono raggiungere le case circondariali con pacchi anche voluminosi di alimentari e indumenti, costretti a servirsi del taxi.

"In carcere si sta male - ha detto Marroni - non solo per sovraffollamento, ma anche per carenza di servizi. Le difficoltà dei collegamenti danneggiano non solo i detenuti, ma anche chi operatori carcerari. Se ci sono difficoltà per raggiungerlo, queste ricadono sui parenti, sui secondini e su coloro che svolgono volontariato. Insomma, anche un autobus che passa di rado o in ritardo o ad orari impossibili può rendere difficile il reinserimento sociale dei detenuti".

Il carcere di Velletri è sulla provinciale Cisterna-Campoleone, a oltre 10 chilometri a sud del centro abitato di Velletri. Una soluzione è prevista nel Piano regolatore generale che attende l’atto finale dell’approvazione. Il piano, infatti, prevede la realizzazione di una stazione ferroviaria sulla linea Roma-Napoli proprio in contrada Lazzaria, nei pressi del carcere. Lo stesso strumento urbanistico prevede anche la nascita di un centro commerciale nei dintorni dell’istituto che ora è del tutto isolato. I tempi, però, si prevedono lunghi e quindi la speranza che si predisponga presto un servizio di trasporto pubblico più efficiente, soprattutto come frequenza di orari, come richiesto dallo stesso Garante.

Torino: in carcere lezioni di cucina e corsi di torrefazione

 

Ansa, 26 aprile 2005

 

I sapori della buona gastronomia e degli ortaggi biologici arrivano nei penitenziari e portano ai detenuti, partecipanti ai primi corsi in carcere di cucina, pasticceria e gestione di allevamenti, la speranza di nuovi mestieri da svolgere, una volta scontata la pena. Corsi di torrefazione sono appena stati attivati dalla direzione del penitenziario torinese Le Vallette e da Slow Food. La miscela della torrefazione gestita dai detenuti arriverà in commercio a metà maggio con un marchio commerciale che verrà definito nei prossimi giorni.

I detenuti del carcere di Volterra, invece, sono i protagonisti delle Cene dell’impossibile, preparate con i prodotti dei presidi Slow Food in occasione della rassegna teatrale promossa dalla Compagnia della fortezza. Non solo cibo ma anche il recupero di lavorazioni artigianali guidano le iniziative dell’associazione di gastronomi fondata da Carlo Petrini tra le mura delle carceri italiane. A Biella, per creare un raccordo con la locale tradizione tessile, sono previsti lezioni di tessitura durante le quali i detenuti produrranno gadget e shopper Slow Food. Obiettivo comune delle iniziative nelle case circondariali è l’impiego proficuo del tempo di detenzione al fine di costruire nuove professionalità e facilitare il reinserimento sociale dopo la pena.

Novi Ligure: Erika verrà trasferita nel carcere per adulti

 

Tg Com, 26 aprile 2005

 

Ultimi giorni all’istituto "Cesare Beccaria" di Milano per Erika De Nardo, la ragazza che, insieme all’allora fidanzato Omar, il 21 febbraio del 2001 uccise con oltre cento coltellate la madre Susy e il fratellino Gianluca. Il 28 aprile Erika compirà 21 anni e, come previsto dalla legge, sarà trasferita in un carcere per adulti dove continuerà a scontare la pena. Il trasferimento in Lombardia o in Piemonte. Erika potrebbe essere destinata alle carceri piemontesi delle Vallette di Torino o di Vercelli. Oppure potrebbe finire di scontare i 16 anni di detenzione in Lombardia al San Vittore di Milano o, più probabilmente, a Brescia. Spesso i detenuti che vengono trasferiti dal Beccaria verso un penitenziario per adulti sono inviati nella nuova struttura di Bollate, anche per renderne meno traumatico il passaggio. Ma a Bollate non esiste una sezione femminile. È consuetudine, in questi casi, che si cerchino istituti con una sezione "giovani-adulti" dove sono ospitati ragazzi tra i 21 e i 25 anni. La scelta della struttura spetterà in ogni caso al Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Erika, tuttavia, potrebbe finire in Piemonte qualora il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria accogliesse una esplicita domanda di avvicinamento a casa.

Anche il suo fidanzato Omar, l’anno scorso, quando compì i 21 anni, fu trasferito dal "Ferrante Aporti" di Torino al carcere di Asti-Quarto, dove continua a seguire le lezioni di computer e ha ripreso a studiare al terzo anno di ragioneria. A Natale aveva chiesto al giudice di sorveglianza il permesso per andare a casa,che gli è stato negato, ma il tribunale gli ha riconosciuto in futuro il diritto al beneficio, avendo scontato un quarto dei 14 anni inflittigli, ma solo in caso di permessi finalizzati ad attività di volontariato.

Guantanamo: Consiglio d’Europa; Usa fermino torture ai detenuti

 

Asca, 26 aprile 2005

 

Duro richiamo dell’Europa agli Stati Uniti affinché "cessino le torture e i maltrattamenti ai detenuti" nella prigione di Guantanamo Bay, a Cuba, dove Washington ha spedito tutti i principali sospettati di terrorismo. "Lo zelo con il quale il governo degli Stati Uniti ha perseguito la guerra al terrorismo ha finito con il fargli tradire anche i suoi più alti principi.

Errori che si sono manifestati principalmente in relazione a Guantanamo Bay", si legge nella risoluzione approvata dai parlamentari del Consiglio d’Europa in una sessione a Strasburgo. Secondo le denunce dei legali e di molte organizzazioni per i diritti umani, "molti se non tutti i detenuti sono stati soggetti a trattamenti inumani", in alcuni casi "sfociati nella tortura".

Il documento sottolinea il supporto della Ue agli sforzi degli Stati Uniti per combattere il terrorismo, ma avverte che questi debbono essere ricondotti all’interno delle leggi internazionali. la condotta americana a Guantanamo viene definita "un insulto ai valori di tutti i paesi civilizzati".

Usa: Miami Beach mette al bando i maniaci sessuali

 

Ansa, 26 aprile 2005

 

La cittadina della Florida proibisce la residenza a pedofili accertati. Il parlamento studia una legge per imporre un bracciale gps a vita. Miami Beach, scossa da una serie di orrende uccisioni di bambini, vuole mettere al bando i maniaci sessuali. David Dermer, il sindaco della cittadina della Florida famosa per gli edifici art deco, i locali notturni ed il traffico intenso di turisti e modelle ha infatti proposto di modificare le leggi locali per impedire ai pedofili riconosciuti di stabilirsi nel territorio comunale. La decisione è stata presa dopo la recente uccisione di due bambine in circostanze orribili, da parte di due pedofili.

L’ordinanza anti-maniaci messa a punto dal sindaco punta ad una estensione delle norme che proibiscono che maniaci sessuali accertati possano abitare a meno di 300 metri da scuole, parchi ricreativi, fermate di autobus scolastici, etc. Dermer, in pratica, vuole aumentare a 800 metri la "zona cuscinetto", una distanza che, a causa delle conformazione della cittadina (stretta e proiettata sulla famosa spiaggia), garantirebbe di fatto la messa al bando praticamente totale dei maniaci da Miami Beach, dove sorgono 21 parchi e sei scuole pubbliche su un’estensione di circa 15 chilometri.

Il consiglio comunale ha già dato un primo via libera all’ordinanza del sindaco che ora è al vaglio dei consigli di zona e il 18 maggio tornerà in aula per la votazione finale durante una seduta pubblica del parlamentino cittadino. "Il tasso di recidività per i reati sessuali è molto alto - ha detto il sindaco Dremer al Miami Herald -. La mia proposta dà alle forze dell’ordine uno strumento in più per prevenirli". Simon Cruz, un membro del consiglio, ha poi aggiunto che la nuova legge vuole essere un chiaro segnale che la città "non tollererà alcun comportamento che leda i nostri bambini".

I parlamentari della Florida stanno anche discutendo proposte radicali come una condanna minima a 25 anni di carcere per i molestatori sessuali di bambini sotto i dodici anni e l’applicazione a vita di un bracciale a controllo satellitare (Gps) in grado di segnalare tutti gli spostamenti dei pedofili. A Miami Beach vivono attualmente 36 maniaci sessuali con obbligo di registrazione. Non è chiaro cosa accadrebbe a loro se la proposta del sindaco Dermer sarà approvata in via definitiva. Quasi sicuramente saranno costretti a trasferirsi nei comuni limitrofi.

La richiesta del sindaco di Miami Beach non convince comunque alcuni esperti. "Il divieto di residenza non impedisce ai predatori sessuali di recarsi ugualmente nelle aree dove si trovano dei bambini", nota lo psicologo Louis Schlesinger.

Immigrazione: Libia, viaggio nell’inferno dei migranti

 

Il Manifesto, 26 aprile 2005

 

Una delegazione di deputati europei entra per la prima volta in un centro di detenzione per immigrati. Si trova a Tripoli ed ha le caratteristiche di un carcere di massima sicurezza. Dietro le sbarre anche bambine. La testimonianza del parlamentare Giusto Catania

Èla prima volta che il governo libico apre le porte di un centro di detenzione per immigrati. Lo ha fatto martedì scorso quando, su richiesta della commissione Ue per i rapporti con il Maghreb, ha concesso ad alcuni parlamentari europei un’ispezione di "due ore" nel cpt di Fellah, alla periferia di Tripoli, una sorta di "carcere di massima sicurezza" dove sono attualmente rinchiusi un centinaio di stranieri: uomini, donne e anche bambine in attesa di espulsione.

Il luogo ispezionato, è bene chiarirlo subito, è stato scelto dalle autorità libiche, ma chi ha avuto la possibilità di visitarlo ne è uscito comunque "sconvolto". "È stata un’esperienza terrificante - racconta in questa intervista Giusto Catania, deputato di Rifondazione comunista a Strasburgo, che faceva parte della delegazione europea - Quando gli immigrati hanno capito che eravamo esterni al carcere, hanno cominciato a dare pugni e calci contro le porte. Alcuni si sono arrampicati sulle sbarre delle finestre poste in alto nelle celle chiedendoci di aiutarli a uscire.

Gridavano: "qui non ci danno né da mangiare né da bere", mentre altri tentavano di darci, poi riuscendoci, dei pezzi di carta con delle frasi in inglese e in tedesco stentato, che adesso cercheremo di decifrare. Si tratta di ragazzi mediamente sui trent’anni, soprattutto africani, che secondo i nostri accompagnatori libici sono in cella da pochi giorni, ma dalla loro rabbia si intuiva che sono lì da molto più tempo. Avevano lo sguardo impaurito, disperato. Sono tenuti chiusi a chiave giorno e notte dentro celle sovraffollate. Queste hanno portoni di acciaio e scorrono ai lati di un grande atrio dal quale è possibile vedere i detenuti solo dagli spioncini.

Io in Italia ho visitato molti cpt, soprattutto quelli siciliani, dove sappiamo che le condizioni in cui vengono tenuti gli stranieri non sono affatto tenere, ma il cpt di Fellah non è paragonabile, è molto, molto peggiore. L’organizzazione è appunto tipicamente carceraria, con personale quasi esclusivamente militare".

"Nei cpt italiani, almeno in teoria, gli immigrati hanno libertà di movimento - prosegue Catania - , possono telefonare, avere contatti con l’esterno. In Libia questo non accade. I telefoni è come se non esistessero. Nessuno li informa di niente. E soprattutto, fatto estremamente grave, ci sono rinchiusi anche minori. Abbiamo assistito a delle scene strazianti di due sorelline egiziane, una di 14 e l’altra di 8 anni. Abbiamo chiesto di poterle incontrare e ce lo hanno concesso. Quella più grande è stata quasi tutto il tempo in silenzio, ha raccontato di essere stata fermata per strada, che vive in Libia da molti anni con i genitori che però nessuno dal carcere ha contattato. Era preoccupata per la sorellina, inconsapevole di trovarsi in quel posto. Al contrario di lei, la più piccola sembrava invece divertita, quasi che vivesse questa vicenda come fosse un gioco. Diceva io vivo qui, questa è la mia casa. Impressionante ...".

Di queste strutture ce ne sarebbero tante altre in Libia, ma le "autorità che ci accompagnavano sono state vaghe: ci hanno detto che ce ne sono "diverse", senza specificare il numero". Dentro ci finiscono sia gli immigrati che tentano di raggiungere "illegalmente" l’Europa sia quelli che una volta sbarcati in Italia vengono rispediti sommariamente in Libia per essere poi rimpatriati nei paesi di origine. "Nessuno degli immigrati che abbiamo incontrato martedì scorso, a detta dei responsabili del carcere, era però arrivato dall’Italia - prosegue l’europarlamentare - Nell’infermeria, dove gli immigrati vengono identificati una volta arrestati, ci hanno fatto vedere la loro provenienza: Sudan, Liberia, Ghana, Congo, Mali, Somalia, Egitto, Palestina". Insomma, essenzialmente profughi, provenienti da aree di guerra. E in guerra torneranno. "Il nodo politico è proprio questo. La Libia non riconosce la figura del rifugiato", sottolinea Catania, che aggiunge: "Il responsabile immigrazione dell’ufficio consolare libico ci ha spiegato che loro non hanno assolutamente intenzione di firmare la convenzione di Ginevra, perché loro non hanno a che fare con rifugiati, ma con "immigrati economici", così li chiamano. I profughi quindi non hanno possibilità di fare la richiesta di asilo. Abbiamo incontrato anche il rappresentante dell’Acnur a Tripoli, il quale ci ha descritto un quadro deprimente. Ci ha detto che lui, rappresentante delle Nazioni unite, non ha alcun rapporto con il governo Gheddafi. In base alle notizie in suo possesso in Libia ci sono almeno 3 mila persone nelle condizioni di chiedere asilo. Lui è lì per occuparsi di queste persone, ma visto che il governo libico non riconosce lo status di rifugiato, la sua presenza è del tutto inutile".

"Stando così le cose, il ragionamento dell’Acnur al colonnello Gheddafi è questo: la Libia non vuole firmare la convenzione di Ginevra? Bene. Ma almeno faccia un accordo di cooperazione con noi. E invece niente. La chiusura è totale. Che un organismo come l’Alto commissariato dell’Onu venga trattato in questo modo è un fatto gravissimo. Questo, sul piano del diritto internazionale, dovrebbe mettere in difficoltà anche il nostro Paese che, come è noto, ha rapporti di stretta cooperazione con Gheddafi sull’immigrazione. Come è possibile che l’Italia rispedisce i migranti in un paese in cui non è possibile accedere neanche al diritto d’asilo? È una violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani".

Tutto questo mentre l’Italia e tutta l’Unione europea annunciano aiuti economici e auspicano la costruzione di altre strutture detentive per stranieri in Libia. "I libici ci hanno detto chiaramente che c’è un accordo forte con l’Italia, hanno elogiato il ruolo del nostro governo. Ci hanno detto che l’Italia mette a loro disposizione elicotteri e imbarcazioni per il controllo delle coste e del deserto libico. Questo è stato detto in maniera chiara. Su un punto il console libico è rimasto vago: alla domanda se l’Italia paga i voli charter per rimpatriare gli immigrati dalla Libia verso altri Paesi, non ha dato risposte".

Con i presunti aiuti alla Libia, l’Italia sta per caso finanziando centri di detenzione come quello di Fellah? "Noi, nonostante un’interrogazione parlamentare abbia chiesto al ministro dell’interno Pisanu di rendere noto l’accordo italo-libico, notizie ufficiali non ne abbiamo. Il fatto però che la Libia si vanti del buon accordo di cooperazione con l’Italia, lascia pensare che in futuro il nostro paese potrebbe finanziare anche cpt come quello di Fellah. Del resto ci sono molte dichiarazioni, anche a livello europeo, che vanno in questa direzione".

Secondo varie testimonianze gli immigrati verrebbero deportati con i camion alla frontiera e lasciati morire nel deserto. Avete avuto conferme di questo? "Che gli immigrati muoiano nel deserto è ormai ufficiale. Anche i libici lo hanno confermato, spiegando però che queste persone muoiono di stenti nel deserto mentre tentano di arrivare in Libia e non il contrario. Noi abbiamo ribattuto, per esempio, che ci sono prove di profughi nigeriani rispediti indietro. Ci hanno risposto che loro hanno l’obbligo di riportarli alle frontiere".

Secondo il ministro dell’interno italiano Pisanu dalla Libia ci sarebbe un milione di persone in partenza per l’Italia. Avete avuto modo di verificare se è vero? "Lo dicono anche i libici. Ma credo che sia solo propaganda. La mia impressione è che si tratti di numeri buttati lì a caso per giustificare tutto. I numeri più sono alti e più fanno comodo, sia alla Libia che vuole più soldi sia all’Italia e all’Europa che non vogliono immigrati".

Dopo questa visita cosa farete? "Intanto, questa visita mi auguro che diventi oggetto di discussione nel Parlamento europeo. Non bisogna far finta che la cosa non ci riguarda. L’Ue deve impedire che con i soldi dell’Europa vanga favorita la violazione dei diritti umani, perché quello che abbiamo visto martedì nel cpt libico è una cosa disumana e degradante".

 

 

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