Rassegna stampa 25 aprile

 

Teramo: si impicca in cella un detenuto di 54 anni

 

Il Messaggero, 25 aprile 2005

 

Morto suicida un detenuto del carcere di Castrogno, che, ieri mattina intorno alle 5, è stato trovato impiccato, con la cintura dei pantaloni, alle sbarre della finestra della cella. Si tratta del 54 enne Domenico Gentile, originario di Fallo, ma residente a Pescara. Rinchiuso nel carcere teramano dal 2003, stava scontando la condanna definitiva a tre anni per il tentativo di omicidio nei confronti di una prostituta, nei pressi della pineta di Pescara.

Dopo un rapporto sessuale il Gentile aveva colpito la donna con numerose coltellate, provocandole varie ferite. L’uomo, che disse di aver commesso il fatto perché derubato del portafoglio, avrebbe finito di scontare la pena nel giugno del prossimo anno. Il suo gesto viene definito inspiegabile. Domenico Gentile, ritenuto detenuto modello, lavorava nei servizi di pulizia nel carcere e, spesso, usufruiva di permessi premi.

Reggio Calabria: la rieducazione, un sogno possibile…

 

Il Domani, 25 aprile 2005

 

A un anno di distanza dall’inizio del progetto, il seme del principio della rieducazione del condannato è germogliato a Laureana di Borrello. Nel maggio del 2004 è partito il programma che ruota attorno all’istituto sperimentale a custodia attenuata "Luigi Daga" del centro reggino: ieri, per riguardare la strada percorsa fino a questo momento, si è tenuto un importante incontro dibattito sulla "Formazione come educazione alla legalità e alla responsabilità: l’esperienza dei giovani detenuti di Laureana". L’incontro ha preso spunto dalla consegna degli attestati di partecipazione ai primi due programmi che gli ospiti del carcere hanno frequentato nei mesi scorsi. Corsi gestiti da un’agenzia di lavoro interinale che hanno portato - ad esempio - alla formazione di operatori del legno, grazie al quale è stato creato il laboratorio di falegnameria. Ma le attività già avviate sono numerose (tra cui quella relativa alla cura di parchi e giardini pubblici), e diverse altre partiranno a breve. Contestualmente hanno preso il via i corsi scolastici che consentiranno ad una parte dei detenuti di completare gli studi.

All’incontro di ieri hanno partecipato, oltre ai vertici regionali e ad alcuni funzionari centrali dell’amministrazione penitenziaria, rappresentanti del mondo politico ed istituzionale, nonché operatori sociali. Particolarmente apprezzato, tra gli altri, l’intervento di Mario Nasone, direttore del Centro di servizio sociale reggino, secondo il quale " sono i giovani i veri protagonisti del programma, perchè l’esito di questo esperimento è soprattutto nelle loro mani. Il patto di adesione sottoscritto - ha spiegato Nasone - è solo il punto di partenza di un percorso tutto da vivere con piena consapevolezza. Qualcuno potrebbe tentare di strumentalizzarlo, ma un’adesione formale e non sostanziale farebbe perdere solo una grande occasione ai soggetti coinvolti ".

Il progetto di recupero che si realizza nell’istituto di sperimentazione a custodia attenuata di Laureana di Borrello riguarda 68 detenuti primari o a bassa pericolosità sociale, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, cui viene offerta la possibilità di una formazione scolastica e professionale, per facilitare il percorso del reinserimento sociale una volta scontata la pena, in attuazione a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione. " L’obiettivo - ha sostenuto ancora Nasone - è creare le giuste condizioni da un lato per preparare i giovani reclusi al rientro, dall’altro per creare adeguati sbocchi lavorativi e azioni di accompagnamento e sostegno agli ex detenuti".

"Questa è una sfida per la comunità sociale a tutti i livelli: dagli enti locali alla Chiesa al volontariato - ha proseguito -. L’apporto dei soggetti pubblici e privati è fondamentale sia per sostenere il percorso formativo dentro la struttura, sia soprattutto per la base successiva, quella del reinserimento ". Il direttore del Cssa ha evidenziato come il suo Centro " avverta la responsabilità di svolgere un ruolo di ponte tra la comunità carceraria e l’esterno ". Insomma, il progetto del "Daga" non si limita ad applicare concretamente il principio costituzionale delle finalità rieducative della pena; ma crea le condizioni per uno sviluppo economico che tenga conto delle esigenze e dei diritti di chi, dopo aver scontato il suo debito nei confronti degli altri consociati, giustamente vuol tornare a far parte del mondo del lavoro. Giampaolo Latella

Biella: un libro in più di Castelli, piccola grande vittoria

 

Comunicato stampa, 25 aprile 2005

 

L’apparente silenzio di questo periodo, utilizzato per elaborare altre proposte ed iniziative da mettere in campo qualora la situazione nel carcere di Biella non si fosse sbloccata, è perché stavamo seguendo le evoluzioni o involuzioni che man mano si avvicendavano all’interno del carcere.

Un breve riepilogo: Il 22.12.2004 una perquisizione anomala, durata ore, veniva effettuata nella Sezione ad Elevato Indice di Vigilanza del carcere di Biella. A seguito di questa venivano sottratti ai detenuti tutti gli effetti personali (foto, corrispondenza, atti giudiziari, francobolli, block notes, etc…), indumenti ad eccezione di un cambio e qualche paio di calzini, coperte, pentole e ..libri e riviste ad eccezione di, numero complessivo 4, sufficienti, a dire della direzione e del nuovo comandate arrivato nel carcere, a rispondere alle necessità culturali e di studio dei detenuti. Così come abbiamo ribadito e messo a conoscenza più volte, ad essere colpiti erano soprattutto i detenuti rivoluzionari che vivono, alcuni di loro, una condizione di reclusione da vent’anni e più e per i quali leggere, studiare, informarsi ed elaborare analisi è condizione fondamentale per mantenere viva ed integra la propria dignità ed identità.

Questa nuova situazione venutasi a creare, in un clima tra l’altro di assenza di conflitto all’interno del carcere, veniva giustificata a seguito della stesura di un nuovo regolamento interno da parte della direzione carceraria, giudice di sorveglianza, servizi sociali e di una non bene identificata rappresentanza dei detenuti.

Appariva del tutto evidente che l’esigenza di nuove regole all’interno del carcere non rispondeva minimamente a questioni di presunta sicurezza (ampiamente garantita), ma rifletteva piuttosto la volontà di instaurare un clima di riverenza, un rapporto di subordinazione totale da parte dei detenuti (politici e non) nei confronti dell’autorità carceraria, sottoponendoli all’umiliante ed assurda condizione di dover chiedere continuamente il permesso (attraverso domandine motivate!) per poter accedere a nuove letture sempre nell’ordine delle 4 concesse o ad una lettura supplementare, ad una differente pentola, una coperta… una foto in più.

A questo, che non è certo poco per chi vive quella condizione, si aggiunga, l’utilizzo quasi sistematico dell’isolamento per qualsiasi controversia o diverbio che si verificava tra i detenuti e autorità carceraria; la messa in discussione della possibilità di decidere autonomamente i lavori da svolgere nella sezione, la loro rotazione e durata. (così come sempre era avvenuto), in base alle necessità individuali, ai bisogni contingenti, ad un criterio di equità e solidarietà che ha sempre contraddistinto questi compagni, garantendo così a tutti una minima fonte di susstistenza.

Sull’onda di questi avvenimenti, come familiari ed amici dei detenuti rivoluzionari, abbiamo deciso di rompere il silenzio e di "mettere a nudo il re", con l’iniziativa " un libro in più di Castelli", che ha raccolto, dimostrando una forte sensibilità ed attenzione, a partire dalla città di Biella, una grande solidarietà, da parte di singoli, associazioni, librai, centri di documentazione (che si sono adoperati e diventati punto di riferimento per la raccolta dei libri), organizzazioni politiche, centri sociali, case editrici, collettivi politici ed universitari…Una forte attenzione è stata anche dimostrata da parte dei giornali locali, che hanno dato massima diffusione di quanto stava avvenendo nel carcere della loro città; sono state inoltrate alcune interpellanze parlamentari da parte di RC , dei Radicali e si sono susseguite visite all’interno del carcere per verificarne le condizioni. Una solidarietà arrivata da tutta Italia e non solo; una prima risposta ampia e collettiva alla necessità di mobilitazione e costruzione di iniziative visibili ed incisive, che ha fatto emergere una riflessione rispetto al vissuto della realtà carceraria, meno distante e separata dal quotidiano e dalla realtà delle persone, di quanto si potesse pensare.

A seguito della campagna, alla quale la direzione carceraria, nonostante il chiaro fastidio provocato, ha risposto con un atteggiamento di ottusa chiusura (dimostrando però in questo modo, un’incapacità di gestione e un’estrema debolezza), rinviando al mittente (compresi i familiari), i pacchi di libri, la corrispondenza o i pacchi di alimentari inviati ai detenuti, è seguita, il 6 febbraio, una manifestazione di dimensioni inaspettate (oltre il migliaio di persone), molto sentita e significativa per l’omogeneità delle forze che la rappresentavano.

I detenuti hanno continuato per tutto questo periodo a rifiutarsi di compilare le famigerate domandine, non solo per la richiesta di libri ma anche per il cambio d’indumenti e hanno dato vita ad una battitura come forma di protesta contro il blocco dei pacchi e proseguito lo sciopero dei lavori. Lettere di protesta o di richiesta di spiegazioni su quanto stava succedendo, sono state inviate alla direzione del carcere da parte di molti che si erano visti rispediti i pacchi inviati.

Intanto, qualcosa cominciava a muoversi nel carcere: la direttrice, in congedo per maternità, veniva sostituita dal direttore Roberto Festa proveniente dal carcere di Voghera, (con un’esperienza maggiore soprattutto di carceri speciali e di detenzione politica); il comandante D’Angelo veniva sostituito dal vice-commissario Alessio Mercurio precedentemente in servizio nel carcere di Biella; veniva designato un nuovo commissario, proveniente dal carcere di Lecce.

Dopo una serie di "tira e molla" e apparenti concessioni si arrivava alla situazione odierna in cui, in proroga al regolamento, i detenuti possono tenere in cella fino a 20 libri senza doverne fare richiesta; i libri arrivati, così come quelli che avevano precedentemente, possono essere tenuti nel magazzino della sezione a loro disposizione, tutto ciò che era stato sequestrato, durante la famosa perquisizione del 22.12.2004 è stato restituito. Rimane ancora in sospeso la possibilità di riavere i lettori cd e alcune pentole (forno).

Senza dubbio, il positivissimo risultato raggiunto è frutto delle differenti mobilitazioni e della risposta solidale che si è espressa anche individualmente da parte di molti e di questo ringraziamo insieme ai compagni incarcerati, tutti. È una piccola ma, al tempo stesso, grande vittoria, non solo per i detenuti del carcere di Biella ma per tutti i detenuti di tutte le carceri, perché crea un precedente che non potrà non essere tenuto in considerazione e con il quale dovranno fare i conti.

La solidarietà dimostrata è stata tanta e per dare solidarietà è necessario riconoscersi, sentirsi in qualche modo coinvolti, forse è il segno che molti di noi si sentono sempre di più immersi in quella che abbiamo chiamato la società carceraria.. Una società dove il rapporto di sopraffazione è generale. Dal mondo del lavoro dove i diritti conquistati in anni di lotte sono azzerati, dove il rapporto di subordinazione ai padroni è totale. Bisogna essere a disposizione, a tempo, a chiamata, secondo le sacre esigenze della produzione. Lavoratori dell’oggi, senza futuro. Dal mondo della scuola dove selezionare è necessario, dove si gettano le basi tra chi ce la farà e chi sarà emarginato dalle sacre esigenze della produzione. Dalla situazione intollerabile degli immigrati, rinchiusi e drogati in veri e propri lager, in condizioni peggiori delle carceri vere e proprie, senza diritti, fuori da ogni legalità, colpevoli di non essere diventati utili al sacro mondo della produzione. E allora quel negare i libri ai detenuti, dopo aver negato la libertà, la comunicazione, gli affetti è sembrato troppo. Ci siamo ricordati di essere " le genti del libro " , i libri dove gli essere umani da sempre si raccontano gli uni agli altri . Forse abbiamo pensato al personaggio di un romanzo che negli anni ricordiamo come un vecchio amico, di un verso che ha saputo dire di noi, del sogno di una società da conquistare che abbiamo imparato a progettare tra mucchi di libri. E ci è sembrato troppo, in carcere senza libri no. Un libro è l’evasione per eccellenza, è il conoscere, è la scoperta, è esserci. "Non abbiamo più niente da perdere se perdiamo i libri ha detto un compagno. Siamo stati in tanti a pensarla così. E siamo stati in tanti a pensare che mobilitarsi paga.

Contenti di quanto siamo riusciti ad ottenere, l’attenzione deve rimanere comunque alta, perché, come sappiamo bene, gli inganni sono sempre in agguato e le prime avvisaglie già ci sono: si ventila che il nuovo commissario abbia intenzione di abolire completamente la possibilità per i detenuti ad Eiv di lavorare, così come, momentaneamente, perché in attesa di nuove disposizioni, è stata tolta la possibilità di far entrare posate, piatti di plastica; in generale, l’atteggiamento di questo nuovo commissario (il signor no!), è quello di negare le richieste fatte tramite domanda per l’acquisto all’esterno di oggetti utili a soddisfare esigenze quotidiane e personali, così come sempre era avvenuto.

Inoltre non va dimenticato che quanto ottenuto è una proroga al regolamento, non la sua cancellazione o rivisitazione, pertanto rimane sempre lì sospeso, come una spada di Damocle, pronto ad ogni evenienza, a poter essere riapplicato.

Per quanto riguarda i libri raccolti: si è pensato di convogliare tutti i libri in alcuni punti di raccolta, di catalogarli e di fare circolare questo materiale informativo in tutte le carceri dove si hanno dei riferimenti, mettendolo a disposizione di chiunque ne faccia richiesta. Ci sembra un buon modo per mettere a conoscenza, nei limiti del possibile, la popolazione detenuta di quanto successo e di una piccola battaglia vinta da tutti e per tutti, perché combattuta, oltre a favorire ed incentivare la necessità e il bisogno di cultura, conoscenza, informazione.

Per Milano, il punto di riferimento è: Centro di documentazione c/o panetteria occupata - via Conte Rosso, 20, 20124 Mi. Torino: Centro di Documentazione Porfido - via Tarino 10124 Torino - Aperto Lunedì, mercoledì, sabato dalle ore 16.00 alle 19.00. Firenze: Libreria Majakovskij - Centro Popolare Autogestito Firenze Sud - Via Villamagna, 22- Firenze.

Vi informiamo che numerose iniziative (assemblee, presidi, volantinaggi), sulla situazione carceraria si sono tenute in questo periodo in molte città (Parma, Torino, Crema), ed altre sono in programmazione. Fra queste, si terrà a Milano venerdì 22 aprile, all’università di Scienze Politiche un’assemblea aperta sulla situazione carceraria, reati associativi, guerra/repressione. Interverrà l’avvocato Giuseppe Pelazza e una compagna di Bologna che fa i colloqui nel carcere di Latina. A Biella il 27 maggio è stata organizzata un’assemblea sulla questione carceraria in particolare a Biella

Usa: faceva i capricci, ammanettata a cinque anni

 

Corriere della Sera, 25 aprile 2005

 

Ha fatto un po’ troppi capricci in classe, buttando per terra i giocattoli e tentando di colpire la maestra che voleva portarla dal direttore. Per questo Jaisha, una bambina nera di cinque anni, è stata ammanettata dalla polizia di St. Peterburg, in Florida. Un episodio che l’avvocato contattato dalla madre della piccola ha definito "incomprensibile".

La scena è stata registrata da una videocamera istallata in classe per altri motivi, e il filmato è stato reso pubblico dal legale della madre di Jaisha, che ha denunciato la scuola. Secondo i dirigenti dell’asilo la piccola continuava a fare capricci e la madre, contattata telefonicamente, aveva detto di non poter andare a prenderla. A quel punto, dato che la bambina non accennava a calmarsi, i responsabili scolastici hanno pensato bene di chiamare la polizia. Come si vede nel video, gli agenti hanno agito come se la piccola fosse un pericoloso criminale, bloccandole le braccia dietro la schiena e fermandole i polsi con le manette. Tanto più incomprensibile, dato che al momento dell’arrivo degli agenti la bambina stava tranquillamente seduta su una sedia in classe. Dal dipartimento di polizia di St. Peterburg è arrivato un no comment sull’accaduto, con la precisazione che è in corso un’indagine.

Afghanistan: è stata lapidata donna adultera di 29 anni

 

Corriere della Sera, 25 aprile 2005

 

Una donna afghana di 29 anni è stata lapidata in pubblico per adulterio. Amina, questo il nome della donna, sarebbe stata colpita a sassate dal marito fino alla morte. Il suo amante è stato frustato per cento volte e poi liberato. Si tratta della prima lapidazione dopo la sconfitta del regime dei Talebani. L’esecuzione è stata eseguita giovedì nella provincia di Badakhshan, sulla scorta di una sentenza di una corte distrettuale. Negli anni ‘90 la remota provincia del Badakhshan era tristemente famosa per le lapidazioni.

La pratica divenne comune con il regime oltranzista dei Talebani. Il capo della polizia locale, Shah Jahan Noori, ha detto che la donna sarebbe stata lapidata per decisione di un mullah, Mohammed Yusof. "Abbiamo mandato una delegazione nella regione per verificare l’informazione" ha detto Noori, precisando che le autorità afghane "condannerebbero severamente in tale atto irresponsabile", qualora effettivamente accaduto. "Le decisioni stanno alla magistratura e non ai dignitari locali. I colpevoli saranno arrestati e puniti" ha annunciato Noori. Notizie diverse dalla Commissione indipendente afghana dei diritti dell’uomo, secondo la quale la donna non sarebbe stata lapidata, ma uccisa dalla famiglia del marito. Confermano invece le cento frustate in pubblico all’amante della donna.

Bologna: lettera aperta sul taglio delle cattedre in carcere

 

Comunicato stampa, 25 aprile 2005

 

La soppressione dei posti di scuola elementare all’interno della Casa Circondariale, oltre ad essere uno degli effetti della riforma Moratti, è il frutto di una scelta arbitraria e ingiustificata del CSA di Bologna. Arbitraria, in quanto i posti di alfabetizzazione della scuola carceraria sono di istituzione ministeriale e la scelta di abolirli non dovrebbe fondarsi su un atto di natura amministrativa.

All’interno della Casa Circondariale di Bologna (come del resto in tutti gli istituti di pena italiani) c’è una altissima presenza di popolazione immigrata bisognosa di prima alfabetizzazione e, in generale, di italiani e stranieri con bassissimi livelli di scolarità. A queste persone, molto spesso abbandonate a se stesse, al di là di qualsiasi retorica istituzionale gli insegnanti offrono una azione quotidiana che già da tempo ha superato la funzione classica del "leggere, scrivere e far di conto".

Questo non perché gli insegnanti si sono reputati "missionari" o volontari sociali, ma perché hanno creduto che l’istruzione fosse un diritto inalienabile di tutti. Un diritto che non può essere per nessuna ragione cancellato.

5 docenti alfabetizzatori accolgono, ogni anno, più di 300 studenti che frequentano corsi di italiano per stranieri, corsi per analfabeti italiani, corsi di lingua straniera, corsi di approfondimento culturale. Negli ultimi cinque anni sono transitati nei corsi offerti dalla scuola elementare carceraria circa 1500 persone. Solo quest’anno sono stati istituiti ben 17 gruppi classe e, secondo una didattica modulare, si sono realizzati 51 percorsi formativi.

A chi eventualmente rispondesse che per i detenuti del Carcere corsi equivalenti possono essere creati in via sostitutiva e gestiti da enti o associazioni professionali, vogliamo ribadire che l’azione educativa nei contesti disagiati ha una seria efficacia solo se svolta da insegnanti qualificati che realizzano percorsi con continuità, secondo metodologie collaudate nel tempo.

Eliminare la scuola in carcere significa anche cancellare un patrimonio di competenze e saperi consolidati negli anni. È serio sostenere che la scuola pubblica non è sostituibile con brevi moduli estemporanei e discontinui offerti, a seconda delle risorse finanziarie, da soggetti improvvisati.

Una situazione di svilimento professionale analoga riguarda anche i docenti che da anni si occupano di educazione degli adulti sul territorio, nei cosiddetti Centri Territoriali per l’educazione permanente istituiti nel 1997 (O.M.455 del 1997).

Forse non tutti sanno che storicamente a Bologna, dai vecchi corsi serali che nacquero decenni fa, sono stati istituiti e sopravvivono 8 Centri Territoriali con migliaia di utenti di svariate nazionalità a cui viene fornita accoglienza e formazione linguistica utile all’inserimento e all’integrazione nella comunità locale. Anche per gli alfabetizzatori operanti presso tali centri ci sarà l’anno prossimo una contrazione di organico altrettanto incomprensibile.

Chiediamo innanzitutto al CSA di rivedere le decisioni prese. L’opera e la presenza dell’istruzione in carcere devono essere garantite di diritto non possono essere né affidate a privati dalle improvvisate competenze professionali né soggette a continue contrattazioni.

Chiediamo a tutti gli enti pubblici, Comune, Provincia e Regione e all’Amministrazione Penitenziaria di intervenire a sostegno della scuola pubblica rivolta agli adulti.

 

I docenti della Casa Circondariale

Tempio Pausania: è guerra sugli agenti penitenziari malati

 

L’Unione Sarda, 25 aprile 2005

 

L’amministrazione penitenziaria ha invitato la Procura di Tempio a verificare se i dieci agenti della polizia penitenziaria della "Rotonda", in congedo per malattia, abbiano veramente problemi di salute. Il Sappe, uno dei sindacati più rappresentativi assieme alla Cisl, chiede al Ministero della Giustizia di inviare a Tempio un’ispezione in tempi brevi. E il prossimo 4 maggio il segretario nazionale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Donato Capece, arriverà in Gallura, a quanto pare per una clamorosa iniziativa di protesta.

Sono questi gli ultimi sviluppi del braccio di ferro tra il personale dell’istituto tempiese e l’amministrazione penitenziaria. Gli agenti si attendono ormai la chiusura definitiva del carcere, si parla di un decreto praticamente già firmato che dovrebbe entrare in vigore alla fine della primavera. "È inutile ripetere - dice il segretario provinciale del Sappe, Antonio Cannas - le cose già dette in tante occasioni. E allora noi invitiamo l’amministrazione penitenziaria a sentire uno per uno gli agenti in malattia e il personale che opera nell’istituto di Tempio.

In questo modo, come è successo altrove, si potrà avere un quadro attendibile di una situazione che è arrivata ai limiti della tollerabilità. Le nostre preoccupazioni riguardano sia le condizioni di lavoro degli agenti, sia il rischio di una chiusura dell’istituto". Attualmente la Rotonda può essere considerato un penitenziario di "primo ingresso", per detenuti in semi-libertà e fermati che, se non scarcerati, dopo qualche giorno vengono trasferiti in altre carceri. I sindacati continuano a denunciare anche un’altra situazione: direttore dell’istituto e comandante della polizia penitenziaria sono assegnati a Tempio con incarichi provvisori. Andrea Busia

Voghera: Vallanzasca digiuna per poter vedere anziana madre

 

La Provincia di Sondrio, 25 aprile 2005

 

Da una settimana non mangia più, si nutre solo con acqua e tè. L’ex boss della Comasina, il Bel Renè degli anni Settanta - molti cuori infranti, molte vite strappate e più di metà della sua passata in carcere - sta attuando lo sciopero della fame contro la durezza del regime carcerario nel suoi confronti. Renato Vallanzasca, 55 anni, rifiuta il cibo nella sua cella del supercarcere di Voghera, dove è rinchiuso dal 2003 come vigilato speciale. La notizia del suo digiuno è trapelata dall’istituto penitenziario del Medassino, e anche se mancano conferme ufficiali pare che la ragione principale stia nel rifiuto dell’autorità carceraria di fargli vedere sua madre, che ha 88 anni e che il bandito milanese non vede dal 2001.

Vallanzasca è "tecnicamente" detenuto da quasi 33 anni, anche se vi sono stati periodi più o meno lunghi, negli anni ‘70 e ‘80, passati in latitanza dal Bel Renè dopo le sue leggendarie evasioni. Sta scontando quattro ergastoli, collezionati assieme a 260 anni di carcere per i molti delitti commessi a partire dalla metà degli anni ‘60 quando, ancora ragazzino, iniziò la sua carriera di malavitoso nel quartiere della Comasina. È ritenuto responsabile di 7 omicidi (fra le sue vittime anche uomini delle forze dell’ordine), tre sequestri tra i quali quello della giovane Emanuela Trapani, rapine e molti altri reati. Una detenzione, la sua, che stando a diverse testimonianze lo avrebbe profondamente cambiato ma senza spegnere il suo orgoglio.

Vallanzasca si è pentito dei crimini commessi, ma non è un "pentito". In carcere, dopo gli anni delle rivolte e delle clamorose evasioni compiute o tentate (l’ultima il 31 dicembre ‘95 dal carcere di Nuoro), è diventato un esperto di computer, coltiva diversi interessi, ma non si è rassegnato. Soprattutto non si è mai rassegnato al regime molto duro cui è sottoposto. Vallanzasca è rinchiuso nel settore "elevato indice di vigilanza", uno dei reparti più severi e sorvegliati dell’intero istituto.

È costretto a stare in cella da solo, e qualche tempo fa è stato anche punito con due settimane d’isolamento per il suo rifiuto di rientrare nel settore di competenza al termine dell’ora d’aria. Durante questo periodo gli sono stati negati anche i momenti di socialità con gli altri detenuti e l’accesso alla saletta computer. Ieri comunque c’è stato un incontro con i responsabili del supercarcere di Voghera che potrebbe anche preludere ad un accordo per fargli cessare la protesta. Si sa che Vallanzasca non ha perso la speranza in un provvedimento di grazia nei suoi confronti, dopo quello ottenuto nei mesi scorsi da Graziano Mesina.

Iraq: per l’orrore di Abu Ghraib sono stati assolti i generali Usa

 

Il Mattino, 25 aprile 2005

 

A un anno dallo shock mondiale per la foto dell’iracheno nudo al guinzaglio, l’America con le spalline chiude lo scandalo di Abu Ghraib: un rapporto dell’Ispettore generale dell’esercito americano ha sposato la tesi delle poche "mele marce", assolvendo i vertici militari in Iraq per gli abusi e le umiliazioni inferti ai detenuti nel carcere vicino a Baghdad. L’unico alto ufficiale costretto a pagare per una vicenda che alla fine dello scorso aprile aveva gettato un’onta sulle forze armate americane è una donna: il generale Janis Karpinski, all’epoca capo della rete delle prigioni in Iraq.

Secondo varie fonti, Karpinski riceverà un ammonimento amministrativo per abbandono del servizio: un peccato veniale, un’omissione. "Non è giusto fare di lei il capro espiatorio dell’intera situazione", ha detto l’avvocato della donna, Neal Puckett, preannunciando un ricorso in appello. L’inchiesta dell’Ispettore Generale dell’Esercito, generale Stanley Green, non ha invece trovato colpe nel generale Ricardo Sanchez, comandante delle forze armate in Iraq dal giugno 2003 al luglio 2004, e nei suoi tre vice: i generali Walter Wojdakowski e Barbara Fast e il colonnello Marc Warren. "Le accuse secondo cui non hanno prevenuto o fermato gli abusi sono prive di sostanza", si legge nel dossier elaborato sulla base di dieci inchieste militari precedenti e di colloqui con 37 alti ufficiali, tra cui Paul Bremer, il capo dell’Autorità Provvisoria in Iraq al tempo degli abusi.

Le foto shock di Abu Ghraib, con le piramidi di detenuti iracheni nudi e l’immagine sconvolgente della soldatessa Lynndie England con il prigioniero iracheno nudo al guinzaglio, erano andate in onda dalla Cbs il 28 aprile 2004 e dal piccolo schermo americano avevano fatto il giro del mondo. A pagare finora sono stati solo un piccolo numero di soldati portati davanti alla corte marziale. Decine di altri militari sono stati messi sotto inchiesta ma se la sono cavata con azioni disciplinari ordinate dietro le quinte. Lo scorso agosto una commissione indipendente guidata dall’ex capo del Pentagono James Schlesinger aveva però concluso che Sanchez non aveva mobilitato il suo staff quando erano emersi problemi nella prigione di Abu Ghraib.

Un’altra inchiesta dell’esercito, nota come il rapporto Kay-Fay-Jones, aveva appurato che a un certo punto lo stesso Sanchez aveva approvato l’uso di metodi duri negli interrogatori che indirettamente avevano provocato gli abusi. Il nuovo rapporto dell’Ispettore Generale dell’Esercito è stato accolto con indignazione dai gruppi per i diritti umani. Oltre a Human Rights Watch, anche l’American Civil Liberties Union ha manifestato il suo sdegno: "Il rapporto Green è l’ulteriore prova dell’incapacità dell’esercito di indagare sui suoi abusi".

Anche al Congresso Usa il rapporto del generale Green ha provocato maretta: il presidente della Commissione Forze Armate del Senato John Warner, un repubblicano, ha preannunciato una seduta "per esaminare l’adeguatezza dei rapporti" e ascoltare funzionari civili e militari sullo scandalo. Warner ha aggiunto di condividere la posizione della commissione Schlesinger, che l’anno scorso aveva concluso che i comandanti devono esser ritenuti responsabili per la loro inazione e che "i leader civili e militari del Pentagono devono condividere il peso della responsabilità".

Perugia: bimbi dietro le sbarre, bisogna trovare nuovi spazi

 

Il Messaggero, 25 aprile 2005

 

Ci sono dei bambini che nascono e vivono i primi tre anni della loro vita dietro una porta sempre chiusa, con le sbarre e con gli adulti che portano una divisa e la pistola; le parole che imparano subito sono "mamma", naturalmente, ma anche "guardia", "apri" e "aria".

Sono i bambini che seguono le madri in carcere e che vivono da detenuti fino al compimento dei tre anni; poi li aspetta il ritorno in famiglia con i parenti, una casa-famiglia o l’affido.

A Perugia, attualmente, sono 3 i bambini ospitati nella sezione femminile del carcere di piazza Partigiani. Di loro si occupano le suore della casa Gesù Redentore, che si occupano della realtà carceraria sin dal 1908. "La nostra attività si svolge sia all’esterno sia all’interno del carcere a sostegno delle ragazze detenute - afferma suor Angela Maria - lo spirito è quello di stare accanto alle ristrette come sorelle, trasmettendo speranza e fiducia. Attenzione speciale è rivolta ai bambini sotto i tre anni che seguono le loro mamme in carcere, perché non sanno a chi affidarli.

Per loro non siamo solo baby-sitter, ma quasi madri affidatarie. Li portiamo all’asilo e a spasso per consentire loro una vita simile a quelle degli altri bambini, per favorire lo sviluppo intellettuale con nuovi stimoli che una vita da ristretti nega loro". Nel 2001 è stata approvata una legge che consente alle detenute con figli minori di 10 anni, di poter usufruire del la sospensione della pena, purché esista la possibilità di poter scontare la pena in strutture protette.

Non possono usufruire dei benefici le detenute in attesa d giudizio, le recidive, le responsabili di reati come quelli associativi. Per le detenute senza domicilio, Perugia è una delle poche città con un istituto penitenziario che offre questa opportunità. "Grazie ai benefici di legge le detenute che non hanno dove andare, vengono accolte presso la casa Gesù Redentore - continua suor Angela Maria - in questo modo si può costruire una sorta di ponte tra il carcere e il mondo esterno; ma anche un’opportunità che ci permette di aiutare meglio le ragazze che escono dal carcere, offrendo ai bambini un contesto sereno, dove poter trascorrere in amicizia e tranquillità un periodo importante per lo sviluppo della personalità dei bambini". Nuove possibilità dovrebbe offrire l’apertura del carcere di Capanne, con una sezione apposita per ospitare mamme e bambini.

"Il nuovo carcere di Capanne sicuramente migliorerà i luoghi dove poter esplicare la nostra attività, ci fornirà un’opportunità in più per lavorare con i bambini e le detenute - conclude suor Angela Maria - ma l’aspetto più importante e che le cose non cambieranno per quanto riguarda il nostro impegno che sarà sempre lo stesso proprio per il bene dei bambini".

Roma: da provincia 42mila € per attività culturali in carcere

 

Asca, 25 aprile 2005

 

"Attraverso il teatro vogliamo offrire un’ulteriore opportunità di reintegrazione ai detenuti che spesso in carcere perdono la propria identità. Con la settima arte apriamo una breccia nel dramma della detenzione per garantire la speranza di un futuro e la coscienza del presente". È il commento dell’assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Roma, Claudio Cecchini che ha presentato questa mattina, presso la casa circondariale di Civitavecchia, il progetto provinciale "Teatro a Righe" realizzato in collaborazione con l’associazione "Arte e Studio" a favore della popolazione carceraria di Regina Coeli a Roma e della casa circondariale di Civitavecchia.

"L’iniziativa - spiega Cecchini - per la quale la Giunta Gasbarra ha stanziato 42mila euro, prevede un’attività di studio e pratica teatrale di tre mesi fra cui un laboratorio teatrale, una lezione spettacolo, un corso per la realizzazione di video e borse di studio". "Sarà un vero e proprio stage - aggiunge Cecchini - che ripercorrerà anche i momenti più salienti della storia del teatro italiano ed internazionale. A dirigerlo sono stati chiamati Riccardo Vannuccini e Maria Sandrelli". In questo modo - conclude Cecchini - "il teatro assolve a due funzioni: quella di recupero e riabilitazione sociale di molti giovani e quello di permettere loro di esprimere, senza veli, la propria personalità in un’attività positiva e creativa".

Pescara: stato di agitazione degli agenti penitenziari

 

Il Messaggero, 25 aprile 2005

 

La Cgil funzione pubblica proclama lo stato di agitazione del personale della Polizia penitenziaria : "per le tante questioni irrisolte e perché non intendiamo più avallare incontri finti in cui si discute di altri lasciando nel dimenticatoio problemi già posti da tempo e non risolti".

Ed ecco qui alcuni dei dodici punti da affrontare: unità operative; mancata emanazione delle disposizioni organizzative dei posti di servizio; mancata applicazione del protocollo regionale; lavoro straordinario, "vi è uno sforamento dal budget assegnato e la direzione non ritiene adottare alcuna strategia di intervento"; mancata consegna dei prospetti di turno espletati dal personale come previsto dal protocollo regionale; continuo impiego di personale in turni difformi da quelli ordinari "condizionando così l’equità nella distribuzione dei posti di servizio", impiego iniquo del personale nelle turnazioni, emanazione del piano ferie senza il confronto con i sindacati; mancato rispetto delle relazioni sindacali. E infine: sezione femminile fatiscente e con precarie condizioni igieniche. Per il sindacato alcuni sono problemi facilmente risolvibili, per esempio non sarebbe impossibile disporre un regolare servizio di posta elettronica o imporre il divieto di fumo in zone non consentite: "Ci si chiede se il nodo è l’incapacità di gestione della direzione o la volontà di mantenere uno stato di confusione che consente a molti il mancato rispetto delle regole".

Vicenza: in cella a 75 anni, inizia lo sciopero della fame

 

Il Gazzettino, 25 aprile 2005

 

In cella dallo scorso 23 marzo, da due giorni ha iniziato lo sciopero della fame. Una forma di protesta estrema per attirare l’attenzione e sensibilizzare l’opinione pubblica. A parlare per lui è il suo avvocato Alessandro Zagonel: "Com’è possibile che un uomo di 75 anni, in attesa di giudizio, debba rimanere chiuso in carcere? Occorre affidarlo a delle strutture protette dove poter essere sottoposto a misure cautelari meno afflittive. Bisogna tener conto sia dell’età del mio cliente che dei problemi psichiatrici di cui soffre".

Il caso è quello di Giovanni Bernardele, 75 anni, accusato di tentato omicidio. A disporre la carcerazione preventiva al San Pio X è stato il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Bassano, dove di sta svolgendo il processo a carico dell’anziano residente in Lago di Lugano di Vicenza. L’uomo, lo scorso luglio, in un camping di Roana sull’Altopiano di Asiago, aveva tentato di ammazzare a coltellate la vicina di casa Adelina Franceschetto, 65 anni, colpevole secondo l’aggressore di avergli sottratto un’ingente somma di denaro. Dopo l’arresto, il giudice aveva concesso il beneficio dell’obbligo di dimora nell’abitazione del figlio a Caldogno. Ma l’ingiunzione è stata più volte disattesa da Bernardele. Il dramma si è sfiorato nuovamente il 21 marzo: l’ultrasettantenne arrivato in città con la sua auto, prima ha tentato di investire la stessa donna e poi di aggredirla brandendo una scure. Di qui la risoluzione di riportarlo in prigione fino alla prossima udienza fissata per il 26 maggio in attesa del risultato della perizia psichiatrica richiesta dalla difesa per stabilire se Bernardele sia in grado di intendere e volere e di seguire coscientemente il dibattimento che lo vede quale principale imputato.

 

 

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