Rassegna stampa 13 agosto

 

Cagliari: inchiesta sul "Buoncammino" in emergenza quotidiana

 

La Nuova Sardegna, 13 agosto 2005

 

Il direttore: droga, la maledizione di Buoncammino

 

Droga: è la maledizione di Buoncammino. È un carcere condizionato dagli effetti devastanti di cocaina e droghe sintetiche: il settanta per cento dei detenuti è tossicomane o implicato nello spaccio della "roba". Sovraffollamento ed emergenze organizzative sono i mali con cui Buoncammino può anche convivere, ma contro la paralisi della volontà che la droga produce, non c’è nulla da fare.

Gianfranco Pala, da febbraio dell’anno scorso è di nuovo il direttore di Buoncammino, e parla con preoccupazione della navicella carceraria che deve guidare in un mare di norme, circolari, programmi e iniziative per il reinserimento umano e sociale del detenuto. "Bisogna che si prenda coscienza - dice - che il carcere non è una risposta adeguata ai problemi di chi delinque per procurarsi la droga. Giuristi e parlamentari si mettano attorno a un tavolo e legiferino di conseguenza".

Non si va in ferie quando il libro matricola registra, in pieno agosto, 494 detenuti, 150 in più della capienza normale. "Se per una qualsiasi esigenza sanitaria o su ordine dei giudice dovessi mettere un recluso da solo, non saprei che fare", dice Gianfranco Pala snocciolando le soluzioni dettate dall’emergenza: celle singole che diventano doppie, quelle con due letti dove i giacigli sono invece tre, i "camerotti" con quattro brande in tempi normali, dove devono starci sei detenuti, con disagi immaginabili. Fino a 350 reclusi la struttura non soffre, trecento sarebbe l’optimum, al di sotto un piccolo Eden per gli agenti in divisa azzurra. Non esiste la valvola di sfogo del reparto isolamento: è stato chiuso agli inizi degli anni ‘90 e oggi è l’archivio.

Sul popolo di Buoncammino vegliano 198 uomini della polizia penitenziaria del servizio a turno e trentasei del nucleo traduzioni. Mancano all’appello, secondo la pianta organica, almeno quaranta agenti nel primo settore e dieci nel secondo. "Rispetto agli altri istituti di pena il nostro - dice Gianfranco Pala - Buoncammino ha maggior bisogno di maggior personale perché Cagliari è sede di Corte d’Assise, Corte d’appello, Tribunale di sorveglianza con un via vai continuo di detenuti impegnati nei processi. Poi nel centro clinico passano, provenienti anche da altre carceri, reclusi con le più diverse patologie e bisognosi di visite specialistiche in ospedale. Il ricovero di un detenuto impegna ogni giorno nove agenti: otto per i quattro turni più l’autista che fa la spola tra ospedale e carcere. Tutti servizi non programmabili. Gestiamo l’emergenza. In queste condizioni è difficile governare ferie e riposi. Ancora stiamo cercando di smaltire i congedi ordinari del 2004".

Dall’ufficio del direttore, lo sguardo è conquistato dai due campetti di calcetto realizzati l’anno scorso e in primavera. Dalla segreteria è possibile gettare un occhio sulle partitelle. Il prossimo torneo comincerà a settembre: un quadrangolare. I due vecchi cortili destinati all’ora d’aria sono stati riciclati, per rispondere alle più moderne esigenze dei detenuti. "Dobbiamo razionalizzare al massimo - dice il direttore - i pochi spazi disponibili. Nelle aule scolastiche durante l’anno al mattino funziona la scuola dell’obbligo, nel pomeriggio i corsi per ragioniere. Due nostri reclusi dopo il diploma si sono iscritti all’Università e sono al passo con gli esami. Le detenute seguono corsi d’informatica. È cominciato un corso di legatoria, frequentato da dodici persone, a settembre partirà un laboratorio di teatro". Corsi brevi. Un carcere sovraffollato richiede continui sfollamenti verso le colonie penali, le uniche in grado di assorbire i detenuti. Inopportuno interrompere la frequenza ai corsi, quindi brevi per necessità.

Carcere come pena da scontare, ma anche inizio di una terapia rieducativa. Facile a dirsi, difficile da attuare. "L’azione di recupero umano e sociale del carcerato - dice ga Gianfranco Pala - dipende molto dalla voglia del detenuto di rompere col passato. Dalla sua capacità di trovare le motivazioni giuste per rilanciarsi. Il problema di Buoncammino è avere il 50-60 per cento dei reclusi con problemi di tossicodipendenza, di salute (Hiv ed epatiti, segni lasciati dall’eroina) e psicologici. Il consumo di cocaina, in crescita, e ecstasy, spesso accompagnato da abuso di alcool, provoca problemi psichiatrici duraturi. Qui abbiamo gente che non vuole o non ha più le motivazioni per essere recuperata".

Allora diventa difficile proporre l’inserimento in comunità terapeutiche, che per alcuni potrebbe essere provvidenziale. "Dopo un giorno il detenuto fugge. Altri rinunciano e preferiscono - aggiunge il direttore - attendere la fine della pena passivamente. L’epilogo è quasi scontato. Chi non ha famiglia, lavoro, qualche volta neppure una casa, dopo poche settimane compie un nuovo reato e per lui si riaprono le porte del carcere". Per i tossicodipendenti anche lavorare stanca. Meglio gli interminabili tempi morti in cella e in branda. Un’apatia guaribile in strutture alternative al carcere? Forse sì. Se ci fossero comunità alloggio, case-lavoro, centri per il recupero dei detenuti almeno un terzo degli attuali ospiti di Buoncammino potrebbe lasciare il carcere. "Il problema vero è che molti non resistono alle regole di una comunità, e, sembra paradossale, preferiscono stare in carcere in attesa dell’affidamento ai servizi sociali", aggiunge il direttore.

Forse il miracolo non potrà arrivare neppure dal nuovo carcere quando si farà e se si farà. "L’unica informazione in mio possesso - dice Gianfranco Pala - è che dovrebbe sorgere nella zona di Camp’e Luas e che un ufficio delle opere pubbliche lavora al progetto, che però non conosco. I soldi? Qualche somma è stata stanziata in passato, ma non so se questa voce di spesa figuri ancora nel bilancio statale o sia stata cancellata e i soldi destinati ad altro". Mario Girau

Cagliari: parlano i politici e gli operatori sociali del carcere

 

La Nuova Sardegna, 13 agosto 2005

 

Paolo Pisu (presidente della commissione regionale Diritti civili). "Nelle carceri è sempre l’anno zero. Disagi e malessere sono oggi stratificati. I casi limite sono ormai consolidati, con continue e gravi violazioni dei diritti civili. La rieducazione non esiste". (dalla relazione sull’indagine della commissione Diritti civili nelle strutture carcerarie).

Gianluigi Gessa (consigliere regionale). "Il carcere è ancora visto come un luogo di contenzione ed è qui che la società sbaglia. Il recupero, la parte più importante è mancato e manca. Chi è finito dietro le sbarre anche per piccole cose, ha imparato purtroppo a diventare un professionista del crimine". (intervento al convegno "Castigo e cura")

Alessandro Frau (consigliere regionale). "Quando siamo stati a Buoncammino, abbiamo visto l’inimmaginabile: le legge prevede celle da nove metri quadri per detenuto, invece erano in cinque in dodici metri quadri. Condividevano la stessa latrina, lo stesso lavandino senza acqua calda". (intervento al convegno "Castigo e cura")

Nerina Dirindin (assessore regionale alla Sanità). "Più che un carcere, Buoncammino è diventato un ospedale". (dopo un sopralluogo).

Leonardo Bonsignore (magistrato). "L’affollamento e la mancanza di spazi comuni fanno aumentare l’aggressività e l’autolesionismo dei detenuti. L’emergenza sanitaria dev’essere affrontata immediatamente ed è necessario trovare lo spazio per spazi comuni che rendano la vita del detenuto più sopportabile". (audizione in Consiglio regionale).

Francesco Massidda (provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria). "Nonostante le difficili condizioni di detenzione, nel 2004 non sono registrati suicidi, anche grazie a una maggiore attenzione del personale verso i carcerati a rischio". (audizione in Consiglio regionale).

Maria Grazia Caligaris (consigliere regionale). "Le violazioni dei diritti civili nelle carceri sono inalterate da decenni, nonostante il Consiglio regionale abbia votato e approvato ordini del giorno e risoluzioni". (intervento in commissione regionale Diritti civili)

Leonardo Filippi (avvocato e presidente della Camera Penale). "Lo Stato, nelle carceri, non garantisce i diritti più elementari: lavoro, salute e istruzione. Servono istituti penitenziari nuovi e moderni, dove l’amministrazione sia in grado di garantire, a ciascun detenuto, un minimo di vivivibilità". (audizione in Consiglio regionale).

Ettore Cannavera (Comunità La Collina). "Le strutture sono vecchie, manca il personale, i detenuti ancora in attesa di giudizio convivono con i condannati. I reclusi sono condannati all’ozio e l’inattività diventa una condanna nella condanna. È indispensabile aumentare le misure alternative alla detenzione, per migliorare la dignità delle persone recluse. È auspicabile l’apertura immediata di un ospedale penitenziario giudiziario, dove dovrà prevalere l’aspetto terapeutico". (audizione in Consiglio regionale).

Giovanni Usai (cappellano in carcere). "In carcere, il detenuto non è rieducato e quando esce, nell’ottanta per cento dei casi, compie un altro reato". (audizione in Consiglio regionale).

Evelino Loi (presidente associazione Detenuti non violenti). "La situazione nelle carceri ha superato da molto tempo ogni possibile livello di guardia, ma sento sempre e soltanto voci di gente che si sorprende quasi fosse una novità. Vorrei, una volta per tutte, che tutti lavorassimo seriamente e insieme perché la permanenza in carcere diventi una lezione di vita e non un continuo morire". (audizione in Consiglio regionale).

Nazareno Pacifico (consigliere regionale). "Mancano le strutture d’appoggio, leggi case-famiglia e comunità protette, mentre le misure alternative alla detenzione spesso non sono possibili per i vuoti nell’organico della polizia penitenziaria". (alla presentazione del garante per i detenuti).

Marco Espa (consigliere comunale). "Buoncammino, quando sarà dismesso, non dev’essere venduto ai privati ma entrare nel patrimonio pubblico della città. È impensabile che il ministro di Grazia e giustizia, Roberto Castelli, continui a dire che i soldi per il nuovo carcere di Cagliari devono essere recuperati con la vendita del vecchio". (interrogazione in Consiglio comunale)

 

Il lavoro, poco e per un mese

 

Le possibilità di lavoro non sono molte. Un turno di 30 giorni si alterna a periodi di "disoccupazione" che durano tre mesi L’azienda "Buoncammino" può far lavorare contemporaneamente non più di 70 persone, stipendiate con il 3/5 della paga prevista dalla normativa contrattuale. La rotazione sarebbe più lunga se tutti i detenuti chiedessero di lavorare. Tra impegnati nei processi, ammalati, persone con problemi psichiatrici, la forza reale si riduce a 200 persone.

 

Il volontariato, le voci nel deserto

 

A Buoncammino operano diversi gruppi di volontariato. Alcuni tengono i rapporti tra detenuti e mondo esterno per la riscossione di pensioni, pratiche burocratiche, assistenza alle famiglie. I volontari procurano anche vestiario e libri. Particolarmente diffuso il volontariato cattolico, che assicura il catechismo tre volte la settimana con periodici interventi (ogni 45 giorni) dell’arcivescovo con conferenze, molto partecipate, su argomenti religiosi.

 

I numeri

 

198 agenti in servizio, di cui 36 traduttori; 494 detenuti; 4 ergastolani; 12 in semilibertà; 3 medici del ministero; 11 di guardia convenzionati; 30 volontari; 1 sala operatoria.

Giustizia: in agosto carceri più dure, poco organico e meno diritti

 

Liberazione, 13 agosto 2005

 

Il carcere d’agosto è ancora più disumano. Per i detenuti agosto significa meno sanità, meno affetti, meno cultura. Manca il personale e saltano visite mediche prenotate da tempo, i colloqui con i parenti vengono rinviati, i trasferimenti congelati. Le ferie degli agenti aggravano di molto la già cronica carenza di organico. Ed accade così, come denunciato da Angiolo Marroni, garante per il Lazio dei Detenuti, che una donna di 53 anni trasferita l’11 luglio a Perugia per essere curata, attenda da più di un mese di essere ritrasferita a Rebibbia.

"Nulla si è potuto fare per la sua patologia - dice Marroni - e da tempo la donna attende di essere riportata a Roma perché non c’è personale sufficiente alla traduzione. Oltre al danno - aggiunge - la beffa. In Umbria le detenute sono chiuse 23 ore su 24 in cella perché non c’è personale". Del resto sono recenti i dati diffusi dai sindacati penitenziari che confermano le croniche carenze d’organico. Solo nel Lazio nei 5 più importanti istituti mancano all’appello oltre 700 agenti fra i quali 237 a Rebibbia Nuovo Complesso, 121 a Regina Coeli e 63 a Rebibbia femminile.

"In estate non vengono garantiti anche i servizi essenziali" dice Alessandra Tibaldi, assessore al Lavoro alla Regione Lazio che due giorni fa ha fatto visita alla casa circondariale di Rebibbia e a Regina Coeli. Racconta di aver constatato che a Regina Coeli 2 camere operatorie, una per chirurgia generale, l’altra per ortopedia, usate per altro solo una volta a settimana, in agosto per il poco personale non funzionano affatto. "Gli agenti - dice Tibaldi - fanno quello che possono, ma d’estate la situazione si aggrava. Si calcola che, a seconda degli istituti, il rapporto tra detenuti e agenti passi da 1 a 50, in altri casi a 1 a 90 e addirittura a 1 a 150".

Per tutti gli addetti l’emergenza estiva in carcere e un drammatico deja vù. Vittorio Antonini di Papillon che sa molto bene quanto grande è il buco in organico delle carceri italiane, avanza una proposta. "Sarebbe opportuno - dice - che il ministero autorizzasse i direttori dei 205 istituti italiani a adottare subito semplici accorgimenti. Penso, a esempio, a posticipare dalle 16 alle 18 l’ora d’aria pomeridiana, che generalmente segue l’orario 13-15, e a lasciare aperte le celle e le sezioni in modo che si allunghino i tempi di socialità. Quest’ultima - precisa Antonini - è una misura già sperimentata senza problemi. Molto utile sarebbe poi, laddove è possibile, lasciare aperte la notte le porte blindate". I benefici sarebbero importanti. "Si tratta - dice ancora l’esponente di Papillon - di dare un minimo di respiro a chi sta in cella. Prolungare le ore di socialità significa prevenire poi episodi autolesionistici alimentati dalla coabitazione di una stessa ristrettissima cella di persone iperattive e di altre depresse". "All’indomani di assestamenti di bilanci - chiede poi Antonini - mi piacerebbe sapere quante risorse finanziarie sono state indirizzate da Regioni, Province e Comuni per cercare di alleviare i problemi delle carceri italiane". Nel Lazio intanto ci si appresta a approvare una legge di"Interventi a sostegno dei diritti della popolazione detenuta". "Si tratta di attuare - spiega l’assessore Luigi Nieri che oggi presenta la proposta a Rebibbia femminile - tra le altre cose la riforma del ‘99 sulla sanità penitenziaria col passaggio di competenze dal ministero della Giustizia a quello della Salute. Era prevista una sperimentazione in 6 regioni tra cui il Lazio. La giunta Storace - aggiunge Nieri - ha fatto poco e nulla. Si prevede una diretta assunzione di responsabilità del Servizio Sanitario Nazionale e delle Asl. Il tutto in ossequio al principio della universalità delle prestazioni sia per le persone libere che per le detenute". Graziosa Villani

Potenza: domani esponenti di Forza Italia in visita al carcere

 

Basilicata News, 13 agosto 2005

 

L’on. Guido Viceconte, vice ministro alle infrastrutture e commissario regionale di Forza Italia per la Basilicata, insieme al sen. Egidio Ponzo e ai consiglieri regionali Latronico, Pagliuca, Mattia e Lapenna visiterà la Casa Circondariale di Potenza, domenica 14 agosto alle ore 11.00, in segno di attenzione nei riguardi delle persone che soffrono la condizione di detenzione e di tutti gli operatori che hanno cura di mantenere i tratti umani dell’istituzione carceraria. L’on. Viceconte ha sostenuto come "l’iniziativa vuole essere non solo un atto di solidarietà cristiana ed umana e di sensibilità del governo nazionale nei confronti dei problemi del mondo carcerario e della sua funzione sociale, ma anche un preciso segnale di attenzione politica per le problematiche connesse al mondo carcerario. Il nostro augurio è che questo luogo di sofferenza non resti un corpo estraneo alla comunità, ma diventi un centro dove far convergere risorse e attenzioni per migliorare la qualità del lavoro degli operatori e gli itinerari formativi predisposti per i detenuti".

Teramo: un viaggio nelle realtà penitenziarie abruzzesi

 

Il Tempo, 13 agosto 2005

 

Un viaggio nelle realtà penitenziarie abruzzesi per conoscere le condizioni di vita dei detenuti e quelle di lavoro degli operatori. A compierlo, l’assessore regionale alle politiche sociali Elisabetta Mura che dopo aver visitato la casa circondariale e il carcere minorile di L’Aquila, è arrivata ieri a Teramo, al carcere di Castrogno. "Tra i carceri che ho visitato fino ad oggi - ha detto l’assessore Mura dopo la sua visita a Castrogno - quello di Teramo è sicuramente quello dove si registra la situazione peggiore, legata innanzitutto al fatto che la popolazione del carcere è pari quasi al doppio di quella che quest’ultimo può contenere".

A fronte di una capienza massima ottimale di circa 230 detenuti, infatti, nella struttura risultano presenti 347 unità, con un sovraffollamento solo per i reparti maschili di oltre il 75%. Sovraffollamento a cui fa da contraltare il sottodimensionamento dell’organico, con 196 unità sulle 203 previste. "Se pensiamo che l’organico previsto è stimato sulla base di 230 detenuti e che è sottodimensionato anche rispetto a questo parametro - ha continuato l’assessore - è chiaro che ci troviamo di fronte ad una situazione di oggettiva difficoltà sia per i detenuti che per gli operatori". Ma questi non sembrano essere i soli problemi del carcere di Castrogno. Mura, infatti, denuncia anche come la struttura sia stata realizzata su un vecchio progetto degli anni ‘70 e come le sale adibite ai colloqui tra familiari e detenuti non abbiano una capienza adeguata. "Stesso discorso per gli spazi di socializzazione, praticamente inesistenti, e per i cortili destinati all’ora d’aria - ha incalzato - e proprio riguardo quest’ultima va sottolineato che gli orari in cui i detenuti possono usufruirne sono quantomeno bizzarri, soprattutto d’estate, visto che si va dalle 13.30 alle 15.30". Tra le altre problematiche quelle relative al numero di educatori, anche questo sottostimato (ne sono previsti solo 2), e al totale disuso del sistema sanitario del carcere stesso. "Un altro aspetto che importante è che se in Italia il 75% della popolazione carceraria è costituito da extracomunitari e tossicodipendenti - ha aggiunto ancora Mura - nel carcere di Teramo i detenuti tossicodipendenti sono ben 95, pari al 30% del totale. In questo senso, sul carcere vengono spesso scaricati quelli che sono dei veri e propri problemi sociali. Infine, poiché il carcere di Teramo è l’unico in Abruzzo ad essere dotato del "servizio psichiatrico", è qui che vengono concentrati tutti i detenuti con patologie psichiatriche". Da qui l’esigenza di interventi urgenti per migliorare la condizione di vita dei detenuti. "Il mio gruppo consiliare in Regione ha proposto l’istituzione di un garante regionale per le carceri - ha concluso - e se l’amministrazione di Teramo farà, come era stato proposto, un consiglio comunale straordinario all’interno del carcere, sarà contenta se il sindaco vorrà invitarmi".

Alessandria: disfunzioni al nucleo piantonamenti e traduzioni

 

La Stampa, 13 agosto 2005

 

L’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria con una nota firmata dal segretario generale Leo Beneduci, lamenta "reiterate e irrisolte disfunzioni" che vanno a scapito degli agenti in servizio alla Casa di reclusione di San Michele (Alessandria) e chiede il ripristino "delle regole di legittima e trasparente gestione all’interno del nucleo piantonamento e traduzioni". Secondo il segretario esisterebbero irregolarità nella distribuzione dei turni di lavoro e dei servizi, in particolare l’incarico sempre alle stesse persone delle traduzioni più lunghe e penalizzanti, irregolarità "che creano malcontento fra gli agenti che sempre più spesso decidono di rivolgersi al medico".

Secondo il segretario Beneduci si procede con un uso errato degli straordinari e vengono versate indennità previste per i turni a contatto dei detenuti anche a chi espleta altri lavori: "Situazioni improprie che possono configurare responsabilità eventuali in termini di danni all’erario". Il sindacato lamenta infine che sono rimaste "senza effetti e riscontri" le segnalazioni fatte al Provveditorato regionale del Piemonte e in questi giorni ha segnalato la situazione al dottor Giovanni Tinebra, capo della amministrazione penitenziaria. A conoscenza delle disfunzioni lamentate dall’Osapp l’onorevole Sandro Delmastro delle Vedove ha presentato una interrogazione al ministro della Giustizia chiedendo quali provvedimenti intenda adottare "nel caso sia accertato il fondamento delle segnalazioni del sindacato". Dalla direzione del carcere nessuna dichiarazione: "Vi faremo richiamare", è la risposta al telefono. Nessuno l’ha fatto.

Roma: Provincia promuove progetti per formazione detenuti

 

Asca, 13 agosto 2005

 

"La Giunta Gasbarra ha pubblicato un bando per la realizzazione di una serie di progetti per l’educazione permanente della popolazione carceraria adulta presente nelle case di detenzione di Roma e provincia, che rappresenta il 50% di quella di tutto il Lazio. L’idea di base è quella che si ispira alla consapevolezza che il detenuto non debba essere lasciato solo a se stesso, ma debba iniziare, soprattutto attraverso l’istruzione, un percorso di formazione culturale e professionale, per la riconquista della propria dignità, ma anche per un positivo reinserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro".

Lo piega l’assessore provinciale alle Politiche della Scuola, Daniela Monteforte che sostiene la realizzazione di progetti promossi dall’Amministrazione Gasbarra, per l’educazione permanente della popolazione carceraria adulta presente nelle case di detenzione di Roma e provincia. "Grazie al lavoro in sinergia - spiega Monteforte - realizzato con tutti i soggetti istituzionali che operano in tale settore, Provincia e Comune di Roma, l’amministrazione carceraria e le associazioni di volontariato, abbiamo dato una risposta concreta alle reali necessità "dell’universo carcere". In tale contesto sono risultati vincitori del bando, l’associazione il Sol.Co, Consorzio della Cooperazione Sociale di Roma e l’Upter, l’Università della Terza Età, di Civitavecchia".

I progetti sono stati selezionati da una commissione mista, formata da personale dell’assessorato provinciale alle Politiche della Scuola e dai rappresentati dell’amministrazione carceraria. "A Roma - prosegue la Monteforte - in collaborazione con il Sol.Co verranno realizzati corsi per la formazione in informatica, con preparazione in Ecdl, per operatore specializzato per riprese e montaggio digitale e per le tecniche multimediali. A Civitavecchia, invece, con l’Upter verranno proposti ai detenuti tre moduli didattici su corsi di educazione alla salute, al teatro e alla scrittura". "Inoltre - conclude la Monteforte - nell’ambito del Piano cittadino per il Carcere, la Provincia di Roma ha programmato interventi sia nei confronti della popolazione carceraria detenuta, che per quella che sconta la pena nell’area "esterna"con iniziative promosse dagli assessorati ai Servizi Sociali, al Lavoro, alla Cultura, alla Formazione professionale e alle Politiche giovanili".

Libri: l’autobiografia di Lutring, il "solista del mitra", diventa un film

 

La Stampa, 13 agosto 2005

 

Il 1° settembre festeggerà i quarant’anni dal suo arresto, nella periferia parigina, e Gallimard pubblicherà le sue memorie. È Luciano Lutring, 68 anni, il "solista del mitra". La Smith & Wesson l’ha appesa al chiodo da anni, oggi preferisce scrivere libri e dipingere sulle colline del lago Maggiore. Per "le voleur gentilhomme", il ladro gentiluomo, come lo definiva "France Soir" quando raccontava i suoi colpi negli Anni Sessanta, l’autunno promette bene.

"Gallimard ha chiesto di tradurre la mia autobiografia, "Una storia da dimenticare", e il produttore Riccardo Tozzi vuole realizzare uno sceneggiato televisivo sulla mia vita". Lutring ha già in testa il copione: "Un lungo flash back, dopo lo spumante del pranzo di Natale mi addormento e rivedo in sogno la mia vita, dalla prima rapina, quand’ero ragazzo e mia zia mi aveva mandato a pagare la bolletta della luce. Un amico mi aveva regalato una pistola: entro in posta e dopo qualche minuto vedo che l’impiegato non si muove, gli dico di spicciarsi e mentre sto per tirare fuori i quattrini, quello vede la pistola che sporge e mi dà tutto l’incasso. Due milioni, che allora erano soldi, mica gli euro di oggi. Li ho spesi con gli amici in Romagna. Da lì ho iniziato la "carriera"". Nella Milano Anni ‘60 Lutring ruba per amore. "Al night incrocio una ballerina incredibile, la porto a fare un giro in Ferrari, abbiamo fatto l’amore e lei m’ha detto "che macchina splendida". È tua, le ho risposto. Un bel gesto, tanto la Ferrari non era mica mia, l’avevo rubata".

 

Una vita così non può che finire in un film: chi sarà il regista?

"Spero Ricki Tognazzi, perché saprebbe ricostruire bene quegli ambienti e le atmosfere di quegli anni".

 

E chi vorrebbe come protagonista?

"So che si sta pensando a Michele Placido, e secondo me interpreterebbe a meraviglia la mia figura di bandito demodé".

 

Perché fuori moda?

"Perché noi non c’entriamo niente con la malavita di oggi. Avevamo un codice e guai a chi non lo rispettava: niente droga ai ragazzi, amicizia e senso dell’onore ferrei, nessuno avrebbe mai colpito una persona inerme. E poi oggi, chi ruberebbe per galanteria? Quando Yvonne, la mia donna, una vigilia di Natale vide una pelliccia in vetrina in corso Vittorio Emanuele ed esclamò che era meravigliosa, le dissi di andare a casa che avrei parlato col proprietario. Alle 5 del mattino, quando non c’era più nessuno, spaccai la vetrina e le portai la pelliccia".

 

Ha detto che il primo settembre farà festa: possiamo considerarla come la data della sua "conversione"?

"Quel giorno del 1965, dopo una rapina a Parigi, la polizia mi aveva riempito di pallottole ed è stato un caso se non sono morto. Mi hanno arrestato, ma dopo otto anni di carcere è arrivata la grazia del presidente Pompidou e poi in Italia, nel 1977, quella firmata da Leone. A Parigi rapinavo anche tre gioiellerie alla settimana. Entravo elegante, con un mazzo di rose, chiedevo di vedere i gioielli, poi entrava il complice col mitra spianato. Ero talmente insospettabile che è capitato che la commessa chiedesse aiuto a me".

 

Torniamo al film: Placido-Lutring si è addormentato, rivede la sua vita spericolata, e quando si sveglia?

"Quando una guardia della Santè gli batte un colpo sulla spalla: penso che sia arrivato il momento della condanna a morte, invece sono tornato alla realtà, sono le mie due figlie, Natasha e Katiuscia, che mi svegliano perché mi sono addormentato davanti al caminetto".

 

E il film come s’intitolerà?

"Una storia da dimenticare, da mettere definitivamente nella custodia del violino, dove nascondevo lo Sten, il mitra con cui rapinavo banche e gioiellerie".

 

Chi finanzierà il film?

"Non lo so ancora, ma escludo di tornare a rispolverare lo Sten per finanziarlo".

Giustizia: Cento (Verdi); sì a regole più severe su intercettazioni

 

Agi, 13 agosto 2005

 

"Ancora una volta la pubblicazione disinvolta dei verbali delle intercettazioni rischia di violare le garanzie delle persone: siamo perciò d’accordo ad una legge più rigorosa che tuteli la privacy e permetta ai magistrati di poter usufruire di questo importante strumento di indagine".

Lo afferma il vicepresidente della commissione Giustizia, il Verde Paolo Cento, il quale teme, tuttavia, che "la questione delle intercettazioni possa offuscare il vero scandalo che emerge con forza dalle vicende Antonveneta e Unipol, cioè quello delle operazioni finanziarie disinvolte che producono guadagni altissimi per pochi privilegiati e nessun vantaggio per la collettività. È questa la vera questione morale e per questo noi Verdi insistiamo: senza una Tobin Tax che colpisca le rendite, i cittadini non saranno tutelati sul serio dalle operazioni disoneste".

Sassari: "Faradda" in carcere per il cero costruito dai detenuti

 

La Nuova Sardegna, 13 agosto 2005

 

Hanno fatto ballare il candeliere seguendo il ritmo sempre più frenetico imposto dal "tamburinaggiu". Tra gli applausi, hanno portato in trionfo quel cero costruito con le loro mani, dentro quelle mura spesse e impenetrabili, nel cuore della città ma allo stesso tempo lontanissimo. Dentro quel carcere dove il rullo dei tamburi arrivava quasi soffocato, ieri è invece esploso in tutta la sua maestosità. Un candeliere simbolo di un gremio che non esiste, ma che rappresenta una realtà importante e dimenticata: il carcere di San Sebastiano. Eccolo il candeliere dei detenuti, che non sfilerà il 14 agosto, ma che potrà essere ammirato in piazza del Comune, dove sarà esposto da stasera in concomitanza con la cerimonia per l’assegnazione del "Premio della nostalgia".

Che festa dentro il carcere. Che ferragosto indimenticabile per chi ne ha trascorso anche troppi nel silenzio che dentro quelle mura, dietro quelle sbarre diventa ancora più insopportabile. Invece quest’anno è stata festa vera. Nella "rotonda", con il sindaco, gli assessori ai Servizi sociali e alla Cultura, la presidente del consiglio comunale, la presidente della Provincia, padre Salvatore Morittu e padre Ettore, c’erano i quindici protagonisti di questo miracolo, con la direttrice del carcere, Patrizia Incollu, gli emozionatissimi operatori, i collaboratori esterni (Gavino Ciarula, maestro restauratore che ha coordinato la costruzione del candeliere e Gianfranco Larubina, capo candeliere dei Sarti, che ha insegnato i segreti della danza) che hanno collaborato all’incredibile progetto e gli agenti penitenziari. Nei piani superiori, ammassati alle sbarre delle arcate che si affacciano sulla "rotonda", gli altri detenuti di San Sebastiano, che hanno applaudito e incoraggiato i loro rappresentanti, battendo ritmicamente le mani e scandendo i tempi della frenetica danza del candeliere. Grande euforia per il momento speciale, atteso da un anno da quando era stato fatto l’iniziale timido tentativo, sostenuto con convinzione da tutto l’Intergremio, di coinvolgere nella "festha manna" anche i detenuti. Una veloce presentazione dell’iniziativa, la lettura di alcune poesie in sassarese e poi Massimiliano Meloni ha dato il via alla "faradda" dettando con il tamburo i ritmi della festa e chiamando all’impegno gli otto portatori (Michele Pisanu, Marco Senes, Luciano Delias, Giovanni Tola, Antonello Era, Pier Luigi Delias, Claudio Salaris e Massimiliano Usai che hanno lavorato al progetto insieme a Giovanni Pulino, Salvatore Stella, Gian Luigi Usai e Giuseppe Dettori) guidati dal capo candeliere Angelo Razzoli (che alla fine ha pregato i rappresentanti dell’Integremio di consegnare la "bacchetta" dorata al figlioletto che è "capo" di un minicandeliere). Le danze viste chissà quante volte, che qualcuno aveva anche fatto da ragazzino, hanno esaltato la platea, andata in visibilio quando il candeliere è stato girato per qualche minuto da otto esperti portatori guidati dal decano dei capi candeliere: Pietrino Rizzu. Poi, il momento delle premiazioni: il sindaco ha regalato le medaglie coniate dall’orafo Salvatore Puggioni, mentre a tutti gli ospiti sono stati donati piccoli candelieri realizzati dai detenuti.

Roma: il carcere di Rebibbia scoppia, ha il 50% di detenuti in più

 

La Repubblica, 13 agosto 2005

 

Rebibbia casa circondariale, nuovo complesso, 1596 detenuti. Posti disponibili 1070, 526 detenuti in più. Istituto femminile di Rebibbia. Anche qui poche celle: 93 persone in più. Conti che non tornano sulla pelle delle persone, con celle singole che a volte singole non sono.

"Ci sono 374 detenute su 281 posti. In alcune celle convivono fino a 6 donne e in alcune stanze singole devono scontare la pena due persone - ha spiegato Luigi Nieri, assessore regionale al Bilancio, durante la visita realizzata ieri all’istituto femminile assieme ai rappresentanti delle associazioni "Ora d’aria" e "Antigone" -. Il 30 per cento della popolazione carceraria è formato da detenute straniere. Molte di loro hanno poco a che fare con il carcere perché sono qui a causa del circolo vizioso infernale creato dalla legge Bossi-Fini". Di qui l’impegno di Nieri per dare una accelerazione all’iter della proposta di legge regionale presentata da Rifondazione Comunista sui diritti della popolazione detenuta.

Poi i problemi sanitari: "Nell’istituto femminile c’è la sezione "Cellulare" composta da 150 persone - ha aggiunto Laura Astarita, una delle coordinatrici dell’osservatorio Antigone -. In quasi tutte le celle singole ci sono due persone più il water affianco a uno dei due letti. E anche l’infermeria: il carcere non può garantire interventi d’urgenza e non è un ambiente salubre per i malati soprattutto per quelli di cuore che avrebbero bisogno di tranquillità e invece si trovano a vivere con più persone". Una situazione che va a peggiorare con agosto che "è uno dei periodi più complicati per gli istituti penitenziari - ha aggiunto l’assessore - visto che i detenuti sono costretti a sopportare oltre al sovraffollamento anche il caldo. Va poi rivisto l’appalto della mensa. Molte detenute lamentano la qualità del cibo. La società che gestisce la mensa è la stessa che fornisce il sopravitto, cioè il cibo che i carcerati possono comprare autonomamente. Sarebbe più serio se i due servizi fossero gestiti da società diverse". Dall’istituto femminile di Rebibbia al nuovo complesso: qui la situazione peggiora con il 50 per cento in più dei detenuti. Si legge nel rapporto Antigone aggiornato a maggio 2005: "Le celle singole a volte non sono tali. Sono mediamente di circa 3 metri per 1.30 cm, hanno il water con il séparé di legno. I gabinetti nelle stanze multiple sono in maggioranza alla turca, in genere con un muro che li separa dalla cella, dove è inserito anche il piano-cottura". Va un po’ meglio al Regina Coeli dove secondo il rapporto Antigone ci sono 920 detenuti per 907 posti disponibili.

Taranto: 19 detenute in permesso per una sfilata di moda

 

La Repubblica, 13 agosto 2005

 

Diciannove donne indosseranno alcune loro creazioni di moda il 17 agosto. Non attraverseranno la passerella con lo sguardo sicuro e l’ampia falcata delle top model. E magari non saranno neanche delle stanghe anoressiche imperticate su alti tacchi a spillo, ma le 19 detenute del carcere di Taranto il prossimo 17 agosto, avranno lo stesso la loro giornata di gloria. Un esempio per tutti coloro che credono fermamente, e a ragione, che il carcere sia innanzi tutto un luogo di rieducazione.

Le detenute attraverseranno quella benedetta passerella, sfilando verso la libertà. Molte avranno davanti ancora tanta galera ma questa serata sotto i riflettori, di sicuro, renderà meno incerto il loro domani. Rieducazione la chiamano, ma nelle sovraffollate carceri italiane questa rimane spesso un’utopia. Per loro no: mostreranno con orgoglio gli abiti realizzati durante il corso di formazione, organizzato dall’Associazione delle Consigliere della parità. "Fuori moda" è il titolo della manifestazione che si terrà a Campomarino, ma non preparatevi ad assistere alla performance di 19 "dilettanti galeotte allo sbaraglio". Le stiliste detenute si fregiano tutte del titolo professionale di "tecnico di modellistica e confezionamento". Per preparasi alla sfilata hanno dovuto seguire non solo dei corsi di carattere tecnico - applicativo, ma anche insegnamenti propedeutici all’inserimento nel mondo del lavoro, con nozioni giuridico - economiche e seminari sul tema dei diritti di parità. Abbastanza per sperare che le 19 protagoniste di Campomarino, dopo il carcere, possano diventare delle provette "modelle di vita".

Firenze: la storia di Marco, homeless, 30 anni e troppi errori

 

La Repubblica, 13 agosto 2005

 

I carabinieri lo hanno sentito ma lo hanno lasciato lì in attesa di una soluzione. È uscito dal carcere, dove è riuscito a disintossicarsi, un anno fa. Ormai in ospedale tutti lo conoscono e molti lo aiutano, ad esempio permettendogli di usare il bagno.

Tre paia di scarpe in fila accanto al letto, una sveglia, i Topolino da leggere. Le magliette ad asciugare su un filo, un paio di scatoloni con dentro i vestiti. Marco vive sul tetto di Ponte a Niccheri. Da cinque mesi sale e scende tutti i giorni la scala antincendio del padiglione di ingresso dell’ ospedale. Una piccola lastra di cemento ripara il suo giaciglio, ma quando la pioggia è deviata dal vento l’ acqua gli arriva addosso, come la notte scorsa. Il tetto è pulitissimo. Chi si affaccia dai reparti di degenza, che stanno in una costruzione più alta, lo vede spazzare, stendere il bucato e mettere in ordine le sue cose.

Alcuni visitatori restano di stucco di fronte a quella figura mingherlina che vive là sopra, gli sembra impossibile, ma il personale dell’ ospedale non ci fa più caso. Ormai lo conoscono, qualcuno gli dà una mano, ad esempio permettendogli di usare il bagno. La direzione ha segnalato più volte la sua presenza ai carabinieri della stazione vicina all’ ospedale, più che altro per sapere come comportarsi. Due militari hanno parlato a lungo con Marco. "Non rubi e non ti droghi? Allora non dai fastidio a nessuno. Puoi restare". Hanno deciso di lasciarlo lì, in attesa che si riesca a trovare una via d’uscita. Lui ricambia la tolleranza come può.

E non solo cercando di essere meno invadente possibile. Tempo fa nella mensa di Ponte a Niccheri hanno trovato un bigliettino in cui ringraziava tutti quanti per l’ ospitalità, e chiedeva scusa per il disturbo. "Venite, accomodatevi che vi racconto la mia storia". Marco arriva all’ultimo piano della scala antincendio verso l’ una e mezzo, in mano un sacchetto di plastica con l’acqua e il cibo per il pranzo. Addosso t-shirt e pantaloni corti. Trentadue anni e lo sguardo un po’ intimorito. "L’importante è che non facciate il mio cognome. Non voglio dare problemi ai miei". Fa presto a raccontare come una vita può prendere una piega invece che un’ altra. Come errori e debolezze l’hanno fatto finire in cima ad un tetto a trent’anni. "Sono uscito dal carcere un anno fa. Sono stato dentro tre anni per furti e altri reati legati alla tossicodipendenza.

Mi sono venuti a prendere al lavoro, quando le sentenze sono diventate definitive". All’inizio Marco è tornato a casa dal padre. "In carcere ero riuscito a disintossicarmi. Ho lavorato fino a gennaio come lavapiatti in un ristorante di Firenze. Tutte le notti tornavo a casa mia, all’ inizio del Chianti, con il motorino cinquanta del babbo. Ma era dura. È difficile riadattarsi alla vita quando si esce dal carcere. Ero isolato e non reggevo quella solitudine, così quando un giorno al paese ho incrociato un vecchio amico l’ho seguito e ci sono ricascato".

Iniziano mesi di eroina e notti a dormire in giro, dove capita. "Non volevo creare difficoltà alla mia famiglia e ho detto al babbo che me ne andavo". Ma il periodo della droga non è durato molto, Marco a marzo decide di disintossicarsi di nuovo e va al Sert di Ponte a Niccheri. Non può tornare a casa, è solo e non sa dove dormire. Così sale le scale antincendio dell’ospedale. Per un po’ dorme al penultimo piano, in un bagno dismesso. Poi, quando iniziano i lavori per le sale operatorie gli chiedono di spostarsi perché c’ è da aprire il cantiere. Qualcuno pensa che se ne sia andato, ma lui ha solo salito un altro paio di rampe, e si è sistemato sul tetto.

Adesso è qui, nel piccolo spazio di due metri per uno e mezzo che si è ricavato sul tetto. Pulito, ordinato e con i vestiti ben tenuti, sembra più un campeggiatore che un clochard. La piccola sveglia bianca accanto al letto - un materasso appoggiato su un pancale di legno e coperto da un sacco a pelo - punta le 5.30. "Mi sveglio a quell’ ora tutte le mattine - racconta - Il Ser.T. mi ha trovato un lavoro di quattro ore in una cooperativa sociale alle Cascine. Mi alzo presto e prendo tre autobus per arrivarci e tre per tornare quando ho finito. Tutti i soldi che guadagno li consegno alla dottoressa che mi segue.

Per sicurezza li tiene lei, che mi dà 50 euro alla settimana per mangiare e spostarmi. Oltre che al lavoro vado a trovare mia madre che è ricoverata in clinica, il 15 ad esempio sono a pranzo da lei. Con il babbo non riesco più a parlarci, non me lo passano al telefono. I parenti vogliono che vada in comunità, ma lì ti aiutano a smettere e a prendere ritmi regolari di vita. Io quelli ce li ho già, adesso mi serve una casa. Speriamo che il Sert, magari con l’ aiuto del Comune riesca a sistemarmi per settembre". Dopo pranzo Marco scende a prendere il caffè e le sigarette al bar dell’ospedale. Si muove con la sicurezza di un dipendente, saluta qualcuno con il cenno di una mano. "Con le persone dell’ospedale ho un rapporto eccezionale, non mi hanno mai trattato male. Mi sono organizzato ma è comunque una vita durissima. Certe notti, solo sul tetto, penso alla mia famiglia, ai problemi dei miei genitori, e piango".

Padova: libro-diario fatto dai detenuti della Casa circondariale

 

Il Mattino di Padova, 13 agosto 2005

 

"Cose dell’altro mondo": questo il titolo ironico e provocatorio del piccolo libro illustrato che è stato creato da una quarantina di detenuti della Casa circondariale di Padova. Attraverso disegni e una raccolta di brevi riflessioni nate lo scorso inverno durante i gruppi di discussione pomeridiani, racconta una giornata-tipo in carcere, dal giorno dell’arrivo a quello dell’uscita, descrivendo le abitudini, le attività quotidiane, i pensieri e gli stati d’animo delle persone recluse. "Il numero civico 25/a di via Due Palazzi per molti sembra non esistere" spiega don Marco Girardi, cappellano del carcere. "Eppure è il carcere di Padova, è la porta d’ingresso, il luogo di rieducazione di quella fascia adulta che stenta ad inserirsi nelle dinamiche del vivere sociale fatto di regole e di codici condivisi. Gente "difficile", "socialmente pericolosa" ma non per questo da dover abbandonare in una struttura fatiscente".

L’intensa raccolta si propone di "aprire una finestra su questa realtà a molti sconosciuta, affinché tra le persone di questa città aumenti l’informazione, la consapevolezza e quindi il senso di responsabilità rispetto a questa fascia di popolazione relegata da anni in un triste dimenticatoio". I pensieri raccolti spaziano da "Fumavo una pipa da 200 euro e i migliori tabacchi. Il profumo del tabacco si sentiva da lontano. Le signorine dicevano "che profumo, signore". Adesso non ho più cartine" a "Ho dovuto raccontare una bugia alla bimba che sono a scuola dai poliziotti e che fra un po’ finisco"; oppure "Quando sarò fuori, cercherò di mettere in pratica quanto ho pensato ed elaborato durante la mia detenzione, cercando di ricordare la sofferenza che ho patito nell’aver scelto una vita sbagliata" e ancora "So che dovrò bussare a tante porte, a tante chiese e mi diranno: passa domani".

Gli autori di "Cose dell’altro mondo" fanno parte di quei 240 detenuti che risiedono nella Casa circondariale, in cui sono presenti persone in attesa di giudizio o già condannate con tempi di detenzione minimi. Il carcere - spiega il libro - possiede degli spazi inagibili, come la sala da cinema e la biblioteca, e mette in luce la "carenza di organico per ciò che riguarda soprattutto il lato educatori". Sono quindi le strutture di rieducazione a mancare: una carenza questa che ricade nuovamente sulla popolazione a causa dell’inutilità, a livello formativo, della permanenza in carcere. Per questo il cappellano si è espresso in questi termini: "Fuori nessuno ci aiuta, quindi dobbiamo aiutarci da soli". Così il denaro ricavato dalla vendita dei libri (5 euro l’uno) andrà a sostenere le iniziative di aiuto e accoglienza a beneficio dei detenuti del Circondariale. "Cose dell’altro mondo" è al momento disponibile alla libreria Gregoriana, alle Paoline, da Angoli di Mondo e alla Tortuga. E forse da settembre sarà in vendita anche da Feltrinelli. Alessia Bettin

Padova: incredibile storia, non riesce a farsi incarcerare…

 

Il Mattino di Padova, 13 agosto 2005

 

"Devo scontare almeno dieci anni di carcere, voglio andare in prigione e non mi vogliono. Questa mattina (ieri ndr) mi sono presentato al carcere di Pisa e mi hanno detto che nei miei confronti non c’è alcun mandato di cattura per cui devo ripassare. Non ho nessuno, sono malato e non so cosa fare per curarmi ora la speranza è il carcere". La vicenda di Claudio Frison, 38 anni, di Mira, è paradossale. Con decine di condanne per truffa vuole andare in carcere per curarsi e, nonostante le condanne, non ci riesce. Ha provato diverse volte ma gli è sempre andata male.

Il suo avvocato Luciano Faraon dice: "È la prima volta che un cliente mi chiede di farlo finire in carcere e io cerco di riuscirci. La storia ha dell’incredibile". Si definisce un truffatore. Del resto fino ad ora ha campato così. "Quando sono finito in carcere la prima volta i miei non mi hanno più voluto con loro. Forse in quel momento avevo la voglia di cambiare ma nessuno in realtà mi ha dato una mano. A quel punto ho continuato a vivere facendo truffe. Ne ho fatte tante visto che ho rimediato condanne a Venezia, Novara, Milano e in Toscana", racconta Claudio Frison.

Con gli anni sono cominciate ad arrivare le condanne. In Piemonte, in Lombardia, in Veneto e in Toscana, tanto per citare quelle che l’uomo ricorda. Ma non condanne di qualche mese. Anni e anni di pena che si vanno via via ad accumulare. Un calcolo sommario fatto dall’avvocato Faraon stabilisce in dieci anni la pena che l’uomo deve scontare in carcere. "Questa mattina (ieri) alle 6.30 mi sono presentato al carcere di Siena e ho chiesto di essere carcerato. Il vice ispettore delle guardie carcerarie Giovanni Mercurio ha guardato nel computer per controllare se c’erano degli ordini di carcerazione che mi riguardavano. Ma non ne è ha trovato nemmeno uno".

La guardia carceraria ha inoltre telefonato alle Procure di Milano, Novara e Venezia per capire se c’era la possibilità di far finire dietro alle sbarre Frison, ma niente: non c’è riuscito. Ha pure telefonato all’avvocato Faraon per sapere se lui era a conoscenza dell’esistenza di qualche ordinanza. A quel punto non riuscendoci ha dovuto dire a Frison: "Mi spiace torni un’altra volta" e l’ha mandato via. "Quando mi ha detto così ho pensato di fare pure una rapina. Sono talmente disperato che arriverò anche a questo. Io voglio curarmi ho dei problemi di circolazione alle gambe e il carcere, per me, è l’unica soluzione".

Claudio Frison negli ultimi anni ha girovagato per mezza Europa. Proprio di ritorno dalla Romania, quattro mesi fa, era riuscito a farsi arrestare a Trieste. Si era presentato in carcere e lì sono riusciti a trattenerlo per alcuni giorni proprio mentre era in corso un processo per truffa nei suoi confronti a Venezia. Ma poi i giudici triestini scoprirono che il mandato di cattura che lo riguardava aveva dei vizi procedurali e di conseguenza lo hanno scarcerato. "Stranamente in quel processo mi hanno dichiarato non reperibile. Per di più quando, come pena alternativa, mi hanno affidato ai servizi sociali di Venezia, io sono scomparso. Quindi devo essere considerato un evaso, ma nessun ordine di carcerazione è stato emesso", sottolinea Frison. "Una storia così non mi era mai capitata. Io che cerco di far finire in carcere un mio assistito. Ho chiamato in Procura a Venezia per fare in modo di ottenere un’ordinanza di custodia", racconta l’avvocato Faraon, "Ma niente da fare, mi hanno risposto di chiamare la prossima settimana che forse si riusciva ad ottenere quel benedetto atto. Mi chiedo: ma nessuno mai si è accorto delle condanne passate in giudicato e dei cumuli che Frison ha? A questo punto dovrò scrivere al ministro Roberto Castelli perché faccia qualche cosa".

Sassari: appena uscito dal carcere ruba auto per tornare a casa

 

La Nuova Sardegna, 13 agosto 2005

 

Era appena uscito dal carcere di Isili ma ha pensato bene di rubare un’auto per tornare a casa. Una volta rientrato a Sassari, Giovanni Brilla, trentasei anni, è incappato in un posto di blocco in via Bottego ed è finito nuovamente in carcere. Aveva appena scontato una pena detentiva di un anno per reati contro il patrimonio. È uscito di buon mattino dalla colonia penale di Isili. Era libero ma appiedato, e non sapeva come rientrare in città. Così ha rubato una Fiat Punto per percorre quel centinaio di chilometri. La proprietaria, un’anziana signora, ha fatto subito denuncia. Quando i carabinieri hanno visto Brilla a bordo di un’auto, si sono meravigliati. Pensavano fosse ancora in carcere. Gli hanno chiesto i documenti e hanno controllato la vettura. Immediatamente sono scattate le manette.

Mantova: con legge Bossi-Fini il carcere scoppia di detenuti

 

Gazzetta di Mantova, 13 agosto 2005

 

Centotrenta posti disponibili, fino a 192 i detenuti rinchiusi nelle celle. La casa circondariale di Via Poma scoppia dopo il giro di vite imposto dalla legge Bossi-Fini dopo la strage di Londra. Dietro le sbarre sono finite decine di immigrati clandestini. L’effetto all’interno del carcere è drammatico: i detenuti vivono stipati in dodici in celle che ne conterrebbero a malapena otto, costretti a restare in branda perché non c’è spazio per stare in piedi. E il dirigente del servizio medico del carcere ammette: "É emergenza sanitaria"

 

E in cella aumenta il rischio sanitario

 

Tossicodipendenti, portatori di virus Hiv, malati di epatite, sofferenti di patologie psichiatriche. Un carcere dovraffollato è una bomba dal punto di vista sanitario. "É un’emergenza mai vissuta prima: abbiamo un aumento di tossicodipendenze, di casi di autolesionismo e di richieste di psicofarmaci" spiega il dottor Massimo Bozzeda, dirigente dei servizi sanitari del carcere di via Poma.

L’ingresso massiccio di immigrati, che oggi rappresentano quasi l’80 per cento della popolazione carceraria di via Poma, solleva problemi inediti. Come quello dei detenuti che provengono da zone a rischio e che, nonostante questo, rifiutano i vaccini per la tubercolosi e altre malattie potenzialmente epidemiche. Poi c’è il fatto del sovraffollamento e della mancanza di spazio che stanno provocando un picco di stati ansiosi e di sindromi depressive.

Il servizio medico del carcere fa quello che può. Ad affiancare il dottor Bozzeda ci sono quattro medici di guardia e un sanitario del Sert, il Servizio tossicodipendenze dell’Asl, per i detenuti che hanno problemi di droga e alcol. Con loro ci sono anche uno psichiatra e uno psicologo, che sono però disponibili solo in alcuni giorni della settimana. "La situazione è diventata esplosiva: attualmente seguiamo un centinaio di tossicodipendenti che portano con sé patologie come le epatiti B e C o sono portatori di virus Hiv - spiega il dottor Bozzeda, ormai da quasi vent’anni al lavoro in via Poma - è chiaro che in celle dove vivono gomito a gomito fino a dodici persone aumenta in modo esponenziale il rischio di trasmissione di malattie".

"É una situazione folle - sono ancora parole del medico del carcere - ai detenuti viene tolto tutto, dallo spazio fisico alla dignità di persona: è un caso da Amnesty International. É paradossale il fatto che si facciano un sacco di iniziative per i canili e i rifugi per gli animali. E per luoghi come il carcere, dove i detenuti vivono come bestie?" Assolutamente niente.

 

Caccia alle brande: ne mancavano venti

 

Non c’è un metro quadrato libero. Impossibile fare un passo senza calpestare un materasso, un cuscino o un paio di ciabatte nelle celle del carcere di Via Poma. Qualche giorno fa, quando la casa circondariale ha toccato il suo record storico di capienza con 192 detenuti, il rischio è stato anche quello di non avere un posto letto per gli ultimi arrivati. "Non è stato facile - spiega il direttore Enrico Baraniello - mandarli in altri istituti non possiamo, sono più affollati del nostro. Basti pensare che a Milano c’è gente costretta a dormire per terra. Non avevamo brande per tutti e allora abbiamo chiesto in giro per la Lombardia. Ne abbiamo trovate venti in una casa di reclusione a Brescia. Facciamo quello che possiamo per ridurre il disagio ma è dura".

Le cose sembrano andare meglio per il servizio di mensa, organizzato in modo da offrire un pasto in base alla presenza giornaliera dei detenuti. La situazione è comunque drammatica e rischia di esplodere da un momento all’altro. "I detenuti protestano, ma lo fanno civilmente; non ci sono disordini, almeno per ora..." conclude Baraniello.

Sappe: non dimenticarsi del carcere e della polizia penitenziaria

 

Ansa, 13 agosto 2005

 

"Invitiamo anche quest’anno il ministro della Giustizia Roberto Castelli, il Capo della Polizia Penitenziaria Giovanni Tinebra ed il suo vice Emilio Di Somma, esponenti di maggioranza ed opposizione parlamentare, a portare, il giorno di Ferragosto, la vicinanza e la solidarietà dell’Istituzione penitenziaria e del Governo alle donne ed agli uomini che lavorano, con estreme difficoltà ma con alto senso del dovere e professionalità, nelle carceri del Paese. Un giorno in carcere a portare solidarietà ai poliziotti penitenziari, a chi svolge un lavoro duro, difficile e ancora poco conosciuto".

Propone un "Ferragosto alternativo" la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe alle alte cariche del Ministero della Giustizia, invitate a visitare il 15 di agosto le carceri italiane. Ma l’invito è esteso anche a tutti gli uomini politici, di Governo e opposizione.

"Ogni anno, come da tradizione", spiega il Sappe "nel giorno di Ferragosto le più alte cariche dello Stato si recano presso strutture della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza per dimostrare la solidarietà e la vicinanza delle Istituzioni al prezioso lavoro delle donne e degli uomini delle Forze di Polizia. Quest’anno vorremmo che, proprio nel giorno in cui milioni di italiani trascorrono il Ferragosto nelle spiagge ed in montagna, le forze politiche, il ministro Castelli ed i vertici del Dap dimostrino alle migliaia di poliziotte e poliziotti penitenziari la loro vicinanza ad un lavoro duro, difficile e spesso sconosciuto all’opinione pubblica - come è quello degli appartenenti alla Polizia penitenziaria - recandosi il 15 di agosto nelle prigioni del Paese. Le carceri non vanno in ferie, e non andranno in ferie migliaia di donne e uomini della Polizia Penitenziaria che garantiranno l’ordine e la sicurezza negli istituti 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, Ferragosto compreso". "Serve anche questo:" conclude la segretaria generale del Sappe: "una metaforica pacca sulla spalla che dimostri, a quelle donne e uomini in divisa che lavorano proprio nel giorno tradizionalmente dedicato alle ferie estive, che il Governo e i vertici dell’Amministrazione penitenziaria sono loro vicini, tanto più in un periodo come questo che si caratterizza per un sovraffollamento di detenuti (circa 60 mila) mai registrato prima".

"Alla ripresa dei lavori, Governo e Parlamento dovranno mettere in agenda le priorità vitali per la Polizia Penitenziaria. Tre, in particolare: l’assunzione definitiva degli agenti ausiliari, la riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria, l’adozione di immediati provvedimenti circa il riordino delle carriere del Personale del comparto Sicurezza".

Sono queste le "tre priorità" che il Sappe, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, indica a Governo e Parlamento. "Il primo intervento urgente - comunica il Sappe - riguarda l’incorporamento in ferma definitiva dei circa 500 agenti ausiliari di Polizia Penitenziaria attualmente in servizio, scongiurando quindi l’interruzione dal servizio ed il conseguente licenziamento degli Agenti Ausiliari alla data del 31.12.2005". "Gli altri due sono l’impegno a sostenere e favorire l’iter della legge delega al Governo per il riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di Polizia e la proposta di legge per la riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria presentata alla Camera dei Deputati dal presidente della Commissione Giustizia Pecorella." "La Polizia Penitenziaria - aggiunge il Sappe - ha bisogno di assetti certi, di stabilità e di riorganizzazione, soprattutto nel rapporto con le altre figure penitenziarie ed in particolar modo con i Direttori Penitenziari. Anche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che dirige la gestione nazionale delle carceri, ha esigenza di un nuovo strumento normativo che funga da centro aggregatore di svariati interessi e di professionalità divisi nelle azioni e nei risultati in ambito penitenziario". "E la proposta del presidente Pecorella" conclude la Segreteria Generale del Sindacato più rappresentativo dei Baschi Azzurri "è estremamente importante perché andrebbe a sanare le carenze emerse con la Legge di Riforma del Corpo, la n. 395 del 1990. Prima fra tutte, la prevista costituzione della Direzione generale della Polizia Penitenziaria, passaggio assolutamente fondamentale per il futuro del Corpo."

 

 

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