Rassegna stampa 21 settembre

 

Roma: Regina Coeli, agenti penitenziari in sciopero

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

L’organizzazione sindacale autonoma (Osapp) ha proclamato l’agitazione dopo l’ultimo ferimento di cinque secondini. Il segretario generale, Leo Beneduci: "Situazione drammatica: solo 200 uomini dei 550 necessari per vigilare sui 950 detenuti"

Agenti penitenziari con le braccia conserte: troppo pochi per controllare una struttura come quella di Regina Coeli. Questa la decisione dell’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) in merito allo stato dell’arte del carcere romano. Allo sciopero, dopo quanto accaduto lo scorso 17 agosto quando ebbe luogo una rivolta di parte dei detenuti, si è giunti dopo il ferimento di 5 agenti avvenuto il 18 settembre durante la Notte Bianca.

La situazione è drammatica. Regina Coeli è una polveriera dove la sicurezza è al minimo - afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp -.

Centodieci unità di polizia penitenziaria sono state distaccate in diversi istituti. Perciò, su un totale di 550 agenti che dovrebbero prestare servizio, di fatto ve ne sono solamente 200, con il compito di vigilare su oltre 950 detenuti". Il sindacato di polizia penitenziaria chiede un incremento "immediato" di personale di circa 50 uomini, altrimenti - preannuncia - la prossima settimana gli agenti in servizio a Regina Coeli cominceranno una sorta di sciopero della fame (per la precisione l’astensione dal servizio mensa del carcere). Tra venti giorni, inoltre, il sindacato intende esporre la propria inquietitudine con un sit-in davanti a Montecitorio.

La responsabilità di una situazione del genere - prosegue Beneduci - è sia a livello locale che di amministrazione penitenziaria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è quanto accaduto la notte del 18 settembre, quando in occasione della notte bianca è stato programmato un rinforzo di 60 unità nel carcere di Regina Coeli per garantire la sicurezza durante lo spettacolo teatrale offerto ai detenuti. Nella sezione nuovi giunti, però, contemporaneamente si verificava un fatto grave, vale a dire il ferimento di cinque poliziotti penitenziari da parte di un detenuto romeno armato di punteruolo".

Como: carcere senza conoscerne motivo, ora ai domiciliari

 

La Provincia di Como, 21 settembre 2004

 

Dopo oltre due mesi di detenzione, Giuseppe Sirsi, l’operaio pugliese arrestato lo scorso 7 luglio alla dogana di Ponte Chiasso per una condanna risalente al 1998 che non gli era stata mai notificata, ha potuto fare ritorno a casa. Il magistrato di sorveglianza, accogliendo la richiesta del suo difensore Francesca Binaghi, gli ha accordato la misura alternativa degli arresti domiciliari che, ovviamente, Sirsi non potrà però scontare con la moglie e i quattro figli, che - lo ricordiamo - vivono in Germania. Sirsi è stato comunque accompagnato in Puglia nella casa dei genitori dove oggi lo raggiungeranno i bambini l’ultimo dei quali nato dopo il suo arresto.

La sua vicenda, che aveva creato un certo scalpore, trae origine da un processo di sei anni fa, intentato perché l’uomo non aveva versato l’assegno di mantenimento alla primogenita, nata da un primo matrimonio. Il giudice aveva vincolato la sospensione della pena (sei mesi) al pagamento, entro 60 giorni, di una provvisionale da due milioni di lire. Nessuno lo informò (viveva già all’estero) e lui non pagò con il risultato di essere arrestato sei anni dopo.

Torino: assolti dopo 2 anni di carcere per falso verbale

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Incastrati da un verbale redatto da quattro carabinieri e risultato poi parzialmente falso, due fratelli nigeriani condannati a otto anni e dieci mesi di carcere per spaccio di droga, sono stati assolti ieri dalla Corte d’appello di Torino. Sono tornati in libertà dopo due anni di detenzione.

L’ episodio risale all’ottobre di due anni fa, quando i fratelli furono arrestati, insieme a una connazionale assolta in primo grado, in un appartamento in Lungo Dora Napoli, a Torino. Nel verbale i militari scrissero di avere fatto irruzione nell’alloggio sorprendendo i presunti spacciatori in flagranza di reato, mentre stavano confezionando dosi di cocaina. In realtà è stato accertato - anche grazie alle registrazioni delle telefonate intercorse tra la centrale dei carabinieri e le pattuglie intervenute - che la droga è stata rinvenuta dai militari in una cantina della casa e poi portata nell’appartamento. I giudici di secondo grado hanno così assolto i nigeriani e trasmesso gli atti alla procura perché proceda contro i carabinieri, già trasferiti dal comando di Torino.

Pisa: dopo denuncia radicali scarcerato boss ammalato

 

La Sicilia, 21 settembre 2004

 

Il boss della mafia siracusana Salvatore Bottaro, condannato all’ ergastolo e ricoverato da un mese nel centro clinico del carcere di Pisa per un cancro al pancreas, ha ottenuto gli arresti domiciliari. Lo ha stabilito il Giudice per le Indagini Preliminari di Catania, Antonio Fallone, accogliendo un’istanza del difensore di Bottaro, Luca Blasi.

A darne notizia è Sergio D’Elia, segretario dell’associazione "Nessuno Tocchi Caino" ed esponente della direzione di Radicali Italiani, che proprio una settimana fa aveva sollevato pubblicamente il caso e che considera la decisione del gip "un atto giusto e umanamente rilevante".

Bottaro, 46 anni, da dieci in regime di carcere duro (41 bis), è affetto da cancro al pancreas con compromissione di altri organi interni e lascerà oggi il centro clinico di Pisa, dove era stato trasferito dal supercarcere di Novara. Già il referto del dirigente medico del carcere di Pisa e l’atto di conferma del perito del tribunale di Catania non avevano mostrato dubbi sulla malattia del detenuto, che negli ultimi quattro mesi ha perso 38 chili.

L’ultima parola, dopo che il Magistrato di Sorveglianza di Torino aveva subito disposto la sospensione della pena per motivi di salute, spettava al Gip di Catania competente nel procedimento in corso a Bottaro per associazione mafiosa. Dieci giorni fa, il magistrato della sezione feriale aveva disposto nuove analisi cliniche che il detenuto aveva rifiutato ritenendole - spiega D’Elia - "un accanimento inutile". Per sbloccare la situazione è intervenuto il Gip titolare Fallone che ha modificato la custodia cautelare in arresti domiciliari con la possibilità di ricovero anche in ospedale.

Francia: ex terrorista, oggi rappresentante dei genitori

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Voleva fare la rivoluzione. Ora fa la lotta per la sua libertà, "un diritto acquisito che non può legittimamente essere ritirato", quello di restare in Francia al riparo dal carcere italiano: Roberta Cappelli, 49 anni, ex punta di diamante della colonna romana delle Br, racconta la sua vita di tutti i giorni, moglie, madre, delegata sindacale nella ditta che le dà lavoro e rappresentante dei genitori alla scuola del figlio.

La Cappelli ed Enrico Villimburgo figurano in testa alla lista dei cosiddetti "estradabili", gli ex terroristi degli anni di piombo per i quali il "dopo-Battisti" significa pericolo di estradizione in Italia. Voltata la pagina della cosiddetta "dottrina Mitterrand", sono gli autori di "reati di sangue particolarmente gravi" a scontare per primi le conseguenze del nuovo corso. Roberta Cappelli, in Italia, è stata condannata all’ergastolo nel 1992 per l’assassinio di un agente di polizia, di un generale dei carabinieri e di un commissario.

Per lei, al contrario di Cesare Battisti, l’estradizione è cosa già fatta da tempo, dal gennaio 1995, quando la Corte d’appello di Parigi la autorizzò. Fu unicamente la dottrina Mitterrand, in base alla quale il governo francese non ha mai reso operativa quella decisione, a salvarla dal rimpatrio. Un lavoro da architetto, un marito - Claudio - anche lui coinvolto nella lotta armata, e un figlio di 17 anni, cresciuto in Francia anche se nato a Rebibbia, il carcere romano dove la madre era rinchiusa. Roberta Cappelli, che dalla "svolta" del caso Battisti non ha mai parlato, si è confessata in una lunga intervista al quotidiano più vicino ai fuoriusciti italiani, Liberation.

"All’epoca - racconta - avevamo 15, 16 anni, aderivamo al movimento sovversivo che attraversava da un capo all’altro il nostro paese. L’impegno nelle lotte sociali era totale. Non ci importava nulla dei pericoli personali. Sapevamo di rischiare il carcere e anche la morte, e molti di noi non avevano ancora mai fatto l’amore...lo scontro era radicale, violento da entrambe le parti. Noi volevamo trasformazioni concrete, la rivoluzione.

È soltanto dopo anni di lotta costante e sempre più dura che alcuni di noi fecero la scelta della lotta armata. Non senza immense lacerazioni. Non voglio giustificare l’ingiustificabile, i dolori incurabili. Al contrario, avendo militato nelle Brigate rosse, e al di là della sanzione penale, porto in me questa responsabilità che è al tempo stesso personale e collettiva". La scelta più lacerante, secondo la ricostruzione della Cappelli, è stata quella di lasciare l’Italia per rifugiarsi in Francia: "sapevo che, davanti a me, c’era un’intera vita di prigione.

Tuttavia, la decisione di scappare non è stata semplice. Da una parte c’erano mio figlio e mio marito; dall’altra, non potevo sopportare di lasciare tanti amici in carcere, vivevo male la fortuna che spettava a me, solo a me. Ma Claudio mi diceva: ‘ne vale la pena. Saremo in tre, e saremo più forti’. Sono partita con il peso della mia storia: un peso che porto sempre dentro di me".

Poi, il lungo capitolo - ancora attuale - della vita francese: "non mi son mai nascosta - racconta la Cappelli - prima segnalai la mia presenza alle autorità francesi tramite gli avvocati. Iscrivemmo nostro figlio a scuola, cominciai a lavorare. Baby-sitter all’inizio, poi sfruttai il mio diploma di architetto facendo la colorista per i fumetti.

Nella ditta in cui ero corresponsabile delle vendite fui anche delegata del personale, poi grazie a un decreto del ministero del lavoro diventai consigliere dei dipendenti. Oggi sono anche delegata dei genitori a scuola. Certo, tutto questo sembra un’ironia della storia...". Oggi, i nuovi rischi, la possibilità che la seconda vita di Roberta Cappelli e altri diventi una parentesi: "partire per me non sarebbe soltanto abbandonare tutti i ragazzi che ho visto crescere con mio figlio, i miei amici, questa città, le storie vissute qui. L’esilio, per me, si è trasformato in forza. La forza di un diritto acquisito che non può legittimamente essere ritirato. La libertà - conclude la Cappelli - non ha nulla di astratto: per me, significa essere qui e battermi per restarci".

Raitre: gli "scopini" di Rebibbia a "Il mestiere di vivere"

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Nella puntata de Il mestiere di vivere, in onda domani alle 23.40 su Raitre, sarà trasmessa, con il titolo Gli scopini, la seconda parte di Rebibbia G8. Tutti i pomeriggi in carcere, quando si chiudono le celle, appaiono nei corridoi gli scopini: detenuti che hanno il compito di pulire la sezione carceraria.

Nel corso della puntata saranno raccontate le storie di Felice, che ricorda con nostalgia la moglie e i figli; di Angelo, che racconta la sua condizione di omosessuale e di Marzia, un transessuale brasiliano, che spiega come si vive nella sezione dei trans.

Livia Pomodoro: serve sicurezza solidale, oltre a repressione

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Polizia e prevenzione, ma anche sicurezza solidale: è questo, secondo Livia Pomodoro, presidente del tribunale dei minori di Milano e segretario generale del centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, la ricetta contro i problemi di sicurezza nelle città.

"È molto importante coniugare insieme polizie e prevenzione - ha detto la Pomodoro, nell’ambito di un convegno sulla sicurezza nelle città, organizzato dal consiglio regionale della Lombardia - ma bisogna anche cercare di immettere l’elemento della partecipazione dei cittadini, attraverso una vera apertura alla sicurezza solidale".

"Dobbiamo abituarci a pensare che in una società adulta è necessario che tutti i cittadini facciano la loro parte - ha spiegato la Pomodoro - perché non sempre si può far ricadere su un piano della repressione o della tutela di polizia ogni problema che riguarda le nostre città".

Serve dunque "fare cultura di solidarietà fra i cittadini, per evitare insicurezze che impediscono alla società di crescere - ha concluso - dobbiamo pensare che siamo tutti protagonisti del nostro benessere e credo sia giunto il momento di considerarci una società socialmente adulta".

Giustizia: produttività in crescita, ma deve ancora migliorare

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Nel periodo fra il 1950 e il 1998, anno che precede l’unificazione degli uffici di primo grado, l’organico della magistratura è aumentato dell’ 83%, mentre la produttività nel settore civile è salita del 140% presso le corti di appello e addirittura del 295% negli uffici di primo grado.

È quanto è emerso a conclusione del convegno di Courmayeur "L’Amministrazione della giustizia e la società italiana del 2000", promosso dal Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale in collaborazione con la Fondazione Courmayeur, durante il quale è stato presentata una ricerca complessiva sullo stato della giustizia in Italia.

"Questa fortissima crescita di produttività - ha commentato Luigi Marini del Csm - risulta ancora maggiore se si considera che a partire dagli inizi degli anni "80 si è registrato un progressivo aumento percentuale del numero di magistrati destinati al settore penale".

La crescita della produttività delle preture e dei tribunali non è bastata a fronteggiare la domanda di giustizia, che "dal 1960 e soprattutto fra il 1980 e il 1995 è cresciuta costantemente più della capacità di smaltimento, dando corso all’aumento dell’arretrato che nel 1995 era cresciuto del 594% in corte d’appello e del 759% negli uffici di primo grado".

La ricerca mette poi in evidenza che "con le riforme degli anni 1995-99 la tendenza negativa si è invertita e sembra oggi possibile guardare al futuro con un certo ottimismo". Infatti, nel periodo 1999-2002 i tribunali hanno visto un incremento di produttività del 29% ed una diminuzione dell’arretrato del 20%, "mentre nelle corti di appello un recupero di produttività del 96% non ha impedito all’arretrato di crescere del 143%".

"La magistratura" ha a concluso Luigi Marini - può ancora migliorare la propria organizzazione e l’efficienza complessiva, ma occorre evitare che il sistema rinunci ad aggredire una parte consistente delle cause dei ritardi e si limiti a chiedere più produttività ai magistrati, col rischio di incidere negativamente sulla qualità delle decisioni e sulle garanzie per il cittadino".

Ma Martini ha rimarcato che "il numero altissimo di uffici giudiziari, tribunali e giudici di pace, con dimensioni situate ben al di sotto della soglia minima di efficienza rappresentano un peso ormai insostenibile col crescere delle aspettative di efficienza e con l’aumento delle situazioni di incompatibilità per i magistrati, che ormai interessano tutti i settori dei tribunali".

Martini ha concluso dicendo che "responsabilmente il Consiglio sta varando una circolare più severa sulle incompatibilità di sede, ma sappiamo bene che essa negli uffici di dimensioni ridotte potrà determinare situazioni di ulteriore grave disagio".

Civitavecchia: il carcere di Aurelia rischia di esplodere

 

Il Messaggero, 21 settembre 2004

 

Al carcere di Aurelia è allarme sicurezza. L’aggressione subìta sabato sera da un agente di custodia, colpito da un un violento pugno al naso sferrato da un detenuto che l’ha costretto a ricorrere alle cure dell’ospedale (la prognosi è di venti giorni), ha fatto riesplodere in tutta la sua drammaticità l’insuffcienza di personale.

E Giuseppe Tressanti, direttore del penitenziario, non fa nulla per nasconderlo. Anzi. "Devo ammettere - afferma - che le carenze dell’organico rendono problematica la gestione dell’istituto. Non si può sempre ricorrere alla buona volontà di chi lavora qui dentro. Alla lunga ci si stanca. Tutti". Un’affermazione netta, che non lascia spazio ad interpretazioni e che chiama in causa le responsabilità del ministero di Grazia e Giustizia. "Al quale - si affretta a sottolineare il dirigente - ho più volte fatto presenti per iscritto le necessità del carcere".

Il problema è che da Roma non arriva nessun segnale e che nella struttura, anche a causa del sovraffollamento, la situazione diventa ogni giorno più grave. Ad Aurelia sono infatti ospitati circa 560 reclusi (metà dei quali extracomunitari), mentre il penitenziario era nato per contenerne 250. "Ma a me - interviene ancora Tressanti - non fa paura tanto il numero dei detenuti, che è comunque eccessivo, quanto piuttosto non avere il personale necessario per gestirlo. Faccio un esempio: abbiamo solo due educatori, una figura importantissima in carcere".

Va anche sottolineato che la carenza di organico non è richiamata soltanto dal direttore e dai sindacati, ma è riconosciuta dalla stessa pianta organica approvata dal Ministero che prevede cento unità in più rispetto alle attuali.

"Ma io - precisa Tressanti - non chiedo che me le mandino subito tutte e cento. Me ne basterebbe un terzo per far fronte all’emergenza. Ma quel terzo me lo diano...".

Ad Aurelia ci sono anche altre anomalie. L’istituto, nato per ospitare solo i detenuti in attesa di giudizio, in realtà ha circa 300 reclusi con pene definitive da scontare. Ci sono persino degli ergastolani. Persone più difficili da controllare e che richiederebbero quindi una sorveglianza e un’assistenza all’altezza.

Inoltre c’è il problema della sezione femminile, anch’essa sovraffollata e dove l’insufficienza di organico, se possibile, è ancora più drammatica che in quella maschile. Tanto che il sindacato propone addirittura di chiuderla. "Ma questo - spiega il direttore - non è possibile, perché il nostro carcere femminile è l’unico nel Lazio oltre Rebibbia. Ripeto, basterebbe un po’ di personale in più per gestire meglio detenuti e detenute. Spero che il Ministero ascolti le nostre richieste". Anche perché altrimenti la situazione rischia di diventare davvero ingovernabile.

 

La Cgil/Fp: "Roma dimentica gli istituti della periferia"

 

Sui problemi di organico del carcere di Aurelia e sull’aggressione subìta dall’agente di custodia interviene anche la Cgil funzione pubblica, che non più tardi di due settimane fa aveva proclamato lo stato di agitazione del personale del penitenziario. In una nota di Diego Nunzi, la sigla, oltre ad esprimere solidarietà al sorvegliante ferito, torna ad attaccare il Ministero. "Episodi come quelli di sabato - afferma la Cgil - sono figli dell’esasperazione, causata dal totale disinteresse dell’amministrazione penitenziaria verso le realtà periferiche e verso i lavoratori della polizia penitenziaria in genere, e dalle criticità che i lavoratori vivono quotidianamente all’interno degli istituti". Quindi l’affondo finale. "Riteniamo intollerabile - afferma Nunzi - che simili episodi si verifichino e che l’amministrazione continui ad assistere senza adottare alcun provvedimento in materia di incrementi di organico di polizia penitenziaria, personale amministrativo e addetti al trattamento (psicologi, educatori, etc.)". Solo con i rinforzi, conclude la Cgil, "si potrà ripristinare un regolare andamento delle condizioni di vivibilità all’interno degli istituti di pena del Lazio e di tutto il territorio nazionale".

Catania: il carcere del degrado, intervista al direttore

 

La Sicilia, 21 settembre 2004

 

Già la guardiola all’ingresso, a fugare qualsiasi dubbio residuo, è eloquente. Pareti sporche e scrostate, pannelli elettrici a pezzi, citofoni rotti e incollati col nastro adesivo, pezzi di carta penzolanti dai muri macchiati. Non è il massimo dell’accoglienza, e nemmeno il minimo del decoro. È la casa circondariale di piazza Lanza. Per i familiari e i bambini che varcano questa soglia due volte alla settimana, facendo attenzione a muoversi perché sotto i loro piedi, alle undici del mattino, le addette buttano e spalmano candeggina in quantità, non c’è margine di dubbio: è un carcere, è il luogo storico della punizione, della deprivazione, della bruttezza.

"Ma attenzione - conviene e corregge Rosolino Dioguardi, direttore della Casa circondariale di piazza Lanza solo da luglio e "ancora per poco"- l’ingresso è ancora infelice ma sono in corso dei lavori, la situazione va migliorando".

 

Però i detenuti lamentano il sovraffollamento delle celle, l’esiguità degli spazi per il passeggio, l’assenza del reparto infermeria. Alcuni detenuti hanno dichiarato di occupare in 9 una cella di 3 metri per 4. È vero?

"Il sovraffollamento è reale. Oggi i detenuti sono 395, di cui venti donne, contro una capienza ideale per 230 persone. C’è un margine di tollerabilità consentito, che è quello di 299 detenuti, ma è stato abbondantemente superato, come si vede."

 

Quante persone ospita una cella?

"Difficile dirlo, perché fra i quattro reparti, cioè braccio sinistro, braccio destro, sinistro nuovo e sezione femminile ci sono celle singole, doppie e multiple."

 

Ma ci sono standard nazionali che vanno seguiti. O no?

"Appunto. A ogni persona spettano 9 metri quadri di spazio chiuso, cui si aggiungono altri 5 metri per ogni persona aggiunta. Dunque 14 metri per due persone, e 19 per tre persone. Per alloggiare 4 detenuti insomma occorrerebbe una cella di 24 metri quadri. E non possono stare certamente 9 persone in una cella di 12 metri quadri, come denuncia quel detenuto. In 12 metri quadri può stare, secondo il calcolo, solo una persona e mezzo, dunque al massimo due. Certo, ci sono casi eccezionali. Ma non è possibile qui seguire gli standard".

 

Perché?

"È un problema locale e nazionale. Mancano i fondi dello Stato, qui come in tutta Italia. Il cosiddetto indultino, con la sospensione condizionale della pena, non è servito ad alleggerire le carceri come si pensava. Ai carceri si destinano somme inadeguate. Nonostante questo, nella primavera scorsa è stato consegnato il nuovo braccio sinistro ristrutturato, che ha 30 celle da 2 a 4 posti, tutte con doccia, secondo il nuovo regolamento carcerario. Però è un sollievo limitato, perché intanto è stato chiuso il cosiddetto braccio sinistro nuovo, in fase di restauro. Le pratiche sono allo stato avanzato, i lavori dovrebbero essere ultimati all’inizio del nuovo anno e prevedono un’ottantina di posti regolamentari."

 

E il reparto infermeria?

"È vero che è stato chiuso per lavori, ma sarà riaperto fra pochi giorni".

 

I detenuti lamentano che lo spazio del cosiddetto passeggio per le ore d’aria del pianoterra destro è troppo esiguo.

"Questo è da verificare, a volte la percezione dell’inadeguatezza è un fatto emotivo, ben comprensibile del resto"

 

Cito ancora dalla lettera inviata in redazione da un gruppo di detenuti: "staff medico carente, o non idoneo".

"Al contrario lo staff medico è particolarmente qualificato: un dirigente sanitario e altri 9 medici, di cui 3 in servizio la mattina e uno il pomeriggio, e 3 infermieri. Più 35 operatori esterni tra medici, psicologi, specialisti, infermieri, consulenti o convenzionati."

 

Altra contestazione: i "prezzi sovradimensionati" nella rivendita interna alla Casa.

"L’elenco di prodotti e prezzi viene fornito dalla ditta in modo dettagliato, e una squadra di agenti ne verifica periodicamente la congruità. Certo, è possibile che lo stesso dentifricio in un supermercato cittadino qualche volta costi meno, perché c’è la promozione o il tre per due. Ma questi sono fenomeni comuni del mercato, e d’altronde per questo, al contrario, spesso qualcosa qui costa meno."

 

Infine, la sala colloqui troppo piccola, con quel muro divisorio di un metro e venti.

"Il muro sarà abbattuto secondo il nuovo regolamento. Ma lo spazio è quello regolamentare: è previsto per 3 familiari al massimo per ognuno dei 5 detenuti a colloquio, e invece se ne presentano molti di più".

 

È vero che i detenuti lavoranti non sono pagati da maggio?

"È possibile".

Francia: ex rapinatore diventa avvocato, è polemica

 

Ansa, 21 settembre 2004

 

Da rapinatore ad avvocato. Non è una storia raccontata in un libro, è pura verità. Succede a Nimes, cittadina nel sud della Francia dove una controversa sentenza del tribunale ha abilitato un ex-delinquente ad esercitare la professione di Perry Mason.

Christian Leplanche, 41 anni, fu arrestato nel 1987 e condannato a cinque anni di carcere dalla corte d’assise di Draguignan per due rapine a mano armata. Nel corso di una di queste due rapine, ai danni di un ufficio postale, il neo-avvocato ferì un poliziotto sparandogli a bruciapelo con un fucile a canne mozze. Durante il soggiorno nelle patrie galere si è messo a studiare e ha preso la laurea in legge con il massimo dei voti.

La cosa ha provocato il risentimento di 250 avvocati della città. Così a luglio, con una mozione unanime, l’Ordine degli avvocati di Nimes si è rifiutato di accoglierlo nei suoi ranghi in forza di una norma che esclude dalla professione "gli autori di fatti che abbiano dato luogo a condanne penali per azioni contrarie all’onore, alla probità o al buon costume".

Di parere contrario la Corte d’appello che ha avallato il punto di vista del pubblico ministero, secondo il quale si può parlare di "completa redenzione" nel caso di Leplanche e quindi non gli può essere negato l’accesso alla professione legale.

Venezia: chi sono i veri ladri? quelli "dentro", o quelli "fuori"?

 

Ristretti Orizzonti, 21 settembre 2004

 

Ma chi sono a Venezia i ladri veri: quelli che stanno in carcere o quelli che gestiscono tanti bar e ristoranti?  Qualche volta è difficile capirlo. 

Domenica pomeriggio, Venezia, Riva degli Schiavoni. Ci arriviamo con undici detenuti in permesso premio, di ritorno dall’isola di San Servolo, dove si è appena svolta la festa del Volontariato Penitenziario.

Fa caldo, qualcuno ha sete, ci sediamo in un bar certo non di lusso, con brutte sedie dozzinali in plastica bianca, e come unica attrattiva  la vista sulla laguna. Facciamo la follia (in Italia è proprio una follia) di non controllare il listino prezzi, per altro collocato in posizione strategica, non visibile immediatamente agli incauti clienti.

Il conto è una stangata: sei euro una lattina di the freddo, 8 euro una birretta, 3 euro un caffè, 5 euro una bottiglietta da mezzo litro di acqua minerale.

E’ ben strano, a volte, il confronto tra la realtà del carcere e quella della cosiddetta “società civile”: noi stiamo accompagnando degli “ex ladroni forniti di coscienza”, come alcuni di loro si sono ben definiti, e abbiamo di fronte dei ricchi commercianti del NordEst che gestiscono un caffè a Venezia: siamo così sicuri che “fuori” ci stanno gli onesti e “dentro” i ladri?

 

Ornella Favero, Rossella Favero, Giovanna Chiodarelli, Sabrina Pallaro

 

 

Precedente Home Su Successiva