Rassegna stampa 6 ottobre

 

E se i detenuti non fossero i veri prigionieri?

 

Aprile online, 6 ottobre 2004

 

Nella vita ci accompagnano le nostre passioni. C’è chi ha la "sventura" di viverle profondamente ed intensamente fino ad esserne completamente assorbito. È il caso di Cecco Bellosi e del suo ultimo, intenso, libro "Piccoli gulag. Sentieri ed insidie delle comunità terapeutiche" (Derive Approdi, 2004. 14 euro).

Luca, Valter, Gerry, Adriano, tanti nomi tutti con una storia da raccontare: la loro vita difficile segnata dalla dipendenza da eroina, dagli anni di carcere e comunità. Storie divertenti e amare, dove il filo rosso è l’emozioni umana e; a chi vi trovasse una morale, non è richiesto un supplemento.

"Cecco Bellosi non ha mai nascosto la mano, anche perché ha sempre avuto una forte etica della responsabilità", scrive nell’introduzione il suo amico Sergio Segio. Bellosi, entrato nelle Brigate Rosse quando ormai erano alla deriva, ha scontato anni di carcere diventando, prima operatore sociale e poi, tra i fondatori della Lila (Lega Italiana Lotta Aids). L’autore, da "detenuto politico", in carcere ha scoperto un nemico ben più micidiale dello "stato borghese": l’eroina. Raccontando le tante e diverse storie delle persone incontrate prima in carcere poi in comunità, Bellosi dimostra una coerenza di pensiero e umana sconvolgente. Sin dai tempi della partecipazione al "movimento del ‘77" e poi come operatore sociale in comunità di recupero, il suo obbiettivo è quello di impegnarsi al massimo per avere un mondo migliore. Dalle accanite partite di pallone ("Anche gli invalidi, anche chi non amava il calcio doveva sorbirsi l’esibizione: rifiutarsi di andare al campo da gioco significava esprime uno spirito individualista e anti comunitario"), all’aiuto dato ai "tossici", Bellosi non si risparmia in impegno personale ed umano.

Fa di più, trasforma la sua esperienza di vita ai margini della società, in un’analisi sulla società stessa e di quella degli emarginati non ne tralascia la visione politica. Scrive Bellosi: "Alcuni delegano l’immissione dell’eroina sul mercato ai consueti, perversi disegni del capitale, assecondando le consolatorie sicurezze della tradizione comunista... Pregiudizi imbevuti di ideologia e, in qualche caso, di opportunismo feroce, nessuno di essi tiene conto del potere di attrazione di quella sostanza, devastante e assoluto". Le comunità sono piccoli gulag, se le prigioni sono segregazioni di tempo vuoto, le comunità di recupero non sono altro che imposizioni di tempo pieno, prive di ogni possibile autonomia.

Consigliato a chi non conosce la storia della differenza tra psichiatra, psicanalista e psicologo: "Lo psichiatra è uno che cerca un gatto nero in una stanza buia, lo psicanalista uno cerca un gatto nero che non c’è in una stanza buia, lo psicologo uno cerca un gatto nero che non c’è in una stanza vuota, e lo sa".

Polizia penitenziaria: rinforzi per il carcere di Aurelia

 

Il Messaggero, 6 ottobre 2004

 

Erano quasi un centinaio ieri pomeriggio gli agenti di polizia penitenziaria che hanno dato vita ad una pacifica manifestazione di protesta a piazzale degli Eroi. Gli agenti, alcuni dei quali in compagnia di mogli e figli, hanno voluto portare all’attenzione pubblica l’ormai annoso problema della carenza dell’organico alla struttura di Aurelia. Dopo una settimana di astensione dal servizio mensa, la protesta è scesa in piazza anche con l’aiuto delle organizzazioni sindacali di categoria. In piazzale degli Eroi infatti c’erano referenti di Cgil, Cisl, Uil e uno dei sindacati autonomi.

"Da troppi anni la nostra condizione di lavoro è a livello di emergenza - spiega Diego Nunzi (Cgil Fp) - e di recente si è registrato un peggioramento con sottrazione di personale per destinarlo agli uffici centrali. Oggi siamo qui anche per lamentare il totale disinteresse da parte dei nostri amministratori, dalla direzione del carcere fino al vertice, il ministero di Grazia e Giustizia. Anzi, è proprio il caso di evidenziare l’essenza a questa manifestazione del direttore Tressanti e del nostro comandante". Tra i fattori scatenanti che hanno fatto scendere in piazza ieri gli agenti, ci sono gli ultimi due episodi di aggressioni ad altrettanti colleghi da parte di un detenuto.

"Siamo 230 e dobbiamo gestire 560 reclusi in un carcere che dovrebbe ospitarne non più di 300 - afferma Mattia D’Ambrosio (Cisl) - e con questa evidente carenza d’organico non si possono garantire ordine e disciplina. Per non parlare poi delle sezione femminile dove le agenti sono 9 a fronte di 40 detenute".

Ma la mancanza di personale, che tra l’altro comporta doppi turni e soppressioni dei riposi, non è il solo motivo di malcontento. "Da tre anni - continua Giuseppe Di Franco (Uil) - non percepiamo gli incentivi ed i premi di produzione previsti dalla legge e siamo ancora in attesa del rinnovo del contratto".

Per il 7 intanto è fissato un incontro con il provveditore regionale per portare nuovamente alla sua attenzione i problemi del carcere di Aurelia. Poi lo stato d’agitazione culminerà con una manifestazione nazionale in via Arenula, davanti al ministero.

Guantanamo? Abu Ghraib? Non serve andare così lontano...

 

Il Barbiere della Sera, 6 ottobre 2004

 

Anche qui da noi ci sono storie che meriterebbero di essere raccontate. Se ci fossero più giornalisti e meno strilloni...

Carlo Lupo non si arrende! Ha conosciuto e provato sulla sua pelle le celle di punizione del carcere di Poggioreale. Ladro di stereo e di auto, di Castellammare di Stabia, è entrato e uscito diverse volte, ma non ha mai accettato di perdere la propria dignità di essere umano.

Lupo è stato, in particolare, completamente denudato e picchiato selvaggiamente in un’area del carcere in questione denominata "zero", sinonimo dell’annientamento totale, qualcosa di molto simile alle celle lisce in uso alle Sughere di Livorno, la cui esistenza è stata ammessa persino dalle stesse autorità penitenziarie.

Il metodo consisteva nel percuoterlo violentemente con lenzuola intrise di acqua gelata, da parte di squadrette speciali spesso, ma non sempre, incappucciate per non essere riconosciute. Lupo denunciò tutto questo e fu invitato finanche dall’allora ministro della Giustizia Diliberto a fare i nomi e a portare avanti la sua battaglia, assicurandogli la punizione dei colpevoli.

Lupo lo fa fatto: nomi, cognomi, orari, riconoscimenti fotografici, individuazione di persone: tutto coincideva, in quella data, a quell’ora, effettivamente quell’agente era in servizio in quel determinato posto. Lupo porta e porterà sempre un collare col gesso, perché gli hanno parzialmente leso l’osso del collo e senza collare la testa si reclina in giù.

Si è incatenato diverse volte fuori dal carcere e dal tribunale, è persino salito su una gru con un megafono per chiedere giustizia, sempre con una nutrita rassegna stampa locale e nazionale a ricordare l’orrore subito da lui e da altri detenuti. Puntualmente è stato insultato e deriso dagli agenti della polizia penitenziaria, così come puntualmente gli è stata assicurata giustizia: a distanza di oltre cinque anni dall’accaduto non vi è ancora un responsabile e nemmeno un indagato.

Non l’ho letto su alcun giornale, come mai?

Kenya: 1900 condannati a morte... e nelle carceri si muore

 

Vita, 6 ottobre 2004

 

Nel Paese però non si eseguono impiccagioni dal 1982. Molto più frequente la morte dietro le sbarre. Sono circa 1.900 i condannati a morte nelle prigioni del in Kenya, stando ai dati forniti dalla Commissione Onu per i Diritti Umani al governo keniano, di cui dà notizia oggi il quotidiano Standard. Ma per nessuno di loro si prospetta l’ombra del patibolo, dell’impiccagione, come prevede il codice penale. Le ultime esecuzioni, infatti, avvennero nel 1982, e riguardarono persone coinvolte in un fallito colpo di stato, sulla cui dinamica reale, peraltro, ancora si discute. Comunque, se le condanne a morte fioccano - basta una tentata rapina con ricorso alla violenza per vedersela infliggere, ed i giudici sono severissimi -, sono del tutto teoriche: in Kenya, però, si muore moltissimo in galera, di galera.

La prigione di Meru, nel centro del Paese, ne è divenuto un tragico simbolo quando nei giorni scorsi è emerso che almeno sette prigionieri erano morti nello stesso giorno: cinque picchiati senza pietà perché rifiutavano di entrare in una cella di un metro per due dove già erano stipati 12 prigionieri (i cinque, moribondi, erano stati comunque ‘lanciati’ nel cubicolo, e nessuno ha risposto agli appelli disperati che di lì venivano); gli altri due perché non erano riusciti a respirare in quella bolgia. Ma questo dramma - ora sono stati sospesi direttore e vice del penitenziario - non ha fatto che rendere palese quella che è in realtà la spaventosa condizione normale del carcere di Meru, dove dall’inizio dell’anno alla fine di settembre sono morti, e stando a dati ufficiali, 47 detenuti.

Del resto si tratta di un carcere previsto per circa 150 prigionieri, dove ne erano ammassati oltre 1.400 (ora sono iniziati alcuni trasferimenti) e la cui tenuta sanitaria era garantita da tre infermiere. L’impressione, peraltro, è che quella di Meru non sia una condizione del tutto eccezionale per le carceri keniane (come del resto di buona parte dell’Africa), tutte chiaramente sovraffollate e prive di servizi anche minimi. Non a caso si parla molto di amnistie, o comunque di far uscire i condannati per reati minori (dei cinque morti per bastonatura, tre erano in attesa di giudizio, e due scontavano una pena di tre mesi per contrabbando di alcool contraffatto). Così come di provvedere alla formale commutazione delle sentenze capitali: un’iniziativa del genere era stata presa 18 mesi fa, quando il nuovo governo appena entrato in carica aveva rimesso in libertà 28 persone condannate a morte ed in galera da lustri; e formalmente commutato le sentenze capitali di altri 185.

Osapp: Castelli passi un giorno a Regina Coeli con agenti

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

"Invitiamo il ministro a passare una giornata con gli agenti di polizia penitenziaria a Regina Coeli. Invece delle statistiche che esibisce in base alle quali in Italia ci sarebbe un agente per 1,2 detenuti, il ministro trascorra un pò di tempo con noi: potrà rendersi conto di persona dei rischi che corriamo, visto che a Regina Coeli, di notte, c’è un solo agente per 50 detenuti". A lanciare la sfida al Guardasigilli è Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) che nel carcere romano ha il maggior numero di iscritti tra gli agenti i quali, mercoledì prossimo, faranno per protesta uno sciopero della fame.

Il 6 ottobre a Regina Coeli - il carcere dove lo scorso agosto scorso scoppiò una rivolta tra i detenuti - ci sarà la festa locale del Corpo di polizia penitenziaria, ma gli agenti non parteciperanno ad alcuna celebrazione e non si presenteranno a mensa. Lo stesso copione sarà seguito l’8 ottobre nel carcere di Pescara e il 14 in quello di Tolmezzo. E ancora: prima del 18 ottobre, giorno in cui è preannunciata la ripresa della protesta pacifica dei detenuti che chiedono l’amnistia, l’Osapp intende portare il malcontento e "la forte preoccupazione" dei poliziotti penitenziari davanti a Montecitorio, con un sit-in.

Il sovraffollamento di detenuti va di pari passo - denuncia il sindacato - con la carenza di organico di polizia. "Un esempio per tutti è proprio Regina Coeli, dove attualmente ci sono 950 detenuti (contro un massimo consentito di 700), e dove la sorveglianza diretta è compiuta da soli 220 agenti Infatti - sostiene Beneduci - su un totale di 620 unità in organico, 120 sono impiegate per il servizio traduzioni, altre 180 per servizi amministrativi e 120 sono distaccate in altri istituti o al ministero di Via Arenula". La divisione per turni dei 220 agenti che vigilano sui detenuti - calcola l’Osapp - fa sì che "di notte vi sia un solo agente a controllare una sezione su tre piani": "il conto è presto fatto - conclude Beneduci - a Regina Coeli un solo agente controlla 30-40 detenuti, e di notte anche di più".

Commissione Giustizia Senato: carceri in abbandono da 50 anni

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

Il presidente della commissione Giustizia del Senato Antonino Caruso stila un primo bilancio della condizione delle carceri (dopo aver visitato circa l’80 per cento degli istituti), almeno per l’aspetto logistico, registrando un sostanziale abbandono di quasi tutti gli istituti di pena della penisola negli ultimi 50 anni, seppure con le dovute eccezioni. Ieri e oggi in Friuli Venezia Giulia una delegazione della commissione Giustizia ha visitato le carceri di Pordenone, Tolmezzo e Trieste, dove si è svolto anche un incontro con il presidente del Tribunale di sorveglianza e con l’assessore regionale Roberto Antonaz.

"In un panorama nazionale non proprio edificante - ha commentato Caruso al termine della sua visita - in cui abbiamo trovato i penitenziari di costruzione più recente spesso in condizioni peggiori di quelli più antichi, Trieste ci è apparsa come un modello di efficienza e innovazione: qui la direzione e il personale sono riusciti, nonostante le difficoltà, ad assicurare decorose condizioni di vita ai detenuti e opportunità di reinserimento".

Diversa la situazione di Pordenone, dove il ministero sta completando le procedure di gara per la costruzione di un nuovo carcere in leasing, formula del tutto nuova, in sostituzione del vecchio istituto datato 1850. Diverso, ancora, il caso di Tolmezzo, che sembra gestire al meglio - secondo la commissione - il compito di ospitare 58 detenuti in regime speciale ai sensi del 41 bis.

Al giro d’Italia dei senatori mancano da visitare ormai poche regioni, tra cui Lazio, Sicilia e Marche, con l’obiettivo finale di promuovere per il prossimo anno incontri tra le figure più coinvolte nella gestione penitenziaria, dai Tribunali di sorveglianza, ai direttori delle carceri e ai responsabili del personale. Nel corso dell’incontro con l’assessore Antonaz, sono stati esaminati, in particolare, i temi del lavoro e dell’assistenza sanitaria a favore dei detenuti e la situazione in cui si trovano a operare gli agenti della Polizia Penitenziaria.

Russia: mezzo milione di detenuti soffre di gravi malattie

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

Mezzo milione di detenuti, due terzi dell’intera popolazione carceraria in Russia, soffre di gravi malattie, comprese Aids e tubercolosi. Lo ha riferito oggi il direttore del dipartimento penitenziario del ministero della giustizia russo Vladimir Yalunin. Citato dall’agenzia Interfax, Yalunin ha affermato che "circa 500.000 detenuti sono affetti da varie malattie, comprese malattie che rappresentano una minaccia alla salute pubblica".

Yalunin ha precisato che - su una popolazione carceraria complessiva di 777.000 detenuti - 35.000 sono ammalati di Aids, più di 58.000 sono affetti da tubercolosi, più di 55.000 sono alcolizzati, 86.000 sono tossicodipendenti e più di 120.000 soffrono di disturbi mentali. "Trentamila detenuti che soffrono di tubercolosi - ha ancora precisato il dirigente del ministero della giustizia - vengono rinchiusi ogni anno in carcere. Grazie al miglioramento dei servizi sanitari, il numero di detenuti che soffrono della forma attiva di tubercolosi è stato ridotto da 100.000 a 58.700". Yalunin ha aggiunto che - per contribuire a far fronte all’ emergenza sanitaria nelle carceri russe - la Banca Mondiale ha di recente stanziato 38 milioni di dollari, destinati all’ acquisto di medicinali e di attrezzature radiologiche e di laboratorio.

Suicidio Mercuriali: uccidersi ai domiciliari, ecco i precedenti

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

Quello di Francesco Mercuriali, l’ex primario di Immunoematologia all’ospedale milanese di Niguarda suicidatosi oggi, non è il primo caso di un indagato agli arresti domiciliari che si toglie la vita. I primi episodi risalgono agli anni Novanta, riguardano persone coinvolte nelle inchieste di Tangentopoli, e sono caratterizzate dall’innocenza proclamata dagli inquisiti, verbalmente o in lettere lasciate ai familiari.

Il 9 febbraio 1994, a due anni esatti dall’inizio dell’inchiesta milanese del pool "Mani Pulite", a Lanciano (Chieti) si uccise nella sua abitazione l’ingegner Donato Ricci, 46 anni, ex responsabile dell’ente di formazione professionale Enfap-Uil.

Era stato arrestato il 3 febbraio precedente, con altre 22 persone, nell’ambito di un’inchiesta della magistratura pescarese su presunte tangenti per le convenzioni regionali per il trasporto locale e l’indebito utilizzo di fondi della formazione professionale per corsi "fantasma". Ricci era accusato di concorso in truffa e in falso. Era stato Presidente dell’ Enfap-Uil fino ad un anno prima, poi si era dimesso.

Il suo corpo venne trovato da un vicino di casa, nell’automobile che si trovava nell’autorimessa, con un tubo di un aspirapolvere collegato al tubo di scappamento e all’abitacolo dell’autovettura. Prima di uccidersi, Ricci scrisse quattro lettere, una alle moglie e una a ciascuno dei tre figli, parlando di "vergogna" per il suo arresto, preceduto da un perquisizione domiciliare fatta alla presenza dei figli stessi.

Il 9 luglio successivo fu la volta del maresciallo Agostino Landi, uno dei sottufficiali della Guardia di Finanza indagati per presunti episodi di corruzione nel contesto dell’inchiesta milanese. Landi, 51 anni, si sparò due colpi di pistola in bocca e morì in ospedale. Secondo quanto disse all’epoca il suo legale, mise in atto il proposito di togliersi la vita per il senso di "vergogna" che avrebbe provato al momento di incontrarsi con il Pm Gherardo Colombo, con cui aveva collaborato a lungo.

A dieci anni di distanza, spenta l’eco di Tangentopoli prima di qualche episodio recente, in questo ultimo anno le cronache hanno segnalato due suicidi dopo accuse di molestie sessuali. Il 19 maggio si è tolto la vita a Messina il docente universitario Elio Fanara, 64 anni, ordinario di diritto della navigazione alla Facoltà di Giurisprudenza. Si è suicidato lanciandosi dal balcone del quarto piano della sua abitazione di via Grillo, a circa cento metri dal palazzo di Giustizia.

Era agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza e tentata concussione sessuale nei confronti di 5 dottorande. Il 25 luglio si è ucciso a Parma lo psicologo Paolo Cundo, 57 anni. Dipendente dell’Ausl locale, conosciuto e autore di diverse pubblicazioni, era stato arrestato in maggio dopo la denuncia di tre sue ex pazienti. Si è gettato da un viadotto dell’autostrada A15. In una lettera ha scritto che "era giunto il momento di uscire di scena" e che "non era stato capito il suo metodo".

Suicidio Mercuriali: un giustizialismo senza giustizia

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

"La tragica morte dell’ex primario del Niguarda, Francesco Mercuriali, apre una riflessione profonda sul valore della vita e soprattutto sui motivi che spingono una persona di livello ad abbandonare ogni tipo di speranza. C’è qualcosa che non funziona e qualcuno che in questo sistema ne è responsabile": questo il comento di Maurizio Bernardo, coordinatore cittadino di Fi a Milano e assessore lombardo ai Servizi di Pubblica Utilità, dopo il suicidio del professor Mercuriali, del quale sono in corso i funerali a San Donato Milanese.

"Mercuriali ha osservato Bernardo - ha vissuto una vita intera seguendo la sua vocazione di medico. Una vita spezzata da un momento di disperazione, che qualcosa deve aver scatenato. Siamo tutti uomini e ognuno di noi ha dentro di sè un bene inestimabile, quello dell’umanità. E invece c’è qualcosa o qualcuno in questo contesto socio-politico pronto a rendere tutto, persino i sentimenti più profondi dell’animo umano, uno spettacolo. C’è qualcosa o qualcuno in questo contesto socio-politico che in questi anni ha fatto una scelta, che non è certo quella della pietas o dell’umana comprensione, ma quella della demonizzazione pubblica, del giustizialismo senza giustizia". "Uno stile questo - prosegue Bernardo - che non appartiene alla nostra parte e alla nostra tradizione politica.

Non possiamo dimenticare infatti che il commento dei Ds alla notizia dell’arresto dava per certa la colpevolezza del dottor Mercuriali e cinicamente aggiungeva: "È la punta di un iceberg". Questa non è politica, è sciacallaggio e i tragici fatti lo confermano. A pochissima distanza da un altro suicidio, quello del sindaco di Roccaraso, è evidente che la classe dirigente di questo Paese deve oggi agire nel bene della comunità per la tutela dei cittadini, perchè non ci siano mai più simili dolorose lacerazioni. È inaccettabile conclude Bernardo - lo stile di certi politici abituati più alla gogna che alla ricerca della verità e dell’umana compassione, che come scriveva Foscolo, è la sola virtù. Tutte le altre sono usuraie".

Mandato arresto europeo: Buttiglione, Italia rispetti obblighi

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

In materia di cooperazione giudiziaria "l’Italia deve fare il suo dovere e osservare gli obblighi che le derivano dall’Ue": così il commissario designato alla libertà, giustizia e sicurezza, Rocco Buttiglione ha risposto alle domande di una serie di euroeparlamentari che gli hanno chiesto il suo parere sulla mancata adozione del mandato d’arresto europeo in Italia.

"Mi sono messo in contatto con il presidente del Senato, Marcello Pera - ha detto Buttiglione - a cui ho ribadito questo concetto". Il neo commissario ha indicato di aver ricevuto da Pera sufficienti rassicurazioni sul fatto che entro le prossime settimane le procedure di adozione della misura saranno completate. "Io sono favorevole al recepimento del mandato d’arresto - ha osservato Buttglione - e da ministro mi sono impegnato perché questa misura fosse adottata".

Immigrazione: An rinuncia al reato di ingresso clandestino

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

Luigi Bobbio, relatore del provvedimento che rivede la Bossi-Fini, è orientato a ritirare i suoi emendamenti che prevedono tra l’altro il reato di ingresso clandestino e l’istituzione di un ministero ad hoc per l’immigrazione.

"Sto pensando di attestare la mia posizione su quella della Cdl", dice ai giornalisti Bobbio che dovrebbe formalizzare a breve la sua decisione in vista della riunione di stasera delle Commissioni giustizia e affari costituzionali. Le proposte di modifica (poco più di venti) firmate dal relatore del provvedimento erano state prima annunciate e poi "congelate" a causa di una mancata intesa all’interno delle forze di maggioranza.

Un’intesa che starebbe maturando in queste ore e che prevederebbe una convergenza su un emendamento unico che stabilisce un inasprimento delle pene per il reato di permanenza illegale. Sottoscritto dai quattro capigruppo in Commissione giustizia della Cdl l’emendamento stabilisce in particolare che il reato venga "punito con la reclusione da 1 a 4 anni se l’espulsione è stata disposta per ingresso illegale" o per revoca o annullamento del permesso di soggiorno e da "6 mesi a un anno se l’espulsione è stata disposta per scadenza del permesso da più di 60 giorni".

Radicali: tardi e male il Regolamento della Cassa Ammende

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

"Con quattro anni di tempo, il Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) poteva produrre un testo migliore: in otto articoli abbiamo rilevato almeno altrettanti errori e omissioni gravi". È fortemente critico il giudizio dei Radicali italiani sul regolamento relativo alla Cassa delle ammende, contenente le istruzioni per la presentazione di progetti finanziati complessivamente con 80 milioni di euro per il reinserimento dei detenuti e per dare assistenza economica alle loro famiglie.

Iolanda Casigliani e Giulio Manfredi, del Comitato nazionale radicali italiani, in una nota stigmatizzano il fatto che il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, il 22 luglio scorso, sostenne che il regolamento era stato approvato il 18 febbraio 2004 e che allo stresso tempo erano stati deliberati favorevolmente due progetti denominati Va dove ti porta il cuore e La rete che cura, presentati dal Dap.

"Ma il ministro Castelli già il 4 febbraio scorso, in una dichiarazione all’Ansa - sostengono i radicali - dava per scontato il finanziamento dei due progetti, riguardanti la telemedicina e l’assistenza psichiatrica (7 milioni di euro complessivi).

La cosa strana è che il regolamento è stato emanato solamente il 26 febbraio 2004 ed è stato inoltrato alle Direzioni del Dap, ai Provveditorati regionali e ai direttori delle carceri con lettera circolare del 30 luglio 2004. Come è possibile - chiedono Casigliani e Manfredi- finanziare progetti ancor prima di rendere pubbliche le istruzioni indispensabili per presentare gli stessi?

E come è possibile che il ministro sapesse in anticipo che tali progetti erano stati non solo presentati ma pure finanziati? La ciliegina sulla torta: le competenze in materia di sanità penitenziaria (in cui rientrano i due progetti finanziati) sono state trasferite dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute ben cinque anni fa (D.Lgs. 230 del 1999); inoltre, le finalità della Cassa delle Ammende, chiaramente esplicitate sia nella legge che nel regolamento, sono volte al reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti nonché al sostegno delle loro famiglie... Ma in Italia - concludono i radicali - l’attuazione delle leggi è una variabile dipendente dagli interessi del potente di turno!".

Danzi (Udc): borse di studio per i detenuti - studenti

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

Il senatore Corrado Danzi (Udc) chiederà ai Ministri della Giustizia e della Pubblica istruzione di istituire borse di studio per i detenuti che seguono corsi di studio. Lo ha annunciato lo stesso parlamentare al termine di una visita nel carcere di Matera, durante la quale ha raccolto una sollecitazione di un detenuto.

"Mi farò promotore dell’ iniziativa - ha detto Danzi - sia nei confronti del Governo sia verso enti e associazioni locali. Servirà a rafforzare quanto è stato fatto di recente dal Ministero della Giustizia, che ha stipulato un protocollo con il Ministero del Lavoro per l’inserimento lavorativo dei detenuti".

Danzi, che ha giudicato positivamente gli interventi di riqualificazione in corso nel carcere di Matera, si è impegnato a chiedere il potenziamento degli organici di polizia penitenziaria. I lavori che consentiranno di migliorare l’efficienza della casa circondariale di Matera si concluderanno nella primavera del 2005. Danzi aveva visitato le carceri lucane due anni fa, con altri componenti della Commissione Giustizia.

Polizia Penitenziaria: delegazione ricevuta da vertici Dap

 

Ansa, 6 ottobre 2004

 

L’immediato pagamento del trattamento economico accessorio, l’indisponibilità assoluta a discutere di ipotesi che prevedano tagli sull’ammontare delle somme destinate ai lavoratori e il diretto coinvolgimento nella vicenda del ministro della Giustizia: queste le richieste fatte oggi dai sindacati della polizia penitenziaria Cgil-Cisl-Uil ai vertici del Dap.

La delegazione dei rappresentanti di categoria è stata ricevuta dal vicedirettore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Emilio di Somma, dopo la mattinata di protesta di un centinaio di dipendenti - tra agenti e personale civile - contro il mancato pagamento di prestazioni particolari e delicate svolte negli anni 2002-2003, che equivalgono a una perdita media complessiva di circa 500 euro.

Al ministro Castelli, in particolare, i sindacati rimproverano di essere "inspiegabilmente silente, pur essendo stato già invitato ad aprire un tavolo di confronto sulla materia". Alla base della protesta, ci sono anche la disparità di trattamento rispetto alle altre forze di polizia e la "risibilità" degli aumenti di stipendio che, secondo gli agenti di polizia penitenziaria, "sono insufficienti a garantire il recupero rispetto all’aumento dell’inflazione".

Nel confermare lo stato di agitazione, Cgil-Cisl-Uil valuteranno nei prossimi giorni "se gli impegni concreti assunti nell’occasione dall’amministrazione penitenziaria si tradurranno nei risultati auspicati". In caso contrario, annunciano immediate iniziative di protesta.

Latina: carcere in emergenza, ma i fondi vanno a Rieti

 

Il Messaggero, 6 ottobre 2004

 

La situazione del carcere di Latina è di assoluta emergenza. Una priorità. Il consigliere regionale Fabrizio Cirilli, presidente della commissione Sicurezza della Pisana, lo dice da mesi, ha anche effettuato un sopralluogo nei mesi scorsi in via Aspromonte. "Il lavoro della commissione è andato avanti, tanto che nel frattempo ho visitato la struttura carceraria di Rieti, dove hanno già ottenuto un finanziamento di 16 milioni 371.000 euro per costruire un nuovo penitenziario.

Sono andato a visitare quello attuale per rendermi conto della situazione, per vedere in che condizioni, se effettivamente fosse in condizioni peggiori. Beh, rispetto a quello di Latina è una "bomboniera". Quindi ora si tratta di far inserire la costruzione di un nuovo carcere pontino tra le priorità". Perché, anche volendo, sottolinea il consigliere, la struttura non potrebbe essere adeguata: mancano gli spazi. Per non parlare dei problemi di organico: gli operatori sono costretti a turni massacranti, "lavorano su tre turni anziché quattro come quelli di Rieti, e così c’è un alto tasso di giorni di malattia. Non solo: non riescono neppure a fare alcun tipo di aggiornamento, proprio perché i turni di lavoro non glielo consentono".

La visita di Cirilli al carcere di Rieti non è certo in chiave polemica o campanilistica. "Assolutamente - spiega - era per comprendere la situazione, e la realtà è che non c’è un piano di priorità che riguarda le strutture carcerarie, perché credo che quella di Latina sia veramente un’assoluta emergenza, avrebbe dovuto avere la precedenza rispetto a Rieti quindi". Come mai allora nessuno ha chiesto i finanziamenti? "No, io questo non lo so. So solo che bisogna intervenire e noi ci stiamo adoperando per farlo.

Domani (oggi, cdr), in Consiglio regionale si parlerà del problema delle carceri, io ho chiesto di inserire nell’ordine del giorno che si andrà a votare un paragrafo specifico. In sostanza, visto che la competenza non è regionale, di ribadire il ruolo della Regione in modo che possa intervenire e indicare quali sono le esigenze reali del territorio in materia. Basti pensare che, per quanto riguarda i finanziamenti del governo, il carcere di Latina non è neppure in lista. Per tutti questi motivi abbiamo avvertito la necessità di denunciare questo stato di cose e di intervenire presso tutte le autorità competenti".

Roma: "Cattività" storie fotografiche di uomini in carcere

 

Repubblica, 6 ottobre 2004

 

Una polaroid per scardinare i chiavistelli delle prigioni e svelare i codici della vita carceraria attraverso le storie dei singoli, uomini e donne. "Cattività", la mostra fotografica di Marco Delogu, (a Roma allo Studio Stefania Miscetti, in via delle Mantellate 14, dal 7 ottobre al 6 novembre) è il risultato di un lavoro di cinque anni all’interno del carcere di Rebibbia. Ritratti di carcerati, in bianco e nero e a colori, che come dicono i testi di accompagnamento dello scrittore Edoardo Albinati, catturano "qualche cosa di realmente fedele al significato della loro esistenza".

Sono tutte foto realizzate a Rebibbia - precisa Marco Delogu - ma sono simbolo del carcere in generale, potrebbero essere state fatte in un penitenziario qualunque". Quel che più interessa all’autore è ritrarre "l’equilibrio tra identità dei singoli e rapporti che si creano all’interno della comunità". Come ha già fatto con i suoi lavori sui fantini del Palio, sui cardinali in pensione, o sui compositori, Delogu continua la ricerca sui gruppi di persone unite da forti esperienze o linguaggi comuni.

E quello del carcere è un linguaggio davvero difficile. "All’inizio sembrava quasi impossibile ottenere l’assenso per le fotografie - racconta Delogu - mi ha aiutato l’esperienza fatta nella classe di italiano di Edoardo Albinati, che lavora nel carcere. Alla fine anche i più restii, come il pluriomicida Pierluigi Concutelli e alcuni membri delle Br, hanno acconsentito".

Un ruolo importante l’ha giocato la macchina scelta da Delogu, una polaroid vecchio modello, di quelle ancora a soffietto, che consentono di vedere subito le foto. Il risultato è un insieme di ritratti che vivono con forza dirompente da soli e parlano in modo inequivocabile di un gruppo che ha un destino già segnato. Come scrive Albinati, sono foto di "spiriti piuttosto che uomini, fantasmi di mezza età, mezzi uomini o spettri troppo umani, in tute da jogging, allenati per ottenere il nulla, sepolti prematuri, vecchi senza decoro di vecchiaia. Sembrano nelle foto ciò che sicuramente saranno".

Ravenna: "Libri erranti condivisi" per utenti invisibili

 

Romagna Oggi, 6 ottobre 2004

 

Domenica si celebra l’open-day delle Biblioteche in Romagna e l’occasione è anche un modo per dare spazio ai cosiddetti "utenti invisibili" (leggasi detenuti stranieri) molto spesso dimenticati. In questo contesto, dunque, si inserisce la manifestazione "Libri erranti condivisi" che si dividerà tra gli Istituti di pena di Forlì e Ravenna.

Alle 13 all’interno del complesso forlivese, Stas Gawronski, Ivano Marescotti e Tahar Lamri leggeranno poesie e brani di scrittori italiani e stranieri agli ospiti della Casa Circondariale. Alle 15, invece, a Ravenna, Stas Gawronski, Ivano Marescotti e Tahar Lamri e Oliviero Beha, assieme al musicista gnawa Sid Ahmed, alle autorità civili, militari e religiose, leggeranno e reciteranno brani in diverse lingue, col sottofondo musicale del musicista algerino.

Roma: riflettere sul carcere è possibile, anche ridendo

 

Roma One, 6 ottobre 2004

 

Così come accade per ogni lavoro artistico, anche lo spettacolo teatrale può avere diverse chiavi di lettura. Accade allora che di fronte ad uno stesso testo gli spettatori abbiano reazioni differenti: alcuni individuano spunti di riflessione, altri si sentono coinvolti emotivamente, altri ancora sono solleticati nel buonumore.

Provare a capire quali reazioni scateni "Radiobugliolo", testo in scena al Teatro Sette fino al 16 ottobre, non è semplice proprio perché al suo interno vi si può trovare un po’ di tutto questo. E se è facile comprendere le ragioni per cui alcune battute stuzzicano una piacevole risata, non altrettanto si può dire per la ricerca di quelle che producono schegge di malinconia. È naturale chiedersi perché sia così complesso definire l’insieme delle sensazioni che l’idea del carcere scatena. Si può solo azzardare una risposta: il carcere fa paura. Anche a chi non lo conosce.

Il lavoro, ideato da Salvatore Ferraro e diretto da Michele La Ginestra, è interpretato da una compagine attoriale composta di ex detenuti, artisti sui generis che tentano di creare un ponte fra il mondo dei liberi e l’universo dei reclusi. "Radiobugliolo" nasce proprio con l’ambizione di creare un collegamento fra le due realtà al fine di stimolare una riflessione approfondita sulle tematiche connesse alle pene detentive ed alla criminalità.

Lo spettacolo, con il curioso titolo che prende il nome da tam tam comunicativo serale dei detenuti, prende avvio dall’intromissione di un programma radiofonico nella vita quotidiana di una galera romana. Mediante spot, flash e simpatici intermezzi musicali ondeggianti fra rock, walzer e gospel - ideati da Ferraro ed interpretati dalla rock band di Rebibbia, "I Presi per caso" -, il mondo dei reclusi viene portato a conoscenza di quelli che sono fuori con tutta la durezza del caso.

Ma sarebbe ingeneroso pensare ad un testo pesante. "Radiobugliolo" scorre via piacevolmente, ed i ragazzi sono bravi nell’accattivarsi le simpatie del pubblico. In più, questo riflettore che illumina prepotentemente un microcosmo tanto sconosciuto, ci aiuta a scoprire, o meglio, ad intuire le sensazioni che attraversano i carcerati nei vari momenti della giornata, dall’alba al tramonto.

Bandita dalla pièce ogni presunzione innocentista o colpevolista. Nessuno parla di sé, dei propri reati. Nessuno si commisera in quanto vittima del sistema. Gli attori raccontano la vita della galera lasciando trapelare, non senza amarezza e ferocia, il dolore intrinseco all’esperienza della reclusione.

Non c’è retorica né enfasi. Si trova solo la sobrietà di un racconto che colpisce in profondità. Sarebbe veramente un peccato perdere un’occasione per rifletterci un po’ su.

 

 

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