Rassegna stampa 5 ottobre

 

Roma: cristiani, ebrei e musulmani pregano insieme

 

Redattore Sociale, 5 ottobre 2004

 

A Regina Coeli cristiani, ebrei e musulmani si sono uniti per dire "sì alla pace" in nome di san Francesco d’Assisi. Si è tenuto ieri pomeriggio, presso il carcere romano, un incontro religioso tra i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche e i detenuti. Nel giorno in cui si ricordava la straordinaria figura del Poverello di Assisi, si è voluto un momento di preghiera e di riflessione sulla pace e sulle tristi vicende legate alla violenza e al terrorismo, con particolare riferimento al dramma dei bambini di Beslan, dei sequestri in Iraq e della ricorrenza del terzo anniversario della strage delle Torri Gemelle di New York.

L’incontro è stato promosso all’associazione Vo.re.co (Volontari Regina Coeli), dalla collana editoriale "Quaderni dal Carcere" del Gisca (Gruppo Italiano Scuola Carceraria, associazione che promuove l’istruzione all’interno degli istituti di pena) e dai City Angels Lazio. La grande Rotonda dello storico carcere capitolino, luogo visitato da tre pontefici (Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II), ha accolto un centinaio di detenuti insieme ai rappresentanti delle varie religioni. È stata la prima volta che in carcere avveniva una manifestazione del genere. Sul drappo rosso che fa da fondale alla parete del palco spiccava il quadro di S. Francesco dipinto da Cimabue sulla parete della Basilica inferiore di Assisi.

Tutti i partecipanti si sono stretti idealmente a lui, l’uomo della pace e della fratellanza, capace di parlare all’umanità intera, senza confini di cultura o di religione. Il messaggio del santo ha riecheggiato nelle canzoni del coro dei detenuti: la voce di Cristiano ha diffuso le note di "Fammi strumento di tua pace", "Dolce sentire" e "Laudato sii" accompagnato da Francesco all’organo, da Giovanni al violino e da Nicola al flauto. Dopo il saluto del direttore, Mauro Mariani, hanno preso la parola i rappresentanti delle diverse confessioni religiose, formulando dalla propria angolazione la stessa istanza al centro di ogni religione: Dio non vuole la violenza, la morte dell’altro.

"Dio ci vuole fratelli", ha sottolineato Shawi, marocchino, presidente dei Giovani musulmani in Italia. Ad esso ha fatto eco la voce di Emanuel Fiano e Leonardo Peysachawicz in rappresentanza del movimento giovanile ebraico, che hanno introdotto il loro intervento con la lettura di una poesia di Yehuda Amichai, riportando all’attenzione dei presenti la difficile situazione in Palestina. Elisabeth Maior, dell’Esercito della Salvezza, ha richiamato la tragedia dei bambini dell’Ossezia consumatasi appena un mese fa. Padre Ernesto Piacentini (docente e postulatore), per la parte cattolica, ha commentato il brano della Prima Lettera di Giovanni, dove esplicitamente si fa riferimento all’amore.

Per Roberto Boiardi, direttore di "Quaderni dal Carcere", "si è trattato di un evento singolare per la vita di un penitenziario, vissuto con grande compostezza e attiva partecipazione da parte di tutti. Ci si augura che non rimanga un fatto isolato. Chi sulla propria pelle vive una vicenda di sofferenza, è pronto a farsi carico dei drammi che si vivono nel mondo". Padre Vittorio Trani, cappellano del carcere, che ha guidato la manifestazione, ha sottolineato come simili momenti sono "importanti sia per chi si trova in carcere che per la società civile. Servono ad avvicinare due mondi che spesso sono lontani. Parlare di pace tra le sbarre è come vedere sbocciare un fiore su una roccia. Io credo a questi miracoli. L’uomo, ovunque si trova, rimane aperto alle cose belle e positive della vita".

Per Alessandra Luciani, consigliere del I Municipio e capogruppo della Margherita nell’Amministrazione del "Centro Storico" della capitale, "l’incontro ha rappresentato un momento toccante e profondo quale simbolo dell’importanza del dialogo interreligioso per la costruzione della pace tra gli uomini. Il giorno della ricorrenza di San Francesco è stata la scelta più significativa per portare questo messaggio di amore, unione e di integrazione tra culture e fedi diverse".

Portoferrario: Convegno "Io non ci voglio tornare"

 

Elba Oggi, 5 ottobre 2004

 

Si parla delle problematiche delle carceri italiane, ed in particolare delle difficoltà di reinserimento nella società che incontrano gli ex detenuti che hanno scontato una pena, in questo convengo che si tiene nel fine settimana tra Portoferraio e Pianosa. Tra gli organizzatori c’è l’Associazione Dialogo, un gruppo di volontari molti attivi nel penitenziario di Porto Azzurro

"Io non ci voglio tornare" è la frase che più di frequente ripetono i detenuti quando escono dal carcere a conclusione della loro pena. Ma il percorso di reinserimento che hanno davanti non è così facile come può apparire. Non sempre le istituzioni e la società sono in grado di offrire gli strumenti adeguati, e spesso gli ex detenuti non sono capaci, da soli, di reggere il peso della libertà.

"Io non ci voglio tornare" è il titolo di un convegno sul "Fine Pena" organizzato per questo fine settimana (sabato 2 e domenica 3 ottobre) dall’Associazione "Dialogo" e dalla Conferenza regionale di Volontariato penitenziario, in collaborazione con la Casa di Reclusione di Porto Azzurro e con il patrocinio del Cesvot.

Una due giorni intensa e ricca di importanti presenze del mondo istituzionale, accademico, e del volontariato, che si svolgerà tra Portoferraio e l’isola di Pianosa. Sabato 2 ottobre i lavori si sono aperti alle 9,30 presso il Centro Culturale De Laugier, alla presenza del Vescovo Monsignor Santucci e delle autorità locali. Tema della mattina era "cosa fa il carcere per il reinserimento sociale".

Tra i relatori il direttore del Carcere di Porto Azzurro, Rosario Tortorella, Alessandro Margara, presidente della Fondazione Michelucci, Gaetano De Leo, docente di psicologia giuridica dell’Università La Sapienza, e Livio Ferrari, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Quindi si sono susseguiti interventi e testimonianze di detenuti e di operatori carcerari.

Nel pomeriggio, dopo il buffet, i lavori si sono incentrati sul tema: "Quali strumenti la società e in particolare le istituzioni locali mettono a disposizione dell’ex detenuto". Tra i relatori Domenico Zottola, responsabile dell’area trattamentale e vice presidente della Cooperativa San Giacomo, Salvatore Rigione, responsabile Prap, Luca Massari, responsabile Caritas, e Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti di Firenze.

Per il secondo giorno, ovvero domenica 3 ottobre i lavori del convegno si spostano sull’isola di Pianosa. Domani dunque, nella cornice dell’ex isola penitenziaria, dopo i saluti del vice sindaco di Campo nell’Elba, Enrico Graziani e del commissario del Parco, Ruggero Barbetti, verranno affrontati i temi del "Fine pena per i detenuti stranieri" e del "Fine pena: mai".

Tra i relatori Emilio Santoro, docente di Teoria e Storia del Diritto dell’Università di Firenze, e Fabrizio Callaioli di Amnesty International. Seguiranno interventi e testimonianze di detenuti stranieri e detenuti con ergastolo. Coordinerà i lavori Nunzio Marotti assessore del comune di Portoferraio alle politiche culturali.

Il 18 ottobre protesta pacifica in molte carceri

 

Associazione Papillon, 5 ottobre 2004

 

Il 18 ottobre decine di carceri riprenderanno la parola attraverso la protesta pacifica, proveranno in questo modo a superare quel muro del silenzio e dell’indifferenza che isola oltre 56.000 detenuti e schiaccia i loro diritti e la loro dignità.

Questo muro sembra costruito ad arte dall’intero mondo politico, comprese purtroppo quelle forze parlamentari che formalmente si dicono a noi più vicine. La nostra mobilitazione ha un chiaro segno di classe e si lega, nei fatti, alla lotta contro il clima e la cultura di guerra e l’ulteriore stravolgimento reazionario del diritto (dal diritto costituzionale al diritto del lavoro, dai diritti civili in genere al diritto penitenziario, ecc.).

Ogni istanza di classe può e anzi deve sostenere queste proteste poiché esse sono parte integrante della generale battaglia contro le tante ingiustizie sociali. A tutti chiediamo di organizzare in ogni piccola e grande città delle iniziative per informare i cittadini sulla drammatica realtà delle carceri e delle iniziative di sostegno concreto alle nostre proteste.

La lotta dei detenuti interroga la coscienza delle diverse componenti del movimento, comprese le sue espressioni parlamentari, e da tutte esige risposte chiare e concrete. Nessuno potrà sentirsi assolto per il suo eventuale, ennesimo defilamento. Un abbraccio a tutti e buon lavoro.

Milano: si uccide ex primario inquisito per corruzione

 

L’Opinione on line, 5 ottobre 2004

 

È morto ieri, suicida, Francesco Mercuriali. Si è ucciso in casa infliggendosi una coltellata al cuore. E di colpo sembra essere tornati ai primi anni Novanta quando sotto i colpi di Mani Pulite, gli imputati cadevano come mosche. Tra titoloni dei giornali e linciaggi televisivi. Ex primario dell’ospedale Niguarda, 65 anni, Mercuriali era agli arresti domiciliari da mercoledì scorso perché coinvolto in un’inchiesta per presunte tangenti versatigli da alcune ditte per agevolare le aggiudicazioni di appalti per forniture ospedaliere.

La notizia della morte si è avuta in tarda mattinata dopo che il procuratore capo di Milano Manlio Viminale, si era recato in visita all’ospedale di San Donato Milanese, dove Mercuriali era ricoverato dalla mattina presto, per rendersi conto personalmente delle condizioni del medico. In Procura molti non si spiegano il gesto. La notizia è stata accolta con dolore e sconcerto. Anche perché il professore, secondo quanto dichiarato dal suo legale Massimo Pellicciotta: "Era sereno". O meglio, dato l’epilogo, sembrava. Perché Mercuriali, invece, ha deciso di non voler affrontare l’interrogatorio davanti al Gip di Milano Giovanna Verga, in programma proprio per la mattinata di ieri.

"I fatti contestati non sono illeciti, meritavano di essere spiegati", ha detto l’avvocato Massimo Pellicciotta, tornando a ripetere che il suo cliente era tranquillo e pronto ad affrontare l’interrogatorio con una memoria difensiva che era stata preparata per ieri mattina. "Abbiamo cenato e commentato i risultati delle partite" ha detto l’altro avvocato difensore di Mercuriali, Filippo Gala. Entrambi i difensori hanno spiegato che non hanno nulla da eccepire nei confronti del comportamento da parte di inquirenti e investigatori nei confronti di Mercuriali. Entrambi non sanno spiegarsi il gesto e pensano che probabilmente a spingere la mano di Mercuriali contro se stesso sia stata piuttosto la grave malattia di cui soffriva.

A quanto si apprende il professore era affetto da un tumore al cervello non operabile. Nessuno se la sente di tirare la croce addosso ai magistrati. Manlio Minale, procuratore capo di Milano è apparso estremamente addolorato e commosso, ha detto: "Sono stato in ospedale perché la partecipazione a questo dramma è massima. In questa vicenda la consapevolezza di aver compiuto tutto il nostro dovere non esclude la tristezza profonda per la fine del dottor Mercuriali e il modo drammatico in cui è avvenuta.

La misura cautelare degli arresti domiciliari era di per sé una misura che attenuava il senso della privazione della libertà. Erano arresti - ha aggiunto il procuratore - presso la propria abitazione e con la propria famiglia e quindi il gesto dobbiamo ricondurlo alla profondità dell’animo umano e di percorsi difficilmente decifrabili. La mia visita era dettata dall’impulso di essere vicino a chi lottava con la vita. Questi sono i sentimenti e la posizione della procura. L’adempimento del dovere ci rivela tutta la difficoltà della gestione, ma tale consapevolezza si sposa con una tristezza profonda".

Il procuratore ha anche spiegato che il gesto di Mercuriali è stato di una violenza tale come se fosse stato un aggressore esterno a colpirlo: "Ha agito l’uomo e il medico, ha inserito l’arma profondamente. Non è stata la reazione alla privazione della libertà, c’è qualcosa di più profondo. C’è tristezza e rispetto per una decisione che forse solo i familiari riusciranno a ricostruire pienamente". All’ospedale, in mattinata, a visitare l’ex primario, si era recato anche il ministro della salute Girolamo Sirchia che di Mercuriali era stato amico e collega.

Roma: "Radiobugliolo" racconta le storie dei detenuti

 

Corriere della Sera, 5 ottobre 2004

 

Roma - Teatro Sette, alle ore 21. Via Benevento 23, tel. 06.44236382

 

Va in scena da stasera "Radiobugliolo (flash di vita dalle romane galere)" di Salvatore Ferraro (che fu con Giovanni Scattone al centro del processo per l’omicidio di Marta Russo), per la regia di Michele La Ginestra. Si replica fino al 16 ottobre.

Una radio, per un guasto, si collega con l’interno di una galera romana e racconta le storie dei detenuti. Le canzoni sono firmate dallo stesso Ferraro, arrangiate ed eseguite dal vivo da I Presi per Caso (rock band di Rebibbia). Domani l’incasso della serata sarà devoluto al progetto T7SF Missione Mozambico

Sulmona: su sindaco Roccaraso tre indagini ancora aperte

 

Corriere della Sera, 5 ottobre 2004

 

Sono tre e tutte ancora aperte e senza esito le inchieste avviate per la morte di Camillo Valentini, il sindaco di Roccaraso trovato morto nel carcere di Sulmona la mattina del 16 agosto. Valentini era stato arrestato due giorni prima per una vicenda di concussione. La mattina della sua morte avrebbe dovuto essere interrogato dal gip. La prima inchiesta, in mano alla Procura dell’Aquila, è quella che deve accertare se davvero Camillo Valentini (morto per l’asfissia di un sacchetto di plastica legato al collo dai lacci di scarpe) si sia ucciso o sia stato ucciso. La seconda è un’inchiesta del Consiglio superiore della magistratura sulla Procura di Sulmona, sollecitata anche da una denuncia della figlia di Valentini, Dionne. La terza è invece un’inchiesta amministrativa del Dipartimento amministrazione penitenziaria sul carcere di Sulmona per capire se ci sono responsabilità di omissione di controlli per la morte dell’ex sindaco di Roccaraso.

Sofri: querela da Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

 

Ansa, 5 ottobre 2004

 

Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) ha presentato alla procura di Milano una querela nei confronti di Adriano Sofri per aver "denigrato e offeso il corpo di polizia penitenziaria". Lo ha reso noto la segreteria del sindacato secondo la quale "non è più possibile subire i più farneticanti attacchi da un "signore" condannato e detenuto per gravissimi reati".

Il Sappe, inoltre, chiede "con forza" l’intervento dell’autorità giudiziaria e del ministro della Giustizia Roberto Castelli affinché, si legge in una nota, "venga ridimensionata, se non addirittura vietata, la smisurata cassa di risonanza concessa ingiustificatamente ad Adriano Sofri".

"Non è più tollerabile - prosegue il sindacato - che grazie all’uso di mass-media compiacenti un detenuto condannato definitivamente possa continuare ad offendere lo Stato ed i suoi rappresentanti".

Il Sappe e tutta la polizia penitenziaria con lui, conclude la nota, "si ritiene offeso e vilipeso dalle gravi accuse di "miopia e sciocca cattiveria" indirizzate dal detenuto Sofri al corpo, per il solo fatto che i poliziotti penitenziari (e non "agenti di custodia" o "carcerieri" come ironicamente ci definisce il carcerato) compiono il proprio dovere elevando rapporti disciplinari a detenuti che infrangono il regolamento penitenziario"

I volontari che si battono dalla parte degli ultimi

 

Corriere della Sera, 5 ottobre 2004

 

Il primo appello alla città della carità scattò il 23 dicembre del 1979. Don Luigi di Liegro, che aveva costituito da poco la Caritas diocesana, lanciò un’idea per i fedeli: saltare un pasto e devolvere l’equivalente per i fratelli sofferenti. Il 27 dicembre Di Liegro raccolse invece 50 volontari delle parrocchie romane e li mandò a trascorrere le vacanze natalizie tra i terremotati della Val Nerina. Da quel momento la Caritas era in marcia. Mancavano le strutture permanenti.

La prima nacque per l’Epifania del 1981 in via delle Zoccolette: un Centro ascolto stranieri trasformato poi negli anni in Centro immigrati. La "mensa" dei poveri nacque invece due anni dopo: prima sede in viale Manzoni, con 450 pasti al giorno, poi in via Magenta, infine dov’è oggi a Colle Oppio.

Vent’anni dopo le mese sono diventate cinque: oltre a Colle Oppio (850 pasti al giorno), Ostia, Primavalle, Lungotevere Vallati e via Marsala (650 alla sera). Trascorrono due anni e nasce il primo ricovero notturno per senza dimora. Viene organizzato presso le Suore Francescane e di via della Cisterna a Trastevere. Ogni notte ci dormono in 45. Da quel momento non passa anno senza l’apertura di qualche ricovero, su tre fronti specifici: donne e bambini, minori, amziani.

Le case famiglia sono oggi a Ponte Casilino, in via Quarrata, via Prenestina (due), Grottapinta, via Soria e via delle Nespole. Gli alloggi per "minori" sono invece in via di Torre Spaccata, via Pelizzi, via del Cisternone, via di Torre Gaia e infine Frascati. Per i "minori" del carcere minorile di Casal del Marmo sono stati allestiti laboratori artigianali di pizzeria, falegnameria e tappezzeria.

Il poliambulatorio a Termini effettua 10 mila visite all’anno, ma sul fronte sanitario quella che è destinata a passare come una "prova" capitale sul fronte scosceso di tolleranza e intolleranza è stata l’esperienza lanciata nel 1987 della struttura d’accoglienza per malati di Aids a Villa Glori. La struttura ha resistito alla bufera dell’intolleranza e oggi, riunendo a Villa Glori tre casa famiglia, ospita 25 ammalati.

Questa è la Caritas, con i suoi 500 volontari fissi più quelli saltuari che ingrossano l’esercito del sorriso a quota 1500. In testa ci sono una trentina di persone addette ai "Servizi pastorali", guidate da monsignor Di Tora. Nelle cooperative che tengono in piedi mense e case famiglia lavorano altri 180 addetti. Un milione di euro è il "giro d’affari" annuo di questo esercito della carità.

Ce n’è bisogno? Andatelo a chiedere ai barboni e ai senza fissa dimora di Trastevere che fino a pochissimo tempo fa usufruivano dei servizi del "Barone Rampante", un centro d’accoglienza in via dell’Arenella gestito da una cooperativa sociale.

Tra quelle mura persone che vivono per strada come Oliviero o Massimo trovavano dove fare una doccia, depositare qualche indumento, lavare i propri vestiti. Finché un bel giorno, il 30 settembre, non è spuntato sul cancello sprangato quel cartello che è ancora lì: "Chiuso per convenzione scaduta con il Comune". "Per lavarmi sono dovuto andare lontano, in Prati - commentava ieri sconsolato Massimo, un sardo originario di Cabras, senza dimora - Ma è dall’altra parte della città...".

Ragusa: bisogna trasferire il Ctp in un altro sito

 

La Sicilia, 5 ottobre 2004

 

Il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno con cui chiede una diversa collocazione del Centro di permanenza temporanea per immigrati, rispetto a quella attuale. "Il Consiglio comunale interpretato il sentimento di insicurezza che l’apertura del Cpt di via Colajanni ha ispirato nella popolazione - si legge nell’odg approvato alla fine della seduta del consesso civico di ieri mattina - auspica che la collocazione del Cpta venga individuato in altro sito urbanisticamente più idoneo".

Questa decisione del Consiglio, dunque, conferma, anche se in maniera implicita, la linea dell’opposizione esclusivamente mirata a contestare la riapertura della struttura per motivi di sicurezza, dal momento che non viene esclusa l’ipotesi che venga, appunto, individuata altra struttura in un sito più idoneo.

La linea di opposizione più dura, quella portata avanti da una serie di movimenti politici e di associazioni che contestano l’apertura del Cpt in quanto tale, poiché viene ritenuto al pari di un centro di detenzione per immigrati, continua al di là della presa di posizione del Consiglio comunale (che si oppone alla riapertura del sito di via Colajanni soprattutto per motivi di sicurezza ma non esclude l’insediamento di un Cpt in altri siti, anche nell’ambito del capoluogo).

Da ieri i rappresentanti di questo cartello di associazioni che stanno contestando la decisione del ministero dell’Interno hanno iniziato a fare un’opera di volantinaggio. Lo slogan del movimento unitario è "no al Cpt, né a Ragusa né altrove". I rappresentanti del fronte di contestazione stanno anche coinvolgendo gli istituti scolastici del capoluogo. L’obiettivo è di non consentire l’apertura di qualunque Cpt in qualunque altro sito.

La Cassazione ipoteca la legge Fini, di Elisa Borghi

 

L’Opinione online, 5 ottobre 2004

 

Con una sentenza destinata a fare scalpore, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è legittimo arrestare i tossicodipendenti. I quali, secondo i giudici della Suprema corte, devono invece essere multati perché "la tossicodipendenza, pur costituendo un illecito in caso di acquisto e detenzione di droga, per uso personale non può portare alla privazione della libertà individuale". Il pronunciamento, che nello specifico si applica al caso di Antonio G., un giovane arrestato per spaccio nel dicembre del 2001 e rilasciato a maggio dell’anno successivo dopo aver stabilito che l’eroina che portava con sé era destinata ad uso personale, rischia di ipotecare la legge Fini. Che se fosse stata in vigore avrebbe previsto per quel cittadino da sei a vent’anni di reclusione e il pagamento di una multa di importo variabile fra i 26mila e i 260mila Euro.

Boicottando la legge della maggioranza di governo, la Cassazione promuove invece il ddl sulla droga presentato ieri a Palazzo Madama da alcuni esponenti del centrosinistra. Un disegno di legge che prevede punibilità limitata ai casi di cessione di sostanze stupefacenti a fini di profitto, decreta l’irrilevanza per uso personale e prevede misure alternative alla detenzione per i tossicodipendenti. "L’ultima sentenza della Cassazione rende ancora più attuale il testo del nostro ddl", ha commentato il senatore della Margherita Mario Cavallaro. Spiegando che si tratta di un testo dalla filosofia diametralmente opposta a quella governativa e che "la Cassazione sembra confermare questa linea".

Camera: tortura, prosegue messa a punto della Pdl

 

Asca, 5 ottobre 2004

 

La Commissione Giustizia, impegnata in settimana come tutte le altre Commissioni nell’esame per il parere della finanziaria 2005 e della legge di bilancio, ha da oggi in programma l’ulteriore messa a punto delle proposte di legge che modificano il codice penale per introdurre l’articolo 613-bis con la specifica fattispecie del reato di tortura. Il testo, già delineato la scorsa settimana dal relatore Nino Mormino di F.I. e sul quale si sono già delineati alcuni consensi dei gruppi di opposizione, prevede la reclusione da tre a dodici anni per il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che infligge ad una persona una tortura sottoponendola a gravi sofferenze fisiche o mentali per ottenere la confessione o informazioni su reati. Pena aggravata in caso di gravi menomazioni della vittima o raddoppiata in caso di decesso. Ma non si applicano pene se "le sofferenze siano conseguenze di condotte, misure o sanzioni legittime". Compatibilmente con i tempi di discussione della finanziaria questo provvedimento dovrebbe tornare in aula entro dicembre.

Misure alternative alla detenzione: la stessa Commissione ha oggi in programma una riunione del comitato ristretto che sta lavorando alla definizione di un testo unificato delle numerose Pdl riguardanti la revisione della vigente normativa sull’affidamento ai servizi sociali e le altre misure alternative alla detenzione.

Aurelia: la polizia penitenziaria in protesta

 

Il Messaggero, 5 ottobre 2004

 

"Così non si può proprio continuare. La situazione al carcere di Aurelia è ormai insostenibile e se prima poteva essere un problema di noi agenti di custodia, adesso è un grosso problema per la direzione e il Ministero. E questi due istituzioni debbono affrontarlo al più presto". È con questi problemi e obiettivi che ieri pomeriggio, a piazzale degli Eroi, hanno manifestato circa cento agenti del nuovo carcere della borgata Aurelia, in qualche caso accompagnati da mogli e figli.

Duecentotrenta poliziotti a fronte di 560 reclusi, in una struttura che dovrebbe ospitarne 300. E poi c’è il paradosso della sezione femminile, con 9 poliziotte e 40 detenute. "Con questi numeri - hanno ripetuto tutti i manifestanti - la sicurezza è a rischio e lo dimostrano anche i recenti fatti di cronaca".

Per giovedì è fissato un appuntamento tra le organizzazioni di categoria e il provveditorato regionale del Ministero. E se non ci saranno garanzie su un rapido adeguamento dell’organico la protesta (da circa un mese gli agenti attuano lo "sciopero della mensa") si farà più incisiva e clamorosa.

Treviso: celebrata festa della Polizia Penitenziaria

 

Il Gazzettino, 5 ottobre 2004

 

Il carcere è un posto di frontiera, il confine fra libertà e il suo contrario, il luogo dove le pene diventano anche di chi le fa eseguire, dove tutto sommato è difficile ignorarsi, anche se ci sono le sbarre. Questi concetti sono emersi nella cappella di Baldenich durante la festa del Corpo di polizia penitenziaria. I problemi, tuttavia, sono seri. Non a caso il capo dello Stato, Ciampi, nel suo messaggio di gratitudine della nazione agli agenti ha parlato di situazione complessa e problematica. Non bastano i reparti a cavallo per le carceri aperte, le unità cinofile, le squadre di katate e di vela che si fanno notare, la partecipazione in Kosovo e Irak.

Il ministro della giustizia, Castelli, ha scritto loro che il recupero del patrimonio immobiliare migliorerà la situazione ma che il loro lavoro, tutt’altro che di routine, resta lo strumento principale anche del recupero e della speranza di cui i detenuti hanno bisogno. Sulla formazione ha insistito molto anche il messaggio del direttore del dipartimento, Giovanni Tinebra.

Ma i problemi del carcere devono essere della comunità, ha ricordato la direttrice Immacolata Mannarella. I lavori di ristrutturazione dovrebbero terminare nel 2005 anche grazie al lavoro dei detenuti pagati coi fondi stanziati. Questo non è solo un "cantiere" edilizio, ma un luogo di sperimentazione, di corsi per gli stranieri, di arte, musica, ginnastica, sport, cucina. Oggi il rapporto fra agenti e detenuti è di uno a uno (110), in media con altre case circondariali del nord Italia, ma solo perché il numero della popolazione carceraria è inferiore a causa dei lavori in corso.

Dal vescovo, Giuseppe Andrich, durante l’omelia è venuto un messaggio di riconciliazione quando, ricordando San Basilide patrono degli agenti, ha detto che ogni uomo è degno di rispetto. Gesù era rigoroso nel condannare il male ma generoso nel salvare chi sbaglia. Per coltivare questa visione, ha concluso il cappellano don Carlo Onorini, c’è bisogno della solidarietà di tutti. All’incontro erano presenti il sindaco De Col, il deputato Paniz, il prefetto Cernetig, i vertici di carabinieri, polizia e guardia di finanza.

Venezia: bilancio visite della Commissione Giustizia

 

Il Gazzettino, 5 ottobre 2004

 

Male, soprattutto a Venezia: le carceri venete si allineano alla media nazionale per precarietà della situazione, anzi in alcuni casi stanno largamente al di sotto, cioè peggio. A cominciare da Santa Maria Maggiore, a Venezia.

È critico il giudizio dato da una delegazione della commissione giustizia del Senato (formata dai senatori Borea, Falcier, Baratella e Gaburro), che in questi giorni ha effettuato un sopralluogo nelle carceri venete, nell’ambito di un’indagine attuata in tutta Italia per conoscere la situazione della popolazione carceraria e della polizia penitenziaria, e proporre al ministro iniziative e provvedimenti idonei a migliorare la situazione.

La commissione, che ha incontrato i direttori delle carceri di Venezia, Padova, Vicenza e Verona, rappresentanti della Regione, delle Province e dei Comuni sedi delle carceri, nonché i magistrati di sorveglianza, ha potuto raccogliere il parere di detenuti, rappresentanti del volontariato, di cooperative nonché del personale che opera all’interno delle carceri.

Una prima constatazione riguarda appunto la precaria situazione del carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia, con sovraffollamento di detenuti e la necessità di interventi urgenti, anche per permettere le attività di rieducazione e lavorative che le riforme prevedono ma che sono quasi impossibili, nel caso specifico, per mancanza di spazio.

La situazione, ad avviso del senatore Luciano Falcier, salvo il carcere maschile di Venezia, è migliore di numerosi altri casi presenti in Italia ed ha bisogno, comunque, per ulteriori interventi, non solo di risorse ma di collaborazione fra tutti gli enti interessati e di scelte coraggiose.

Ulteriori esigenze emerse sono relative alla necessità di rafforzare i centri di servizio sociale, vero tramite fra i magistrati e le carceri, nonché alla collaborazione con le unità sanitarie locali e l’aumento e una migliore organizzazione del personale, soprattutto per i servizi di trasferimento, nonché l’individuazione di forme di collaborazione fra il carcere e le altre organizzazioni, per favorire l’inserimento lavorativo e le pene alternative ove possibile e opportuno.

Reggio Calabria: detenuti contro barriere architettoniche

 

Quotidiano di Calabria, 5 ottobre 2004

 

"Siamo veramente felici di poter fare qualcosa per le persone diversamente abili, che troppo spesso vengono dimenticate", dice Pasquale, 31 anni e un sorriso che gli affiora sulle labbra mentre già immagina di poter dare una mano, in concreto, a chi è più sfortunato.

A guardare lui e i suoi compagni in tuta da lavoro, con il casco di protezione in testa, muoversi indaffarati tra sacchi di cemento, pialle, torni e innaffiatoi, sembra di vedere dei normalissimi operai. E in effetti loro passano tutte le giornate a specializzarsi come manovali, falegnami e vivaisti, ma sono detenuti: 40 ragazzi tra i 18 e i 34 anni che qualche mese fa hanno scelto di scontare il loro debito con la giustizia studiando e lavorando "in équipe" con il personale del penitenziario per ottenere un attestato professionale e imparare un mestiere, ma soprattutto per investire su un nuovo futuro e lasciarsi definitivamente alle spalle gli sbagli e i drammi personali.

Qui, al "Luigi Daga", l’Istituto carcerario a custodia attenuata di Laureana di Borrello, è possibile farlo grazie a un programma sperimentale con cui il Ministero della Giustizia e il Provveditorato per il Sistema Penitenziario della Calabria hanno voluto scommettere su un metodo innovativo di "recupero" e "reinserimento nella società" dei giovani detenuti, tirando su da un vecchio carcere mandamentale abbandonato "una casa di pena modello" dove a fare bella mostra non sono le sbarre, che ci sono ma non si vedono, ma piuttosto i laboratori teatrali e di ceramica, le biblioteche, il largo cortile attrezzato all’interno del quale i reclusi hanno la possibilità di muoversi liberamente.

Domenica per i ragazzi del "Luigi Daga" è stata una giornata particolare: a seguirli nel loro lavoro quotidiano per una volta non c’erano solo gli agenti di custodia ma c’erano anche le troupe della televisione e i taccuini dei cronisti, per non parlare delle autorità, dal Presidente del Tribunale di Sorveglianza reggino, Marcello Scordo, al responsabile regionale dei problemi sulla Giustizia, Mario Nasone, dal presidente della Provincia, Fuda, ai sindaci di Laureana e Rosarno, Ceravolo e Saccomanno.

Tanta attenzione per un’occasione importante: la "Giornata Nazionale per l’Abbattimento delle Barriere Architettoniche", nella quale i detenuti di Laureana di Borrello si sono ritagliati un ruolo da protagonisti, aderendo a un progetto formulato dal Fondo Nazionale per l’Abbattimento delle Barriere Architettoniche (Fiaba).

Progetto che nasce dalla volontà di pianificare l’abbattimento graduale degli ostacoli strutturali per i disabili, utilizzando i detenuti, dopo averli opportunamente formati, per il monitoraggio e il successivo "smantellamento fisico" delle barriere esistenti nel Comune di Rosarno, che col Fiaba nel gennaio scorso ha stipulato un’apposita convenzione.

I ragazzi del "Daga" insomma, dopo essere stati qualificati come "istruttori specializzati" avranno la possibilità di uscire per andare a Rosarno e concretizzare i progetti da loro stessi redatti per abbattere le barriere. "È bello essere utili alla società anche da dietro le sbarre", ha detto Adolfo, 34 anni, di cui 11 trascorsi in carcere.

Lecce: inaugurata una sede distaccata del Cssa

 

Gazzetta del Sud, 5 ottobre 2004

 

Anche a Brindisi, da alcuni mesi, è presente un Centro di servizio sociale per adulti, organo periferico dell’Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, il cui compito è la gestione delle misure alternative alla detenzione, quali: affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare.

In attività dal 19 luglio scorso, sotto la direzione di Patrizia Calabrese, responsabile del Cssa di Lecce, è stato inaugurato ufficialmente solo ieri mattina. Hanno partecipato per l’Amministrazione penitenziaria il consigliere Riccardo Turrini Vita, responsabile della Direzione generale dell’esecuzione penale esterna, Rosario Cardillo, provveditore regionale del Dap per la Puglia e il direttore del carcere di Brindisi, Paolo Sagace.

 

 

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