Rassegna stampa 28 ottobre

 

Bari: delegazione di "Antigone" visita la Casa Circondariale

 

Redattore Sociale, 28 ottobre 2004

 

Lo scorso 25 ottobre una delegazione dell’Associazione Antigone ha visitato la Casa Circondariale di Bari per verificare la situazione dell’Istituto, anche alla luce della recente protesta messa in atto dai detenuti di tutta Italia. "I problemi posti in evidenza sia dal personale che dalla popolazione carceraria sono, purtroppo, i soliti: - spiega l’organizzazione - sovraffollamento; insufficiente tutela sanitaria; scarsità delle attività di rieducazione e reinserimento; carenza di personale". La popolazione carceraria barese supera attualmente le 500 unità, a fronte di una capienza regolamentare di 190 detenuti e una tollerabile che arriverebbe a 333 unità. La situazione è aggravata dalla inagibilità, ormai da molti anni, dell’intera IV Sezione, recentemente ristrutturata, ma tuttora inutilizzata. Le celle che dovrebbero essere singole sono invece occupate anche da 12 detenuti, specie nel settore Alta Sicurezza, con spazi vitali inesistenti e gravissime carenze sul piano igienico e sanitario.

"Si tratta di una situazione insostenibile, a maggior ragione se si considera che i detenuti, per il 90% in custodia cautelare, usufruiscono solo di quattro ore d’aria al giorno, - denuncia Antigone - Il Carcere di Bari è l’unico in Puglia dotato di un Centro Clinico, chiuso per lavori di manutenzione e ristrutturazione da oltre due anni; i tempi per l’esecuzione anche degli esami più semplici e per i ricoveri sono inevitabilmente condizionati dalle esigenze di sicurezza e di scorta, mentre è ricorrente la carenza di farmaci. Sono attualmente detenuti oltre 200 tossicodipendenti affidati al Ser.T. che ha un presidio all’interno dell’Istituto. Le attività di rieducazione e reinserimento sono affidate all’opera di soli quattro educatori e un capo area, i quali organizzano, fra mille difficoltà, i corsi di frequenza per la scuola elementare e media. Le attività ricreative sono pressoché inesistenti. La situazione non è molto diversa nella sezione femminile, dove pure non vi è il problema del sovraffollamento".

I detenuti della II sezione della C.C. di Bari hanno aderito con il rifiuto del vitto giornaliero alla manifestazione nazionale cominciata chiedendo tra l’altra la sostituzione dei servizi igienici nelle celle, che sia sostenuta e stimolata la rieducazione e risocializzazione con attività culturali, ricreative e sportive, avvalendosi della partecipazione di privati, delle istituzioni, associazioni, volontari, l’apertura di una sala per la socialità, in questo momento inesistente, il rispetto della graduatoria lavorativa, in modo che si tenga conto dell’anzianità di disoccupazione durante la detenzione, l’apertura di una palestra per contrastare la riduzione del movimento dovuta alla chiusura in cella per 20 ore al giorno e una maggiore attenzione da parte del personale sanitario affinché vengano svolte con normale frequenza le visite specialistiche (dentistiche e radiologiche).

Bari: Antigone denuncia "12 detenuti in una cella singola"

 

La Gazzetta del Mezzogiorno, 28 ottobre 2004

 

Denuncia dell’associazione Antigone, rappresentata dagli avvocati Laforgia e Barile, delle condizioni precarie in cui vivono i detenuti. L’ occasione data dalla visita dell’on. Sasso (Ds) alla casa circondariale di Bari,seguita alla protesta dei reclusi nelle carceri italiane.

"Dodici detenuti rinchiusi in una cella singola". È l’associazione Antigone di Bari a denunciare il fatto, dopo la visita dell’on. diessina Alba Sasso, accompagnata da una delegazione dell’associazione nella casa circondariale del capoluogo pugliese.

"La popolazione carceraria barese supera attualmente le 500 unità (ed è in continuo aumento) – spiegano gli avvocati baresi Michele Laforgia e Tommaso Barile dell’associazione Antigone – a fronte di una capienza regolamentare di 190 detenuti e una tollerabile che arriverebbe a 333 unità. La situazione è aggravata dalla inagibilità, ormai da molti anni, dell’intera IV Sezione, recentemente restaurata, ma tuttora inutilizzata. Le celle che dovrebbero essere singole, sono invece occupate anche da 12 detenuti, specie nel settore Alta Sicurezza, con spazi vitali inesistenti e gravissime carenze sul piano igienico e sanitario".

La visita dell’on. Sasso, seguita alla protesta messa in atto in tutta Italia, spiegano gli avv. Laforgia e Barile, rappresentanti dell’associazione, ha messo in luce i problemi comuni a gran parte degli istituti di pena: sovraffollamento, insufficiente tutela sanitaria, scarsità delle attività di rieducazione e reinserimento e carenza di personale.

"Si tratta – aggiungono – di una situazione insostenibile, a maggior ragione se si considera che i detenuti, per il 90% in custodia cautelare,usufruiscono soltanto di 4 ore d’aria al giorno". "l carcere di Bari – riferisce Antigone – è l’unico in Puglia dotato di un Centro Clinico, chiuso per lavori di manutenzione e ristrutturazione, da oltre 2 anni; i tempi per l’esecuzione anche degli esami più semplici e per i ricoveri sono, dunque, inevitabilmente condizionati dalle esigenze di sicurezza e di scorta, mentre è ricorrente la carenza di farmaci".

Tra i detenuti, sono attualmente 200 i tossicodipendenti affidati al Ser.T. (Servizi pubblici per le tossicodipendenze), che ha un presidio all’interno dell’istituto. "Le attività di rieducazione e reinserimento sono affidate all’opera di solo 4 educatori e un capo area, i quali organizzano, tra mille difficoltà,i corsi di frequenza per la scuola elementare e media. Le attività ricreative sono pressoché inesistenti. La situazione non è molto diversa nella sezione femminile, dove pure non vi è il problema del sovraffollamento"

"In conclusione – secondo l’associazione – anche la situazione del carcere di Bari è gravemente critica e non favorisce né consente, di fatto, alcun percorso di reinserimento; ed è bene ricordare che ogni violazione della dignità e dei diritti dei detenuti si traduce in un fattore criminogeno, che rende meno sicura anche la vita fuori dalle carceri".

Infine Antigone riferisce che rifiutando il vitto giornaliero, i detenuti della II Sezione della casa circondariale di Bari, aderiscono alla manifestazione nazionale cominciata lo scorso 18 ottobre, chiedendo: la sostituzione dei servizi igienici nelle celle e la possibilità di usare le docce. Su 8 docce ne funzionano soltanto 3; l’apertura di un’aula di scuola superiore del primo anno di ragioneria o, quanto meno, l’autorizzazione alla frequenza nella I sezione; l’apertura di una sala per la socialità, in questo momento inesistente; l’apertura di una palestra per contrastare la riduzione del movimento dovuta alla chiusura in cella per 20 ore al giorno.

Bonadonna (Prc): su carceri assordante silenzio del governo

 

Adnkronos, 28 ottobre 2004

 

Piena solidarietà ai detenuti che da lunedì 18 ottobre hanno avviato proteste pacifiche in circa 80 istituti di pena in tutto il Paese è stata espressa dal capogruppo del Prc alla Regione Lazio, Salvatore Bonadonna.

"Mentre le carceri italiane sono ormai al collasso - ha detto Bonadonna nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio - le istituzioni, anche di fronte ad una protesta così ampia, continuano a tacere: in questo senso il silenzio del governo Berlusconi risulta veramente assordante".

Caltanissetta: i parlamentari non hanno parlato con noi...

 

La Sicilia, 28 ottobre 2004

 

"I detenuti del carcere Malaspina non hanno parlato con alcun parlamentare nel corso della recente visita, così come era stato annunciato e poi dichiarato alla fine della visita". Così Alfredo Maffi, responsabile dell’associazione culturale Papillon di Caltanissetta, che si occupa delle problematiche dei detenuti.

Maffi ha annunciato ieri di aver ricevuto una lettera dal carcere Malaspina, dove la scorsa settimana c’è stata la visita di una delegazione della Commissione Giustizia del Senato: "I detenuti del carcere Malaspina - dice Maffi - mi hanno ribadito che non hanno incontrato nessuno, che la situazione al Malaspina non è drammatica relativa al sovraffollamento, ma che rimangono altri gravi problemi tra cui quello delle scarcerazioni anticipate".

Proprio su quest’ultimo argomento, ieri il presidente dell’associazione Papillon ha diffuso una nota in cui vengono rimarcate le richieste che arrivano dai detenuti del carcere Malaspina.

Secondo la nota diffusa da Alfredo Maffi, "l’educatore dell’area trattamentale non è sufficiente, stessa cosa vale per l’assistente sociale". I detenuti chiedono, inoltre, che "con la nuova normativa sulla liberazione anticipata, le richieste dovrebbero essere discusse più velocemente, ma qua a Caltanissetta ci sono persone che aspettano da più di due anni". Un problema, questo, che di recente è stato sollevato anche dagli avvocati della Camera Penale, che hanno consegnato un documento alla delegazione della Commissione Giustizia del Senato che ha visitato diverse strutture carcerarie siciliane, tra cui quella di Caltanissetta e San Cataldo.

"Davanti a ciò che sta accadendo nelle carceri italiane - conclude Maffi - chiediamo a tutte le forze parlamentari di fermarsi un attimo, rendersi conto che la prima riforma del pianeta Giustizia dovrebbe essere quella che riguarda il sistema penitenziario del nostro Paese".

Siracusa: Pm chiede scusa a detenuti per i pestaggi subiti

 

La Sicilia, 28 ottobre 2004

 

"Chiedo scusa a nome personale e dello Stato al signor Guglielmino ed agli altri detenuti per il pestaggio subito nel carcere di Brucoli da parte degli agenti di polizia penitenziaria". A parlare è il sostituto procuratore Andrea Palmieri, che rappresenta la pubblica accusa al processo che vede sul banco degli imputati i detenuti Salvatore Guglielmino, Bruno Candelli e Rinaldo Puglisi e gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Brucoli Angelo Messina, Salvatore Ricupero, Luigi Cataldo e Raffaele Pastore.

I reclusi debbono difendersi dalle accuse di minacce e resistenza, mentre i poliziotti debbono dar conto dei reati di lesioni personali e abuso di potere. La storia si verifica all’interno del carcere di Brucoli il 30 maggio 1998. Nella sala della cosiddetta socializzazione accade che un detenuto si azzuffa con una guardia. Intervengono altri agenti e il recluso Guglielmino per dividere i contendenti, ma l’episodio avrà poco dopo uno spiacevole seguito.

Nell’ora di aria, infatti, alcuni detenuti, tra cui anche tale Leopoldo Caccotto, vengono chiamati a presentarsi in una stanza per essere sentiti in merito al diverbio. La chiamata è fatta singolarmente per cui ogni detenuto convocato si presenta e, come poi verrà denunciato dai reclusi, viene pestato da un numero imprecisato di guardie. A seguito del pestaggio, Puglisi verrà giudicato guaribile in trenta giorni, Candelli ne avrà per venti giorni, Caccotto per sette e Guglielmino per dieci.

Finisce con reciproche accuse e tutti i soggetti coinvolti nel fattaccio finiscono sul banco degli imputati. Dinanzi al Giudice Monocratico Alessandra Gigli si presenta però soltanto Guglielmino che, pur raccontando i fatti, con onestà non è in grado di puntare l’indice accusatorio verso gli agenti penitenziari. "Non li ho potuti vedere in faccia, erano in troppi e in quel momento pensavo a proteggermi".

Con la sua onesta dichiarazione, al Pubblico Ministero Andrea Palmieri non è rimasto altro da fare che chiedere l’assoluzione degli agenti di polizia penitenziaria, per non aver commesso i fatti, e al tempo stesso di auspicare, con tanto di scuse, l’assoluzione dei detenuti, perché i reati loro contestati non sussistono. Ed il Giudice Gigli, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha deliberato conformemente alla richiesta del Pubblico Ministero, mandando assolti sia i detenuti che i poliziotti.

Volontariato Giustizia: scontare la pena fuori dalla cella

 

Liberazione, 28 ottobre 2004

 

La terza Assemblea della conferenza nazionale volontariato-giustizia, che si è conclusa sabato scorso a Roma, è stata una maratona di tre giorni, e non a caso l’epicentro è stato il carcere. Proprio in questi giorni è in corso una protesta in molti istituti di pena contro quella che ormai tutti sanno essere la cronica realtà di invivibilità e inciviltà che contraddistingue il nostro sistema carcerario.

Sovraffollamento, carenza di assistenza sanitaria, morti, suicidi, bambini detenuti, tossicodipendenti senza terapie, malati psichiatrici, personale sotto organico, processi infiniti, e tanto altro ancora. Il carcere presenta il conto perché quello che si trova dentro altro non è che l’irrisolto della nostra società: la questione delle dipendenze da sostanze, le popolazioni del mondo in cerca di un futuro, i malesseri e le povertà del nostro vivere quotidiano, la difficoltà a trovare modelli culturali e etici in una struttura sociale e mediatica che da valore esasperato al denaro, ai simboli, al mercato, all’apparire. Tutto ciò che non trova una risposta nelle politiche sociali, economiche e giudiziarie finisce così in carcere.

Se l’esistente non desta sorpresa, nemmeno le possibili soluzioni: se ne parla, da molti pulpiti e anche autorevoli, da anni. Il concetto è semplice. Scontare una pena non deve significare unicamente essere rinchiusi in una cella.

Quindi misure alternative alla detenzione, e pene alternative da applicare al momento della condanna, abolizione dell’ergastolo, depenalizzazione dei reati minori, e non certo costruzioni di nuove carceri, l’unico provvedimento in materia che il governo ha annunciato insieme a quanto tenta da tempo, cioè abbassare l’età per cui un minore può essere considerato punibile. Se il carcere è la destinazione finale delle lacerazioni del territorio, è sempre lo stesso territorio a dover riaccogliere le persone in uscite dal carcere e ancora sul territorio si trovano le opportunità che possono essere offerte per un percorso di cambiamento.

A tutto ciò i cittadini possono contribuire. Con il volontariato. Ossia con la prestazione gratuita delle proprie energie, delle proprie risorse, delle proprie passioni. Esistono mille anime del volontariato, quelle più laiche e quelle più religiose, esistono mille modi per attivarsi con culture e metodologie differenti, ma tutti hanno un obiettivo comune: la tutela della dignità umana e la garanzia di diritti umani, civili, sociali.

Riunire i volontari intorno a un tavolo nazionale, e in 18 sedi regionali, è stata una grande scommessa iniziata otto anni fa e vinta se si considera la presenza e la discussione registrata nei tre giorni della terza Assemblea della conferenza nazionale volontariato giustizia.

La parola carcere ha assunto un valore tragicamente universale: un carcere è il luogo che accoglie nel nostro paese - e fra poco anche in altri - le migliaia di migranti che sfuggono dalla fame e dalla guerra. Carceri invisibili e segrete rinchiudono uomini a cui viene impedita ogni difesa, nella convinzione tragica che la privazione della libertà possa essere usata come un’arma per la conquista della libertà medesima. Perché l’assenza di pace porta con sé, irrimediabilmente, la cancellazione del concetto di umanità e giustizia.

Per tutto questo è importante che donne e uomini, giovani e meno giovani, capiscano che il volontariato non è un atto di fede, di bontà, di altruismo: è un impegno civile e sociale che obbliga al confronto con una realtà che è più contigua a noi di quanto possiamo e vogliamo credere.

 

Carmen Bertolazzi, presidente associazione Arci ora d’aria

Veneto: nelle carceri proteste ed iniziative di recupero...

 

Il Gazzettino, 28 ottobre 2004

 

Il tam-tam è partito il 18 ottobre da Rebibbia, e prevede una serie di appuntamenti nelle principali e più mal messe carceri italiane: oggi tocca a quella di Bologna, dove 930 detenuti soggiornano in una struttura che me può ospitare 360. Un quarto di essi sono tossicodipendenti, un quinto sieropositivi, e quest’anno si sono registrati tre casi di tubercolosi. C’è appena un educatore ogni cento detenuti; la metà dei carcerati sono in attesa di giudizio; quasi il 20 per cento viene prosciolto o assolto successivamente alla detenzione.

A richiamare l’attenzione su questo pianeta sommerso e sovraffollato è l’associazione Papillon, che organizza per oggi alle 16 una manifestazione di protesta nel capoluogo emiliano, davanti alla Dozza. Ma il fenomeno è generalizzato, ed è particolarmente pesante anche a Nordest, come documenta la tabella che pubblichiamo qui a fianco. Nell’insieme di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, a fronte di una capienza regolare complessiva di 2.630 posti, c’è un esubero di ben 1.169 detenuti. Particolarmente pesanti risultano le situazioni delle carceri del Due Palazzi di Padova, di Treviso Santa Bona, di Vicenza San Pio X e di Tolmezzo.

A denunciare la situazione carceraria è intervenuto nei giorni scorsi anche il mondo del volontariato della giustizia, riunito per la sua terza assemblea nazionale. Secca l’analisi: il sistema penale punitivo è fallito, le conquiste sociali vengono quotidianamente calpestate, la violenza del sistema ricade sui più deboli. Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale del settore, ha ricordato le proteste di questi giorni in tante carceri italiane, definendole fin troppo civili. Non si può rispondere alla violenza con la violenza, ha ricordato Ferrari, aggiungendo però che il buonismo e le buone azioni non bastano più: "Dobbiamo avere la forza di indignarci e non fare sconti a nessuno, neanche alla politica".

Quello che più colpisce, per Ferrari, è che alla fine ci si abitua tutti i giorni ad accettare una situazione di degrado: "Non vogliamo creare situazioni di istigazione, ma non è possibile accettare che chi ha in mano la forza politica ed economica possa calpestare a suo piacimento i deboli". Da qui l’impegno a mettere in atto forme concrete di protesta.

 

Dove c’è la protesta

 

Sono 120 le carceri italiane in cui i detenuti hanno aderito alla protesta delle ultime settimane per chiedere un indulto generalizzato di almeno tre anni, l’abolizione dell’ ergastolo, la depenalizzazione dei reati minori, il miglioramento dell’ assistenza sanitaria in carcere e contro il sovraffollamento. L’agitazione è partita da Rebibbia con l’astensione dei "lavoranti" e uno sciopero della fame.

 

Sciopero della fame fra i detenuti ...

 

Sciopero della fame fra i detenuti del carcere di Rovigo. La protesta è scattata ieri mattina - così pure all’interno di altri istituti di pena italiani - e durerà almeno fino a domenica. Sono 87 i detenuti nella struttura di via Verdi (71 uomini e 16 donne) e da tempo lamentano le precarie condizioni in cui sono costretti a vivere. Ieri è iniziata la forma di protesta più clamorosa, quella dello sciopero della fame, i detenuti, quindi rifiutano di ricevere il vitto fornito dal carcere. Era stato anticipato nei giorni scorsi, ieri il proposito è stato messo in pratica. I contenuti di questo malumore sono contenuti in una lettera inviata al direttore del carcere, al magistrato di sorveglianza e al provveditore del Triveneto delle strutture carcerarie.

I detenuti denunciano il sovraffollamento della casa circondariale rodigina, nelle celle da due si sta in tre ed in quelle da tre in quattro. Fra i punti critici anche l’igiene: ci sono solo 4 docce funzionanti. Inoltre anche il settore sanitario è pieno di lacune: si denuncia che non sempre i farmaci richiesti giungono ai malati e che spesso le visite mediche specialistiche non arrivano a varcare le porte del carcere. Dalla protesta restano esclusi i poliziotti penitenziari, elogiati per il loro impegno verso i detenuti. I malumori dei detenuti si inseriscono proprio in quelli della polizia penitenziaria, che da tempo lamenta una carenza di personale che continua ad accrescere il disagio delle condizioni di lavoro. Ieri a Rovigo si è svolto un incontro con il provveditore del Triveneto Felice Bocchino. "Si parla del nuovo carcere - sbotta Giampietro Pegoraro, rappresentante sindacale della Cgil - ma quello che veramente serve sono delle nuove assunzioni. A Rovigo servirebbero almeno 15 unità in più, 10 uomini e cinque donne. In tutto il Veneto sono stati assegnati 234 dipendenti in più, a fronte di una richiesta di 371".

I disagi denunciati dalla polizia penitenziaria di Rovigo avevano chiamato in causa, qualche settimana fa, anche il prefetto, che si era poi impegnato per cercare una soluzione ai problemi evidenziati dai lavoratori della struttura di via Verdi.

 

Una rete di aiuto per chi ne esce

 

A Nordest esiste una fitta rete di interventi a sostegno dei carcerati. In Veneto, ci sono numerose cooperative presso le quali i detenuti possono fare volontariato: Girasole (Selvazzano), Abba (Caorle), Antares (Padova), Fratres (Fontaniva, Galliera, Camposanmartino), Germoglio (Arzregrande), Il Nodo (Albignasego), Nuova Idea (Abano), Polis Nova (Padova), Mani Tese (Padova), Angoli di Mondi (Padova). In Friuli-Venezia Giulia, tra le altre associazioni di volontariato che si occupano del pianeta carceri, da ricordare a Udine Icaro, Centro solidarietà giovani, Volontari penitenziari Speranza; a Tolmezzo L’Airone, Comunità di Rinascita, associazione Penitenziario Vita Nuova; a Pordenone, Associazione Carcere e Comunità, e la San Vincenzo dè Paoli.

 

A Padova un ponte con la scuola

 

C’è un ponte tra scuola e carcere. È stato gettato a Padova, dove dopo le esperienze realizzate negli anni scorsi con le scuole di Limena e Camposampiero, il Comune capoluogo ha favorito assieme a "Ristretti" (sito internet: www.ristretti.it) l’avvio di un progetto sperimentale per la prevenzione della devianza minorile, rivolto a tutte le scuole medie superiori della città disponibili all’iniziativa. Il programma è stato avviato all’inizio di quest’anno, col titolo "Il carcere entra a scuola", e ha preso le mosse con un questionario anonimo sulla legalità e la devianza. In Veneto esistono altre iniziative che si prefiggono l’obiettivo di mettere in relazione la scuola e il carcere: uno riguarda le carceri di Verona e Padova, l’altro un progetto di educazione alla cittadinanza, e si svolge a Treviso.

 

Ristretti Orizzonti

 

"Ristretti Orizzonti" è il periodico della vita carceraria, edito in sette numeri l’anno. Esce regolarmente dal 1997 ed ora ha due redazioni: al Due Palazzi di Padova e alla Giudecca di Venezia (nel carcere femminile). È diretto dalla padovana Ornella Favero ed è collegata al sito internet www.ristretti.it, che conta 6.500 pagine di atti e documenti e oltre 100mila visitatori l’anno.

 

Organici in crisi, poche guardie

 

Al sovraffollamento dei penitenziari e alla condizione precaria di troppe strutture carcerarie si somma un altro fattore che va ad aggravare la crisi esistente nel nostro Paese: la carenza degli organici delle guardie e del personale in genere, che a Nordest presenta un buco di circa 450 unità; cifra che diventa molto più consistente, salendo a 750, se si contano anche le assenze e di distacchi.

L’organico vede oggi 1.556 agenti in Veneto, 540 nel Friuli-Venezia Giulia, e 237 nel Trentino-Alto Adige. Tutto a questo a fronte di una popolazione che nelle tre regioni assomma a poco meno di quattromila detenuti. Nel complesso delle carceri italiane, gli agenti sono 42.414, con un totale di poco meno di 56mila detenuti.

Verona: Fratello Lupo, un pastore dietro le sbarre...

 

Il Gazzettino, 28 ottobre 2004

 

Storia di un francescano veronese che dal 1965 va nelle prigioni di tutta Italia, riuscendo a trasformare i detenuti in agnelli. Insegna ai lupi come diventare agnelli. Fra i suoi allievi ci sono i rapinatori assassini della "Uno bianca", i pluriomicidi Gianfranco Stevanin e Marco Bergamo; c’è Pietro Maso (il ragazzo veronese che il 17 aprile ‘91 massacrò la sua famiglia a Montecchia di Crosara); c’è anche il suo coetaneo Elia, che sei anni più tardi compì la "strage dei fornai" nel Varesotto; non mancano il feroce bandito Pietro Cavallero, la "belva" Alfredo Bonazzi, il "killer delle carceri" Vincenzo Andraous, c’è anche il "mostro di Foligno" Luigi Chiatti, per finire con le giovani assassine che in Val Chiavenna massacrarono suor Maria.

Lui, il "maestro con il saio", tiene una fitta corrispondenza e incontra ogni settimana decine di ergastolani, spacciatori e maniaci. Frequenta da quarant’anni le sezioni di massima sicurezza di tutte le patrie galere: ne ha visitate oltre duecento - alcune anche all’estero - incontrando qualche migliaio di detenuti, nemmeno lui sa esattamente quanti.

Fratello Lupo è un caso unico sia nella Chiesa ("Se mi aiuta? Sì un po’, ma potrebbe far molto di più") sia nel volontariato italiano dove è coordinatore veneto degli "assistenti penitenziari". Ora che è uscito il suo secondo libro, "Risvegliato dal lupo", è diventato anche un fenomeno editoriale: "La sua prima opera del ‘96 (Fratello Lupo, ndr) è esaurita e la stanno ristampando - spiegano alle librerie Paoline - l’ultima ha già moltissime richieste".

Il francescano Giuseppe Prioli, 61 anni, veronese, è il frate minore che insegna ai "lupi cattivi" l’arte di essere liberi. Lo incrociamo a Verona, dopo alcuni appostamenti, appena uscito dal carcere di Montorio e già pronto a (ri)partire per Roma, anzi per Rebibbia "ma nei giorni successivi dovrò essere a Reggio Calabria, quindi Poggioreale, poi San Vittore e infine ho appuntamenti al Due Palazzi di Padova, al San Pio X di Vicenza e alla Giudecca a Venezia". La geografia per lui è la mappa degli istituti di pena.

 

Trascorre più tempo fuori o dentro dalle galere?

"È dal 1965 che entro ed esco dai penitenziari di tutta Italia. Sono luoghi tremendi che annientano le persone, io cerco di dare un po’ di dignità umana a questi miei lupi".

 

Lei pensa alle vittime dei suoi "lupi"?

"Ci penso sempre e neppure loro, i carnefici, le dimenticano, anzi. Volete la prova? Le nostre associazioni di volontari delle carceri, cui aderiscono anche molti ex detenuti, sono intitolate proprio alle vittime: come Samantha a Manzano del Friuli, o Carolina Daraio a Potenza e Vicenza. Altre ancora le sto organizzando. Nel libro ci sono tutte le loro storie".

 

Dunque redime o recupera assassini, killer, pedofili e spacciatori incalliti. Crede che tutti capiscano il suo impegno?

"Cosa c’è da capire? Vogliamo parlare di pedofili? Io non vado nelle carceri per convertire, ma ho convinto una decina di detenuti per reati di pedofilia a aderire al progetto di sostegno "a distanza" per 10 bimbi vietnamiti: con i proventi dei loro lavori carcerari, tramite un ente no profit che opera in quel Paese, li fanno studiare e li mantengono. Ho visto miracoli nascere nel cuore di quegli uomini".

 

Chi sono questi miracolati?

"No, non faccio nessun nome, né esempi: non m’interessa far notizia con la cronaca spicciola. Non me lo chieda più, anche perché per me sono tutti uguali".

 

Cosa ha fatto scattare in lei questa missione?

"Fu un articolo su Famiglia Cristiana e poi la lettera di un ergastolano, a metà anni 60. Andai a trovare quell’uomo che tecnicamente era un "fine pena: mai". Cominciai ad ascoltarlo e i ruoli s’invertirono: era lui ad aiutare e insegnare qualcosa a me. E i detenuti di Peschiera, prima della sciagurata chiusura del carcere militare, mi hanno davvero salvato dopo l’operazione alla testa dell’ottobre ‘97 quando restai in coma per l’incidente nella mia cella del convento di Barbarano".

 

Lei è un religioso "diverso", quanti inviti riceve per raccontarsi in pubblico o in tv?

"Per parlare di me? Macché! "Fai strada ai poveri, senza farti strada" diceva don Milani ed è il nostro motto. Non scrivere di me o di noi della Fraternità, ma dei nostri progetti, solo quelli sono importanti, non le persone che li attuano. Anche il libro è l’opera di un semplice servitore, il mezzo non il fine: vuole parlare e far capire questa realtà nascosta, non lo abbiamo fatto per vendere o guadagnare. Io mi offro come mediatore fra le vittime e chi ha commesso il male".

 

Nella sua vita ci sono appuntamenti fissi?

"Certo, almeno una volta la settimana incontro i detenuti di Padova, Verona o Vicenza, ma vado spesso anche ad Asti, Milano e nelle carceri del sud. Ho poi gli incontri in Regione e a Roma come coordinatore del volontariato penitenziario. Collaboro con Ristretti Orizzonti, lo splendido periodico che si stampa a Padova".

Fratello Lupo è un fiume in piena: dimentica di raccontare che a Breganze ha fondato l’associazione che ora si occupa di tossicodipendenti. "Sì, ma poi capii che non era quella la mia strada e ho così creato altre associazioni, le "Fraternità": la prima ha sede nel convento veronese di San Bernardino (tel. 045/8004960), ma da lì sono poi germogliate quella Barbarano, di Manzano e di Potenza".

 

Altre iniziative?

"Ho avviato un polo universitario carcerario iniziando da Prato, per poi esportare l’idea a Torino e, da poche settimane, anche nel Nordest. Un primo polo è sorto a Padova, si sono iscritti una decina di detenuti-studenti, molto impegnati. Abbiamo fornito loro gli strumenti per seguire i corsi, i libri e altra assistenza".

Lui non si nega a nessuno, ma se si riesce a farlo fermare un attimo, chiedendogli se c’è qualcosa che lo spaventa, ti guarda negli occhi e scandisce: "Sì, mi fanno paura... i drammi familiari, sono un fenomeno sempre più grave e in costante aumento, è tremendo: mogli ammazzate, figli che uccidono i genitori, madri che uccidono i loro bimbi. Sono tragedie tutte italiane, è vero che nelle carceri ci sono tanti extracomunitari, ma i veri "lupi" sono i nostri fratelli; e le loro famiglie sono devastate da questi drammi, è difficile capire quanto".

 

Sarà l’argomento per il prossimo libro?

"No, non scriverò più. Non è quello il mio compito: io devo pensare ai miei lupi. E alle loro anime".

Sassari: voglia di cambiamento… la fine del carcere lager

 

L’Unione Sarda, 28 ottobre 2004

 

Una festa all’insegna dell’unità, per sottolineare che a San Sebastiano è tornato il sereno. Ieri la cappella del carcere di via Roma ha fatto da scenario alla celebrazione in onore di San Basilide, patrono del corpo della polizia penitenziaria. Ma la cerimonia in onore del santo che custodisce i custodi dei penitenziari italiani è stata soprattutto l’occasione buona per trasmettere anche all’esterno la grande voglia di cambiamento che da un anno a questa parte ispira l’attività di tutti gli operatori di San Sebastiano. Considerata una delle realtà carcerarie più difficili d’Italia, Sassari sta cercando di lasciarsi alle spalle i gravi problemi affrontati gli anni scorsi.

Su questo ieri mattina ha insistito anche Antonio Santuccio, il comandante degli agenti penitenziari di San Sebastiano, che nel corso del suo intervento si è espresso sulla stessa lunghezza d’onda della direttrice Patrizia Incollu, secondo la quale "grazie all’impegno comune a San Sebastiano si respira un’aria nuova".

La volontà di chiudere col passato non impedisce comunque di soffermarsi sulle difficoltà che quotidianamente complicano la vita a chi vorrebbe adoperarsi in un’attività volta al recupero sociale e morale dei detenuti. "Ogni giorno facciamo i conti con le difficoltà legate allo stato della struttura e all’assenza di strumenti adeguati", ha ricordato la direttrice prima di leggere alle guardie sassaresi il messaggio del ministro della Giustizia Roberto Castelli e quelli di Giuseppe Tinebra e Nello Cesari, responsabili a livello nazionale e regionale dell’amministrazione penitenziaria. Proprio prendendo spunto dalle parole rivolte a tutte le guardie carcerarie d’Italia, Antonio Santuccio ha sottolineato che "i problemi che si registrano nelle strutture penitenziarie d’Italia sono legate soprattutto alle carenze negli organici".

Un problema particolarmente sentito anche nel carcere di Sassari, che giusto qualche giorno fa si è unito alla rivolta non violenta partita dal carcere romano di Rebibbia per coinvolgere tutti gli istituti penitenziari italiani. Alla cerimonia di ieri a San Sebastiano hanno partecipato numerose autorità civili, militari e religiose. La festa si è aperta con la celebrazione della Messa da parte del parroco del Duomo di Sassari, monsignor Francesco Soddu, che in carcere ha portato anche il saluto del nuovo arcivescovo Paolo Atzei. Dopo il rito religioso in onore di San Basilide, sono stati consegnati gli encomi una decina di agenti per una serie di interventi dentro e fuori dal carcere in aiuto di persone in difficoltà.

Giustizia: i penalisti sciopereranno 24 e 25 novembre

 

Agi, 28 ottobre 2004

 

Gli avvocati penalisti entreranno in ‘sciopero’ il 24 e 25 novembre prossimi per protestare contro la riforma dell’ordinamento giudiziario che non prevede la separazione delle carriere tra giudici e pm. Lo ha deciso la giunta dell’Unione delle camere penali che "ha deliberato - si legge in un documento - l’astensione dalle udienze e dalle altre attività giudiziarie, secondo le modalità previste dalla normativa di settore".

Cioè fatta eccezione delle udienze che riguardano i detenuti. La giunta, inoltre "invita le Camere Penali territoriali ad organizzare assemblee locali per il giorno 24 con la partecipazione degli esponenti della politica, della cultura e dell’Accademia", e convoca per il giorno 25 novembre 2004 a Roma l’Assemblea Nazionale ed invita i sottoscrittori dell’appello sulla separazione delle carriere diffuso dall’Unione delle Camere Penali a partecipare ai lavori".

Enna: celle piccole e sporche, i detenuti rifiutano il cibo

 

La Sicilia, 28 ottobre 2004

 

Da lunedì scorso i detenuti che si trovano ristretti nel carcere di Nicosia, hanno deciso di attuare uno sciopero pacifico. Uno sciopero ad oltranza che prevede il rifiuto del cibo offerto dall’amministrazione, rinunzia all’acquisto dei prodotti che servono per integrare il vitto. Con una lettera aperta inviataci, i detenuti hanno evidenziato i disagi con i quali vivono da tanto tempo e che sono stati segnalati alla direzione del carcere. La lettera è stata inviata, oltre che alla direzione, anche al Tribunale di Sorveglianza di Caltanissetta.

"Siamo costretti a vivere in celle poco igieniche e piccole. Tutti i muri, in gran parte sono scrostati, sporchi e pieni di umidità - scrivono i detenuti - le bilancette dei letti a castello sono in equilibrio pericoloso e possono cadere; i servizi igienici sono carenti e in pieno degrado perché da tempo non si fanno lavori di ristrutturazione".

I detenuti evidenziano che "più volte hanno sollecitato le difficoltà e la necessità di interventi immediati ed urgenti", le risposte sono state sempre le stesse: "si provvederà nel più breve tempo possibile", solo che non si è fatto ancora nulla. Una situazione, quindi, di estremo disagio per i detenuti che vorrebbero un ambiente migliore di quello che hanno attualmente. Gli interventi non sono molto costosi.

Stranamente, la commissione senatoriale, che è stata in visita nelle carceri di Enna e Piazza Armerina, ha ignorato il carcere di Nicosia, dove avrebbero potuto registrare quello che i detenuti hanno evidenziato con la loro lettera e che ha provocato lo sciopero pacifico, con il rifiuto del cibo dato dall’amministrazione carceraria e l’acquisto di prodotti all’interno del carcere.

Da parte della direzione del carcere un sollecito alla direzione regionale carceraria dovrebbe essere fatto per migliorare la situazione ambientale delle celle e dei servizi igienici del carcere di Nicosia.

Bologna: Teatro del Pratello, centro adolescenti e giustizia minorile

 

Redattore Sociale, 28 ottobre 2004

 

Quando la cultura si fonde con il valore rieducativo. Nasce finalmente a Bologna il Centro teatrale interculturale adolescenti e giustizia minorile Teatro del Pratello, un laboratorio rivolto ai giovani in situazione di disagio con l’intento di offrire loro esperienze formative e di vita od opportunità di lavoro attraverso l’attività teatrale. E a tenerlo a battesimo sarà "Romeo.

La recita", il nuovo spettacolo della compagnia del Pratello, formata da 10 dei 15 ragazzi detenuti nell’istituto penale minorile "Siciliani" di Bologna (tutti stranieri tranne uno), da tre giovani attrici, da un ragazzo ex detenuto e da tre agenti di polizia penitenziaria, che si terrà dal 25 novembre all’11 dicembre nel carcere minorile. Tema dello spettacolo sarà proprio l’amore adolescenziale (quello shakespeariamo di "Romeo e Giulietta"), sentimento che agli ospiti dell’istituto penale è negato dalle circostanze.

Voluto dal dirigente del Centro di giustizia minorile dell’Emilia-Romagna e Marche Antonio Pappalardo insieme a Paolo Billi, il regista che da sei anni porta in scena spettacoli teatrali con i ragazzi ospiti dell’istituto penale minorile di Bologna, il nuovo Centro teatrale del Pratello è promosso da una convenzione triennale tra Comune di Bologna (assessorato alla Cultura, coordinamenti Sevizi sociali e Gabinetto del sindaco), Centro di giustizia minorile regionale e associazione Bloom, e sostenuto dagli assessorati alla Cultura, istruzione, formazione e lavoro della Provincia di Bologna, dall’assessorato alle Politiche sociali, immigrazione e progetto giovani della Regione Emilia-Romagna e dall’Ufficio scolastico regionale.

Il nuovo Centro interculturale, che inaugurerà nella primavera 2005 in via del Pratello 34, avrà tutta una serie di attività (teatro, laboratori di scrittura e di produzioni video) rivolte agli adolescenti sottoposti a procedimento penale e a quelli seguiti dai servizi sociali, ma anche e soprattutto a giovani studenti e alla cittadinanza. "È proprio l’apertura all’esterno la novità di questo progetto – ha spiegato Pappalardo -. Il teatro infatti, che è ancora in fase di ristrutturazione, avrà un’entrata distinta da quella dell’istituto penale per minorenni, e sarà messo a disposizione del territorio", come spazio prova per gruppi teatrali e di danza che operino in ambiti scolastici o di disagio sociale, come luogo atto ad ospitare manifestazioni culturali per i giovani e come sede di coproduzione di spettacoli insieme alle compagnie teatrali di ex ragazzi detenuti che operano presso i Centri giustizia minorile della Sicilia e della Lombardia. All’interno del Centro interculturale del Pratello, sarà poi attivato uno sportello informativo sull’offerta delle attività artistiche rivolte agli adolescenti bolognesi, nonché un sito internet specifico, www.teatrodelpratello.it, ancora in fase di costruzione. "L’importanza di questo progetto – hanno sottolineato i rappresentanti delle amministrazioni locali presenti - risiede nella triplice valenza, culturale, formativa e sociale, che il Centro teatrale del Pratello avrà: non solo verranno prodotti spettacoli (di cui i ragazzi costruiscono la scenografia grazie ai corsi di formazione finanziati dalla Provincia), ma da questi laboratori teatrali gli adolescenti traggono in termini di autostima, accrescimento personale e capacità relazionali".

Per assistere invece allo spettacolo che gli ospiti dell’istituto penale minorile di Bologna porteranno in scena al Pratello dal 25 novembre all’11 dicembre (giorni feriali ore 21, domenica alle 17, lunedì riposo), realizzato grazie alla collaborazione di Comune, Provincia e Regione, Caritas diocesana, Coop Adriatica, Fondazione Carisbo e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, è necessario prenotare al numero di telefono 051 551211, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13, perché i posti sono limitati e l"ingresso, a offerta libera, è subordinato al permesso dell’autorità giudiziaria competente.

Varese: su nuovo carcere il Comune ricorre a Consiglio di Stato

 

Varese Laghi, 28 ottobre 2004

 

Gazzada Schianno non getta la spugna. Sul "caso" del carcere Il Consiglio comunale di ieri sera ha deciso di ripartire al contrattacco e presentare un ricorso al Consiglio di Stato. Il mese scorso il Tar aveva rigettato la richiesta di sospensione del progetto del nuovo carcere di Bizzozero presentata a luglio dal comune di Gazzada Schianno, ma l’ipotesi di ricorre a Roma è stata subito presa in considerazione dagli amministratori. E ieri è arrivata la decisione definitiva, approvata da tutti i consiglieri comunali tranne Stefano Frattini, capogruppo della Lega, che ha invece votato contro.

"È stato un consiglio comunale piuttosto vivace - spiega il vice sindaco Alfonso Minonzio -. La scelta di ricorrere al Consiglio di Stato non è stata fatta a cuor leggero: sappiamo perfettamente che i costi sono alti e il risultato non è assicurato, ma non potevamo pensare di non giocarci l’ultima carta possibile. La discussione è stata accesa anche perché la Lega, che all’inizio di questa vicenda si era detta contraria alla costruzione del penitenziario su confine tra Gazzada e Varese, successivamente ha ritrattato, dicendo che l’amministrazione varesina ha dato garanzie per il rispetto del nostro territorio.

Ieri sera, la Lega si è spaccata e dei tre consiglieri solo uno, Frattini appunto, ha deciso di bocciare il ricorso al consiglio di Stato. Gli altri due consiglieri leghisti, Marco Maffiolini e Giovanni Barbieri, hanno invece votato a favore". Il ricorso, quindi, si farà. Ma contemporaneamente ad un altro passaggio, chiesto espressamente dalla Lega: un tentativo di sedersi al tavolo con Fumagalli e assessori varesini per cercare un compromesso.

"Non l’hanno mai fatto - dice ancora Minonzio - ignorando le nostre precise richieste. Ci riproviamo, visto che Frattini ha garantito che Varese ha deciso di stanziare ben 250 mila euro per la viabilità nella zona di Schianno e 600 mila euro per la via Piana di Luco. Noi progetti non ne abbiamo mai visti, malgrado si stia parlando di casa nostra. A questo punto, visto che abbiamo soltanto 15 giorni, partiamo con il ricorso al Consiglio di Stato, se poi Varese decidessi di cambiare atteggiamento e confrontarsi seriamente con noi potremmo anche decidere di ritirarlo".

Non è un problema politico, ha tenuto a precisare Minonzio, almeno non per quanto riguarda i rapporti con Varese: "La questione è politica solo al nostro interno e riguarda, a questo punto, principalmente la Lega che si è divisa. Con Varese la questione è diversa, il carcere ha una ricaduta sul nostro territorio. Vorremmo poter dire la nostra".

Milano: convegno sulla tutela della salute in carcere

 

Adnkronos, 28 ottobre 2004

 

"Incompatibilità delle condizioni di salute con il regime detentivo". Dell’assistenza sanitaria in carcere si parlerà domani all’ospedale militare di Milano, in un convegno organizzato dalla struttura di via Saint Bon, dall’Istituto di Medicina legale e delle assicurazioni dell’università degli Studi cittadina e dal Servizio di Medicina legale dell’Asl del capoluogo lombardo. L’obiettivo della giornata di studio - riferisce una nota degli organizzatori - è di definire una strategia di collaborazione concreta tra i giudici e i loro tecnici (medici legali e specialisti clinici) e tra questi ultimi e il personale medico - sanitario dei penitenziari.

Livorno: 15 giorni di sciopero della fame per Marco Medda

 

Redattore Sociale, 28 ottobre 2004

 

Uno sciopero della fame che dura da 15 giorni e una lettera d’accusa al sistema carcerario che ha deciso di "rispedire all’inferno una persona nel momento in cui ha deciso di voltare pagina". Marco Medda, 56 anni, detenuto condannato a una lunga pena, prova a farsi sentire da dietro le sbarre. La sua storia è semplice e riproporne uno dei temi tabù del carcere, il rapporto tra detenuti e affettività, ma anche la precarietà della condizione carceraria e i suoi corto circuiti. Medda è stato trasferito improvvisamente al carcere di Monza e poi a quello di Livorno, dopo anni nel carcere di San Vittore.

A Milano, in carcere, ha lasciato una moglie, Morena, anche lei ristretta, ma con il diritto a lavorare all’esterno e con cui circa tre anni fa si è sposato dietro le sbarre. Un matrimonio come altri, finito però addirittura in un film: "Fine amore mai", diretto da Davide Ferrario e ideato, scritto e sceneggiato dai detenuti di San Vittore. Un film in cui una serie di immagini riprendono proprio quel matrimonio: un immagine emblematica di come anche in carcere ci si possa ricostruire una vita.

"Sono stato improvvisamente trasferito a Monza e successivamente a Livorno - scrive Medda in una lettera in cui spiega le ragioni della sua protesta e che sta circolando tra associazioni e detenuti in questi giorni -. Ciò ha determinato il riapparire nella mia sofferta personalità di vecchi fantasmi non potendo neppure più incontrare la donna che ho sposato e che quindi si suppone che io ami, perché anche lei priva della libertà é rimasta a Milano. La pittura, gli affetti personali, gli interessi intellettuali che valenti operatori penitenziari milanesi erano riusciti a fare attecchire nella mia anima sono stati tutti improvvisamente sradicati".

L’allontanamento dalla moglie, le condizioni di ristrettezza a cui è stato sottoposto dopo aver iniziato un percorso di recupero positivo: Marco Medda è crollato e ha iniziato una sciopero della fame che dura da 15 giorni e sta minando profondamente la sua salute. "Nel carcere di Monza - racconta Licia Rossi di Agesol (Agenzia di solidarietà per il lavoro), che si occupa di progetti di lavoro in carcere - ha commesso qualche atto di ribellione e l’hanno spedito a Livorno, in regime di massima sicurezza. Ha perso i diritti conquistati dopo anni e non può più vedere la moglie. Non ci era più abituato e ora è crollato psicologicamente". Sulla storia di Medda, riflette anche Carlo Giorgi, direttore di Terre di mezzo, il giornale di strada di Milano che da anni ospita una pagina curata dai detenuti di San Vittore.

"Una vicenda come questa riporta a galla un tema di cui si parla troppo poco: l’affettività in carcere; l’impossibilità di avere contatti fisici con le persone care, e non alludo banalmente al sesso, portano a uno stato di frustrazione profonda molti detenuti che, quando escono dal carcere, si trovano spesso impreparati a gestire le proprie relazioni affettive. Un aspetto non da poco su cui però vige una sorta di tolleranza zero assolutamente immotivata se l’obiettivo della pena è il recupero della persona ristretta".

Napoli: sul caso di Gaetano Ruggero parla il dr. Starnini

 

L’Articolo.it, 28 ottobre 2004

 

Il giovane detenuto che rischia di perdere la vista è stato trasferito a sorpresa al penitenziario di Salerno. Giulio Starnini, infettivologo, coordinatore nazionale dello staff sanitario del Dipartimento dell’Amministrazione Carceraria, aveva promesso un interessamento, un impegno concreto sulla vicenda di Gaetano, di cui era già a conoscenza. Questo impegno lo ha mantenuto. Ecco quello che ci dice, a dieci giorni dalla sua prima intervista rilasciata a questo giornale.

 

Allora, dottore, cosa ha saputo?

"Mi sono informato sul caso specifico; non dico nulla sulla malattia, per tutelare la sua privacy, ma ho verificato che c’è stato un effettivo interesse sia dello specialista oculista dell’istituto, sia della struttura pubblica".

 

Quindi Gaetano non è stato visitato solo dai medici del carcere?

"No, anche in due ospedali differenti; tra l’altro ora sto percorrendo un’altra strada: tramite miei amici universitari ospedalieri, sto lavorando per cercare il massimo che Napoli possa offrire, da questo punto di vista, gratuitamente, per avere un altro auterovole parere sulla diagnosi, che è oggettivamente difficile. Non come diagnosi, ma come prognosi".

 

Dunque lei ha verificato che la situazione è difficile. Ma cosa resta da fare a questo punto?

"Una cosa semplice: perché la persona interessata, tramite il proprio avvocato, non si rapporta con il magistrato di sorveglianza per chiedere misure alternative? Credo che i presupposti ci possano essere tutti. Può ottenere gli arresti domiciliari o altro, se presenta tutti gli incartamenti in suo possesso, come le cartelle cliniche. Non conosco il suo aspetto giudiziario, ma ribadisco potrebbe facilmente ottenere altro tipo di detenzione".

 

In effetti la sua condanna è a cinque anni, tre dei quali già scontati...

"Appunto. Se tutto questo si tramuta poi in un discorso di misure alternative, come l’affidamento in comunità se ha trascorsi di tossicodipendenza, o ai servizi sociali, si potranno percorrere altre strade, farlo vedere da qualcun’altro...".

 

Lei stava cercando un illustre oculista napoletano che lo visitasse, ma ora Gaetano è stato trasferito, a Napoli non c’è più.

"L’ho lasciato non più di cinque giorni fa a Poggioreale, e ora è stato trasferito a Salerno? Questo complica la cosa, visto che mi ero attivato su Napoli; non avevo ancora avuto una risposta definitiva da questo professionista, era fuori Napoli, ma mi aveva assicurato che in settimana, se non addirittura domani, l’avrebbe visto. Mi ha aiutato un mio amico, il prof. Pempinello, infettivologo primario del Cotugno. Ho la mia cerchia di amici in tutt’Italia nell’ambito dell’infettivologia, e lui si è attivato, ha creato il contatto con questo medico, che mi doveva dare la conferma di quando l’avrebbe visitato".

 

E adesso?

"Non saprei, adesso mi muoverò su Salerno, anche se effettivamente rimandarlo lì...c’è già stato, negli ospedali di quella città...a San Giovanni Di Dio e Ruggi D’Aragona, e prima anche in un altro ospedale a Larino. È stato visitato in questi due istituti, e gli hanno confermato la diagnosi. Ha fatto la fluorangiografia. Mi sono premurato di sapere se è stato fatto anche un raffronto tra le varie diagnosi, e stavo tentando di offrirgli il massimo che Napoli offriva. Ora lavorerò su Salerno, se me lo lasciano fermo in un punto..."

 

La sua patologia è ancora curabile, o operabile?

"Mah, il responso è molto negativo, sembra che tutti gli oculisti che lo hanno visto sono concordi nel dichiarare la non operabilità. Senza entrare nei dettagli, si tratta di una patologia degenerativa, non infettiva, ma molto grave".

 

Secondo lei come mai da Poggioreale è stato trasferito a Salerno?

"Evidentemente al centro clinico di Poggioreale non possono fare più di quello che hanno già fatto. L’unica cosa che hanno scritto tutti gli oculisti è di continuare con i controlli, anche se secondo gli specialisti non si può fare granché. Riparlerò con il collega Pempinello, gli chiederò se conosce qualcuno anche su Salerno, e vedremo che si può fare".

 

Lei sta dicendo che in carcere è stato fatto tutto il possibile, e che l’unica possibilità attuale che possa tentare di salvare la vista di Gaetano è cercare quel centro iper specializzato? Insomma, deve uscire per avere qualche chance di non diventare cieco?

"In pratica sì. Intanto è importante che si ottengano le misure alternative. Conosco il magistrato di sorveglianza di Napoli, viene spesso in Dipartimento, e anch’io gli farò presente il caso".

Roma: continua la mobilitazione delle donne di Rebibbia

 

Redattore Sociale, 28 ottobre 2004

 

La mobilitazione delle donne di Rebibbia continua. Questa mattina Luigi Nieri, Assessore al Lavoro, alle Periferie e allo Sviluppo Locale del Comune di Roma e Laura Astarita, collaboratrice di Luigi Manconi, Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Roma, sono tornati in visita nel carcere femminile di Rebibbia, per rinnovare alle detenute l’appoggio alle loro rivendicazioni e per ascoltare e portare all’attenzione delle autorità nazionali e dell’opinione pubblica quali saranno gli sviluppi della mobilitazione.

Le detenute continuano anche questa settimana lo sciopero della spesa e 10 di loro hanno cominciato da due giorni lo sciopero della fame. Continua anche la battitura delle sbarre, questa settimana per 5 volte al giorno (alle 9, 13, 15, 17 e 21).

Le detenute della sezione Massima Sicurezza, che hanno aderito alla mobilitazione con le stesse forme, spiegano che "lo sciopero della spesa, come modalità di protesta, tiene conto del fatto che, per molte detenute, protrarre lo sciopero del carrello diventerebbe un vero e proprio sciopero della fame, vista l’impossibilità per tutte di accedere alla costosa alternativa della spesa interna; useremo lo sciopero della fame come ultima istanza".

Le detenute a Rebibbia femminile sono, oggi, 370: "Il più alto numero dal 1979" dicono gli operatori. Nieri aggiunge: "risale al 1991 l’ultimo concorso per educatori penitenziari che, attualmente, in questo istituto, sono 7, per una media di 350 detenute".

Roma: abolire il carcere? due giorni per parlarne...

 

Liberazione, 28 ottobre 2004

 

Due giorni di riflessione sull’abolizione del carcere. L’iniziativa, che si svolge sabato e domenica prossimi a Roma (ore 10, presso il Laboratorio autogestito "Acrobax"), è organizzata dal collettivo "odioilcarcere", dal nome esplicativo e nient’affatto neutrale, a significare che di fronte all’orrore che suscita la condizione carceraria, non vogliamo restare indifferenti e nemmeno "obiettivi".

Il carcere è uno strumento di tortura e va abolito. È uno strumento che impone solo sofferenza e degrado, laddove afferma di voler "reinserire"; tende a costruire individui gregari e subalterni a qualsiasi potere, uccide la fantasia, la creatività, la personalità e la volontà di ribellione delle persone che rinchiude.

Due giorni per conoscere esperienze e percorsi diversi, per confrontare riflessioni ed elaborazioni e per costruire una rete che mantenga il sapore del confronto e della conoscenza reciproca.

Un anno e mezzo fa le proteste nelle carceri assunsero una dimensione clamorosa: la denuncia dei gravi livelli cui era giunto il sovraffollamento - con una presenza nelle carceri raddoppiata negli ultimi 10 anni - aveva "bucato" perfino l’indifferenza della grande stampa. Dalle carceri si chiedeva un indulto che riportasse le presenze a livelli fisiologici per poi iniziare una vera vertenza sugli altri aspetti della condizione carceraria.

Il governo e il sistema politico - con rare eccezioni - hanno risposto con una sordità arrogante, arrivando fino all’insulto di un ministro della giustizia che parlò di carceri come di alberghi a cinque stelle. E poi il difficile dibattito sul cosiddetto indultino svuotato delle minime valenze originarie nei reiterati passaggi parlamentari. E oggi le presenze in carcere sfiorano la cifra di 57.000 di fronte a una capienza che non dovrebbe superare le 40.000.

In questa vicenda non abbiamo visto l’auspicata presenza del movimento, che pure manifesta una grande sensibilità di fronte alle molte ingiustizie di questo mondo. Ma il panorama non è piatto, vi è una pluralità di iniziative, esperienze, riflessioni, elaborazioni e attività che contrastano metro per metro l’espandersi della logica repressiva/forcaiola e si muovono nella prospettiva dell’abolizione del carcere.

Sono realtà spesso locali e poco conosciute ma interessanti e di grande spessore umano e culturale, a cui noi proponiamo un terreno di confronto e di comunicazione per valorizzare l’opera di ciascuna e ciascuno e di tutte e tutti. Non poniamo nessuna discriminante se non quella di un’autentica cultura al superamento del carcere e di qualsiasi struttura privativa della libertà, di ogni repressione, oppressione, coercizione e sfruttamento.

L’obiettivo è trovare le parole per un dibattito che abbia la pretesa di contaminare tutto il movimento prima e l’intera società poi, sull’abolizione del carcere, riprendendo e rilanciando l’elaborazione degli anni ‘70 e ‘80 su abolizionismo, riduzionismo e depenalizzazione, poi purtroppo abbandonata.

Non è casuale la contemporaneità di questa due giorni con la ripresa delle proteste nelle carceri italiane: la popolazione detenuta oggi si attende molto dal movimento poiché non può aspettarsi nulla dalla sordità del governo, si aspetta solidarietà e mobilitazioni e questa iniziativa può servire a che queste aspettative non vadano del tutto deluse.

Ancona: ecco pronto il nuovo carcere, ma ha già 25 anni!

 

Il Messaggero, 28 ottobre 2004

 

Stavolta ci siamo. Dopo oltre un quarto di secolo il carcere di Barcaglione è finalmente stato consegnato dalle Opere Pubbliche all’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia. Il passaggio di consegne, che attesta il completamento della struttura, è avvenuto il 21 ottobre e segna un importante punto di partenza, come ha spiegato il dottor Raffaele Iannace, Provveditore Regionale Amministrazione Penitenziaria.

"Si tratta di una vera e propria svolta - ha detto Iannace - anche se la consegna è provvisoria in attesa delle pratiche di accatastamento. Per perfezionare l’iter burocratico ci vorrà ancora qualche mese e allora potremo finalmente usufruire di questa importante struttura". Che stavolta l’Amministrazione Centrale avesse davvero intenzione di accelerare i tempi lo dimostra il fatto che già dallo scorso anno erano stati stanziati i fondi all’Amministrazione Regionale per provvedere all’acquisto degli arredi e delle suppellettili per il nuovo carcere e che già almeno sulla carta, alla struttura sia stato assegnato parte del personale.

Ora l’Amministrazione Centrale dovrà stanziare la cifra necessaria per renderlo operativo. L’edificio infatti, concepito come carcere minorile, è stato consegnato dalle Opere Pubbliche, esattamente come commissionato oltre 25 anni fa. In questi due decenni e oltre sono cambiate le esigenze del territorio e, soprattutto, le leggi in materia di sicurezza.

Ci riferiamo in particolare alla legge 626 che dispone provvedimenti di cui si dovrà ora fare carico l’Amministrazione Penitenziaria Centrale. Si tratta di adeguamenti a standard di qualità e di sicurezza che, dal momento in cui saranno a disposizione i finanziamenti, impegneranno poco più di sei mesi di lavoro.

Nel frattempo l’ipotesi più accreditata per la destinazione d’uso della struttura è quella di una casa di reclusione per l’espiazione della pena per detenuti a basso indice di pericolosità con una sezione dedicata ai tossicodipendenti. Non più, dunque, carcere minorile. Questa tesi è avvalorata dall’esistenza di un protocollo d’intesa firmato con la Regione Marche e dalle finalità istituzionali delle case di reclusione che, mai come oggi, devono puntare al recupero e al reinserimento dei detenuti.

"La volontà di partire al più presto c’è da ogni fronte, primi fra tutti - ha ribadito il dottor Iannace - il Ministero di Grazie e Giustizia e l’Amministrazione Centrale, che si pongono però un inderogabile obiettivo: dare il via alla struttura solo quando tutto sarà fatto a regola d’arte, l’adeguamento alle nuove norme di sicurezza, l’assegnazione di personale sufficiente e ben preparato e, cosa che non può mancare, l’interazione con le strutture, gli enti e le realtà locali".

 

 

Precedente Home Su Successiva