Rassegna stampa 27 ottobre

 

Regina Coeli: sciopero della fame e istanze di scarcerazione

 

Redattore Sociale, 27 ottobre 2004

 

Una delegazione dell’Ufficio del Garante per i Diritti dei Detenuti del Comune di Roma, composta da Simona Filippi e Laura Astarita, è tornata in visita al carcere di Regina Coeli, dove ha incontrato nuovamente la rappresentanza dei detenuti che coordina la mobilitazione iniziata lunedì 18 ottobre. I detenuti hanno intrapreso domenica pomeriggio lo sciopero della fame: sono attualmente 400 quelli che vi partecipano.

Fin dall’inizio della mobilitazione, i detenuti hanno scelto di mandare il vitto dell’amministrazione a due case di accoglienza esterne, la Casa dell’Amore Fraterno e il Sospe - Casa di Solidarietà e Speranza, così come molti altri stanno facendo in tutta Italia.

La mobilitazione viene portata avanti, oltre che con lo sciopero della fame e la battitura delle sbarre, anche attraverso lo strumento giuridico delle istanze al Tribunale di Sorveglianza e alla Procura della Repubblica.

La scorsa settimana sono state presentate 700 istanze: 80 condannati in via definitiva, con pena inferiore ai tre anni, hanno inviato al Tribunale di Sorveglianza la richiesta di sospensione della pena; 20 detenuti invece, con sentenza definitiva e pena superiore ai tre anni, hanno fatto richiesta di grazia; i detenuti ancora giudicabili hanno, invece, inviato 600 istanze di scarcerazione con revoca o sostituzione della misura cautelare. Per ogni istanza rigettata, i detenuti hanno deciso e già iniziato a presentare reclamo presso il Tribunale della Libertà.

Inoltre, i 700 detenuti che aderiscono alla mobilitazione, hanno presentato istanza di colloquio: i 100 definitivi hanno richiesto la visita del Magistrato di Sorveglianza e i 600 detenuti giudicabili hanno fatto istanza di presentazione spontanea alla Procura della Repubblica.

Si aspettano in questo modo che venga alla luce il collasso dell’amministrazione della giustizia e degli uffici ad essa preposti, la mancata applicazione delle leggi vigenti e, quindi, l’uso eccessivo ed indiscriminato della custodia cautelare e la mancata applicazione delle misure alternative. Tutto ciò grava sul crescente sovraffollamento degli istituti di pena, determinando una violazione quotidiana dei diritti delle persone recluse.

Roma: parole incatenate, volontari e detenuti a convegno

 

SIR, 27 ottobre 2004

 

In Italia sono presenti 201 strutture detentive, distribuite in tutte le province. I volontari autorizzati ad operare al loro interno coprono il 92% degli istituti, con una presenza complessiva di circa 8mila unità. Si tratta di una presenza crescente; la "Terza rilevazione sul volontariato" in carcere, effettuata nel 2003, rileva un incremento del 17,5% rispetto al 2002 e del 22,3% rispetto al 2001. Sul tema di "Giustizia, diritti, solidarietà e gratuità nel nostro tempo" si è svolta a Roma, dal 21 al 23 ottobre, la III assemblea nazionale del volontariato giustizia.

 

Meno carcere, più giustizia

 

"Sembra che il tempo che si consuma qui dentro non serva a nessuno. Come se, nel rinchiuderti, la società abbia risolto i suoi problemi e i tuoi. Come se il rimorso e il pentimento funzionassero a scadenza". Sono alcune delle "Parole incatenate", un testo curato dai detenuti di Reggio Emilia, lette dall’attrice Ivana Monti nell’introduzione artistica alla prima sessione di lavori dell’assemblea nazionale del volontariato giustizia, svoltasi presso l’istituto di reclusione di Rebibbia (Rm).

Le ha fatto eco la relazione di Carmen Bertolazzi, vicepresidente della Conferenza nazionale del volontariato giustizia (Cnvg) che raggruppa 8 associazioni e 18 conferenze regionali operanti a livello locale: "L’obiettivo del volontariato può essere sintetizzato da una espressione che potrebbe sembrare uno slogan ma che, dopo anni di sforzi, assomiglia più a una supplica: meno carcere, più giustizia". "Nella nostra cultura giuridica – ha proseguito la vicepresidente Cnvg - nella pratica politica ma anche nel pensiero comune, il carcere è la panacea di tutti i problemi. Alle storiche lacune e alle nuove emergenze sociali, si offre, comunque e sempre, come risposta il carcere. Lo sforzo, invece, dovrebbe andare nella direzione opposta: meno carcere, il che non vuole significare abolizione della pena, ma una pena che non sia solo detentiva".

 

Voci da dentro

 

"I volontari non pensano che siamo ‘persi’ solo perché abbiamo fatto degli errori". È il giudizio di Sara, ospite dell’Istituto penale per minori di Casal del Marmo (Rm), che ha anche avuto la "possibilità" di "girare altri istituti e in tutti ho trovato molta attenzione verso noi minori". Ma come dovrebbe operare il volontariato? A fronte di un generale riconoscimento del suo operato, non mancano le note critiche: "Occorre mutare – ha affermato Giancarlo Trovato, direttore di "Non solo chiacchiere", il bimestrale curato dai detenuti di Rebibbia – l’atteggiamento nei confronti del detenuto, riconoscendo che questi ha capacità autogestionale e un pensiero suo.

A volte, molti provvedimenti cadono dall’alto come, per esempio, i corsi di formazione progettati senza chiedere ai destinatari in quale campo vorrebbero formarsi. Chi conosce meglio i problemi del carcere sono, in fondo, i detenuti".

Attenzione viene chiesta al mondo del volontariato per la fase successiva al carcere: "Chi esce dal carcere – ha spiegato Francesco Morelli, della redazione di "Ristretti Orizzonti", il giornale della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca (Ve) – non vuole più essere seguito. Per un malinteso senso di orgoglio, pensa di arrangiarsi da solo: il primo passo per mettersi di nuovo nei guai, anche perché, per una persona che lo aiuta, tre cercano di sfruttarlo. Il volontariato dovrebbe accompagnare i primi passi di questo reinserimento, soprattutto nella ricerca di un lavoro che resta il problema più drammatico del dopo". Secondo Morelli, inoltre, il volontariato potrebbe giocare un ruolo maggiore "nel sostegno alle famiglie dei detenuti, non solo economico e psicologico, ma anche nell’immaginare percorsi da fare insieme al proprio caro in carcere, per gestire meglio il suo ritorno a casa".

 

Una situazione esplosiva

 

Per Livio Ferrari, presidente Cnvg, la situazione del carcere "sta peggiorando. Dopo anni in cui c’erano stati molti segnali di miglioramento, soprattutto con l’introduzione delle misure alternative alla detenzione, si registra un’involuzione. C’è una situazione di degrado drammatico e il sovraffollamento è alla base di una maggiore violenza mentre cresce il numero dei suicidi.

Gli agenti di polizia penitenziaria vivono la difficoltà di gestire, come esseri umani e come custodi dell’ordine, una situazione esplosiva". "In molti istituti di pena – ha segnalato Ferrari – dallo scorso 18 ottobre è in atto uno sciopero pacifico dei detenuti sui problemi di strutture e sovraffollamento, salute, lavoro e risorse da investire.

Non servono più risposte edilizie, con la costruzione di nuovi carceri che comportano costi elevatissimi per la collettività, ma percorsi alternativi all’istituto di pena e il sostegno delle misure già previste dalla legge che agevolano il reinserimento degli ex detenuti". "Bisogna – ha affermato Teresa, detenuta presso la sezione femminile di Rebibbia – che gli anni passati in carcere non siano buttati al vento. Essi rappresentano una giusta pena per chi ha commesso un errore, ma – come dice la legge – finalizzati al reinserimento sociale e non all’emarginazione".

Aurelia: protesta il personale della Polizia Penitenziaria

 

Il Tempo, 27 ottobre 2004

 

Sembrano non avere fine le assemblee e le iniziative di protesta messe in atto dai lavoratori di Polizia Penitenziaria al nuovo complesso penitenziario di Aurelia. Come noto, il personale del supercarcere di Aurelia protesta da settimane per le carenti condizioni di vivibilità che si registrano all’interno dell’istituto, primo fra tutti la carenza di organico che è pari a circa cento unità. In particolare risulta gravissima la situazione nel reparto femminile, dove ci sono soltanto nove agenti che devono coprire su tre quadranti da otto ore, (unico reparto nel Lazio e forse in Italia, con questo orario di lavoro) mantenere la sicurezza e garantire le attività trattamentali per quarantacinque detenute.

Ma tra i motivi della protesta c’è anche la mancata corresponsione degli incentivi relativi agli anni 2002 e 2003. Durante l’ultima assemblea indetta dalla CGIL, il personale ha ulteriormente ratificato la piattaforma presentata dallo stesso sindacato nell’incontro del 19 ottobre scorso svoltosi all’aula Pucci. In quell’occasione, tra le richieste messe in risalto dai sindacati figuravano la diminuzione del numero dei detenuti da assegnare ad altre sedi; la chiusura temporanea del reparto femminile; il ridimensionamento dell’Istituto di Aurelia alle originarie funzioni di carcere giudiziario e la richiesta di presenza continua di psicologi ed educatori per garantire ai detenuti il giusto livello di vivibilità.

Le richieste sono state successivamente illustrate dal segretario della Cgil Funzione Pubblica, Diego Nunzi, al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, il quale ha dato la sua disponibilità a confrontarsi su quanto sollevato dal sindacato. "Ad oggi - ha spiegato Nunzi - la piattaforma della Cgil Fp è l’unica alternativa alla semplice richiesta di aumento di personale che, vertendo su una sostanziale diminuzione mirata della popolazione detenuta e, quindi, dei carichi di lavoro, consentirebbe di ripristinare le condizioni di normalità e di sicurezza, fino a quando non sarà possibile incrementare la pianta organica.

Nei prossimi giorni - ha concluso Nunzi - sarà infine condivisa con le altre organizzazioni sindacali e quindi integrata". Intanto, lo scorso 21 ottobre la Cgil ha sottoscritto un accordo con il provveditore per l’invio di alcuni educatori al supercarcere di Civitavecchia. L’incontro, al quale hanno preso parte il provveditore Ettore Ziccone e la dottoressa Carmela Camanda del Prap ed i sindacalisti Gervasio Capogrossi ed Eugenia Fiorillo della Cgil Fp, è servito, in particolare, ad esaminare le questioni relative alla grave carenza organica dell’area educativa e degli atti di mobilità di personale del supercarcere di Aurelia.

A seguito di un’ampia discussione, le parti hanno deciso di inoltrare al DAP nuove richieste di personale chiedendo di sollecitare le procedure concorsuali in atto, nonché di richiedere un interpello a livello nazionale ed il finanziamento dell’accordo di mobilità del maggio 2003 di un fondo incentivante la mobilità. Il provveditore Ettore Ziccone si è detto infine disposto ad emanare un nuovo interpello ipotizzando un possibile compenso economico, e che qualora non avesse esito si impegnerà personalmente a riconvocare le organizzazioni sindacali regionali al fine di individuare criteri e modalità organizzative della eventuale mobilità regionale.

Veneto: 400.000 euro per formazione-lavoro nelle carceri

 

Adnkronos, 27 ottobre 2004

 

L’Assessore alle Politiche dell’occupazione Raffaele Grazia (Forza Italia), nel presentare i contenuti del Piano triennale per la formazione professionale, ha affermato di considerare un "obbligo" l’offerta di una opportunità formativa ai giovani reclusi negli Istituti di pena minorili e lo stanziamento annuale di 400 mila euro per corsi di formazione nelle carceri.

Oristano: trasferimento del carcere, è la volta buona...

 

L’Unione Sarda, 27 ottobre 2004

 

Se ne parla da vent’anni, finora solo parole. "Ma questa è la volta buona per il trasferimento della Casa circondariale dalla sede di piazza Manno alla nuova struttura che verrà realizzata". Non sembra solo una speranza quella del direttore Pier Luigi Farci, il suo tono è convinto. "Dopo tanto parlare, ci siamo". Sui tempi di realizzazione non si sbilancia, ma è visibilmente fiducioso che sarà presto. Lasciare la città è positivo?

"Ci sono i pro e i contro: da un lato avremo la disponibilità di spazi che oggi non abbiamo, con il risultato che quando si organizzano incontri di calcio il pallone finisce nella rotonda. Ma d’altro lato, saremo isolati dalla cittadinanza e ci saranno problemi per i parenti dei detenuti al momento delle visite". Dal punto di vista della struttura che problemi ci sono? "Oristano, rispetto alle altre realtà dell’Isola, non ha grosse difficoltà. Se si prende come esempio Sassari non c’è davvero paragone. Certo le condizioni non solo al meglio, ma, in tutta franchezza, nemmeno al peggio".

Come è la situazione dal punto di vista dei detenuti? "Sono un centinaio, di cui cinque donne - numeri che rispecchiano un po’ nella media nazionale pari al 7 per cento. La criminalità è al maschile. La cosa particolare di questa realtà è che Oristano non produce detenuti. Mi spiego meglio. A eccezione dei periodi caldi legati alle faide di Busachi e Noragugume, in provincia il tasso di criminalità è piuttosto basso. Con il risultato che solo il 20 per cento dei detenuti è oristanese: è sempre stato così e per giunta sono sempre gli stessi.

Per il resto abbiamo molti cagliaritani, sassaresi e stranieri, provenienti in particolare dal Nord Africa". Una caratteristica da sfruttare? "Proprio così. Attraverso progetti che offrano ai detenuti una preparazione al lavoro e quindi il recupero. Preparare alla libertà non è un’utopia, qui è possibile perché i numeri della criminalità sono modesti. Dobbiamo garantire sicurezza, ma anche formazione e preparazione ai detenuti in modo da aprire loro una strada quando usciranno. Altro punto di forza è la comunità Il samaritano di don Giovanni Usai che fa da filtro fra l’interno e l’esterno, accogliendo i detenuti già parzialmente formati o da formare accompagnandoli per un tratto della loro vita e restituendoli alle loro comunità locali".

Parliamo degli agenti: l’organico è sufficiente? "Oggi sono circa 90, di cui 11 donne che si riducono a 7 perché 4 sono spesso in malattia. Diciamo che non è una situazione disastrosa, anche se gli uomini non bastano mai. Molti agenti di polizia penitenziaria oristanesi lavorano nella Penisola e vorrebbero avvicinarsi a casa: un problema che potrebbe essere risolto con l’ampliamento del carcere".

 

La festa Polizia penitenziaria, alle 10 messa in cattedrale

 

La polizia penitenziaria celebra oggi la sua festa. L’appuntamento è fissato per le 10 in cattedrale dove è in programma la messa. Un’occasione per ribadire il ruolo degli operatori impegnati in una funzione tutt’altro che semplice, il recupero dei detenuti. Diversi i progetti "per trasformare il tempo trascorso in carcere - spiega il direttore Farci - in un periodo di riabilitazione inteso in senso letterale, cioè rendere di nuovo abili a qualcosa di costruttivo. Questo senza mai far venire meno la serietà della pena e mantenere un buon livello di sicurezza. Il progetto consiste quindi nel creare spazi e occasioni formative continue. Con varie fasi operative a partire dal recupero dell’edificio dell’amministrazione penitenziaria di via Angioi. Si libererebbero spazi interni notevoli, in modo da migliorare la funzionalità dell’Istituto. Il lavoro di recupero sarebbe, poi, un’occasione formativa pratica". A breve partiranno, un corso di pittura, tenuto da Antonio Elia, un laboratorio per il corpo e la mente, affidato ad Antonietta Serra, e un progetto di fumettistica. Con il sostegno della Provincia, poi, un corso dedicato alla cucina.

Sicurezza: in Italia meno omicidi, più rapine e truffe

 

Ansa, 27 ottobre 2004

 

Sempre meno omicidi in Italia, in aumento, invece, rapine e truffe; mancano i soldi alle questure; continua ad espandersi la mafia cinese.

È il quadro che emerge dal rapporto Insicurezza Sicurezza, pubblicato dalla Fondazione Cesar, che fa il punto sulla criminalità nel 2003. Il tasso di omicidi ha subito una flessione tale che il suo valore è fra i più bassi degli ultimi 5 secoli. Grazie a questa riduzione, l’Italia ha perso il primato negativo detenuto a lungo in Europa.

Parma: sit in polizia penitenziaria per carenze organico

 

Gazzetta di Parma, 27 ottobre 2004

 

C’è anche il carcere di Parma nell’elenco che l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria) ha stilato per evidenziare i penitenziari italiani che " soffrono" di carenze di organico. Per questo, stamattina lo stesso sindacato ha promosso a Roma un sit in di protesta in piazza Montecitorio, davanti alla Camera dei Deputati.

L’Osapp rivolgerà ai leader di maggioranza e di opposizione, e ai componenti delle commissioni Giustizia del Parlamento, lo stesso invito fatto qualche tempo fa al ministro della Giustizia, Roberto Castelli, e che il Guardasigilli aveva declinato: trascorrere almeno 24 ore in una delle carceri italiane per constatare di persona le "gravi condizioni del personale".

Lo stesso sindacato definisce "indescrivibili le condizioni di disagio dei poliziotti penitenziari nelle carceri di Tolmezzo in Friuli, a Torino, a Milano ( nei tre istituti di San Vittore, di Opera e di Bollate), a Parma, a Firenze- Sollicciano e anche negli istituti del Sud e delle Isole (ad esempio le carceri di Bari, Napoli, Catania e Palermo).

Enna: sfilata di moda con le associazioni professionali

 

Vivi Enna, 27 ottobre 2004

 

Dopo il carcere romano di Rebibbia, anche il carcere ennese ha voluto, grazie alla collaborazione dell’Anfe, dell’Istituto Professionale e dell’Alberghiero ennesi, cimentarsi in una sfilata di moda, dove protagonisti sono stati detenuti e detenute, inserite in un progetto di qualificazione professionale, utilizzando lo charme e la naturale eleganza di cinque giovani studentesse, Claudia, Signorella, Antonella, Luana, Irene ed Alessia.

Scuola e carcere sono due mondi che si conoscono poco, ma che ad Enna sono riusciti ad entrare in simbiosi, hanno iniziato un dialogo importante, fatto di comprensione e collaborazione, offrendo una giornata, che è stata ritenuta memorabile per coloro che, per motivi diversi, si trovano ristretti all’interno di quelle mura.

"Un momento di vita vera", come ha tenuto a sottolineare, Elisa Di Dio, presentatrice della manifestazione, assieme a Totuccio Longo, toscano, ospite "temporaneo" del carcere ennese, i quali accompagnati da Rino Cammarata con musiche e luci, hanno dato la giusta atmosfera a questa manifestazione, che ha tenuto impegnati trenta detenuti, facenti parte di un progetto che li ha visti acquisire esperienze didattiche, che potrebbero risultare determinanti quando "loro" usciranno dal carcere. Ci sono detenuti che hanno seguito un corso di manutentore di parchi e giardini, altri si sono dati alla grafica, altri ancora, specie le donne, alla parruccheria ed all’estetica.

Le cinque ragazze, curate da Patrizia Consoli e Gina Sberna, hanno sfilata quasi da professioniste, ricevendo sentiti applausi da parte delle autorità presenti dal vice prefetto vicario Giuseppina Di Raimondi, il Sostituto Procuratore della Repubblica, Marcello Cozzolino, gli assessori provinciale, Rino Agnello, alla solidarietà sociale, comunale, Maria Antonietta Rosso, alla pubblica istruzione. Le ragazze, per niente intimidite dall’ambiente, accompagnate dalla bella voce di Elisa Di Dio hanno portato dentro una sala stracolma di detenuti "i colori ed i sapori del mondo".

Modelli ricchi di fantasia e di colori, che hanno fatto il giro del mondo, partendo dalla Grecia per finire in Giappone, modelli che l’Istituto Professionale ha elaborato con tanta eleganza ed appropriazione di colori. Il buffet è stato preparato da due alunni dell’Istituto Alberghiero Antonio Porcaro di Centuripe e Fabrizio Nicolosi di Agrigento, i quali hanno preparato prodotti della cucina tradizionale siciliana come arancine, pizzette ed altro, aiutati dai compagni del settore ricevimento. Un buffet, che è stato apprezzato da tutti. Poi i saluti e l’arrivederci alla prossima iniziativa, che, come dicono le insegnanti è già in preparazione.

Avellino: i detenuti di Bellizzi Irpino in sciopero della fame

 

Il Mattino, 27 ottobre 2004

 

Ogni pomeriggio alle 15 e ogni sera alle 21 in punto battono pentole, coperchi e attrezzi da cucina contro le inferriate delle celle e rifiutano il cibo offerto dall’amministrazione penitenziaria. Una protesta cadenzata, quotidiana, fissa.

Una forma di "dissociazione" che viene attuata da cinque giorni da un cospicuo numero di detenuti per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti generali importanti della vita carceraria, sulle garanzie sanitarie e su altri problemi che attengono alla quotidianità dietro le sbarre. Una protesta in contemporanea con altri detenuti rinchiusi in altri penitenziari italiani.

Analoghe le problematiche, comuni gli aspetti dibattuti a livello nazionale. La protesta "rumorosa" dei 450 detenuti del carcere di Bellizzi Irpino dura ormai, come detto, da cinque giorni. Un quarto d’ora di frastuono ogni giorno per sollevare l’attenzione sulle problematiche che attanagliano il mondo carcerario: dal sovraffollamento al taglio dei fondi per la fornitura di medicinali; dalla mancata approvazione delle riforme al blocco dei provvedimenti di indulto e amnistia.

La protesta dei detenuti del carcere di Bellizzi Irpino è comune a quella che stanno portando avanti i reclusi degli altri istituti di pena, a cominciare da Rebibbia e Poggioreale. I detenuti delle sezioni del primo piano del carcere di Bellizzi Irpino, in una lettera al Mattino, hanno raccontato i disagi che hanno portato allo sciopero della fame e alla battitura contro le inferriate delle celle. Per i detenuti del carcere di Bellizzi Irpino occorre una svolta nel sistema penitenziario. I rinvii dei provvedimenti non sono più tollerabili ed aggravano una situazione già insostenibile.

Nel carcere di Bellizzi c’è carenza di medicinali e i tagli sulla spesa sanitaria hanno fatto dimezzare le visite specialistiche. Argomenti che, per chi vive da recluso, sono di primaria importanza. Con questa protesta i detenuti di Bellizzi vogliono richiamare l’attenzione di chi di dovere sui loro problemi. Cercano un interlocutore che sappia recepire le istanze.

Giustizia: l’esclusione sociale e l’esigibilità dei diritti

 

Liberazione, 27 ottobre 2004

 

La questione dei diritti e degli strumenti per la loro garanzia è questione politica e sociale che va ben oltre la legittima, pacifica, ennesima protesta dei detenuti. E questione più generale di cittadinanza, e in quanto tale non riguarda solo le persone coinvolte, dai detenuti, a chi è coinvolto per attività professionale, al volontariato di giustizia, ma è uno dei terreni su cui si gioca la partita della ricostruzione della costituzione materiale nel nostro paese.

Lo spaccato sulla condizione carceraria riaperto dalla protesta dei detenuti e dalla Conferenza sul volontariato di giustizia non ha come protagonista una umanità dolente e non si confina nel carcere come luogo dato e separato di interventi di protezione e di tutela. Al contrario, è espressione di una soggettività politica consapevolmente agita, che mette a nudo il carcere come paradigma dell’esclusione e della marginalità sociale - il corrispettivo dell’Europa di Schengen - rimettendo a tema, dal carcere, la questione più generale dei diritti.

Se si affronta la questione della giustizia e del suo ordinamento a partire dal carcere, l’aspetto personalistico legato alle vicende giudiziarie di Berlusconi e del suo entourage e il conflitto tra governo e magistratura assumono lo spessore - che è il loro proprio - di questione politica di interesse generale. I tratti prevalenti della popolazione carceraria sono un manifesto dell’ingiustizia sostanziale e dell’espansione globale del controllo penale che ormai pervade Italia ed Europa. In questo quadro, l’elemento personalistico, legato alle vicende giudiziarie di Berlusconi, rischia di oscurare l’oggetto vero del conflitto tra magistratura e governo, vale a dire il tentativo - che ci riguarda tutti - di riportare la magistratura inquirente sotto il controllo dell’esecutivo per realizzare un salto di "qualità" nelle politiche securitarie che accompagnano da tempo la riduzione dei servizi e l’esclusione dai diritti nel nostro paese.

La risposta a questo attacco deve articolarsi a tutto campo. Non è solo questione di amnistia, ma di riforma, alla radice, di un sistema di giustizia penale che incarcera la marginalità sociale, facendo del carcere e degli ospedali psichiatrici giudiziari i cardini di un sistema sociale che istituzionalizza l’esclusione.

Va riformato alla radice un modello di welfare centrato sul disimpegno pubblico in economia e sulla marginalizzazione delle politiche sociali in nome dell’imperativo categorico della riduzione della spesa sociale per garantire il rispetto dei parametri di Maastricht e il riarmo.

Nello stesso tempo, la lotta all’espansione di politiche penali repressive deve andare di pari passo con quella alla precarietà come fenomeno sociale di massa. Il senso di insicurezza diffuso va riconnesso alla precarietà delle condizioni di vita e di lavoro, spezzando un cerchio che ha alimentato la deriva securitaria dello stato sociale e compresso i diritti in carcere al di sotto dei limiti di tollerabilità di una società civile.

Per giudizio di chiunque, a qualunque titolo, sia coinvolto nel sistema penitenziario italiano, l’ insopportabilità della condizione carceraria investe in primo luogo le tossicodipendenze, i cittadini migranti e la tutela del diritto alla salute. Ma è in gioco lo stesso esercizio dei diritti in carcere, e con ciò la stessa prospettiva di un cambiamento. Da qui la necessità di affiancare la battaglia sulla giustizia con una più ampia battaglia, politica, sociale e culturale che riconnetta la questione della giustizia e dei diritti in carcere con le mobilitazioni generali per una nuova cittadinanza e l’espansione dei diritti. In questo quadro, il seminario organizzato dal dipartimento welfare per il 5 e 6 novembre sul tema della cittadinanza e dei diritti, e le riflessioni specifiche di sabato 6 sulle droghe e sul carcere sono un’occasione di confronto per il rilancio della mobilitazione e del confronto programmatico a sinistra.

Papillon: vi giudicheremo sulla base dei vostri atti concreti

 

Liberazione, 27 ottobre 2004

 

Alla c.a. di tutti i Deputati e Senatori delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato e del Presidente del Comitato Carceri della Commissione Giustizia della Camera.

Ad una settimana dall’inizio delle pacifiche proteste in 49 carceri italiane, si è ormai praticamente raddoppiato il numero degli istituti grandi e piccoli che vi partecipano ed altri si aggiungono ogni giorno. Gli istituti di Vigevano, Alessandria, Novara, Giarre, Sassari, Nuoro, Brescia, Marassi, Pisa, Cremona, Cagliari, Torino, Frosinone, Civitavecchia, Palmi, Fossombrone, Pesaro, Lecce, Treviso, Benevento, Voghera, Trento e altri, sono ormai uniti con le altre decine di carceri che hanno ripreso la parola attraverso una permanente agitazione assolutamente pacifica.

Ormai non vi è una sola regione del Paese dove non vi siano detenuti che protestano pacificamente, richiamando in tal modo alle loro responsabilità tutte le forze politiche, soprattutto adesso che è stato avviato l’iter parlamentare di una sorta di "Grande Riforma della Giustizia" che non contiene neanche l’ombra di quei provvedimenti (richiesti sia da noi detenuti che dagli stessi operatori penitenziari) che sarebbero necessari per affrontare una realtà penitenziaria che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità.

Anche la tanto decantata futura riforma del Codice penale, se attuata sulla base delle conclusioni depositate dalla vecchia commissione Grasso e dalla recente commissione Nordio, non contempla né la tante volte auspicata abolizione dell’ergastolo e neanche una reale, ampia depenalizzazione di reati minori (con il connesso ampio ricorso a pene alternative al carcere) che vada ben oltre i reati di natura amministrativa e finanziaria e si estenda per lo meno a tutti i reati connessi con lo stato di tossicodipendenza o con lo stato di particolare indigenza personale e/o familiare.

Chi sostiene che un provvedimento di indulto e amnistia sarà possibile soltanto dopo il varo del nuovo Codice Penale, dovrebbe dimostrare oggi almeno la sensibilità necessaria per presentare da subito delle proposte per abolire finalmente la vergogna dell’ergastolo e per una reale, ampia depenalizzazione, altrimenti i suoi discorsi rischiano di suonare come l’eterno rinvio di un provvedimento di indulto e amnistia che ristabilisca un minimo di equilibrio e di vivibilità nelle carceri italiane.

Ecco perché, davanti a ciò che sta accadendo in questi giorni in Parlamento, noi crediamo di avere il diritto di chiedere a tutte le forze Parlamentari di fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che le prime e più importanti riforme del pianeta Giustizia dovrebbero essere quelle che riguardano il sistema penale e penitenziario del nostro paese.

Le pacifiche proteste che migliaia di detenuti hanno iniziato il 18 ottobre vogliono quindi essere anche un invito a mettere da parte sterili contrapposizioni e a ricercare, da subito, in Parlamento un’unità di intenti almeno sulle più urgenti misure che possono appunto ristabilire un equilibrio minimamente accettabile nelle carceri.

Lanciamo quindi un appello ai Presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato e al Presidente del "Comitato Carceri" della Camera, affinché: Si stabilisca un calendario certo per riprendere la discussione sull’ipotesi di un provvedimento di indulto e amnistia, iniziando magari dalle proposte di Legge che mirano a ricondurre al 51% il quorum necessario per approvare tali provvedimenti;

Siano avviate al più presto le procedure necessarie per analizzare tutte le relazioni e i dati ufficiali disponibili (relazioni dei Deputati e Senatori delle Commissioni giustizia, dati di fonte ministeriale e relazioni dei Presidenti dei Tribunali di Sorveglianza, ecc.) per trarne gli spunti necessari per immediate modifiche legislative che consentano una limitazione degli abusi che si compiono nell’uso della custodia cautelare in carcere e immediate modifiche legislative che impongano una applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini e di tutte le misure alternative in tutti i Tribunali di Sorveglianza e per tutti i detenuti, siano essi italiani o stranieri, malati o in buona salute, ristretti nelle sezioni normali o in quelle speciali.

Ci auguriamo che queste semplici proposte trovino il sostegno necessario per trasformarsi in passaggi parlamentari concreti ed immediati, evitando inutili tergiversazioni.

Da parte nostra, continueremo ad estendere la pacifica mobilitazione nelle carceri, con forme di testimonianza che ci permettano di resistere tutto il tempo necessario per ottenere risultati concreti ed immediati. Nessuno si illuda che i detenuti si lasceranno abbindolare da fantasmagorici programmi futuri. Tutte le forze politiche saranno da noi giudicate sulla base dei puri e semplici atti concreti di sostegno alla nostra sacrosanta battaglia di civiltà.

Lo ripetiamo per l’ennesima volta: noi abbiamo ragioni da vendere e le useremo per dialogare con i Cittadini e con chi, nelle Istituzioni, persegue veramente una profonda riforma del nostro sistema penale e penitenziario.

Carceri: se la pena diventa anche business...

 

Liberazione, 27 ottobre 2004

 

Solidarietà e condivisione dello sciopero in corso dei detenuti sono state espresse ieri da Rifondazione comunista in una conferenza stampa a Montecitorio. "Va dato atto al senso di responsabilità dei ristretti se la mobilitazione è rimasta nell’alveo delle iniziative non-violente come lo sciopero della fame e non ha preso la strada degli anni ‘70.

Al governo chiediamo di porre fine alla politica di privatizzazione delle carceri, perché se la pena diventa un business viene meno il principio costituzionale della finalità di recupero e reinserimento sociale". Così Salvatore Bonadonna, capogruppo del Prc alla Regione Lazio, ha introdotto il dossier sullo stato drammatico in cui versano le carceri italiane, presenti anche i deputati Giovanni Russo Spena ed Elettra Deiana.

Non solo le galere hanno superato i limiti dell’accoglienza, ma l’amministrazione della pena è marcia, la carenza del personale penitenziario, agenti compresi, sembra irreversibile. Così accade che, ancora oggi, le detenute con figli siano costrette a dividere la cella con altre madri e altri figli, cella "abilitata" ad ospitare quattro persone adulte; che le attività di formazione finalizzate al recupero sociale e lavorativo dei detenuti subiscano enormi ritardi, che la sala ricreazione del carcere diventi dormitorio; che non siano disponibili medicinali perché la salute in carcere è un lusso.

Il governo non vede, non sente, non ascolta. Preferisce il deterioramento totale, per poter appaltare risanamenti e nuove galere ai privati. Di carcere si muore. I suicidi crescono in modo esponenziale. "I detenuti stanno dimostrando un senso di civiltà straordinario - ha ribadito Russo Spena -. Mentre questo governo, il ministro Castelli, punta all’ipertrofia carceraria, per scaricare l’affare ai privati. La stessa concezione della pena di questo governo è populista e securitaria: il disagio sociale viene sbattuto in cella, chiuso dietro le sbarre".

Ed allora i detenuti si sono organizzati per una protesta ad oltranza. Questa è la seconda settimana di sciopero articolato, pensato ed indetto da Papillon, l’associazione culturale nata all’interno del carcere romano di Rebibbia. Nella piattaforma richieste di misure reali contro il sovraffollamento e la malasanità, ma anche per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge Gozzini, Smuraglia e Finocchiaro ed un provvedimento di indulto e amnistia. Della protesta fanno parte integrante anche lettere e appelli ai parlamentari, agli eletti negli enti locali, alla stampa: "Non fate calare il silenzio sul nostro sciopero". Ad oggi hanno risposto i soliti noti. E tutti gli altri?

Intanto ieri una delegazione dell’ufficio del Garante per i diritti dei detenuti del comune di Roma, è tornata in visita al carcere di Regina Coeli, dove ha incontrato nuovamente la rappresentanza dei detenuti che coordina la mobilitazione iniziata lunedì 18 ottobre. Dove i ristretti che hanno intrapreso da domenica pomeriggio lo sciopero della fame sono attualmente 400.

Dove i detenuti hanno scelto di mandare il vitto dell’amministrazione a due case di accoglienza esterne per persone in difficoltà, così come molti altri stanno facendo in tutta Italia. La mobilitazione viene portata avanti, oltre che con lo sciopero della fame e la battitura delle sbarre, anche attraverso lo strumento giuridico delle istanze al Tribunale di Sorveglianza e alla Procura della Repubblica.

La scorsa settimana sono state infatti presentate 700 istanze: 80 condannati in via definitiva, con pena inferiore ai tre anni, hanno inviato al Tribunale di Sorveglianza la richiesta di sospensione della pena; 20 detenuti invece, con sentenza definitiva e pena superiore ai tre anni, hanno fatto richiesta di grazia; i detenuti ancora giudicabili hanno, invece, inviato 600 istanze di scarcerazione con revoca o sostituzione della misura cautelare.

Per ogni istanza rigettata, i detenuti hanno deciso e già iniziato a presentare reclamo presso il Tribunale della Libertà. Attendono risposta. Consapevoli che il crescente sovraffollamento degli istituti di pena determina una violazione quotidiana dei diritti dei reclusi. La protesta continua.

Rovigo: Ferrari (Volontariato Giustizia) contro nuovo carcere

 

Il Gazzettino, 27 ottobre 2004

 

"Un carcere nuovo non serve, il fallimento del sistema detentivo è ormai sotto gli occhi di tutti". Livio Ferrari, direttore del Centro francescano di ascolto e presidente della conferenza nazionale volontariato giustizia, vede i 28 milioni stanziati dallo Stato come uno spreco.

"Non serve - dice - gettare via miliardi per costruire nuove strutture carcerarie. Occorre piuttosto procedere all’integrazione sociale dei detenuti. I politici che sono andati sui giornali, da Fabio Baratella a Paolo Avezzù, a Franco Grotto, non hanno una conoscenza della materia tale da esprimere giudizi. Dovrebbero confrontarsi con chi da anni opera nel settore. Ma un confronto non c’è mai stato". Ferrari vede il carcere, così come il centro di accoglienza temporanea di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi, come un "ghetto in cui chiudiamo gli aspetti della nostra umanità che non siamo in grado di affrontare in maniera più organica e reale". "Prima di fare scelte di questo tipo - ripete - sotto un profilo etico e sociale, sarebbe opportuno che gli amministratori si confrontassero con gli operatori del settore".

Tra le proposte alternative alla detenzione, Ferrari propone la cosiddetta restituzione del danno: "Il carcere non restituisce il danno procurato con il reato ma evidenzia l’atteggiamento vendicativo della società e ha un costo per la collettività. L’esecuzione penale dovrebbe essere esterna alla galera e prevedere percorsi per la restituzione del danno, secondo principi educativi o rieducativi".

In merito ai 320 milioni, che complessivamente il ministero ha stanziato per la realizzazione di nuovi carceri e l’assorbimento del fenomeno del sovraffollamento penitenziario, Ferrari propone di reinvestirli così: 150 milioni per 2mila nuovi operatori destinati a sostenere il reinserimento sociale e il rafforzamento degli uffici di sorveglianza; 100 milioni per incentivi alle aziende per l’assunzione di detenuti o ex detenuti; 70 milioni per alloggi per ex detenuti e fruizione di misure alternative.

Brescia: lo sport in carcere, strumento per comunicare

 

Giornale di Brescia, 27 ottobre 2004

 

Buon esito ha avuto il Seminario regionale tenutosi sabato a Iseo degli "Operatori sportivi nei penitenziari". Il Seminario, organizzato dall’Uisp Lombardia, ha messo a confronto le esperienze realizzate nelle carceri lombarde. Circa una quarantina di operatori hanno illustrato le loro esperienze affiancandole alla realtà bresciana ben rappresentata, forte della ormai ventennale presenza di attività.

Il tema del Seminario era: "Lo sport in carcere come strumento di comunicazione" svolto dagli interventi dei presidenti Uisp, Giampaolo Ferrari (regionale) e Tarcisio Lanfredi (provinciale), del responsabile regionale Progetto-carcere Uisp, Alberto Saldi, i quali hanno illustrato le tappe del percorso dell’Associazione sul versante solidaristico, dello "Sport per Tutti" e carcerario.

Dopo il saluto pervenuto da parte di Gian Carlo Abelli, assessore Famiglia e solidarietà sociale della Lombardia e l’intervento dell’assessore alla Pubblica istruzione della Provincia di Brescia, Francesco Mazzoli, la mattinata è proseguita con i contributi del magistrato di sorveglianza di Brescia, Alessandro Zaniboni, del presidente dell’associazione "Carcere e territorio" di Brescia, Carlo Alberto Romano, e del direttore della casa circondariale di Mantova, Enrico Baraniello.

Il Seminario è proseguito nel pomeriggio con le relazioni di Francesco Facchini su "Tecniche e applicazioni di psicologia dello sport" e del pedagogista Alessandro Zucchelli sul "Contributo dello sport al reinserimento sociale del detenuto" e quindi il dibattito finale con gli interventi degli operatori sportivi impegnati nei "Progetti-Carcere" lombardi. Sabato scorso, frattanto, a Verziano si sono disputate le gare della 4ª giornata del campionato di calcio: vittorie dell’Over 35 Ghedi per 2 -1 sull’E. Natali e del Tribunale per 4-0 sull’Eurocompass.

Incontro con Don Gino Rigoldi per parlare dei giovani

 

Merate on line, 27 ottobre 2004

 

S’intitola "Giovani: la responsabilità educativa delle famiglie e della comunità locale" l’incontro organizzato per il 16 novembre dai comuni di Monticello e Casatenovo con Don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile "Cesare Beccaria" di Milano.

Don Gino Rigoldi, 65 anni, dal 1972 cappellano per scelta propria dell’istituto penale minorile milanese, ha una lunga esperienza di accoglienza e di recupero dei ragazzi disagiati, primi fra tutti gli ex detenuti ai quali sin dall’inizio della sua attività don Gino offre un appoggio materiale e morale.

Nel 1973 don Gino fonda "Comunità Nuova Onlus", un’associazione che ha lo scopo di seguire i ragazzi usciti dal carcere, spesso senza alcun riferimento famigliare, senza casa e lavoro, cercando di dare loro le opportunità, il sostegno e la guida necessari perché possano gestire da sé in modo costruttivo la propria vita, il lavoro, lo studio, le relazioni e gli affetti.

Se in origine don Gino ospitava i ragazzi senza casa nella propria abitazione, dalla metà degli anni ‘70, attraverso Comunità Nuova, che si impegna anche in una tenace opera di sensibilizzazione dei servizi sociali, nascono case di accoglienza e comunità che con gli anni ampliano il "bacino di utenza" e arrivano ad occuparsi delle problematiche giovanili più in generale: comunità per minori si affiancano così a quelle per ex carcerati e ad altre per tossicodipendenti.

Tra le comunità facenti capo proprio all’associazione di cui don Gino è tutt’ora presidente si annovera anche Villa Paradiso a Besana Brianza, una comunità terapeutico riabilitativa per ragazzi maggiorenni con problemi di dipendenza.

Il lavoro in prima linea e la grande sensibilità educativa del sacerdote gli hanno consentito di acquisire nel tempo un bagaglio di esperienze e conoscenze che lo rendono una delle voci più autorevoli nell’ambito delle problematiche giovanili e comunitarie, del suo contributo si avvalgono infatti diverse commissioni regionali e comunali.

Da diversi anni Don Gino partecipa ad incontri a tema come quello organizzato per il 16 novembre con l’appoggio della parrocchia di Monticello, comune che ospiterà l’iniziativa nel salone polivalente di via Jacopo della Quercia alle 21.00, e da serate come questa ha accumulato un repertorio di scritti e riflessioni dalle quali traiamo, per la sua pertinenza con il tema dell’incontro sopraccitato, il passo che segue:

"Genitori e figli si parlano delle cose da fare, degli avvenimenti, dei comportamenti, poco o niente del senso che danno ai loro comportamenti, dei vissuti delle emozioni e degli amori.

Per fare il genitore oggi e sempre si devono ritrovare tempi e spazi per comprendersi e amarsi, per fare l’inventario delle proprie convinzioni, per riconoscere le debolezze e le energie interiori e di carattere che si possiedono. I figli ci vedono troppo da vicino per accontentarsi delle nostre parole o dei nostri regali. Propongono un impegno troppo difficile?

Ma questo è la premessa per diventare persone adulte (e serene) e la strada obbligata per essere persone di relazione educativa. Se manca l’interiorità e la consapevolezza non può nascere una relazione profonda, sincera, costruttiva che è la richiesta più calda e più seria che i figli ci fanno".

Nisida: seminario internazionale sulla devianza minorile

 

Giustizia.it, 27 ottobre 2004

 

"Giustizia per i minori: strategie e progetti" è il titolo di un seminario di studio promosso dal dipartimento per la Giustizia minorile del ministero della Giustizia in collaborazione con l’Università cattolica del Sacro Cuore, in programma nei giorni 29 e 30 ottobre presso il Centro europeo di studi di Nisida.

Scopo del seminario è di comparare i diritti minorili vigenti all’interno dei paesi dell’Unione europea per attuare strategie operative integrate con altri paesi e alcuni ministeri italiani sulla base di un confronto e di uno scambio di informazioni, in particolare su tre tematiche che corrispondono a tre tavoli di lavoro: rapporto tra educazione e prevenzione: il ruolo della famiglia, della scuola e delle agenzie del sociale; strategie di intervento e progettualità sul territorio; devianza minorile e recidiva.

All’incontro studio partecipano oltre 15 delegazioni della comunità europea e rappresentanti dei ministeri degli Esteri, dell’Interno, dell’Istruzione, della Salute e del Welfare, che per l’occasione potranno scoprire le diverse attività che si svolgono nei laboratori di Nisida, tra cui quella teatrale.

Previsti gli interventi di Jole Santelli, sottosegretario alla Giustizia; Rosario Priore e Sonia Viale, rispettivamente capo e vice capo dipartimento per la Giustizia minorile; Lorenzo Ornaghi e Maria Luisa De Natale, rettore e prorettore dell’Università cattolica del Sacro Cuore. Presenti inoltre appartenenti al mondo istituzionale, giudiziario e accademico.

Radicali: fare luce su gestione della Cassa delle Ammende

 

Agenzia Radicale, 27 ottobre 2004

 

Iolanda Casigliani (Comitato Nazionale Radicali Italiani) ha dichiarato: "Continua l’iniziativa nonviolenta dei detenuti in oltre 90 carceri del Paese e s’intensificano le visite in carcere di parlamentari, consiglieri regionali, garanti dei detenuti, associazioni di volontariato.

Mi permetto ancora una volta di ricordare a tutti coloro che sono veramente interessati a migliorare le condizioni di vita dei reclusi e a facilitare il loro reinserimento nella società che esiste uno strumento già a disposizione, senza bisogno di nuove leggi e decreti: la "Cassa delle Ammende".

Non è una cassa vuota: contiene circa 80 milioni di euro, 7 dei quali sono già stati ipotecati dal Ministero della Giustizia per due progetti sulla psichiatria e sulla telemedicina in carcere che, oltre ad essere stati approvati prima ancora che fosse reso pubblico il Regolamento su come presentare tali progetti, non rispettano il dettato della legge che prevede che i fondi della CdA debbano essere utilizzati per programmi di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti e di aiuto alle loro famiglie.

Mi pare necessario e urgente che gli operatori del "pianeta carcere" si attivino per utilizzare questi fondi preziosi, nel deserto di stanziamenti presenti e prevedibili, e che i parlamentari ed i garanti dei detenuti si attivino sia per controllare la corretta gestione di tali fondi sia per ottenere, finalmente, il bilancio della Cassa delle Ammende. Ancora una volta, i radicali fanno richieste ragionevoli e praticabili; ancora una volta, avranno come risposta il silenzio e la rimozione?".

Perugia: clandestino deve accudire figlio, non va espulso

 

Il Messaggero, 27 ottobre 2004

 

Daniel ha trent’anni, arriva dall’Ecuador e per lo Stato italiano non esiste. Ma il suo ingresso nella storia è sicuro, perché è il primo clandestino per "giusta causa", il primo irregolare motivato, il primo chicano praticamente indispensabile.

L’ha stabilito un giudice folignate pronto a revocare il suo arresto per la violazione della Bossi-Fini: è la prima volta che accade per motivi familiari e affettivi. Mentre l’arrivo di altri disperati s’infrange contro la dura legge dell’espulsione, lui, un lavoro e una casa a Perugia (per ora), può restare. Perché Daniel ha un figlio, cinque anni a marzo, occhi neri, sempre in movimento, nato sul suolo italiano da madre ecuadoregna, disoccupata e sempre in fuga. E un figlio, si sa, da qualcuno va cresciuto. Meglio se da un genitore.

Passo indietro per la storia. Daniel era stato fermato durante un controllo di routine. Niente documenti? Male, lei deve essere espulso. Ma lui rimase perché aveva un motivo forte per disubbidire. Mesi dopo il primo fermo, è stato di nuovo sorpreso, stavolta in treno a Foligno, mentre tornava a casa dal cantiere in cui lavora come piastrellista. Non ha rispettato l’epulsione? Arresto immediato.

Ma il carcere dura poco. I suoi difensori, gli avvocati Decio Barili e Claudio Caparvi, sostengono subito che non aveva lasciato il paese per un compito importante: Daniel è il solo in grado di mantenere il suo bimbo, l’unico cittadino italiano della sua famiglia. Chiede e ottiene di essere giudicato con il rito abbreviato, davanti al giudice unico di Foligno. E quest’ultimo accoglie la teoria dell’avvocato: il figlio è italiano, il papà può e deve provvedere al suo mantenimento, quindi il fatto non sussiste.

I legali avevano sottolineato che la famiglia del suo assistito "è perfettamente inserita nel tessuto culturale italiano". Quindi hanno spiegato al giudice che il papà ha "la ferma volontà di far crescere e maturare il figlio in Italia per non fargli fare la sua vita e quella di sua madre". La sua permanenza è quindi giustificata.

Daniel ha vinto, ma è solo il primo round della sua battaglia per restare in Italia. "Il mio assistito aggiunge l’avvocato potrebbe essere ora nuovamente arrestato e sottoposto a un altro procedimento". Perché la giustizia si è occupata del singolo arresto, non dell’intera vicenda che ha, ovviamente, un futuro. In queste ore comunque saranno avviate le pratiche per la regolarizzazione, facendo soprattutto riferimento a una recente sentenza della Corte di giustizia europea.

"Questa stabilisce spiega ancora Barili che tutti i cittadini europei hanno il diritto di essere assistiti da un parente che, nel caso extracomunitario clandestino, ha diritto di vedersi riconosciuto un permesso di soggiorno a tempo indeterminato che gli consenta di far fronte al proprio potere-dovere di assistenza al congiunto cittadino europeo, specie se minore come nel caso che ci riguarda".

E Daniel? "Se ho trovato un giudice comprensivo e giusto, forse potrò trovare anche un imprenditore che mi metta in regola. Voglio lavorare e dare una vita decente a mio figlio. Non il mio destino di fuggitivo".

Torino: Slow Food, una torrefazione di caffè alle Vallette

 

La Stampa, 27 ottobre 2004

 

Una torrefazione di un caffè guatemalteco, presidio Slow Food, gestita da una cooperativa sociale di detenuti che coinvolgerà direttamente i coltivatori all’interno del carcere delle Vallette. L’iniziativa è unica in Europa, e forse nel mondo, ed è stata presentata ieri al Salone: in carcere è stato appositamente ristrutturato un vecchio magazzino in cui è già arrivata la macchina che tosterà da 20 a 100 mila chili l’anno di caffè di Huehuetenango.

Presto s’aggiungeranno i silos per stivare i chicchi, l’impacchettatrice e la legnaia che alimenterà il macchinario per la tostatura. Il caffè sarà commercializzato grazie ai canali della Coop, partner della Fondazione per le biodiversità. Piero Sardo, il vicepresidente Slow Food responsabile dei Presìdi, ha sottolineato che l’ingresso della chiocciola nella giungla del mercato del caffè "È una sfida difficile, davanti alla quale non vogliamo però tirarci indietro.

Il prezzo del caffè è frutto di enormi speculazioni finanziarie sui mercati azionari di cui 25 milioni di poveri, i piccoli produttori, sono vittime. È un mercato crudele, e non è un caso se siamo stati costretti a chiudere uno dei nostri tre presidi legati al caffè. I due rimasti sono utopie, e la nascita della torrefazione è l’utopia delle utopie.

Sarà garantito ai produttori un equo guadagno senza incidere sul prezzo finale". Pietro Buffa, il direttore del carcere, ha sottolineato che la torrefazione "Unisce la volontà di riscatto e recupero dei detenuti alla solidarietà verso un popolo nei confronti del quale la strada verso il riscatto è vera missione sociale". Non è escluso che la torrefazione possa, più avanti, utilizzare anche altri caffè dei presidi, "a loro volta sottratti al monopolio dei 4-5 grandi compratori che del mercato mondiale determinano le regole, escludendo i produttori da qualsiasi possibilità di decisione".

 

 

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