Rassegna stampa 25 ottobre

 

Sofri: sul problema della grazia interverrà la Consulta?

 

Toscana Oggi, 25 ottobre 2004

 

Un caso politico-istituzionale che si trascina da due anni e al quale la politica e il Parlamento sino ad oggi non hanno trovato una soluzione. Alla fine, a dirimere la complicata questione della grazia ad Adriano Sofri e Ovidio Bompressi, condannati a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Calabresi, è probabile che dovrà intervenire la Corte Costituzionale. A meno che in questa intricata vicenda non intervenga un ennesimo colpo di scena.

Pervicacemente contrario alla grazia ai due ex esponenti di Lotta Continua, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, giovedì 21 ottobre è salito al Quirinale per fare il punto con il Capo dello Stato su due istruttorie di grazia ormai praticamente concluse (i pareri aggiornati su Bompressi sono stati trasmessi al Colle la settimana scorsa, mentre il fascicolo su Sofri sarà tra pochi giorni sul tavolo del Guardasgilli). Più volte Castelli ha ribadito che ci sono altri casi, quasi del tutto sconosciuti, di detenuti che hanno chiesto la grazia ma per i quali nessuno o pochi si sono mossi. Nell’incontro lo avrebbe dimostrato, facendo il punto con il Capo dello Stato su alcune istruttorie per la clemenza a delinquenti comuni, che forse meriterebbero anche di essere accolte. Non è escluso che questi fascicoli possano essere trasmessi nei prossimi giorni dal ministero di Largo Arenula al Quirinale assieme alla pratica Sofri.

Tra il caso Bompressi e quello Sofri esiste comunque una differenza: il primo ha chiesto la grazia ben due volte per motivi di salute (Castelli ha già detto di no una volta), mentre il secondo si è sempre rifiutato di presentare domanda.

È ora difficile prevedere cosa accadrà: Ciampi dirà di sì alla grazia mentre Castelli non controfirmerà aprendo così uno scontato conflitto alla Corte Costituzionale? Oppure il Quirinale tenderà a distinguere la posizione di Bompressi da quella di Sofri? E se il Guardasigilli proporrà la grazia per altri detenuti, Ciampi accetterà?

In questi due anni si sono mossi in tanti: il comitato promotore per la grazia fondato dall’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone e da Silvio Di Francia; il leader dei Radicali Marco Pannella, che a più riprese ha fatto lo sciopero della fame e della sete affinché il Capo dello Stato si riappropriasse della sua prerogativa di concedere la grazia anche in assenza di una richiesta del detenuto e di un’istruttoria avviata dal ministro della Giustizia; il presidente della Repubblica Ciampi, intervenuto più volte, l’ultima delle quali in modo clamoroso; il Guardasigilli leghista, sempre contrario a un eventuale atto di clemenza; il Parlamento, dove sono stati affossati - soprattutto grazie ai voti contrari di An - due provvedimenti (legge Boato e art.24 delle riforme costituzionali) che avrebbero consentito a Ciampi di concedere la grazia a Sofri senza che Castelli controfirmasse l’atto.

È il 19 agosto 2003. Marco Pannella, in conferenza stampa, sostiene che "nulla ostacola" il presidente Ciampi a concedere la grazia a Sofri dal momento che esiste un articolo del codice di procedura penale (art. 681) che al quarto comma così recita: "La grazia può essere concessa anche in assenza di grazia o di proposta". Non contento, Pannella chiama in causa il segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, indicandolo come l’ispiratore del comunicato del 18 luglio 2003 con cui si sosteneva - erroneamente, secondo il leader radicale - che il Capo dello Stato non potesse liberamente esercitare il potere di grazia senza l’iniziativa del ministro della Giustizia. Il giorno dopo l’iniziativa radicale, dal Colle arriva la precisazione: l’articolo 89 della Costituzione fa sì che "in mancanza del consenso del ministro della giustizia a voler controfirmare l’eventuale decreto presidenziale di concessione della grazia, non è costituzionalmente possibile emanare il suddetto decreto presidenziale, in quanto sarebbe non valido".

Insomma, se è vero che l’art. 87 della Costituzione dà a Ciampi il potere di concedere la grazia e di commutare le pene, resta sempre un limite, quello previsto dall’art. 89 della Carta per cui "nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità ". Ma, per sua esplicita e reiterata ammissione, Castelli questa responsabilità politica non se la vuol prendere, perché è un provvedimento di clemenza che proprio non condivide ("finché sarò io ministro - ha detto di Sofri e Bompressi qualche giorno fa - credo che non avranno mai la grazia").

Come uscirne? Due le alternative: una soluzione politica (approvare una legge che consenta al Capo dello Stato un’iniziativa autonoma dal ministro della Giustizia, oppure far controfirmare l’eventuale grazia non da Castelli ma dal premier Berlusconi); altrimenti il ricorso alla Corte Costituzionale per dirimere una delicatissima questione tra poteri dello Stato. Quest’ultima ipotesi è sempre stata vista come un’extrema ratio, perché di conflitti di attribuzione di tale portata non se ne sono mai visti (quello tra l’ex presidente Cossiga e l’ex Guardasigilli Martelli sulla grazia a Renato Curcio non fu mai risolto dalla Corte perché il ministro ritirò il ricorso).

È il 31 marzo quando, dopo il naufragio, alla Camera, del testo Boato, Ciampi compie un gesto clamoroso: decide di esercitare lo stesso il potere di grazia in modo autonomo rispetto al ministro Castelli. Con una lettera che verrà resa nota alla stampa, suscitando così l’ira del Guardasigilli, Ciampi chiede al ministro di inviargli i pareri aggiornati su Bompressi e di aprire un’istruttoria su Sofri. Castelli incassa per "cortesia istituzionale": dà incarico agli uffici di Via Arenula di aprire un fascicolo su Sofri.

I pareri sono arrivati al ministero (negativi quello della procura generale e del giudice di sorveglianza di Pisa per Sofri, negativo quello del pg di Milano per Bompressi che però ottiene un parere moderatamente positivo dalla procura di Massa). Nel frattempo, però, alla Camera, dove vengono approvare le riforme costituzionali, la Cdl si sfalda sulla controfirma degli atti presidenziali. An vota contro, proprio alla luce del caso Sofri. Fallita la soluzione politico-parlamentare, ora resta la strada che porta alla Consulta. Sempre che Ciampi dica sì alla Grazia a Sofri o a Bompressi.

Sanremo: undici detenuti assembleranno serramenti

 

Sanremo News, 25 ottobre 2004

 

Undici detenuti del carcere di Sanremo, che a giugno hanno superato un corso professionale per l’assemblaggio di serramenti, potranno presto lavorare a fianco di una cooperativa, con regolare retribuzione. Lo ha annunciato oggi il direttore della casa circondariale, Francesco Fontirrè, nel corso dell’annuale festa del corpo di Polizia Penitenziaria.

Durante il suo discorso, Frontirrè, ha illustrato un bilancio dell’attività del carcere, aperto a dicembre del 1996, che risulta essere il più recente della Liguria e il secondo della regione (dopo Marassi, a Genova) per capienza di detenuti.

Dalla sua apertura, infatti, vi è stata una presenza di 84.147 soggetti, pari a una media di 230 unità giornaliere. In giornata è stata inaugurata anche una sala studio per gli agenti della Polizia Penitenziaria con biblioteca e possibilità di accesso a internet. 

Potenza: firmata intesa tra Regione e Ministero Giustizia

 

Adnkronos, 25 ottobre 2004

 

Nel primo pomeriggio di oggi, a Potenza, il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, ed il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per il recupero dei detenuti, per la prevenzione ed il contenimento della criminalità e per una serie di misure riguardanti il regime penitenziario.

Il protocollo prevede azioni per l’assistenza sanitaria e la salute in carcere, per il trattamento di persone sottoposte a misure restrittive, per le donne, gli stranieri, gli autori di reati sessuali e i minorenni, per l’esecuzione penale esterna, per l’edilizia penitenziaria, per le attività di assistenza alle vittime del delitto e per la comunicazione e gli strumenti informatici e telematici.

Torino: vini prodotti dai detenuti del carcere di Velletri

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

Ieri sera, alle 20.30, presso lo Spazio Coop (padiglione 3, stand P60 – P61 – Q 59 – Q 60) del Salone del Gusto di Torino, sono stati presentati di fronte a un pubblico numeroso e interessato i vini prodotti dalla Piccola Società Cooperativa Lazzaria e commercializzati da Coop Italia.

La piccola azienda si caratterizza per il fatto che sia i soci sia i lavoratori sono detenuti o ex detenuti del carcere di Velletri, a pochi chilometri da Roma. I soci si occupano di tutta la filiera produttiva, dalla vigna alla cantina.

La storia inizia nel 2002, quando l’agronomo dell’istituto di pena propose di sfruttare la naturale vocazione agroviticola della zona dando la possibilità ai detenuti di imparare una professione. Il piccolo numero di bottiglie prodotte (meno di 3000) fu venduto tra i dipendenti del carcere. Poiché nessuna istituzione carceraria può avere rapporti con l’esterno, né può fatturare, questa esperienza sembrava destinata a concludersi in breve tempo. Nel gennaio 2003, coinvolgendo Stefano Lenci, agente di commercio in campo enologico, si pensò di istituire una cooperativa sociale che si avvalesse dei vantaggi della legge 448 del 1998: questa norma concede sgravi fiscali ad aziende al cui interno lavorano soggetti svantaggiati. In questo modo, i carcerati non soltanto imparano un nuovo lavoro che potrà essere loro utile quando torneranno in libertà, ma possono anche guadagnare dei soldi con cui mantenere la famiglia durante la detenzione.

La cooperativa, di cui Lenci è diventato presidente, è stata avviata ufficialmente nel settembre 2003 con l’imbottigliamento di un novello dal nome significativo, il "Fuggiasco", ottenuto da un uvaggio di merlot e malvasia nera, le cui scorte sono andate esaurite in dieci giorni. Tra gennaio e aprile 2004, hanno esordito altre due etichette, anch’esse dai nomi ironici ed evocativi: lo Chardonnay "Quarto di Luna" e il Sangiovese "Le Sette Mandate". 

Salerno: la società è troppo lontana dal carcere

 

La Città di Salerno, 25 ottobre 2004

 

Una Santa messa, officiata in Cattedrale dall’arcivescovo monsignor Gerardo Pierro, ha aperto, ieri mattina, le celebrazioni dell’annuale del Corpo della polizia penitenziaria. Durante la sua omelia l’Arcivescovo ha benedetto gli sforzi ed il difficile lavoro che quotidianamente gli agenti della polizia penitenziaria svolgono.

Elogi ai colleghi anche dal direttore della casa circondariale di Fuorni, Alfredo Stendardo, che ha sottolineato la necessità di arrivare ad una maggiore osmosi tra il carcere e la società civile. "Stiamo vivendo un momento particolare, a causa della protesta carceraria - ha infatti spiegato il direttore della casa circondariale di Fuorni - ma il problema delle carceri non può essere risolto solo dagli agenti della polizia penitenziaria. I carceri non possono essere considerati come realtà avulse rispetto al sistema sociale in cui sono collocati.

Eppure capita esattamente così ed anche Fuorni si nutre dell’indifferenza della società civile, dai politici ai cittadini comuni". Al termine della cerimonia religiosa e del discorso di Stendardo, sono stati consegnati alcuni elogi. A beneficiarne sono stati l’ispettore superiore Francesco Pierri, il sovrintendente capo Francesco Di Mare e gli agenti scelti Gerardo Napolitano e Lorena Casilli. Consegnati poi tre attestati all’ispettore capo Carmine Napoli ed ai sovrintendenti capi Michele D’Amico e Pasquale Belardi. Intanto nei giorni scorsi il comitato di zona Torrione ha incontrato Stendardo per discutere della creazione di cooperative sociali per reinserire nella società i detenuti. 

Vercelli: da detenuti a chef, apre una scuola di cucina

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

Nel supercarcere di Billiemme, da un paio di settimane, è stata avviata una prima classe dell’Istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri e della ristorazione. Gli allievi sono 18, di cui tre di origini maghrebine.

Da detenuti a chef nei grandi alberghi, con tanto di diploma statale: è l’esperimento in corso nel supercarcere vercellese di Billiemme dove, da un paio di settimane, è stata avviata una prima classe dell’Istituto professionale di Stato per i servizi alberghieri e della ristorazione "Giulio Pastore" di Varallo Sesia e Gattinara (Vercelli).

L’iniziativa, che ha avuto il via libera del Ministero e un contributo finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, è del preside Alessandro Orsi e del direttore del carcere Antonino Raineri. Attualmente gli allievi-detenuti sono 18, di cui tre di origini maghrebine, e sono seguiti da dieci insegnanti. "È una classe perfettamente regolare - commenta il preside - con tanto di votazioni e di esami finali: se tutto andrà per il verso giusto fra cinque anni avremo detenuti diplomati chef di sala, cucina o reception, e comunque in possesso di un utilissimo e validissimo diploma statale di scuola media superiore. È il primo esperimento del genere in Italia: qualche anno fa un tentativo analogo in un’altra provincia aveva incontrato molte difficoltà ed era stato sospeso".

I detenuti-studenti, a sentire il preside, sono tutti motivati, frequentano le lezioni dal lunedì al venerdì; il mercoledì è dedicato interamente alle attività pratiche della ristorazione, mentre negli altri giorni gli allievi si dedicano allo studio delle materie teoriche curricolari (italiano, matematica, lingue straniere, storia e geografia). In un locale del carcere è stata costruita una cucina in grado di svolgere il proprio compito; un’altro locale serve da aula e sala riunioni. "Devo segnalare - conclude il preside - la grande disponibilità e la massima collaborazione ottenuta da parte dell’intero personale della polizia penitenziaria in servizio: non solo dal direttore e dalla dottoressa Cittadini, la sua vice, ma anche da tutti gli operatori carcerari di ogni grado".

Di Somma (Dap): potenziare il ricorso alle pene alternative

 

Corriere.it, 25 ottobre 2004

 

Modificare il codice penale, potenziare il ricorso alle misure alternative: questa, secondo il vicecapo del Dipartimento Amministrazione Giudiziaria (Dap), Emilio Di Somma, è la strada da intraprendere per cercare di dare una soluzione al problema del sovraffollamento degli istituti di pena.

Quello scaturito dalla riforma del 1985 - ha detto Di Somma intervenendo stamani alla terza Assemblea nazionale del volontariato giustizia in corso a Roma - è "un buon ordinamento giudiziario", perché "ha detto le cose giuste sulle modalità di vita dentro agli istituti e ha centrato l’attenzione sull’aspetto umano della detenzione, individuando un percorso di trattamento del reo verso il recupero". Ciò che manca, però, anche per limiti culturali dell’epoca - ha aggiunto - è "la parte relativa alle misure alternative al carcere, che invece va potenziata".

"Abbiamo una presenza quotidiana nelle carceri di 55-56 mila persone, in costante crescita - ha detto Di Somma - possiamo anche costruire nuovi istituti, ma se il trend di crescita continua ad essere questo, il problema non si risolve". Modifica del codice penale e misure alternative possono invece aiutare; il carcere deve essere considerato "l’extrema ratio". "Non sarà mai possibile - ha aggiunto - trovare un modo perché la pena sia davvero più umana; il fatto stesso di prendere una persona, isolarla dalla famiglia e dagli affetti e rinchiuderla in uno spazio insieme a degli estranei è una cosa contro natura.

È un male necessario, non siamo stati capaci di inventare niente di diverso". Ma la pena, da sola - ha avvertito il capo del Dap - non basta per garantire la rieducazione. "Manca la partecipazione umana e la convinzione che è possibile risocializzare la persona che ha compiuto un reato". "L’ordinamento giudiziario - ha continuato - si pone in termini di offerta, ed è un’offerta rivolta a tutti, anche a chi ha commesso delitti efferati".

"Anche a chi è sottoposto al regime della 41 bis" ha aggiunto, citando il caso dei permessi al boss mafioso Giovanni Brusca che hanno scatenato molte polemiche in questi giorni. L’altro grande problema, ha affermato Di Somma, è quello del dopo-carcere: la solidarietà, ha detto rivolgendosi alla platea di volontari, deve esprimersi non solo negli istituti, ma anche fuori, mettendo chi esce dal carcere in condizione di lavorare.

Se il 70 per cento dei detenuti è recidivo, ha detto, è anche perché chi esce e non trova lavoro sarà spinto a tornare a commettere reati per poter vivere. Bisogna, quindi - ha suggerito - organizzare una rete di intervento nei confronti di chi sta per finire di scontare la pena. Una ‘retè alla quale dovrebbero, ha concluso, partecipare tutti, istituzioni, imprese, sindacati, mondo del volontariato, enti locali.

Caritas: 7 milioni di poveri, l’80% tra i 20 e i 60 anni

 

Agi, 25 ottobre 2004

 

Negli ultimi 10 anni le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono circa 7 milioni e dei nuovi poveri, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni; il 54% è costituito da donne. Celibi e nubili sono il 33% ma la quota dei coniugati è più alta: 46,5%. Oltre il 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% sono conoscenti, il 21,5% vive da solo.

È questa in sintesi la fotografia fatta dalla Caritas in collaborazione con la fondazione E. Zancan, la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), contemplata in "Vuoti a perdere", ossia il Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta curato da Walter Nanni e Tiziano Vecchiato.

Il rapporto 2004 individua poi le cosiddette forme di disagio sociale di cui soffrono gli italiani: shopping compulsivo, lavoro patologico, dipendenza da Internet e da telefonino, gioco d’azzardo, depressione, demenze, malattia di Alzheimer e, dulcis in fundo, lavoro atipico flessibile.

"Numerose persone oggi si trovano a vivere - si legge nel Rapporto - situazioni emergenti di disagio non sempre riconosciute come tali e proprio per questo più pericolose". Dunque la lotta alla povertà non ha dato i frutti sperati: in 10 anni i poveri sono oltre 7 milioni. Ma chi sono oggi i poveri in Italia? La Caritas è in grado di dirlo avendo monitorato tra gennaio e marzo 2004 le persone che si sono rivolte nelle sue diocesi (14 al Nord, 30 al Centro e 28 al Sud) per trovare aiuto. Ebbene, delle 11.629 persone che hanno chiesto aiuto, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni, gran parte tra i 30 e i 40. Il 62,6% degli utenti non sono italiani e di questi il 40% è senza permesso di soggiorno: indice del riproporsi in termini significativi - sostiene la Caritas - del fenomeno degli irregolari nonostante l’ultima regolarizzazione del 2002. I cittadini stranieri che ricorrono alla Caritas sono più giovani: più del 90% ha tra 20 e 55 anni, in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniugati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. I trequarti sono disoccupati rispetto al 58% dei cittadini italiani. Tra i nostri connazionali alta è la presenza dei pensionati: circa il 13%, ossia 1 su 8.

La povertà e l’esclusione sociale per le nuove patologie (depressione in testa: ne soffrono 17 italiani su 100) e le nuove forme di lavoro atipico (passate tra il ‘99 e il 2002 dall’11% al 16% rispetto all’occupazione standard) non si possono considerare "una fatalità - dice il rapporto - quasi un tributo da pagare per lo sviluppo di un paese: la permanenza di un’alta quota di povertà è una sconfitta per la democrazia e per il modello di sviluppo sottostante".

Dunque, l’area di chi deve cavarsela è ampia. "Una soluzione molto praticata dalle famiglie - ha detto Giuseppe Pasini, direttore della Fondazione Zancan - è il debito differito con il quale si punta a spostare più in avanti il problema di come pagare e si spera in tempi migliori: e questo permette di mantenere un tenore di vita apparentemente buono pur senza sapere quanto potrà reggere". E il debito differito non solo riguarda i giovani con lavori flessibili ma pure altre fasce significative della società - avverte ancora il Rapporto - come le persone che andranno in pensione dopo il 2008: costoro infatti non avranno la certezza di vivere dignitosamente solo con il loro reddito pensionistico.

L’approfondita analisi dello status sociale delle famiglie italiane fa emergere dunque una diffusa povertà (il 10% percepisce il 2,3% del reddito nazionale contro il 10% più ricco che ne guadagna il 26,5%); una distribuzione diseguale della ricchezza (il 10% ne possiede una fetta del 45,1%); una crescita ulteriore di chi era già ricco (il 5% ha aumentato la quota di reddito dal 27 al 32%, mentre l’1% dei super-ricchi l’ha accresciuta dal 9 al 13%), accanto alle nuove forme di disagio sociale strettamente connesse - conclude il Rapporto - con un modello di sviluppo che non dà cittadinanza a valori come la solidarietà e l’uguaglianza con il rischio di smantellare il sistema di welfare. 

Roma: una casa per l’associazione "A Roma Insieme"

 

Vita, 25 ottobre 2004

 

Il Comune capitolino assegna una sede allo storico ente che si occupa dei figli delle detenute di Rebibbia. L’unica associazione italiana di volontari che in modo permanente e organizzato opera ormai da dieci anni con le detenute madri che scontano la pena in un carcere, quello romano di Rebibbia, insieme con i loro figli, di età compresa tra 0 a tre anni, ha finalmente una sede: il Comune di Roma ha assegnato all’associazione A Roma Insieme un locale di circa 100 metri quadri nel centro storico della città, in via S. Angelo in Pescheria 35, dove l’associazione, che pagherà un affitto calmierato rispetto ai prezzi di mercato, potrà svolgere le proprie attività e costituire un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di mamme, bambini in carcere e più in generale di infanzia.

A Roma Insieme ha così festeggiato i dieci anni di attività ed ha inaugurato la propria sede, presenti, tra gli altri, gli assessori capitolini alla casa Claudio Minelli e alle politiche sociali Raffaella Milano e i deputati Anna Finocchiaro e Augusto Battaglia. "Lavoreremo senza sosta fino a quando non avremo raggiunto il nostro obiettivo: che nessun bambino varchi mai più la soglia di un carcere", ha spiegato la presidente dell’associazione, Leda Colombini.

Ogni sabato, dal 1994, i volontari dell’associazione trascorrono l’intera giornata fuori dal carcere con i bambini e le bambine della sezione nido di Rebibbia. "Le giornate - spiega Chiara Piva, una delle volontarie - trascorrono, secondo la stagione, presso amici e sostenitori, ospiti in campagna o al mare, nei parchi cittadini, al Bioparco o ovunque si possano creare momenti di gioco e di scoperta".

Tra i prossimi obiettivi dell’associazione, che sta lavorando su questo punto con la commissione Pari Opportunità della Consulta penitenziaria del Comune di Roma, c’è quello di proporre modifiche alla legislazione in materia affinché la legge n. 40 del 2001 sulle Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori, che ha visto finora la propria applicazione per le detenute madri italiane, come spiega Colombini, funzioni pienamente anche per le nomadi e per le detenute straniere.

"Vogliamo - spiega Colombini - che venga prevista una norma che dia la possibilità al giudice di revocare l’espulsione dall’Italia delle detenute madri straniere se si verificano, una volta scontata la pena, una serie di condizioni: se le donne hanno compiuto un percorso di cambiamento comprovato dai servizi sociali, se loro e i loro figli sono inseriti nella scuola e nella realtà sociale e territoriale, se hanno un contratto di lavoro e un domicilio, anche in case di accoglienza". 

Volontari in forte crescita, ce n’è uno ogni sette detenuti

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

Un "esercito" di quasi 8.000 persone, cresciuto in due anni del 22,3% e che vede una maggiore presenza al Centro-nord: sono i volontari e gli operatori di terzo settore attivi in modo continuativo nelle 201 strutture detentive italiane, circa uno per ogni sette detenuti. È quanto si evince dalla terza rilevazione nazionale, realizzata dalla Conferenza nazionale Volontariato Giustizia nel 2003.

Una presenza in costante crescita, quella dei volontari negli istituti di detenzione, visto che dai 6.540 del 2001 sono passati ai 6.747 del 2002 e ai 7.998 del 2003. Una presenza però non ancora omogenea sul territorio: ne risulta privilegiata l’area del Centro dove, a fronte del 21,5% delle strutture penitenziarie, si colloca un terzo dei volontari; al contrario del Sud, che pur rappresentando il 44,5% degli istituti aggrega solo il 19,4% degli operatori.

Lo squilibrio territoriale è ancora meglio evidenziato se si considera il rapporto tra numero di volontari e di detenuti: se a livello nazionale è di sette a uno, al Sud questo rapporto è di 14 a uno, mentre al Nord c’è un volontario ogni 4 detenuti.

La rilevazione registra disomogeneità anche tra regioni: se la Toscana ha il miglior coefficiente numerico (2,9 detenuti per ogni volontario), la maglia nera spetta alla Valle d’Aosta dove ogni volontario deve assistere ben 60 detenuti. Preponderante, poi, tra i volontari, la presenza femminile (52,6%).

 

Giustizia: Cirielli (An) si dimette da relatore Pdl su recidiva

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

Il deputato di An Edmondo Cirielli, primo firmatario e relatore del provvedimento che inasprisce le pene per i recidivi e che dovrebbe tornare all’esame dell’Aula la prossima settimana, si è dimesso da quest’ultimo incarico. Il motivo ufficiale della sua rinuncia è quello classico degli "impegni personali", ma secondo quanto si è appreso, il parlamentare vorrebbe evitare di fare il relatore di un provvedimento che a breve rischia di tornare al centro delle polemiche.

Tempo fa, infatti, ad un provvedimento identico presentato da An e Lega (poi però ritirato e ripresentato con la sola firma di Cirielli) il deputato di Forza Italia Mario Pepe aveva presentato un emendamento che avrebbe permesso di fatto la prescrizione dei reati imputati a Cesare Previti.

Ora che la proposta di legge è stata rimessa all’ordine del giorno dei lavori dell’Aula dalla prossima settimana il rischio è che un emendamento analogo a quello Pepe venga riproposto. Anche se in molti, nella Cdl, pensano che se la proposta di modifica "salva - Previti" deve essere presentata, meglio sarebbe farlo al Senato.

Nel dubbio, Cirielli oggi ha comunicato ufficialmente alla commissione Giustizia della Camera le sue dimissioni da relatore e l’incarico è stato affidato al suo collega di gruppo Enzo Fragalà. 

Priore: difficile realizzare obiettivi a causa dei tagli a spese

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

Quella che stiamo vivendo è "una stagione particolare: gli istituti sopportano con disagio l’impegno della loro funzione" a causa dei tagli alle spese e dei problemi economici del Paese, e "se non ci fosse il volontariato molti obiettivi non sarebbero realizzati".

Lo ha detto Rosario Priore, capo del Dipartimento di giustizia minorile, intervenendo alla terza Assemblea nazionale del volontariato giustizia in corso nel carcere romano di Rebibbia. Premettendo che il diritto minorile "marcia a un passo diverso da quello degli adulti" e che, per esempio, le pene alternative per i minori sono già attuate da tempo, Priore ha detto che "il Dipartimento soffre per i tagli alle spese" e che si sta cercando di portare avanti i progetti a costo zero, come "trattati e riforma dell’ordinamento". Ecco perché, ha spiegato, "abbiamo bisogno dei volontari, il cui apporto è molto forte in questo settore": sono oltre 50, ha reso noto, le associazioni che in Italia lavorano nelle carceri minorili, ed è un volontariato "di ogni tipo, religioso e laico".

ossicodipendenti", gente che spesso "delinque per bisogno".

Sofri: istruttoria grazia conclusa, presto atti a Ciampi

 

Ansa, 25 ottobre 2004

 

L’istruttoria per la grazia ad Adriano Sofri è conclusa nei suoi aspetti tecnici e, dopo essere stata visionata dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, sarà trasmessa al Capo dello Stato. Il fascicolo era stato richiesto lo scorso marzo dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. L’istruttoria contiene i pareri espressi dalla Procura Generale di Milano e dal giudice di Sorveglianza di Pisa (pareri tecnici e non vincolanti) e una relazione ricognitiva scritta dall’ufficio competente del ministero della Giustizia.

I pareri sono arrivati al ministero (negativi quello della procura generale e del giudice di sorveglianza di Pisa per Sofri, negativo quello del pg di Milano per Bompressi che però ottiene un parere moderatamente positivo dalla procura di Massa). Nel frattempo, però, alla Camera, dove vengono approvare le riforme costituzionali, la Cdl si sfalda sulla controfirma degli atti presidenziali. An vota contro, proprio alla luce del caso Sofri. Fallita la soluzione politico-parlamentare, ora resta la strada che porta alla Consulta. Sempre che Ciampi dica sì alla Grazia a Sofri o a Bompressi.

Caltanissetta: per Commissione Giustizia nessun sovraffollamento

 

La Sicilia, 25 ottobre 2004

 

"Nel carcere di Caltanissetta non c’è alcun problema di sovraffollamento". Lo sostiene il sen. Leonzio Borea, vicepresidente della Commissione Giustizia del Senato, che ha incontrato detenuti, agenti e dirigenti della casa di reclusione di Caltanissetta nell’ambito del giro di ispezioni programmato per tutta la Sicilia.

"Attualmente - aggiunge Borea - la popolazione detenuta è di 85 unità in un reparto che ha capacità recettiva di 108. C’è poi un reparto nuovo completamente ristrutturato che può ospitare altri 100 detenuti che deve ora essere collaudato. Abbiamo poi verificato una buona partecipazione dei detenuti ai corsi di formazione professionale".

La Commissione ha tenuto diversi colloqui e ha tracciato un quadro sostanzialmente positivo. Nei giorni scorsi, però, i detenuti di Caltanissetta sono stati i primi in Sicilia ad attuare lo sciopero nazionale che ha previsto anche il rifiuto del cibo passato dall’amministrazione. Lo sciopero è ancora in corso ma secondo Borea "nei colloqui avuti con qualche detenuto non ci sono state doglianze particolari. C’è un rifiuto del cibo dell’amministrazione ma i detenuti comunque si alimentano con alimenti del sopravitto che si preparano da soli".

Il carcere di Caltanissetta, peraltro, è stato recentemente ristrutturato. "Sette anni fa con l’allora sottosegretario Ayala - dice il sen. Antonio Montagnino - avevamo verificato condizioni veramente pessime ma adesso la situazione è migliorata; vengono rispettati i diritti e la dignità delle persone.

Per rispondere alla protesta dei detenuti, comunque, occorrono finanziamenti e già in questa finanziaria bisogna avere una tendenza diversa che preveda investimenti sia strutturali che di garanzia per i diritti della persona". La delegazione di parlamentari ha poi incontrato alcuni avvocati della Camera Penale che hanno lamentato problemi e carenze "tra cui le istanze sulle liberazioni anticipate dei detenuti, che vengono esitate in ritardo", ha detto il presidente Giuseppe Dacquì. 

Milano: la protesta dei detenuti di San Vittore…

 

Il Due.it, 25 ottobre 2004

 

La protesta dei detenuti di questi giorni rischia di passare come un gesto di velleitaria arroganza da parte dei detenuti. La richiesta di amnistia e indulto generalizzati da parte di chi vive dietro le sbarre suona a molti come una provocazione. È infatti luogo comune che ormai quasi nessuno finisca in carcere per i reati commessi, neanche per i più scellerati. E quand’anche ci finisse, se la caverebbe comunque a buon mercato. L’episodio dei permessi a Giovanni Brusca e compari non ha fatto che rafforzare questa sensazione generale: se tanto mi dà tanto, pensano in molti, figuriamoci gli altri...

Le cose non stanno proprio così, e l’informazione, per sua natura, tende a semplificare i problemi per comunicarli più celermente, con risultati spesso fuorvianti. In effetti in carcere ci si finisce ancora, eccome!

Piuttosto c’è da dire che la legge non è uguale per tutti: stigmatizzare alcuni casi d’impunità realmente vergognosi fa in modo che questi siano interpretati come una regola generale che in realtà non esiste; si tratta piuttosto di eccezioni. Ci si stupisce, ad esempio, di alcune scarcerazioni per gravi reati di detenuti in attesa di giudizio: questo non accade, però, per un presunto lassismo delle leggi del nostro paese, che anzi sono tra le più severe d’Europa, ma per una congenita elefantiasi della nostra macchina giudiziaria. Macchina giudiziaria per la quale si vuole una riforma, che solleva forti resistenze e interessi di parte molto complessi sui quali mi pare il caso di sorvolare.

Un altro capitolo della protesta di questi giorni riguarda la scarsa funzionalità dei benefici di legge per i reclusi, la famigerata legge Gozzini. Anche rispetto a quest’ultima la sensazione generale è spesso fuorviante: per avere un permesso, Brusca e soci a parte, sono necessari controlli e trafile burocratiche interminabili. Ottenere poi una semilibertà o un affidamento è un’impresa che richiede una pazienza e una flessibilità ai capricci di un sistema perverso tale che, in molti casi, si arriva al punto che sovente gli aspiranti rinuncino per stanchezza, tanto sono frustrati dai continui rifiuti e rinvii. Questa situazione esaspera gli animi, soprattutto quando i detenuti si accorgono che la giustizia è ingiusta: non esiste un metro comune di giudizio, esistono solo aree di privilegio.

A goderne sono, come si conviene, i "pentiti" di turno, cioè coloro che si sono guadagnati crediti dalla magistratura con la delazione, e i soliti happy few, che possono contare sulle aderenze dei principi del foro, sulle conoscenze negli uffici che contano in modo da ottenere quello che agli altri è negato, per di più in tempi rapidissimi.

Credo che da qui dipenda la richiesta dell’indulto, che finalmente potrebbe essere un provvedimento democratico: lo stesso per tutti, non un beneficio accordato tramite strani maneggi.

Per di più la richiesta dell’indulto e dell’amnistia è motivata dalla necessità di sfoltire un po’ le carceri che hanno raggiunto livelli di densità inaccetttabili; si chiede quindi un provvedimento tampone per un momento di crisi, in attesa di riforme strutturali che regolino le cose, o che si provveda, se non altro, ad approntare nuove carceri.

Ovviamente, quello che ho scritto qui, non si può dire: come si permette, questo ribaldo, di criticare uno dei sacri poteri dello Stato sovrano? Da che pulpito viene la predica... e via di questo passo. Quindi conviene far finta di niente e chiedere solo pietà mostrando le nostre piaghe: gli infiniti casi di HiV, Tbc, epatiti dalle sigle più impronunciabili, suicidi a iosa ecc. ecc. Magari la charitas funziona, non si sa mai.

Roma: seconda settimana di protesta a Regina Coeli

 

Librazione, 25 ottobre 2004

 

Da domani i pasti preparati dall’amministrazione penitenziaria per i detenuti di Regina Coeli saranno donati alla Caritas di Roma. Lo hanno deciso i detenuti scegliendo questa forma di mobilitazione per la seconda settimana di protesta nazionale indetta contro il sovraffollamento e la malasanità, per l’applicazione dei benefici previsti dalla legge Gozzini ed un indulto generalizzato. Così, da domani, nel carcere romano saranno coinvolti nella protesta circa 550 detenuti.

A Rebibbia (altro istituto capitolino) la protesta è montata fino a coinvolgere l’intera sezione del nuovo complesso e le donne della sezione speciale (proprio loro che durante la protesta di agosto erano riuscite ad ottenere il trasferimento delle detenute con figli sotto i tre anni). Entrambe le sezioni si sono organizzate per arrivare alla fine del mese, tra "sciopero del carrello" (rifiuto del rancio fornito dal carcere), "battitura" delle sbarre e astensione dalle attività all’interno del carcere. Ma come denunciano dal sito internet dell’associazione Papillon già circolano le prime minacce, più o meno velate. Nella sezione maschile speciale (G12) alcuni funzionari avrebbero annunciato che se la protesta continuerà saranno trasferite 40 persone. Ma la protesta è attivissima in tutta Italia.

I detenuti hanno ragioni da "vendere" come emerso anche dalla Terza Conferenza nazionale del volontariato e giustizia che si è chiusa ieri a Roma. Nei 205 istituti di pena attualmente in funzione sono recluse circa 57.000 persone, quasi 15.000 in più rispetto ai posti disponibili. A questa situazione di drammatico affollamento il Ministero della Giustizia risponde con un programma di edilizia penitenziaria che prevede, tra l’altro, la costruzione urgente di 13 nuove carceri: circa 2.500 posti-branda, per una spesa complessiva di circa 320 milioni di euro. "Pensare che spesso i percorsi di reinserimento sociale non riescono a partire, oppure falliscono, perché gli operatori dell’area trattamentale e i magistrati di sorveglianza sono pochi e oberati di lavoro - ha denunciato il presidente della Conferenza, Livio Ferrari -. Costruendo nuove carceri bisogna necessariamente assumere nuovi agenti, invece puntando alla decarcerizzazione e al reinserimento dei detenuti le stesse risorse possono essere destinate all’assunzione di assistenti giudiziari, magistrati, assistenti sociali ed educatori, da sempre quest’ultimi "cenerentola" degli operatori penitenziari". 

Catania: visita dei Senatori nelle carceri della città

 

La Sicilia, 25 ottobre 2004

 

Questa mattina, il sindaco Umberto Scapagnini ha accompagnato la Commissione Giustizia del Senato nelle sua visita istituzionale nelle carceri di piazza Lanza e Bicocca. "Ringrazio la Commissione e il suo presidente, il sen. Antonino Caruso - ha detto Scapagnini - per la sensibilità dimostrata nei confronti di coloro che anche se detenuti sono pur sempre nostri concittadini. L’atto di venire a Catania è estremamente importante ed apprezzabile.

Dalla mia ultima visita ho potuto notare che le condizioni di vita stanno migliorando e spero che anche grazie all’iniziativa della Commissione si possa fare ancora di più. Coloro che si trovano qui sono catanesi e quindi non devono essere abbandonati. Per questo mi reco periodicamente a fare visita a questi nostri concittadini. Ma oltre a garantire, ovviamente nel rispetto delle norme di detenzione, un livello di vita civile, bisogna fare ancora di più, in particolare sul fronte della prevenzione".

"La presenza di uomini all’interno di questi muri - ha precisato Scapagnini - è stata causata da tantissime circostanze negative, spesso dall’ambiente e dalle necessità che li hanno condizionati sin dalla prima giovinezza. Se si parte fortemente svantaggiati, si rischia poi di commettere errori che condizioneranno tutta la vita. Per questo è importantissimo porre un’attenzione particolare a quelle zone della città dove maggiore è il disagio. Come medico - ha continuato Scapagnini - so che è importante prevenire, per questo non è certo mancata l’attenzione a tutte le zone della città, ma so anche che è necessario intervenire tempestivamente sui soggetti malati, come appunto sono i nostri quartieri periferici". 

Catanzaro: delegazione consiglieri provinciali visiterà carceri

 

Asca, 25 ottobre 2004

 

Una delegazione di consiglieri della Provincia di Catanzaro, presto, visiterà la struttura carceraria di Catanzaro. Il presidente del Consiglio provinciale, Giovanni Paola, infatti, ha scritto una lettera al Direttore della Casa circondariale di Siano per chiedere l’autorizzazione perché "una delegazione di Consiglieri possa fare visita all’Istituto di pena.

Tale richiesta, formulata all’unanimità, - scrive Paola - si inserisce in un programma di lavoro, elaborato da questo Consiglio Provinciale, che mira alla conoscenza diretta delle realtà istituzionali territoriali, per meglio comprenderne i ruoli e le eventuali problematiche".

Il Presidente del Consiglio, ritiene che "la presenza fisica di Amministratori pubblici, nella casa circondariale, vuole avere anche un significato dai contenuti umani ed emotivi. L’incontro potrebbe contemplare la visita della struttura e l’intrattenimento del gruppo degli amministratori con i reclusi. Della delegazione, dovrebbero far parte, oltre al presidente del Consilio, un nutrito gruppo di consiglieri, appartenenti ai vari gruppi.

Rimanendo in tema di incontri, il presidente del Consiglio provinciale, Paola, ha scritto al direttore regionale di Poste Italiane, invitandolo a partecipare ad una riunione, prevista per il prossimo 23 novembre nella sala consiliare, per affrontare il problema del servizio postale in alcuni comuni.

Bollate: "Riccardo III" in scena con attori-detenuti

 

Corriere della Sera, 25 ottobre 2004

 

Ci hanno tentato in tanti. Tra gli ultimi, il regista Richard Loncraine nel ‘95 con l’attualizzata sceneggiatura di Ian Mc Kellen e con Annette Bening tra i protagonisti; e poi Al Pacino nel ‘96 con un cast che comprendeva Penelope Allen, Gordon MacDonald, Alec Baldwin, Kevin Spacey, Winona Ryder e lui stesso. A recitare nel discusso "Riccardo III" di Shakespeare ci hanno provato ora gli studenti dell’Università Iulm, con, come set, il carcere di Bollate e con protagonisti Bebo Storti e i detenuti della Seconda Casa di Reclusione di Milano - Sezione Staccata. Prima proiezione oggi alle 17 in Aula magna, con nelle prime file l’assessore alla Cultura del Comune, Salvatore Carrubba, della Provincia, Daniela Benelli, il rettore Giovanni Puglisi, il regista del film Bruno Bigoni, il professor Gianni Canova.

La lavorazione è iniziata un anno fa, raccontano gli studenti impegnati, tutta all’interno del carcere, dove Riccardo di Gloucester, fratello di Edoardo IV di York, trama tra le sbarre per impadronirsi del trono e a questo proposito ordisce un piano per uccidere tutti i possibili pretendenti. Che sono i detenuti.

"Abbiamo scelto Riccardo III - commenta Bruno Bigoni - perché è una metafora dell’uomo "contro", che vive "contro" una società che dovrebbe essere fatta di regole e comprensione, ma che sovente si trasforma in un enorme campo di battaglia. Per questo la scelta di lavorare con i detenuti come attori. Affrontare Shakespeare oggi, affidando a dei detenuti la messa in scena, significa permettere a chi vive all’interno del carcere di dare un senso a un vissuto tragico".

Il film, visto in anteprima in margine al Festival di Locarno, ha ottenuto consensi.

Tanto che allo IULM si sta pensando di replicare: docenti e studenti si stanno dedicando ad un nuovo progetto: "Don Chisciotte" di Cervantes.

Sala Consilina: promessa nuovo carcere non blocca rivolta

 

La Città di Salerno, 25 ottobre 2004

 

Ispezione ieri mattina al carcere di Sala Consilina da parte del senatore Leo Borea, presidente della commissione ispettiva Carceri del Ministero, insieme con il Provveditore degli Istituti penitenziari campani, il dottore Contestabile. Un vertice importante. Prima dell’ispezione però si è tenuta una riunione tra Borea, il sindaco Ferrari, i consiglieri di maggioranza e minoranza, i rappresentanti provinciali e una delegazione degli avvocati, nella quale Borea ha confermato che il decreto è stato firmato per permettere alla società del Ministero del Tesoro, la Dike Spa (che si occupa della costruzione dei nuovi istituti penitenziari) di ricevere in permuta il vecchio istituto, per realizzare poi il nuovo.

Tuttavia, il senatore ha ribadito la necessità di garantire la sopravvivenza dell’attuale Istituto. Dalla ispezione con Contestabile, la struttura è risultata non carente strutturalmente, piuttosto bisognosa di interventi manutentivi. Interventi che potrebbe garantire anche lo stesso Comune. A tal fine è stato allertato l’assessore ai lavori pubblici di Sala, Domenico Cartolano, che, insieme con i responsabili dell’Ufficio tecnico dovrà predisporre una relazione tecnica dei lavori da fare (ordinaria manutenzione) e inviarla al Provveditore e al Ministero, con lo scopo di revocare il decreto.

L’amministrazione tutta ha dato la piena disponibilità ad accollarsi le spese degli interventi di manutenzione "che sono ovviamente ben altra cosa rispetto agli interventi strutturali" spiega Cartolano e nei prossimi giorni si provvederà a una delibera di giunta che lo sancisca, da inviare poi al ministro, che il 3 novembre (data della riunione tra Castelli e una delegazione del Comitato per il carcere) potrà decidere sul ritiro del decreto. Borea inoltre ha assicurato che i lavori per la realizzazione del nuovo Carcere potrebbero partire già all’inizio del 2005. Intanto però, il presidio degli avvocati al carcere continuerà ad oltranza finché il decreto non sarà revocato.

Enna: sfilata moda in carcere, in passerella allieve dell’Ipsia

 

La Sicilia, 25 ottobre 2004

 

Mercoledì prossimo alle ore 10,30, nella sala polivalente della casa circondariale di Enna si terrà una sfilata di moda organizzata dalla scuola di formazione professionale Anfe regionale in collaborazione con la direzione della casa circondariale e l’Istituto di Istruzione superiore Ipsia - Ipssar. In passerella ci saranno, infatti, le allieve dell’Ipsia che mostreranno le creazioni di moda realizzate a scuola. La presentazione della manifestazione è affidata a Elisa Di Dio, insegnante di lettere all’Ipsia, che assieme a un detenuto della casa circondariale guiderà le modelle nella sfilata. L’iniziativa si inquadra in un progetto più ampio portato avanti da anni dall’Anfe che all’interno della Casa Circondariale tiene i propri corsi di formazione.

Una risorsa importante per i detenuti che possono così imparare un mestiere, acquisendo una qualifica da spendere, un domani, nel mondo del lavoro come valida alternativa al delinquere.

Nell’ottica, dunque, di collegare sempre più i corsi carcerari alla realtà produttiva esterna si è ideata una sfilata di moda che coinvolga tutti e tre i corsi professionali dell’Anfe. Le detenute, con il corso di parrucchiere estetista per signora, si occupano di pettinare le modelle, mentre i detenuti dei due corsi professionali hanno allestito le composizioni floreali, (corso manutentore parchi e giardini) realizzando anche dei fiori in sapone e i biglietti di invito (corso grafico pubblicitario). La sfilata dal tema "Profumi e colori del mondo" si ispira alla moda di tutti i continenti. Fondamentale è stata la collaborazione con l’Istituto di istruzione superiore Ipsia - Ipssar che ha messo a disposizione sia gli abiti per la sfilata che le allieve che fungeranno da modelle. 

"Sì" del Senato al decreto che corregge la Bossi-Fini

 

Gazzetta del Sud, 25 ottobre 2004

 

Critico il Csm. Gli immigrati potranno rinnovare il permesso di soggiorno alle poste o in banca. I clandestini che restano in Italia nonostante l’espulsione rischieranno fino a 4 anni di carcere

Primo sì, tra le polemiche, al decreto sull’immigrazione che corregge la legge Bossi-Fini. L’aula del Senato ha approvato il provvedimento varato dal governo dopo la bocciatura di alcune parti del provvedimento voluto dal centrodestra da parte della Corte Costituzionale. A favore hanno votato i gruppi della maggioranza, contro tutta l’opposizione. Ma anche il Csm ha fatto sentire la sua voce critica. Ora il decreto dovrà passare all’esame della Camera per la definitiva conversione in legge. Oltre alle nuove norme sulle espulsioni, il decreto prevede la possibilità per gli immigrati di rinnovare il permesso di soggiorno alle poste o in banca. Deciso anche un giro di vite sui clandestini che restano in Italia nonostante l’espulsione: rischieranno fino a quattro anni di carcere.

Il Csm ha subito contestato la principale novità del decreto: la convalida delle espulsioni da parte dei giudici di pace. La soluzione era stata trovata dal governo per ovviare alle critiche della Corte Costituzionale, che aveva bocciato la Bossi-Fini perché poco "garantista": la legge sull’immigrazione votata dal centrodestra prevedeva infatti la possibilità di convalidare l’espulsione senza ascoltare l’immigrato e senza concedergli garanzie di difesa. Ora le garanzie ci sono, ma a pronunciarsi sull’espulsione è il giudice di pace e non un giudice ordinario, per evitare di ingolfare ulteriormente i tribunali.

La sesta commissione del Csm, però, considera questa soluzione insufficiente e sostiene che solo la magistratura ordinaria può intervenire quando è in gioco la restrizione della libertà assicurando "una tutela giusta ed efficace". I giudici di pace, da parte loro, ritengono di essere in grado di svolger le funzioni che il decreto assegna loro: "Facciamo già da tempo praticamente le stesse cose che fanno i magistrati, abbiamo competenze penali e chi dice che non siamo all’altezza va contestato in maniera forte", dice Francesco Mollo, presidente della federazione dei giudici di pace. Ma il decreto, rispetto alla versione originaria varata dal governo, si è arricchito di contenuti. Con le modifiche introdotte da un emendamento del relatore Luigi Bobbio, gli immigrati potranno presentare la domanda di rinnovo annuale del permesso di soggiorno anche negli uffici postali e nelle banche. Proprio oggi, il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu ha annunciato che in Italia ci sono 2.139.99 immigrati. Tra questi, più di un milione e trecentomila dovranno rinnovare il permesso di soggiorno entro l’anno. Una cifra che spiega la decisione di coinvolgere anche le Poste nell’accoglimento delle domande di rinnovo.

L’opposizione resta però contraria. "È un pessimo provvedimento", dice Luciano Guerzoni, senatore Ds, secondo il quale il decreto "risponde in modo così raffazzonato da non escludere un nuovo giudizio di incostituzionalità". "Un’autentica follia legislativa", rincara la dose il Verde Gianpaolo Zancan, che non esita a parlare di tortura a proposito delle "forme di pressione" (a partire dall’inasprimento delle pene) che dovranno subire gli immigrati. "Evidentemente la maggioranza ritiene che gli immigrati siano tutti delinquenti", afferma il capogruppo di Rifondazione Comunista Gigi Malabarba.

La maggioranza respinge tute le critiche. Il ministro Pisanu attacca l’opposizione, accusandola sostanzialmente di voler difendere gli extracomunitari per allargare il proprio bacino di elettori: "L’attenzione nei confronti degli immigrati cresce perché c’è qualche anima pia in cerca di persone da tesserare nei partiti o nei sindacati".

Per il sottosegretario Alfredo Mantovano, il decreto uscito dal Senato non solo viene incontro alle osservazioni della Corte Costituzionale, ma "ha perfezionato e stabilizzato la legge Bossi-Fini". E ai deputati Ds che paventano la paralisi degli uffici postali, risponde ricordando che le Poste sono state già coinvolte all’epoca della sanatoria dei 700mila immigrati. Anche nella maggioranza, però, c’è chi ha da ridire. Secondo l’azzurro Guglielmo Castagnetti, il coinvolgimento delle Poste è una buona idea ma bisogna trovare i soldi per attuarla. Bobbio, senatore di An e relatore del provvedimento in aula, nega che il decreto discrimini gli immigrati: "Al contrario, vengono estese agli immigrati clandestini quelle garanzie fondamentali che la Costituzione detta per i cittadini italiani". La battaglia si sposta dalla prossima settimana alla Camera, dove il decreto andrà all’esame della commissione Affari Costituzionali.

 

 

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