Rassegna stampa 21 ottobre

 

Trento: festa polizia penitenziaria, si spera in nuova struttura

 

L’Adige, 21 ottobre 2004

 

Il disagio è reale: al carcere di Trento il personale scarseggia ed esistono problemi di sovraffollamento. Un situazione, che, seppure non paragonabile a quella di altre case circondariali italiane, costringe gli agenti di polizia penitenziaria ad un impegno notevole e costante, sia nel quotidiano rapporto con i detenuti sia nella gestione delle numerose attività avviate, fra cui un corso di studi per il conseguimento del diploma di geometra.

Un significativo miglioramento potrebbe verificarsi tra otto anni, tempo previsto per la realizzazione della nuova struttura carceraria a Spini di Gardolo. La festa della polizia penitenziaria, svoltasi ieri al castello del Buonconsiglio, è stata occasione di ritrovo, ma anche di riflessione. "Che il personale sia assolutamente carente - commentava il commissario Angelo Fratacci, comandante della polizia penitenziaria - lo si comprende confrontando l’organico con quello di 8 anni fa: 98 oggi, 127 nel 1996.

Una carenza che comporta l’espletamento di circa 11mila ore di straordinario all’anno, la difficoltà di assicurare il servizio su turni di sei ore giornaliere, la difficoltà di assicurare la fruizione del congedo ordinario nell’anno. E tutto questo - proseguiva Fratacci - a fronte di un costante sovraffollamento della popolazione detenuta, la cui presenza media giornaliera di aggira sulle 140/150 unità, su una capienza ottimale di novanta". Subito dopo è intervenuto il direttore del carcere, Gaetano Sarrubbo, che ha richiamato l’attenzione soprattutto sugli ottimi risultati conseguiti negli ultimi anni grazie al costante impegno della polizia penitenziaria: "Malgrado le gravi carenze strutturali ed economiche, ed in presenza di un organico assai ridotto - commentava il direttore - il Corpo ha dimostrato attaccamento al servizio e grandi doti professionali. Sono stati notevoli i risultati ottenuti nella politica di temperamento del clima penitenziario attraverso una costruttiva dialettica tra addetti alla sicurezza, operatori penitenziari e comunità esterna. Infatti un significativo aumento delle attività di formazione e di istruzione della popolazione detenuta ha portato ad un considerevole calo di quelli che tecnicamente definiamo "eventi critici", che hanno da sempre rischiato di compromettere il sereno raggiungimento delle finalità istituzionali".

Poco piú tardi Sarrubbo ha confermato che la situazione al carcere di Trento è difficile, "anche se - sottolineava - non a livello di altre città italiane". Sarrubbo ha poi aggiunto che la nuova e più accogliente struttura agli Spini di Gardolo dovrebbe essere pronta entro otto anni. Durante la festa sono stati letti gli interventi del ministro della giustizia Roberto Castelli e di Giovanni Tenebra, capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Agli ospiti è stato distribuito un annullo speciale delle Poste. Numerose le autorità locali presenti: fra le altre Margherita Cogo, vicepresidente della Provincia; Alberto Pacher, sindaco di Trento; Nicola D’Agostino, questore; Roberto Giacomelli, dirigente della squadra mobile; Antonio Labianco, comandante provinciale dei carabinieri.

Volontariato Giustizia: integrazione sociale al posto di nuove carceri

 

Bandiera Gialla, 21 ottobre 2004

 

In occasione della terza assemblea nazionale volontariato giustizia (Roma, 21-23 ottobre), la Cnvg (Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) propone un interessante rimedio contro il problema del sovraffollamento delle carceri, in alternativa alle disposizioni del Governo. L’associazione rileva come nei 205 Istituti di pena attualmente in funzione in Italia, sono recluse circa 57.000 persone, quasi 15.000 in più rispetto ai posti disponibili. A questa situazione di drammatico affollamento il Ministero della Giustizia risponde con un programma di edilizia penitenziaria che prevede, tra l’altro, la costruzione urgente di 13 nuove carceri: circa 2.500 posti-branda, per una spesa complessiva di circa 320 milioni di euro.

Cifra che si aggiunge ai quasi 3 miliardi di euro, vale a dire quasi 6.000 miliardi di lire, stanziati per il programma ordinario di edilizia penitenziaria dal 1971 sino alla finanziaria del dicembre 2001. Una somma enorme che si è dimostrata tuttavia inefficace a sostenere e migliorare una situazione disastrosa: "i penitenziari di costruzione più recente sono spesso in condizioni peggiori di quelli più antichi", dichiara il presidente della Commissione Giustizia del Senato, Antonino Caruso, dopo aver visitato l’80% degli istituti e registrando un sostanziale abbandono di quasi tutte le carceri della penisola negli ultimi 50 anni.

Peraltro, i tempi previsti per l’edificazione e l’apertura delle nuove strutture sono, credibilmente, di 8-10 anni e, nel frattempo, sarà necessario assumere e preparare il personale per farle funzionare: almeno 2.000 agenti, alcune centinaia di operatori civili. Dal 1990 a oggi il numero dei detenuti è aumentato (mediamente) di mille unità all’anno. Quindi, se questo corso non si inverte, il problema del sovraffollamento diventerà sempre più grave nonostante la realizzazione delle nuove carceri.

L’unico vero rimedio, sostiene l’associazione, sta in una diversa politica penale, volta a evitare la recidiva (che porta, ovviamente, a riempire le carceri di persone che entrano ed escono senza prospettive) e a puntare a un effettivo re-inserimento. Con quei 320 milioni di euro (o anche meno) si possono fare tante cose per la reintegrazione sociale dei detenuti ed ex detenuti, cominciando dal rafforzamento degli Uffici di Sorveglianza, dei C.S.S.A., degli educatori penitenziari. Si dovrebbero creare le condizioni materiali affinché i condannati con pene inferiori a tre anni possano scontarle fuori dal carcere (le leggi che lo consentono ci sono già, ma sono migliaia i detenuti che non accedono alle misure alternative per mancanza di un lavoro o di un alloggio).

Inoltre, costruendo nuove carceri bisogna necessariamente assumere nuovi agenti; invece puntando alla decarcerizzazione e al reinserimento dei detenuti le stesse risorse economiche possono essere destinate all’assunzione di assistenti giudiziari e magistrati e, soprattutto, di assistenti sociali e educatori. Sul versante del lavoro servono incentivi alle aziende che assumono detenuti ed ex detenuti.

L’altro problema su cui intervenire è quello dell’abitazione: servono strutture per la fruizione dei permessi premio, centri-diurni per i semiliberi, ma soprattutto alloggi per gli ex detenuti (da una recente ricerca, realizzata nella Casa di Reclusione di Padova, risulta che il 25% dei reclusi non ha un luogo dove andare ad abitare all’uscita dal carcere).

Si tratta dunque di proposte valide basate soprattutto sulla sensibilità dell’associazione in questo settore. Proposte che potrebbero non sembrare utopiche anche ad un governo come il nostro. Per un carcere più umano e più rispondente alle leggi esistenti non c’è bisogno di grandi rivoluzioni: basterebbe cominciare con un diverso utilizzo delle risorse. L’associazione organizza campagne e iniziative a riguardo.

Roma: terza Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia

 

Redattore Sociale, 22 ottobre 2004

 

Si è aperta mercoledì scorso a Roma, con la conferenza " Giustizia, diritti, solidarietà e gratuità nel nostro tempo", la terza Assemblea Nazionale del Volontariato Giustizia. "Otto anni fa ci siamo ritrovati qui, nel carcere di Rebibbia – ha spiegato Carmen Bertolazzi, vice presidente CNVG - per capire se era possibile realizzare un’idea semplice e difficile: metterci insieme. Volevamo costruire un momento comune di confronto e di lavoro. Siamo partiti con 3 associazioni nazionali, oggi presentiamo una Conferenza nazionale composta da 8 associazioni e 18 conferenze regionali, che rappresentano il centro del progetto. In questi anni sono cambiati sia gli operatori sia il carcere".

Complessivamente i volontari presenti nelle 201 carceri italiane sono 7.323, con prevalente presenza femminile, il 52,6%. Su 68 istituti penitenziari del nord solo quello di Belluno non ha volontari, nel centro 2 e nel sud 13. Il rapporto numerico tra detenuti e assistenti esterni è di 7 a 1. Gli operatori di cooperative sociali, autorizzati a lavorare in base agli art.17 e 78 dell’O.P., sono presenti in 3 strutture su 10, con un rapporto detenuto/operatore pari a 90.8. Si conferma poi lo stato di abbandono, dal punto di vista assistenziale, dei 4 dei 6 ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Diverse le attività svolte dai volontari, tutte in funzione del sostegno morale e psicologico: dalla preghiera alle attività di animazione socio-culturali, le più diffuse, e di supporto scolastico, alle consulenze giuridiche.

L’assistenza materiale prevede soprattutto la distribuzione di indumenti. "Meno carcere più giustizia - ha aggiunto Bertolazzi - è questo l’obiettivo che vogliamo raggiungere. Meno carcere non significa abolizione della pena, ma una pena che non sia solo detentiva. Si potrebbe, per esempio, sbloccare l’applicazione delle misure alternative e la lunghezza delle pene potrebbe adeguarsi ai parametri europei". Per quanta riguarda la tutela dei diritti umani tutti d’accordo sull’istituzione dei garanti, difensori civici delle persone private della libertà, già attivi in molte città italiane.

"Da due anni funziona, nelle carceri romane - ha detto Luigi Nieri, assessore al Lavoro in Campidoglio - lo sportello di orientamento al lavoro Col Carceri che ha già svolto 794 colloqui mirati, di cui 175 con donne e 210 con cittadini stranieri. Per scardinare la logica penitenziaria bisogna aprire la prigione più di quanto non sia stato fatto oggi".

Tante le iniziative portate avanti dall’assessorato per la Promozione del Lavoro dei Detenuti del Comune di Roma, dalla promozione di borse d’inserimento lavorativo per ex detenuti ai corsi di formazione, telelavoro e alfabetizzazione informatica, rivolti ai detenuti ristretti nell’alta sicurezza, che solitamente hanno poche occasioni di impegnarsi in attività di formazione e lavoro.

Potenza: firmata intesa tra Regione e Ministero Giustizia

 

Adnkronos, 22 ottobre 2004

 

Nel primo pomeriggio di oggi, a Potenza, il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, ed il presidente della Regione Basilicata, Filippo Bubbico, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per il recupero dei detenuti, per la prevenzione ed il contenimento della criminalità e per una serie di misure riguardanti il regime penitenziario.

Il protocollo prevede azioni per l’assistenza sanitaria e la salute in carcere, per il trattamento di persone sottoposte a misure restrittive, per le donne, gli stranieri, gli autori di reati sessuali e i minorenni, per l’esecuzione penale esterna, per l’edilizia penitenziaria, per le attività di assistenza alle vittime del delitto e per la comunicazione e gli strumenti informatici e telematici.

Di Somma (Dap): potenziare ricorso a pene alternative

 

Corriere.it, 22 ottobre 2004

 

Modificare il codice penale, potenziare il ricorso alle misure alternative: questa, secondo il vicecapo del Dipartimento Amministrazione Giudiziaria (Dap), Emilio Di Somma, è la strada da intraprendere per cercare di dare una soluzione al problema del sovraffollamento degli istituti di pena.

Quello scaturito dalla riforma del 1985 - ha detto Di Somma intervenendo stamani alla terza Assemblea nazionale del volontariato giustizia in corso a Roma - è "un buon ordinamento giudiziario", perché "ha detto le cose giuste sulle modalità di vita dentro agli istituti e ha centrato l’attenzione sull’aspetto umano della detenzione, individuando un percorso di trattamento del reo verso il recupero". Ciò che manca, però, anche per limiti culturali dell’epoca - ha aggiunto - è "la parte relativa alle misure alternative al carcere, che invece va potenziata".

"Abbiamo una presenza quotidiana nelle carceri di 55-56 mila persone, in costante crescita - ha detto Di Somma - possiamo anche costruire nuovi istituti, ma se il trend di crescita continua ad essere questo, il problema non si risolve". Modifica del codice penale e misure alternative possono invece aiutare; il carcere deve essere considerato "l’extrema ratio". "Non sarà mai possibile - ha aggiunto - trovare un modo perché la pena sia davvero più umana; il fatto stesso di prendere una persona, isolarla dalla famiglia e dagli affetti e rinchiuderla in uno spazio insieme a degli estranei è una cosa contro natura.

È un male necessario, non siamo stati capaci di inventare niente di diverso". Ma la pena, da sola - ha avvertito il capo del Dap - non basta per garantire la rieducazione. "Manca la partecipazione umana e la convinzione che è possibile risocializzare la persona che ha compiuto un reato". "L’ordinamento giudiziario - ha continuato - si pone in termini di offerta, ed è un’offerta rivolta a tutti, anche a chi ha commesso delitti efferati".

"Anche a chi è sottoposto al regime della 41 bis" ha aggiunto, citando il caso dei permessi al boss mafioso Giovanni Brusca che hanno scatenato molte polemiche in questi giorni. L’altro grande problema, ha affermato Di Somma, è quello del dopo-carcere: la solidarietà, ha detto rivolgendosi alla platea di volontari, deve esprimersi non solo negli istituti, ma anche fuori, mettendo chi esce dal carcere in condizione di lavorare.

Se il 70 per cento dei detenuti è recidivo, ha detto, è anche perché chi esce e non trova lavoro sarà spinto a tornare a commettere reati per poter vivere. Bisogna, quindi - ha suggerito - organizzare una rete di intervento nei confronti di chi sta per finire di scontare la pena. Una ‘retè alla quale dovrebbero, ha concluso, partecipare tutti, istituzioni, imprese, sindacati, mondo del volontariato, enti locali.

Caritas: 7 milioni di poveri, l’80% tra i 20 e i 60 anni

 

Agi, 22 ottobre 2004

 

Negli ultimi 10 anni le persone che vivono sotto la soglia di povertà sono circa 7 milioni e dei nuovi poveri, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni; il 54% è costituito da donne. Celibi e nubili sono il 33% ma la quota dei coniugati è più alta: 46,5%. Oltre il 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% sono conoscenti, il 21,5% vive da solo.

È questa in sintesi la fotografia fatta dalla Caritas in collaborazione con la fondazione E. Zancan, la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), contemplata in "Vuoti a perdere", ossia il Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta curato da Walter Nanni e Tiziano Vecchiato.

Il rapporto 2004 individua poi le cosiddette forme di disagio sociale di cui soffrono gli italiani: shopping compulsivo, lavoro patologico, dipendenza da Internet e da telefonino, gioco d’azzardo, depressione, demenze, malattia di Alzheimer e, dulcis in fundo, lavoro atipico flessibile.

"Numerose persone oggi si trovano a vivere - si legge nel Rapporto - situazioni emergenti di disagio non sempre riconosciute come tali e proprio per questo più pericolose". Dunque la lotta alla povertà non ha dato i frutti sperati: in 10 anni i poveri sono oltre 7 milioni. Ma chi sono oggi i poveri in Italia? La Caritas è in grado di dirlo avendo monitorato tra gennaio e marzo 2004 le persone che si sono rivolte nelle sue diocesi (14 al Nord, 30 al Centro e 28 al Sud) per trovare aiuto. Ebbene, delle 11.629 persone che hanno chiesto aiuto, l’80% ha tra i 20 ed i 60 anni, gran parte tra i 30 e i 40. Il 62,6% degli utenti non sono italiani e di questi il 40% è senza permesso di soggiorno: indice del riproporsi in termini significativi - sostiene la Caritas - del fenomeno degli irregolari nonostante l’ultima regolarizzazione del 2002. I cittadini stranieri che ricorrono alla Caritas sono più giovani: più del 90% ha tra 20 e 55 anni, in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniugati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. I trequarti sono disoccupati rispetto al 58% dei cittadini italiani. Tra i nostri connazionali alta è la presenza dei pensionati: circa il 13%, ossia 1 su 8.

La povertà e l’esclusione sociale per le nuove patologie (depressione in testa: ne soffrono 17 italiani su 100) e le nuove forme di lavoro atipico (passate tra il ‘99 e il 2002 dall’11% al 16% rispetto all’occupazione standard) non si possono considerare "una fatalità - dice il rapporto - quasi un tributo da pagare per lo sviluppo di un paese: la permanenza di un’alta quota di povertà è una sconfitta per la democrazia e per il modello di sviluppo sottostante".

Dunque, l’area di chi deve cavarsela è ampia. "Una soluzione molto praticata dalle famiglie - ha detto Giuseppe Pasini, direttore della Fondazione Zancan - è il debito differito con il quale si punta a spostare più in avanti il problema di come pagare e si spera in tempi migliori: e questo permette di mantenere un tenore di vita apparentemente buono pur senza sapere quanto potrà reggere". E il debito differito non solo riguarda i giovani con lavori flessibili ma pure altre fasce significative della società - avverte ancora il Rapporto - come le persone che andranno in pensione dopo il 2008: costoro infatti non avranno la certezza di vivere dignitosamente solo con il loro reddito pensionistico.

L’approfondita analisi dello status sociale delle famiglie italiane fa emergere dunque una diffusa povertà (il 10% percepisce il 2,3% del reddito nazionale contro il 10% più ricco che ne guadagna il 26,5%); una distribuzione diseguale della ricchezza (il 10% ne possiede una fetta del 45,1%); una crescita ulteriore di chi era già ricco (il 5% ha aumentato la quota di reddito dal 27 al 32%, mentre l’1% dei super-ricchi l’ha accresciuta dal 9 al 13%), accanto alle nuove forme di disagio sociale strettamente connesse - conclude il Rapporto - con un modello di sviluppo che non dà cittadinanza a valori come la solidarietà e l’uguaglianza con il rischio di smantellare il sistema di welfare.

Volontari in forte crescita, ce n’è uno ogni sette detenuti

 

Ansa, 22 ottobre 2004

 

Un "esercito" di quasi 8.000 persone, cresciuto in due anni del 22,3% e che vede una maggiore presenza al Centro-nord: sono i volontari e gli operatori di terzo settore attivi in modo continuativo nelle 201 strutture detentive italiane, circa uno per ogni sette detenuti. È quanto si evince dalla terza rilevazione nazionale, realizzata dalla Conferenza nazionale Volontariato Giustizia nel 2003.

Una presenza in costante crescita, quella dei volontari negli istituti di detenzione, visto che dai 6.540 del 2001 sono passati ai 6.747 del 2002 e ai 7.998 del 2003. Una presenza però non ancora omogenea sul territorio: ne risulta privilegiata l’area del Centro dove, a fronte del 21,5% delle strutture penitenziarie, si colloca un terzo dei volontari; al contrario del Sud, che pur rappresentando il 44,5% degli istituti aggrega solo il 19,4% degli operatori.

Lo squilibrio territoriale è ancora meglio evidenziato se si considera il rapporto tra numero di volontari e di detenuti: se a livello nazionale è di sette a uno, al Sud questo rapporto è di 14 a uno, mentre al Nord c’è un volontario ogni 4 detenuti.

La rilevazione registra disomogeneità anche tra regioni: se la Toscana ha il miglior coefficiente numerico (2,9 detenuti per ogni volontario), la maglia nera spetta alla Valle d’Aosta dove ogni volontario deve assistere ben 60 detenuti. Preponderante, poi, tra i volontari, la presenza femminile (52,6%).

Priore: difficile realizzare obiettivi causa tagli spese

 

Ansa, 22 ottobre 2004

 

Quella che stiamo vivendo è "una stagione particolare: gli istituti sopportano con disagio l’impegno della loro funzione" a causa dei tagli alle spese e dei problemi economici del Paese, e "se non ci fosse il volontariato molti obiettivi non sarebbero realizzati".

Lo ha detto Rosario Priore, capo del Dipartimento di giustizia minorile, intervenendo alla terza Assemblea nazionale del volontariato giustizia in corso nel carcere romano di Rebibbia. Premettendo che il diritto minorile "marcia a un passo diverso da quello degli adulti" e che, per esempio, le pene alternative per i minori sono già attuate da tempo, Priore ha detto che "il Dipartimento soffre per i tagli alle spese" e che si sta cercando di portare avanti i progetti a costo zero, come "trattati e riforma dell’ordinamento". Ecco perché, ha spiegato, "abbiamo bisogno dei volontari, il cui apporto è molto forte in questo settore": sono oltre 50, ha reso noto, le associazioni che in Italia lavorano nelle carceri minorili, ed è un volontariato "di ogni tipo, religioso e laico".

Volontariato: meno pene detentive e un nuovo codice

 

Repubblica, 22 ottobre 2004

 

"Meno carcere, più giustizia": con questo slogan si è aperta oggi, nella sede simbolica del carcere romano di Rebibbia, la terza Conferenza nazionale volontariato giustizia. Un appuntamento che durerà tre giorni e che vede la luce proprio mentre è in atto, in tanti istituti in tutta Italia, la protesta dei detenuti per le condizioni della vita carceraria.

I volontari sono una realtà in continua crescita negli istituti di pena: secondo gli ultimi dati, sono passati dai 6.500 del 2001 agli 8.000 circa del 2003, e la loro presenza è distribuita in modo non uniforme sul territorio nazionale, con una forte prevalenza nel Nord sia per numero assoluto ma soprattutto in rapporto al numero di detenuti. Tante le attività che svolgono all’interno degli istituti: dal supporto morale e psicologico all’assistenza materiale, dalle attività religiose all’animazione culturale, dall’accompagnamento per licenze o uscite premio alle attività di formazione.

"Il volontariato per noi è importante - ha detto Sara, detenuta nel carcere minorile di Roma - gli operatori ci aiutano a far passare velocemente le giornate, ci aiutano a non pensare continuamente a quando finirà la pena, a quando usciremo. perché prima o poi si esce".

"All’inizio li prendevamo in giro - ha ammesso Sara - ma poi ci siamo accorti che ci ascoltano. La gente pensa che siamo persi, ma non è così, i nostri errori non sono irrimediabili". E anche i detenuti ‘adulti’Marco Micheletti Petrignani e Giancarlo Trovato, entrambi a Rebibbia da 10 anni, grazie al volontariato hanno trovato il modo di reagire e darsi da fare: il primo è diventato un attivo socio di Legambiente e promuove attività ecologiche all’interno dell’istituto; il secondo, con un’esperienza giornalistica alle spalle, ha messo su sei anni fa il giornale "Non solo chiacchiere", che oggi viene distribuito in 206 istituti penitenziari e ha una tiratura di 6.500 copie.

Ma tutto questo, avvertono, non basta: "il volontariato dovrebbe adoperarsi anche quando si esce dal carcere, gli ex detenuti non dovrebbero essere abbandonati a se stessi" afferma Giancarlo. Ma già nel carcere i problemi che i volontari si trovano ad affrontare sono tanti, e la vicepresidente della Conferenza nazionale, Carmen Bertolazzi, nel suo intervento li elenca ad uno ad uno, e sembra di sentire l’eco della protesta di questi giorni.

Si va dal sovraffollamento all’emergenza sanitaria, dai suicidi in cella alla presenza dei tossicodipendenti, dai bambini reclusi con le mamme all’assenza di lavoro durante la detenzione, dalla carenza di personale alla difficoltà di accedere alle misure alternative. E proprio su quest’ultimo punto Bertolazzi si sofferma, chiedendo lo sblocco dell’applicazione delle misure alternative, "previste da leggi ma bloccate dalla lungaggine e dalla discrezionalità di chi deve applicarle".

Tra le altre richieste avanzate, la depenalizzazione dei reati minori e l’aumento dell’entità della liberazione anticipata. "La lunghezza delle nostre pene potrebbe adeguarsi ai parametri degli altri Paesi europei e comprendere l’abrogazione dell’ergastolo" afferma Bertolazzi, che si spinge fino a chiedere "un atto di clemenza, ossia una riduzione di pena per tutti". "Nella nostra cultura giuridica - conclude - ma anche nel pensiero comune, il carcere è la panacea di tutti i problemi".

Lo sforzo, invece, "dovrebbe andare esattamente nella direzione opposta: meno carcere, il che non vuole significare - precisa - abolizione della pena, ma una pena che non sia solo detentiva. Un cambiamento, questo, che peraltro dovrebbe essere introdotto dal nuovo Codice Penale, che attendiamo da oltre 30 anni".

Ardita (Dap), si è persa la funzione di prevenzione

 

Repubblica, 22 ottobre 2004

 

Il carcere "rischia di perdere la sua funzione di prevenzione" e "può costituire una risposta tardiva alla mancanza di azione sociale seria" mentre la "vera risposta è la riforma del codice penale". Lo ha detto Sebastiano Ardita, responsabile della Direzione generale detenuti e trattamento del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (Dap), nel corso della terza Assemblea nazionale del volontariato giustizia in corso nel carcere romano di Rebibbia.

Nel suo intervento, molto applaudito dai volontari, Ardita, parlando da magistrato che - sono le sue parole - è "passato dall’altra parte" cioè dal comminare le pene a gestirle, ha detto di aver scoperto con meraviglia che la gran parte della popolazione carceraria è una popolazione "fragile". Gli istituti di pena, ha detto, sono pieni non di delinquenti incalliti ma "di poveri, immigrati, tossicodipendenti", gente che spesso "delinque per bisogno".

"La risposta che diamo come società al nostro bisogno di sicurezza - ha aggiunto Ardita - potrebbe essere inadeguata perché ancorata a un codice scritto 70 anni fa". La "funzione di prevenzione del carcere si è persa - ha spiegato - non è più un deterrente", e il rischio è che la detenzione sia "una risposta tardiva a una mancanza di azione sociale seria".

"Occorre sempre più, invece - ha aggiunto - orientare il diritto penale verso un crime control, ossia un’azione dinamica dello Stato contro tutti i fenomeni di criminalità organizzata". La vera risposta, quindi, ai problemi reali della sicurezza passa anche attraverso "la riforma del codice penale". Il carcere, quindi, "dovrebbe costituire l’extrema ratio", ma anche quando è necessario "non si dovrebbe mai dimenticare il rispetto della persona". "La violenza genera violenza, e così pure la repressione - ha concluso - bisogna far capire che esiste una speranza anche dietro le sbarre".

Di Somma (Dap): gli enti locali favoriscano reinserimento detenuti

 

Asca, 22 ottobre 2004

 

Facilitare il reinserimento dei detenuti nella vita sociale oggi si può. Ma un ruolo determinante lo devono giocare anche Regioni, Province e Comuni. È questa l’idea del vice capo del Dipartimento del’Amministrazione Penitenziaria (Dap), Emilio Di Somma, che questa mattina è intervenuto alla seconda giornata dei lavori dell’Assemblea nazionale del Volontariato Giustizia.

"La solidarietà - ha spiegato Di Somma - deve operare per facilitare il reinserimento. Bisogna aiutare i detenuti a mantenere l’abito mentale che si può vivere lavorando senza commettere reati. Ma per fare questo c’è bisogno della collaborazione di tutti gli enti locali e delle associazioni di categoria".

L’universo dei volontari che danno ossigeno al sistema penitenziario italiano è composto da 7.323 unità di cui poco meno della metà presenti nelle strutture ubicate nelle regioni settentrionali. Si registra, è stato spiegato nel corso del convegno, un rapporto numerico tra detenuti e operatori esterni che è di 7 a 1 con differenze abissali tra volontari e operatori di cooperative sociale e forti oscillazioni tra le aree del Centro con la situazione più favorevole (4 detenuti per operatore non istituzionale) e quella meno del sud (14 detenuti per operatore).

Reggio Calabria: firmato Protocollo tra Provincia e Prap

 

Asca, 23 giugno 2004

 

È stato firmato un protocollo d’intesa tra il Presidente della Provincia di Reggio Calabria, Pietro Fuda, ed il Provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Paolino Maria Quattrone, in rappresentanza dell’Amministrazione Penitenziaria CSSA.

La convenzione impegna le due amministrazioni ad intraprendere azioni ed iniziative, finalizzate ad agevolare l’inserimento dei soggetti in esecuzione di pena o in misura alternativa alla detenzione verso attività di formazione

professionale e lavorativa, sia all’interno che all’esterno degli istituti di reclusione, seguendo il dettato della L 354/75 sull’esecuzione penale. "Abbiamo accettato di buon grado" ha commentato il Presidente Fuda "la proposta del dott. Quattrone, nata per promuovere l’attività lavorativa dei detenuti, incentivando e favorendo la disponibilità del mondo dell’imprenditoria e della cooperazione. I detenuti, come ci è stato illustrato approfonditamente, cercano lavoro non assistenziale, ma produttivo, che possa garantire, una

volta terminato il periodo di reclusione, sbocchi occupazionali concreti. È un nostro dovere morale, civile ed istituzionale aiutare i direttori delle carceri nel delicato compito di applicare la pena, così come sancito dalla Costituzione, e dunque come momento di riabilitazione e rieducazione".

Il nuovo accordo segue il protocollo operativo del novembre 2003 tra il Centro Servizio Sociale per Adulti CSSA di Reggio (Ufficio Periferico dell’Amministrazione Penitenziaria) e la Provincia, che ha avviato iniziative di formazione professionale, lavoro e soddisfacimento di bisogni culturali ricreativi di detenuti ed ex detenuti.

Uno degli aspetti qualificanti del nuovo protocollo è la previsione di procedure di negoziazione per riservare ed assegnare una quota delle commesse di competenza della Provincia alle produzioni realizzate nelle carceri. Nel corso dell’incontro erano presenti, oltre all’assessore Michele Pochiero, dirigenti e funzionari della Provincia (Amelia Crucitti, Giuseppina Attanasio, Anna Neri e Giuseppa Sarica), che hanno verificato nell’immediato la fattibilità dell’affidamento ai giovani dell’Istituto di detenzione Sperimentale "L. Daga" di Laureana di Borrello di servizi di pulizia e manutenzione del verde e giardinaggio nelle aree esterne degli istituti scolastici superiori di spettanza della Provincia.

"È una politica di piccoli passi" ha dichiarato Quattrone, "un terreno su cui bisogna andare molto cauti, ma che può sconvolgere, come già è successo a Firenze 10 anni fa, le strutture materiali ed immateriali delle carceri. La grande partecipazione ed il totale abbattimento dell’autolesionismo dei nostri ragazzi dimostra come, grazie al fondamentale apporto degli enti locali, e soprattutto della provincia di Reggio Calabria, si possa portare il mondo della reclusione in Calabria ad una totale inversione di tendenza, rispetto ai dati statistici del panorama penitenziario nazionale".

Genova: più che un carcere, questo è un lazzaretto

 

Ansa, 23 giugno 2004

 

Dicono che le condizioni di vita dietro le sbarre sono inaccettabili: sovraffollamento, servizi insufficienti, assistenza medica pressocché assente. Il mondo fuori, quello libero, fa fatica a capire. In fondo, sono criminali, gente che ha commesso dei reati. Di che si lamentano? Magari, hanno pure la tv in camera. E così, oltre alla pena inflittagli da un giudice, devono sopportarne una supplementare, non scritta nel codice penale: ritrovarsi non in un carcere, ma in un vero e proprio lazzaretto, per esempio di malati di Aids.

È il caso del penitenziario genovese di Marassi, che ieri è stato visitato dall’europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, proprio nel quadro delle iniziative promosse dalla cooperativa Papillon del carcere romano di Rebibbia per monitorare la situazione italiana. Agnoletto, accompagnato da Antonio Bruno, del Social Forum del Ponente genovese, ha visitato anche il carcere femminile di Pontedecimo.

Vedere per credere, appunto. Marassi, che dovrebbe ospitare 400 detenuti, in effetti ne ospita 670, di cui il 60 per cento immigrati, 300 (dicasi 300) tossicodipendenti, 40 ammalati di Aids conclamato. Personale penitenziario: 350, sotto 120 unità da quello dovuto, 3 educatori invece di 12; 2 soli mediatori culturali. Non c’è alcun percorso di reinserimento sociale.

"A Marassi - osserva Agnoletto - ci siamo trovati di fronte a un lazzaretto per persone che lo Stato ha nei fatti condannato a morte. Una quarantina di ammalati di Aids dovrebbero essere ricoverati nel centro clinico che doveva essere aperto tre anni fa". Il centro clinico (tre piani) è ad oggi inutilizzato ed è oggetto di un continuo degrado (infiltrazioni di acqua). Gli ammalati di Aids sono detenuti in quello che era il reparto di massima sicurezza (reparto n. 6). Ci sono pazienti che non hanno difese immunitarie (solo qualche decina di Cd4). Eppure, i magistrati sistematicamente bocciano le dichiarazioni di incompatibilità con il regime carcerario.

Non bastasse, la cucina del centro clinico non è mai stata aperta e pertanto gli ammalati di Aids non hanno un’alimentazione adeguata, in quanto la ditta, che ha vinto l’appalto per le cucine a ben (si fa per dire) 4,5 euro allo stato (per colazione, pranzo e cena), offre un servizio estremamente limitato.

Fino a qualche tempo fa gli esami clinici venivano fatti all’interno; a causa dei tagli alla Sanità il centro prelievi è stato chiuso e pertanto tali analisi vengono fatte all’esterno con un aumento considerevole dei tempi di attesa.

Nel carcere femminile di Pontedecimo (88 detenute) la situazione è meno allarmante, ma non meno grave. Ci sono 26 operatori di personale femminile invece di 70, il personale maschile è di 60 unità invece dei previsti 80. L’assistenza infermieristica è diminuita da 22 ore a 8 al giorno, l’assistenza medica è diminuita da 24 ad 8 ore. Assente ogni spazio aperto di socializzazione.

"La situazione evidenziata nelle visite negli istituti penitenziari genovesi - commenta ancora il deputato europeo - dimostra come negli ultimi anni l’approccio al sistema carcerario stia, di fatto, abbandonando ogni programma di riabilitazione, a causa dei continui tagli finanziari (gli unici finanziamenti riguardano la costruzione di nuovi penitenziari). La mancanza di programmi di reinserimento sociale ha un innegabile impatto sulla possibilità che la recidiva aumenti con ulteriori problemi per tutta la cittadinanza. Invitiamo il ministro della Sanità Girolamo Sirchia, in visita in queste ore ai Magazzini del cotone, a fermarsi alcune ore in più nel capoluogo ligure - conclude Agnoletto - per visitare la sezione 6 di Marassi e verificare come medico e come ministro se una situazione simile sia compatibile con quella di un paese civile".

Lombardia: consiglieri regionali faranno visite ispettive a carceri

 

Ansa, 23 giugno 2004

 

Per iniziativa dei tre Consiglieri regionali radicali, la Commissione III del Consiglio regionale (sanità, famiglia e affari sociali) è stata sollecitata d’urgenza a calendarizzare visite ispettive negli Istituti di detenzione lombardi per rilevare direttamente la grave situazione sanitaria, anche in relazione con gli aspetti dell’abitabilità delle celle e del sovraffollamento, per i loro riflessi sulla salute dei cittadini detenuti.

Il primo Istituto da ispezionare sarebbe la Casa di Reclusione di Milano-Opera, seguito dall’O.P.G. di Castiglione delle Stiviere (che dipende dal Ministero della sanità e non da quello della Giustizia).

Le visite, richieste anche dai consiglieri Margherita Peroni e Antonella Maiolo di Forza Italia, Marco Tam dei Democratici di Sinistra e Giovanni Martina di Rifondazione Comunista, sono urgenti nell’imminenza dell’esame da parte della III Commissione di diversi PdL sulla sanità penitenziaria in Lombardia, e sarebbero una prima positiva risposta alla vasta azione nonviolenta in corso da alcuni giorni nelle carceri italiane centrata sulle questioni della giustizia, del diritto alla salute e dell’abitabilità delle carceri.

Il Consigliere radicale Lucio Bertè ha dichiarato: "Abbiamo chiesto in pratica alla III Commissione - senza precludere le audizioni dei responsabili e degli operatori della Sanità penitenziaria - di audire i cittadini detenuti al loro domicilio, dato che loro non possono muoversi, e di constatare direttamente le intollerabili condizioni di vita nelle carceri, in violazione del diritto alla salute, che la Costituzione e la legge vogliono identico dentro e fuori dal carcere. La III Commissione è anche competente per affrontare il problema dei bambini – innocenti per definizione – detenuti assieme alle madri, per proporre misure di esecuzione della pena alternative alla detenzione.

Ricordo che un anno fa ho diffidato i Sindaci di Milano (per Opera), Como (per il Bassone), Brescia (per Canton Mombello) e Busto Arsizio, a esercitare i poteri-doveri di Ufficiali di Governo per emettere Ordinanze contingibili e urgenti per risolvere le emergenze sanitarie, ovvero intervenendo direttamente in caso di inerzia sostituendosi all’Amministrazione penitenziaria.

Ricordo altresì che due settimane fa, in occasione della votazione in III Commissione del Piano regionale per la prevenzione delle infezioni, ho protestato vivamente perché tra le diverse collettività a rischio prese in considerazione, mancavano clamorosamente gli Istituti di detenzione.

I radicali vogliono che la Commissione sanità e il Consiglio regionale assumano direttamente le loro responsabilità, dato che la Commissione carceri – pur voluta da noi - si è rivelata un alibi per la rimozione dei problemi dei cittadini detenuti".

Vigevano: celle sovraffollate e cattiva assistenza

 

Ansa, 23 giugno 2004

 

Celle sovraffollate e cattiva assistenza sanitaria: sono soprattutto questi i motivi della protesta in carcere, in corso a livello nazionale, partita ufficialmente il 18 ottobre. Anche i detenuti della casa circondariale dei Piccolini stanno attuando, come forma di protesta, la battitura delle inferriate per circa un’ora al giorno. È in programma anche lo sciopero del carrello, vale a dire il rifiuto del cibo fornito dall’amministrazione carceraria.

Fra i motivi di protesta specifici per i detenuti del carcere vigevanese c’è, fra l’altro, la presenza di soli due educatori per oltre 400 reclusi. A livello nazionale, fra i principali promotori dell’agitazione c’è l’associazione Papillon, costituita da detenuti del carcere romano di Rebibbia. L’associazione chiede, fra l’altro l’indulto generalizzato contro il sovraffollamento delle strutture, e la riduzione della carcerazione preventiva. Inoltre, per quanto riguarda le detenute, una maggior possibilità di accudire in carcere i figli.

Si vuole quindi sensibilizzare i rappresentanti dei cittadini al Parlamento, affinché presentino proposte per una normativa in questo senso. Alle iniziative di protesta hanno aderito 50 carceri su tutto il territorio italiano.

Sassari: protesta a suon di cucchiai contro le sbarre

 

L’Unione Sarda, 23 giugno 2004

 

La protesta a suon di cucchiai, sulle sbarre delle carceri d’Italia, a San Sebastiano vale doppio. I detenuti, qui a Sassari, hanno un motivo in più per protestare: vivono nel carcere peggiore d’Italia, così lo ha definito la commissione Giustizia del parlamento.

Ieri sera sotto le mura della vecchia prigione in via Cavour, il consigliere provinciale del Gruppo misto, Antonello Unida, Maria Isabella Puggioni dei radicali sardi e Uccio Cherveddu, presidente dell’associazione "famiglie sarde contro la droga", si sono uniti alla protesta dei detenuti con urla e slogan per denunciare il totale immobilismo delle istituzioni su un capitolo rovente. Ha partecipato in collegamento telefonico anche il presidente nazionale dei detenuti non violenti, Evelino Loi.

In questi anni attorno a San Sebastiano le parole si sono sprecate. L’ultima Commissione giustizia, arrivata in città ad agosto, lo ha definito in modo inequivocabile, assegnandogli la palma di galera peggiore d’Italia. Un primato poco invidiabile destinato a durare a lungo, in mancanza di iniziative per migliorare la qualità della vita dei detenuti e del lavoro degli agenti.

La struttura ha 160 anni e l’età si vede tutta. Nata in quella che era la periferia di Sassari, ancora in fase di espansione, oggi si trova nel pieno centro a pochi passi da piazza d’Italia.

Un mese fa la protesta di Unida, in occasione della visita in città del premier Silvio Berlusconi, del ministro Pisanu e dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. La notte passata all’addiaccio dal consigliere, come estrema forma di protesta, era servita per far approvare all’unanimità un ordine del giorno in Provincia in cui si chiedeva al presidente Masala di percorrere tutte le vie possibili per risolvere una volta per tutte la vergogna di San Sebastiano.

Di quella delibera non si è saputo più niente e l’attività istituzionale del carcere è andata avanti, nonostante carenze e difficoltà, soprattutto tra le file della Polizia penitenziaria.

Mancanza di personale, turni massacranti, condizioni igienico sanitarie al limite del collasso e livelli di sicurezza al di sotto degli standard. A un organico di 25 unità previsto per la gestione del braccio femminile, fa riscontro un numero ben più basso di agenti in servizio: appena 14.

La situazione oggi è arrivata nuovamente al limite dopo i noti fatti del 2000, quando una spedizione punitiva aveva dato vita a inauditi pestaggi.

Passata l’emergenza, dopo lo scandalo, tutto era tornato come prima. Ieri le grida di protesta sono partite da via Cavour, mentre dall’interno i detenuti rispondevano, facendosi sentire in tutti i modi. Chiedevano a gran voce di poter vivere in condizioni umane e dignitose. Anche dietro sbarre d’acciaio.

Trento: anche nel carcere di Via Pilati arrivano le proteste

 

Ansa, 23 giugno 2004

 

Annunciata anche in via Pilati una massiccia adesione notturna alla campagna nazionale. Stoviglie sulle inferriate. I detenuti protestano per le condizioni di vita nelle carceri Sbarca anche a Trento la protesta decisa a livello nazionale dei detenuti per sensibilizzare sulle condizioni di vita in carcere.

Per ieri sera era annunciata nel carcere di via Pilati una rumorosa manifestazione dei detenuti intenzionati a battere le stoviglie contro le inferriate per attirare l’attenzione del mondo esterno.

I motivi della lotta sono facilmente intuibili: da una parte una situazione nazionale che va peggiorando per l’affollamento dei penitenziari e per l’inutilità dei recenti provvedimenti (l’indultino non ha in realtà prodotto alcun effetto positivo) nonché per i frequenti limiti posti alla legislazione che regolamenta premi, permessi e altro.

Le cause principali del riempimento delle carceri - sostengono i detenuti - sono legate alla presenza di immigrati clandestini e di tossicodipendenti. "Finché non si interverrà sul meccanismo di ingresso delle persone migranti - spiega l’associazione nazionale Giuristi democratici - il flusso migratorio renderà sempre più drammatico il carcere". In via Pilati, d’altro canto, i detenuti sono i primi a subire le condizioni precarie del carcere di Trento, una struttura che limita le opportunità lavorative e di socialità e vieta l’accesso ad alcuni benefici previsti dalle norme (legge Gozzini).

Don Ciotti: "Costruire nuove carceri è vergognoso!"

 

Redattore Sociale, 23 giugno 2004

 

Il dibattito attuale sulla certezza della pena, l’inasprimento delle pene, le esigenze di sicurezza "è falso e strumentale. E offrire come unica risposta la costruzione di nuove carceri è vergognoso!". Lo ha affermato don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e presidente di Libera, concludendo un lungo e appassionato intervento all’assemblea nazionale della Conferenza volontariato giustizia, in corso fino a domani a Roma.

Ciotti ha rivolto parte della sua riflessione ("fatta soprattutto a me stesso") ai trecento volontari presenti stamattina alla Sala Umberto, e parte alla situazione nazionale riguardo il carcere, la solidarietà e la giustizia. Su quest’ultimo tema, in particolare, ha sottolineato come l’attuale sistema penale abbia "come unico obiettivo quello di escludere, scordando del tutto il recupero e l’integrazione". È vero, ha sostenuto Ciotti, che anche in passato vi sono stati periodi in cui le sanzioni sono state accentuate, ma lo scopo di "rieducare chi commette reati, nel senso previsto dalla Costituzione, non è mai venuto meno".

Ciotti ha messo in rilievo come sia sempre più enfatizzata l’esigenza di "punire", con pene sempre più pesanti, tentando di "legiferare a tavolino, senza mai distinguere tra persona e problema, tra persona e colpa". Così ad esempio "per i minori c’è qualche politico che dice che i ragazzi di oggi ‘non sono più i ragazzi della via Paal e gli immigrati vanno trattati come criminali". Per loro, ha affermato Ciotti, sono stati istituiti i Cpt, che "sono un’offesa al diritto: dentro gli immigrati, fuori i diritti".

Molto apprezzata la parte dell’intervento rivolta ai volontari in carcere. Ciotti è partito dalla positività del loro forte aumento avvenuto nel 2004 (+ 17,5% in base alla ricerca Fivol, per un totale di oltre 7.300 unità), esortando a "rinnovare continuamente le motivazioni dell’operare nel sociale, affinché non diventi un mestiere o una routine"; e ad essere sempre "analfabeti": vuol dire, ha spiegato, che occorre essere in continua ricerca e formazione, e non dare mai nulla per scontato, altrimenti non si riesce più a capire le persone che ci troviamo di fronte".

Il sacerdote ha poi chiesto ai volontari di "riscoprire i tempi del silenzio e quelli della denuncia. Vi sono momenti in cui non si deve parlare, ma altri in cui non si può stare zitti come oggi fanno purtroppo anche alcuni vicini al nostro mondo, solo per aver ottenuto quattro lenticchie dal governo". Infine don Ciotti, con un forte appello alla necessità di coltivare la speranza e alla "responsabilità della testimonianza di chi fa volontariato", ha così incoraggiato i presenti: "Non fatevi vincere dalla rassegnazione: è il peggior nemico del cambiamento".

Giustizia: Ddl in discussione alla Camera trasforma i CSSA

 

Redattore Sociale, 23 ottobre 2004

 

Assistenti sociali ancora in fibrillazione. Stavolta a far discutere e il disegno di legge n. 1184 ("Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria"), approvato dal Senato lo scorso 14 luglio e attualmente all’esame della Camera dei Deputati.

Con una lettera inviata al presidenti dei Gruppi parlamentari della Camera e al Presidente e ai componenti della prima commissione Affari Costituzionali, L’Ordine degli assistenti sociali chiede di intervenire gli effetti del disegno di legge in questione e di predisporre al più presto un incontro.

Ma di quali effetti si sta parlando? Il problema è il seguente: il testo prevede la trasformazione dei Cssa (Centri di servizio sociale per adulti) in U.l.epe (Uffici locali esecuzione penale esterna), con conseguente eclissi, secondo gli assistenti sociali, "dell’esplicito riferimento al servizio sociale professionale, con il suo peculiare portato, che coniuga il mandato di controllo sociale con l’impegno all’aiuto in vista del recupero sociale, e accentua esclusivamente la funzione di controllo e di repressione".

Dunque, afferma da parte sua la presidente dell’ordine Nazionale degli assistenti sociali, Paola Rossi, la contrarietà è ad un provvedimento che "riconduce sostanzialmente ad una concezione puramente afflittiva della pena e accentua gli aspetti di controllo nella espiazione della stessa, trascurando l’impegno alla riabilitazione, che pure è irrinunciabile perché sancito dalla Costituzione, recepito nell’attuale ordinamento giudiziario non meno che dalla comune coscienza e dalla consapevolezza dei cittadini".

Di fatto, l’art. 72 dell’Ordinamento penitenziario del 1976 pone il servizio sociale come soggetto centrale nella gestione delle misure alternative (in particolare dell’affidamento al servizio sociale), dando rilevanza al principio costituzionale di recupero sociale del condannato. "La normativa vigente – precisa l’Ordine degli assistenti sociali – considera il Cssa un servizio sociale decentrato dello Stato che si inserisce e integra con i servizi sociali territoriali, predisponendo e attuando progetti e programmi integrati per coloro che espiano tutta o parte della pena attraverso misure alternative al carcere. Togliere tale prospettiva- si aggiunge -, escludere il concreto impegno riabilitativo, appiattire il servizio sociale professionale ad una mera funzione di controllo, stravolge il mandato sociale fin qui assegnato e svolto dal servizio sociale professionale, appiattisce di conseguenza la professione rappresentata in compiti impropri perché non saldamente coniugati alla funzione di aiuto assegnata agli assistenti sociali anche dalla legge n.84/93 istitutiva dell’Ordine".

"Si istituisce un’area penale per l’esecuzione esterne dalla pena – chiosa la presidente dell’Ordine, Paola Rossi – da cui scompare il servizio sociale penitenziario. Ciò è pericoloso. I centri per adulti hanno una lunga tradizione: se noi andiamo a calarci nell’area dell’esercizio penale esterno, arriviamo alla situazione in cui uomini armati che lavorano nelle carceri iniziano a volgere fuori i loro compiti, e gli assistenti sociali finiscono per essere solo una piccola rotella di un ingranaggio improprio, assorbiti in un unico concetto del ‘controllò e non della riabilitazione. Certo, ci sono persone che ai fini della carriera vedono bene tale prospettiva… Ma così si stravolge l’impianto: si spinge tutto sul versante della pena".

E per gli assistenti sociali è un ulteriore colpo, "in un momento – conclude la Rossi – in cui vi sono azioni costanti che mirano alla demolizione del sistema dei servizi sociali".

Papillon: la presunta "Grande Riforma della Giustizia"…

 

Associazione Papillon, 24 giugno 2004

 

Ad una settimana dall’inizio delle pacifiche proteste in 49 carceri italiane, si è ormai praticamente raddoppiato il numero degli istituti grandi e piccoli che vi partecipano ed altri si aggiungono ogni giorno. Gli istituti di Vigevano, Alessandria, Novara, Giarre, Sassari, Nuoro, Brescia, Marassi, Pisa, Cremona, Cagliari, Torino, Frosinone, Civitavecchia, Palmi, Fossombrone, Pesaro, Lecce, Treviso, Benevento, Voghera,Trento e altri, sono ormai uniti con le altre decine di carceri che hanno ripreso la parola attraverso una permanente agitazione assolutamente pacifica.

Ormai non vi è una sola regione del Paese dove non vi siano detenuti che protestano pacificamente, richiamando in tal modo alle loro responsabilità tutte le forze politiche, soprattutto adesso che è stato avviato l’iter parlamentare di una sorta di "Grande Riforma della Giustizia" che non contiene neanche l’ombra di quei provvedimenti (richiesti sia da noi detenuti che dagli stessi operatori penitenziari) che sarebbero necessari per affrontare una realtà penitenziaria che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità.

Anche la tanto decantata futura riforma del Codice penale, se attuata sulla base delle conclusioni depositate dalla vecchia commissione Grasso e dalla recente commissione Nordio, non contempla né la tante volte auspicata abolizione dell’ergastolo e neanche una reale, ampia depenalizzazione di reati minori (con il connesso ampio ricorso a pene alternative al carcere) che vada ben oltre i reati di natura amministrativa e finanziaria e si estenda per lo meno a tutti i reati connessi con lo stato di tossicodipendenza o con lo stato di particolare indigenza personale e/o familiare.

Chi sostiene che un provvedimento di indulto e amnistia sarà possibile soltanto dopo il varo del nuovo Codice Penale, dovrebbe dimostrare oggi almeno la sensibilità necessaria per presentare da subito delle proposte per abolire finalmente la vergogna dell’ergastolo e per una reale, ampia depenalizzazione, altrimenti i suoi discorsi rischiano di suonare come l’eterno rinvio di un provvedimento di indulto e amnistia che ristabilisca un minimo di equilibrio e di vivibilità nelle carceri italiane.

Ecco perché, davanti a ciò che sta accadendo in questi giorni in Parlamento, noi crediamo di avere il diritto di chiedere a tutte le forze Parlamentari di fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che le prime e più importanti riforme del pianeta Giustizia dovrebbero essere quelle che riguardano il sistema penale e penitenziario del nostro paese.

Le pacifiche proteste che migliaia di detenuti hanno iniziato il 18 ottobre vogliono quindi essere anche un invito a mettere da parte sterili contrapposizioni e a ricercare, da subito, in Parlamento un’unità di intenti almeno sulle più urgenti misure che possono appunto ristabilire un equilibrio minimamente accettabile nelle carceri.

Lanciamo quindi un appello ai Presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera e del Senato e al Presidente del "Comitato Carceri" della Camera, affinché:

si stabilisca un calendario certo per riprendere la discussione sull’ipotesi di un provvedimento di indulto e amnistia, iniziando magari dalle proposte di Legge che mirano a ricondurre al 51% il quorum necessario per approvare tali provvedimenti;

siano avviate al più presto le procedure necessarie per analizzare tutte le relazioni e i dati ufficiali disponibili (relazioni dei Deputati e Senatori delle Commissioni giustizia, dati di fonte ministeriale e relazioni dei Presidenti dei Tribunali di Sorveglianza, ecc.) per trarne gli spunti necessari per immediate modifiche legislative che consentano una limitazione degli abusi che si compiono nell’uso della custodia cautelare in carcere e immediate modifiche legislative che impongano un’applicazione piena ed integrale della Legge Gozzini e di tutte le misure alternative in tutti i Tribunali di Sorveglianza e per tutti i detenuti, siano essi italiani o stranieri, malati o in buona salute, ristretti nelle sezioni normali o in quelle speciali.

Ci auguriamo che queste semplici proposte trovino il sostegno necessario per trasformarsi in passaggi parlamentari concreti ed immediati, evitando inutili tergiversazioni.

Da parte nostra, continueremo ad estendere la pacifica mobilitazione nelle carceri, con forme di testimonianza che ci permettano di resistere tutto il tempo necessario per ottenere risultati concreti ed immediati.

Nessuno si illuda che i detenuti si lasceranno abbindolare da fantasmagorici programmi futuri. tutte le forze politiche saranno da noi giudicate sulla base dei puri e semplici atti concreti di sostegno alla nostra sacrosanta battaglia di civiltà.

Lo ripetiamo per l’ennesima volta: noi abbiamo ragioni da vendere e le useremo per dialogare con i Cittadini e con chi, nelle Istituzioni, persegue veramente una profonda riforma del nostro sistema penale e penitenziario.

Milano: centrosinistra sostiene le rivendicazioni dei detenuti

 

Ansa, 24 giugno 2004

 

Condizioni di reclusione più umane, soluzioni al sovraffollamento, indulto o amnistia senza illusioni e false speranze per i carcerati. Sono queste alcune delle richieste con cui i componenti di centrosinistra della Commissione Carceri del Comune di Milano sostengono un appello lanciato da alcune associazioni di detenuti delle carceri italiane.

Gli esponenti dell’opposizione Davide Tinelli (Rifondazione), Andrea Fanzago (Margherita), Daniele Farina (Prc), Sandro Antoniazzi, Marco Cormio (Ds) e Giuliana Carlino (Idv), con una nota congiunta diffusa oggi, rendono noto che la settimana prossima visiteranno le tre case circondariali di San Vittore, Bollate e Opera per una manifestazione comune di protesta insieme ai reclusi. In occasione di una partita di calcio che sarà organizzata a San Vittore, fra le squadre di Palazzo Marino e dei detenuti, il capogruppo della Margherita Fanzago leggerà un documento a sostegno delle rivendicazioni dei carcerati.

Siracusa: i motivi della protesta in una lettera dei detenuti

 

Associazione Papillon, 24 giugno 2004

 

I detenuti della Casa Circondariale di Siracusa - Cavadonna - considerato il perdurare delle insostenibili, quanto assurde, condizioni di vita all’interno delle carceri italiane dovute al sovraffollamento e ad una quasi inesistente applicazione delle norme in materia di Ordinamento Penitenziario, inizieranno uno sciopero della fame a partire dal 18 ottobre 2004 che proseguirà a tempo indeterminato, contestualmente al rifiuto di tutte le attività sportive e scolastiche tenute all’interno dell’istituto, nonché al rifiuto di fruire delle ore d’aria previste dal regolamento, per protestare pacificamente, ma in maniera determinata, contro questo stato di cose.

Certamente non si vuole avere la presunzione, così agendo, di risolvere tutti i problemi che affliggono il "pianeta carcere". Il nostro vuole essere solo un modo, l’unico che possiamo adottare, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema che non riguarda solo i cittadini detenuti, ma investe in pieno tutta la società civile nel suo vivere quotidiano.

 

Oggi noi protestiamo per il riconoscimento di un diritto!

 

La legge 26 Luglio 1975 n. 354, meglio conosciuta come - Legge Gozzini -, non è cosa astratta, così come la Legge 1 Agosto 2003 n. 207, sono Leggi del nostro Ordinamento Giuridico, munite del sigillo dello stato ed è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarle e di farle osservare.

Allora ci chiediamo: ma la Magistratura di Sorveglianza, esiste ed opera presso il Tribunale di Siracusa? Il Presidente del Tribunale di Siracusa, dott. Francesco Fabiano, avente giurisdizione sulla Casa Circondariale di Siracusa, è a conoscenza della scarsa, quasi inesistente, applicazione delle leggi appena citate?

Legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 54 – Liberazione anticipata – così recita: "Al condannato a pena detentiva che a dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di 45 giorni per ogni singolo semestre di pena scontata…".

Certi di questo, facciamo una considerazione; visto che il Magistrato di Sorveglianza del Tribunale di Siracusa nega sistematicamente, quasi in modo scientifico, il riconoscimento del predetto beneficio, peraltro con delle motivazioni su cui varrebbe la pena poter discutere in maniera più approfondita, si avrebbe motivo di credere che a Cavadonna non esisterebbero quelle condizioni per attuare un sano e corretto programma di reinserimento, nonostante la Direzione del carcere si sia prodigata non poco, a suo dire, nel creare all’interno dell’istituto, laboratori artigianali, culturali ecc… atte proprio a questo scopo e come evidenziano, tra l’altro, i tanti articoli di stampa sui vari quotidiani regionali.

Ma, se così è, non esiste un nesso logico tra l’esistenza di un valido programma di reinserimento che fa di Cavadonna un "carcere aperto" e la sistematica negazione del beneficio della liberazione anticipata i cui presupposti sono indefettibili per il suo riconoscimento; cioè aver dato prova di partecipare ai vari programmi rieducativi. Le due tesi sono in contraddizione tra loro.

Legge 1 Agosto 2003 n. 207 – " Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni". L’art. 1 così recita: " Nei confronti del condannato che ha scontato almeno la metà della pena detentiva è sospesa per la parte residua la pena nel limite di due anni…".

Anche qui si ha il dovere morale di fare una considerazione; non si riesce a capire del perché, il Magistrato di Sorveglianza del tribunale di Siracusa, non dia attuazione a questa Legge, visto che è assodato lo stato di sovraffollamento cronico del carcere di Siracusa che rende quasi impossibile, agli operatori penitenziari dell’istituto siracusano, lo svolgimento delle loro normali funzioni, e per i detenuti non esistono quelle condizioni di un vivere dignitoso consono ad una società civile e moderna, determinando così uno stato di insofferenza diffusa che inevitabilmente porta a delle situazioni di forte stress emotivo.

Esistono gravi carenze attuative rispetto al riconoscimento dei benefici della semilibertà, dell’affidamento in prova ai servizi sociali, la concessione dei permessi premio, tutte norme innovative queste che, se venissero applicate con coscienza e buon senso, darebbero un impulso positivo al "mondo carcere" ed eviterebbero tante sofferenze fisiche e psicologiche.

La verità è che, allo stato, il diritto all’interno delle carceri è stato sospeso d’autorità. Alla Magistratura di Sorveglianza viene data quella discrezionalità, nell’applicare le norme, che la rende onnipotente, avendo essa la facoltà di applicarle nei modi e nei tempi che ritiene più opportuno.

In un Paese Democratico è plausibile tutto ciò? A chi giova mantenere in stallo queste situazioni! È questo che l’opinione pubblica si deve chiedere, il nostro è uno stato di diritto, non dovrebbe essere concesso a nessuno calpestare la Costituzione.

Il legislatore ha il dovere morale e politico di dare risposte, di porre rimedio ad una situazione divenuta insostenibile; non è più possibile continuare su questa strada, perseverando sarebbe un crimine verso le coscienze di cittadini che, se hanno sbagliato nei confronti della società, è giusto che paghino, ma è altrettanto doveroso per la stessa società, che lo facciano in modo civile e nel pieno rispetto delle regole e delle norme vigenti.

 

Questo, ad oggi, non sta avvenendo!

 

Si discute di amnistia, di condono, di indulto, facendo storcere il naso a molti, sapendo che, ad onor del vero, questi provvedimenti da soli non sono sufficienti a sanare il problema.

Come ci insegna il recente passato, se a questi atti, che restano provvedimenti straordinari, non segue poi una reale politica sociale, appare inevitabile la loro inefficacia nel tempo, presentandosi così, agli occhi dell’opinione pubblica, solo un atto svuota-carceri.

Noi come detenuti, oggi siamo qui per lanciare proposte concrete, senza falsi moralismi, per dare il nostro modesto contributo alla soluzione del problema carcere. Riteniamo, in primo luogo, che già la semplice applicazione della "Legge Gozzini" darebbe ossigeno al sistema giustizia, evitando quel collasso a cui, inevitabilmente, continuando così andrà incontro.

Pensiamo, inoltre, che sia auspicabile un atto di clemenza seguito poi da un reale impegno sul campo da parte dei servizi sociali. Infatti, una volta adottato un provvedimento di clemenza, qualsiasi esso sia, i servizi sociali del comune di residenza del condannato che ha beneficiato dell’atto, dovrebbero prendersi cura del predetto, tutelarlo nel suo nuovo status di ex detenuto e supportarlo nella difficile strada del reinserimento sociale, svolgendo così davvero quelle funzioni per i quali sono stati pensati ed istituiti.

Oggi, purtroppo, tutto questo non succede. Oggi, un cittadino che ha finito di scontare una condanna penale, si ritrova da solo, senza un reale punto di riferimento istituzionale che non sia solo sulla carta; è drammatico, ma è la realtà di questo momento!

Quello che si consuma ogni giorno, all’interno delle carceri italiane, lo viviamo sulla nostra pelle, lo vivono le nostre famiglie, i nostri figli, continuamente e tacitamente discriminati da questa società che solo nel pensar comune non è razzista, ma che poi, nei fatti, si dimostra discriminatoria, eccome!

Queste sono le nostre argomentazioni, sicuramente non da tutti condivisibili, ma è proprio per questo che si cerca un dialogo con le Istituzioni, con la società civile, per cercare di comprendere le cause di questo malessere diffuso. Per cercare quella soluzione che non sarà certo dietro l’angolo, ma che non verrà neanche da sola se ognuno di noi non si prodigherà alla sua ricerca.

Quello delle carceri è un problema morale e di coscienza che investe tutti e tutti sono moralmente tenuti ad impegnarsi per la sua risoluzione.

 

 

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