CGIL Lombardia

 

Carceri: un disastro annunciato

Vecchi problemi e risposte mancate

 

Un’iniziativa di denuncia -proposta della CGIL Lombardia:

per garantire condizioni di vita dignitose a chi vive nel carcere.

per assicurare a livello nazionale e locale le risorse indispensabili all’affermazione del diritto alla salute in carcere.

per introdurre a livello nazionale e locale la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà.

per porre con forza il problema della carenza del personale sociale ed educativo.

per rafforzare la comunicazione e l’informazione sulla realtà penitenziaria.

per rendere effettivo il dettato costituzionale in materia di pena reclusiva e di diritti dei cittadini, anche se reclusi.

La fotografia dei problemi delle carceri è desolante. E non da oggi. Le attuali condizioni sono certamente il risultato di politiche sbagliate, trascuratezze, risposte inadeguate avvenute a livello nazionale e locale, legislativo e gestionale da molto tempo. Errori, disattenzioni e limiti si sono verificati sia riguardo propriamente alla situazione penitenziaria, sia alle lacerazioni e contraddizioni sociali di cui le carceri costituiscono la manifestazione terminale e il contenitore.

 

I numeri del disastro

 

I dati statistici dimostrano con obiettività e incontrovertibilmente tanto la gravità del problema carcerario, quanto il suo stretto legame con la questione sociale, con l’approfondirsi dei meccanismi di esclusione e di penalizzazione delle povertà.

Basti guardare a quelle relative alla tossicodipendenza o all’immigrazione.

In Lombardia gli ingressi in carcere di persone immigrate hanno superato la metà degli ingressi totali. Alla fine del 2003, gli stranieri entrati nelle carceri lombarde erano stati 8.992 (51,49%) contro 8.472 italiani (48,51%). Nel primo semestre del 2004 sono stati rispettivamente 4.624 (53,34%) e 4.045 (46,66%). Guardando i numeri riferiti invece alle presenze in carcere, sempre al 30 giugno 2004, si può notare che, sui 7.852 detenuti, 4.580 (58,33%) erano italiani e 3.272 (41,67%) stranieri. Quest’ultimo dato evidenzia quanto alla propensione all’arresto degli immigrati spesso non corrispondano comportamenti o reati tali da giustificare la detenzione. Anche questo è un preoccupante e perverso prodotto delle scelte politiche e sociali seguite da un decennio, e nello specifico della legge Bossi-Fini e delle logiche criminalizzanti che ne stanno alla base.

Analogo discorso vale per le tossicodipendenze e il consumo di droghe o, sia pure con cifre decisamente inferiori, per condizioni sociali di forte emarginazione (senza dimora, disagiati psichici, etc.).

In Lombardia, alla fine del 2003, degli 8.475 detenuti complessivi, ben 3.641 lo erano per violazione dell’art. 73 della legge sulle droghe (è da tenere presente che il grande spaccio e il traffico sono invece sanzionati dall’art. 74; gran parte degli arresti colpiscono insomma i tossicodipendenti e i consumatori di sostanze). A livello nazionale, sempre a dicembre 2003, su un totale di 54.237 detenuti presenti in carcere, 14.332 erano i tossicodipendenti, mentre in Lombardia i tossicodipendenti erano 2.318 sugli 8.475 reclusi. E si tratta di cifre ufficiali ma sensibilmente inferiori alla realtà, secondo quanto emerso nelle audizioni di operatori nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sulla sanità penitenziaria, svolta da circa un anno a questa parte dalle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera dei deputati. In tali occasioni, peraltro, è stato denunciato che nel 57,5% delle carceri si sono registrati casi di TBC e nel 66% di scabbia.

Nel loro recente congresso nazionale, i medici penitenziari hanno fornito dati secondo i quali sarebbero addirittura circa 10.000 i detenuti (vale a dire quasi uno su 5) risultati positivi ai test per la tubercolosi, mentre sono migliaia quelli che manifestano disagi psichici e, in maniera crescente, patologie psichiatriche che in carcere non possono trovare la necessaria assistenza.

Ma se la realtà carceraria condensata in queste preoccupanti cifre è la sedimentazione e il risultato drammatico di errori e omissioni nelle scelte politiche del passato, operate da governi diversi, oggi e negli anni più recenti indubbiamente la situazione è divenuta più grave e ha ormai superato il livello di guardia. Come dimostrano le centinaia di morti evitabili dovute a mancata assistenza e malasanità, a suicidio, le migliaia di tentativi di suicidi e gli episodi di autolesionismo. Come dimostra il sovraffollamento, certo anch’esso quasi cronico ma ora aggravato sia dal suo mancato affrontamento e risoluzione che dalla vera e propria beffa con la quale si sono mutati i parametri di spazio vitale per ogni detenuto, truccando così le cifre della capienza degli istituti penitenziari. Come dimostra la questione sanitaria, oggetto di ripetuti e crescenti tagli nelle ultime leggi finanziarie, sino all’attuale situazione in cui spesso non sono garantite né l’assistenza né i farmaci necessari, compresi quelli salva-vita.

La situazione è poi resa più grave dalla mancata applicazione di leggi, alcune delle quali varate nella scorsa legislatura, che potrebbero determinare se non la soluzione di alcuni dei problemi certo una migliore vivibilità e garantire maggiori diritti. Basti pensare:

al nuovo Regolamento penitenziario, (D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), non applicato in molte sue parti;

alla legge 8 marzo 2001, n. 40, che consente la scarcerazione delle detenute madri e dei bambini in carcere, rimasta pressoché inattuata, tanto che il numero di bambini e di madri detenute non è quasi diminuito: a fine 2003, le detenute con figli minori di 3 anni in carcere erano 53, i bambini erano 56, oltre a 25 donne in gravidanza; nei due asili-nido funzionanti in due carcere lombarde (Como e San Vittore), le cifre erano, rispettivamente, 13, 13 e 2;

alla legge 22 giugno 2000, n. 193, "Norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti" (cd. "Smuraglia"), scarsamente finanziata;

alla legge (cd. "Simeone-Saraceni" ), che consente la sospensione della pena, approvata nel 1998 e sostanzialmente non applicata a coloro che si trovano in stato di detenzione e dall’insufficienza della legge 1 agosto 2003, n. 207 (cd. "indultino");

alla legge n. 231 del 1999, che consente la scarcerazione degli ammalati di AIDS e di altre gravi patologie, largamente inapplicata, come dimostrano i numerosi casi di morte, anche in Lombardia, a causa di malattie gravi avvenute in stato di detenzione;

alla legge che, in esecuzione della complessiva riforma sanitaria del 1998, dovrebbe garantire il passaggio delle competenze al servizio sanitario nazionale e una maggiore tutela della salute in carcere e, di proroga in proroga, sembra ormai accantonata; nel compenso i fondi per la sanità in carcere sono stati fortemente e costantemente decurtati nelle ultime quattro leggi finanziarie;

alla stessa legge di riforma penitenziaria n. 354 del 1975 e n. 663 del 1986 (cd. "Gozzini"), che consentono anche l’accesso alle misure alternative, progressivamente svuotate e rese inerti, la cui applicazione anche in Lombardia è decisamente difficile a causa delle carenze di organico delle équipes trattamentali ma anche in ragione degli orientamenti spesso restrittivi della magistratura di sorveglianza.

Mentre vi sono leggi positive inattuate, d’altra parte si cercano di introdurre nuove normative che all’opposto produrrebbero passi all’indietro. Desta infatti preoccupazione, secondo l’ordine degli assistenti sociali, il disegno di legge n° 1184 approvato al Senato lo scorso mese di luglio e ora all’esame della Camera, che prevede la trasformazione dei CSSA (Centri di servizio sociale per gli adulti) in Ulepe (Uffici Locali esecuzione penale esterna).

Ancor più preoccupanti sono le proposte di legge n. 2867 e n. 971 avanzate da esponenti di Forza Italia e Alleanza Nazionale, all’esame della commissione Giustizia della Camera. Si tratta di proposte tese a sottrarre all’autorità dei direttori dei carceri la polizia penitenziaria, istituendo una specifica e autonoma Direzione Generale del Corpo della polizia penitenziaria all’interno del ministero.

 

Le necessità e le proposte

 

Se dunque le leggi esistenti non vengono applicate dentro le carceri, una prima necessità è proprio questa: utilizzare le normative già in vigore per affrontare il problema del sovraffollamento attraverso un maggiore e migliore utilizzo delle misure alternative alla detenzione, che vanno estese anche agli immigrati, normalmente esclusi dalla concessione di tali benefici; per consentire al sistema sanitario nazionale di prendere in carico la difesa della salute e della stessa vita dei cittadini detenuti; per garantire dignitose condizioni di vita attraverso quanto previsto nel nuovo regolamento penitenziario, con particolare attenzione al mantenimento delle relazioni affettive e sociali della persona detenuta; per ampliare le opportunità di reinserimento sociale e lavorativo, attraverso un corretto utilizzo dei fondi della "Cassa ammende", ai sensi dello stesso D.P.R. n. 230 del 2000, che all’articolo 129, comma 3, prevede l’utilizzo dei fondi patrimoniale della Cassa per "il finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale di detenuti ed internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione", stante che nel febbraio 2004 è stato infine approvato il relativo Regolamento.

Anche a livello di enti locali vi sono possibilità già normate che vanno meglio garantite e implementate o, in certi casi, finalmente istituite, come la proposta di legge regionale che sta muovendo i primi passi in commissione dal titolo" tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Lombardia", ad esempio attraverso l’applicazione integrale del Protocollo d’intesa tra la Regione Lombardia e il Ministero di Giustizia sottoscritto nel 1999 e la previsione delle opportune risorse o attraverso la definizione e messa in operatività dei Consigli di aiuto sociale, previsti dalla legge n. 354 del 1975 ma quasi mai seriamente attivati, che vedono la partecipazione anche di rappresentanti degli enti locali e specifiche competenze in materia di assistenza penitenziaria e post-penitenziaria.

 

Il garante dei diritti

 

Egualmente importante e urgente consideriamo l’istituzione a livello di Comuni, Province e Regioni di un Garante delle persone private della libertà personale, per come già avvenuto con delibere in alcune città (Roma, Firenze, Bologna, Torino) e annunciato in altre (Padova, Napoli e Monza), nonché nella Regione Lazio, con apposita legge regionale.

Le funzioni che la figura del Garante potrebbe utilmente svolgere sono di prevenzione dei conflitti all’interno dei luoghi di detenzione e di mediazione tra i diversi soggetti che in quei luoghi operano, di informazione e supporto rivolto ai tanti bisogni dei detenuti, ma anche di controllo di legalità, oggi molto poco garantito e, ove fosse necessario, anche di denuncia.

Un ruolo, dunque, di controllo e mediazione, ma anche di promozione: troppo spesso le carceri sono luoghi del "non fare". C’è una violazione di diritti che deriva dall’omissione, non dall’azione negativa. Numerose e preoccupanti sono le omissioni che risultano anche a livello di enti locali.

Naturalmente, il Garante deve essere dotato delle prerogative e delle risorse che rendano possibile, efficace e verificabile quell’insieme di funzioni.

I Garanti espressi dagli enti locali costituiscono in qualche modo importanti e concrete "anticipazioni" della relativa proposta di legge, da tempo all’esame del Parlamento, tesa a istituire il difensore civico delle persone private di libertà a livello nazionale. Per tale difensore sono previsti poteri ispettivi e funzioni di vigilanza che i Garanti locali non possono giuridicamente avere e che sono invece indispensabili per rendere effettive le funzioni di garanzia e difesa.

Tuttavia, un punto di forza e qualificazione di questi ultimi è il costitutivo legame con il territorio. È sul territorio che si attua una quotidianità dell’intervento, dello sguardo esterno, della relazione carcere-città, popolazione reclusa-comunità esterna. Per questo, pur nella limitatezza dei poteri esercitabili, crediamo che tali figure vadano istituite ovunque e in tal senso sollecitiamo gli enti e le forze politiche locali. In Lombardia proposte di legge regionale sono state già elaborate e presentate. Recentemente è stata proposta l’istituzione del Garante anche alla Provincia di Milano.

 

L’informazione da e sul carcere

 

Centrale, e viceversa troppo spesso trascurata, è la necessità di garantire una maggiore e migliore comunicazione tra carcere e città, tra popolazione detenuta e comunità esterna. L’informazione che i cittadini ricevono su queste problematiche non di rado è superficiale o addirittura assente, tesa a evidenziare solo gli aspetti di cronaca nera o a enfatizzare allarmismi, con il risultato di aumentare ingiustificatamente i pregiudizi e le reazioni di chiusura da parte dell’opinione pubblica.

La figura del Garante potrebbe costituire un passo in avanti anche riguardo tali esigenze, pur se vanno pensati strumenti, luoghi e opportunità più ampie e sistematiche. Come forze sindacali, associazioni, volontariato tradizionalmente ci siamo attivati per favorire lo scambio e la comunicazione, anche favorendo la nascita di giornali realizzati nelle carceri e una più generale sensibilizzazione della società e dei cittadini.

Con questa iniziativa complessivamente volta a sollecitare un radicale cambiamento della situazione carceraria, denunciandone l’attuale e crescente drammaticità, e a sostenere la popolazione detenuta nelle proprie rivendicazioni, intendiamo al contempo richiedere un più ampio impegno anche agli operatori dell’informazione e dai media affinché contribuiscano con i loro strumenti e le loro competenze a un’attenzione non episodica e più approfondita ai problemi del carcere. 

Adesioni

 

Susanna Camusso Segr.Gen. CGIL Lombardia,

Giuseppe Vanacore Segr. CGIL Lombardia,

Gianni Confalonieri Presidente PRC Regione Lombardia,

Francesca Corso Ass. alle carceri Provincia di Milano,

Vittorio Pozzati Consigliere DS Provincia di Milano,

Corrado Mandreoli Resp. Politiche Sociali CGIL Milano,

Sergio Segio Resp. Gruppo Abele Milano

Franco Vanzati Segr.CGIL Pavia,

Danilo Villa Resp. Politiche Sociali CGIL Brianza,

Francesco Vazzana Ufficio Politiche Sociali CGIL Como,

Giorgio Roversi, Dip. Welfare CGIL Lombardia,

Gabriella Rossi pubblico amministratore,

Emanuela Baio Dossi senatrice Margherita,

Loris Giuseppe Maconi senatore DS,

Giovanni Martina consigliere PRC Regione Lombardia,

Antonio Pizzinato senatore DS,

Anna Muschitiello segretaria nazionale CASG,

Licia Rita Roselli direttrice Agesol,

Daniela Poli consigliere Ordine Ass. Soc. di Milano,

Giacomo Chillè CSSA Como,

Barbara Campagna educatrice San Vittore,

Bruno Vegro Presidente LILA Como,

GianMario Santini Segr.Gen CGIL Pavia,

Walter Minella Assessore Politiche Sociali comune di Pavia,

Don Franco Tassone "Casa del giovane" Pavia,

Gian Paolo Viazzoli Presidente Auser Pavia,

Pinuccia Balsamo Presidente Coop. Sociale "La Piracanta" Pavia,

Giovanna Bertelegni Consulta volontariato per i problemi sociali Voghera,

Elena Gorini Insegnante ist. Casale – carcere di Vigevano,

Luisa. Mirabelli Insegnante ist. Casale – carcere di Vigevano,

Luisa Broli Insegnante Ist. Casale – carcere di Vigevano,

Andreina Penna Insegnante Ist. Casale – carcere di Vigevano

Achille Saletti Presidente Associazione Saman

Sesta Opera San Fedele - Associazione di Volontariato Carcerario

Redazione Rivista "Dignitas"

Pierfrancesco Majorino Segretario DS Milano

Cecco Bellosi coord. Comunità il Gabbiano Lecco

Amleto Luraghi Segr. Gen. CGIL Como

Paolo Cassani Pres, UISP Varese

Marco Cipriani Cons. DS Regione Lombardia

Piera Capitelli Deputato DS

Vittorio Agnoletto Parlamentare Europeo PRC

Riccardo Bonacina Direttore "Vita"

Maurizio Baruffi Cons Verdi Comune di Milano

Antonello Patta Cons. PRC Provincia di Milano

Giuliano Pisapia Avvocato Parlamentare Prc

 

 

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