Rassegna stampa 2 novembre

 

Carceri, proteste e diritti…, editoriale di Giuliano Zincone

 

Corriere della Sera, 2 novembre 2004

 

"Peggio per loro. Potevano pensarci prima". Così rispondono molti italiani a chi denuncia le vessazioni che affliggono i carcerati. Nei giorni scorsi, i detenuti a Regina Coeli (Roma) hanno protestato con uno sciopero della fame e hanno rivolto un appello ai Capi di Stato convenuti nella capitale per la firma del Trattato costituzionale dell’Ue. Nel frattempo, l’associazione "Papillon" ha inviato una lettera aperta alle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, sollecitando le riforme necessarie a rendere decente "il sistema penale e penitenziario del nostro Paese".

Il sociologo Luigi Manconi, leader dell’associazione "A Buon Diritto", stana ogni giorno ingiustizie e maltrattamenti che colpiscono i prigionieri. Nei suoi dossier c’è perfino il caso di quattro madri "in attesa di giudizio definitivo", umiliate dall’angustia delle celle, insieme con i loro bambini.

Il sindaco Walter Veltroni ha nominato Manconi "Garante del comune di Roma per i diritti delle persone private di libertà". I manifesti che pubblicizzavano quest’iniziativa sono stati spesso imbrattati con scritte offensive, o con i soliti rimproveri: "Veltroni, pensa alle buche nell’asfalto, invece di allisciare i delinquenti".

Già, i delinquenti. A parte il fatto che molti detenuti non sono stati ancora condannati, rimane (spesso) accesa la lampadina rossa che esige la massima spietatezza. Non tutti i cattolici, evidentemente, ricordano che la generosità verso i prigionieri è una delle "sette opere di misericordia corporale". Non tutti i laici capiscono quel che scrisse Feodor Dostoevskij: "La civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri".

No, ogni campagna per rendere più dignitosa la vita dei detenuti si scontra con lo slogan cattivo: "Peggio per loro. Potevano pensarci prima". Io non mi schiero dalla parte di coloro secondo i quali ogni delitto "è colpa della società", ma non mi piace nemmeno il grido delle moltitudini che pretendono di guarire i mali collettivi con le manette e le sbarre.

Io mi limito a chiedere alle (cosiddette) "autorità competenti" di assicurare il normale (e comunitario) trattamento umano a chi sconta una pena. Per alleviare, certo, le ingiuste sofferenze inflitte ai carcerati. Ma anche perché gli italiani liberi e innocenti non debbano vergognarsi della crudeltà istituzionale che (volenti o nolenti) li coinvolge e li rappresenta, in Europa e nel pianeta.

A chi fosse davvero curioso di conoscere il mondo dei detenuti, consiglio vivamente di leggere "La gabbia" (ed. sapere 2000) che è "il frutto di centinaia di interviste raccolte nelle carceri italiane, nei quartieri del disagio, fra la manovalanza della criminalità".

L’autore, Giulio Salierno, è un grande esperto di questi argomenti, non soltanto perché ha passato in galera quindici anni della sua vita, ma anche perché ha continuato a studiare, da sociologo, i meccanismi della violenza individuale e collettiva, autoctona e importata, nel carcere e altrove.

In questo libro parlano ladri, spacciatori, prostitute, con i linguaggi e le sincerità estreme che, forse, non sono confortevoli per le persone troppo delicate. E, quindi, propongo solo due citazioni.

1) "Molti non sanno che in carcere ci si suicida in tanti modi: ci si tagliano i polsi con schegge di vetro, si inghiottono lamette da barba, chiodi e cocci di bottiglia, si muore sfracellandosi da un pianerottolo, impiccandosi alle sbarre, frantumandosi il cervello contro un muro, dandosi fuoco con una bomboletta di insetticida, riempiendosi la bocca e il naso di stracci. Se in carcere si decide di morire, si cerca di farlo in modo vistoso, agghiacciante. Altrimenti il suicidio è inutile, non serve neanche come protesta".

2) "Il 55 per cento dei detenuti che si tolgono la vita, lo fanno nei primi sei mesi di reclusione e il 65 per cento nel corso del primo anno. Oltre il 53 per cento dei suicidi ha meno di 35 anni e oltre il 15 per cento meno di 25. In carcere ci si ammazza 19 volte di più di quanto si faccia altrove".. Statistiche, soltanto statistiche. "Peggio per loro. Potevano pensarci prima", ripeteranno gli innocenti senza cuore.

Sassari: emergenza carceri, la Uil lancia un nuovo Sos

 

La Nuova Sardegna, 2 novembre 2004

 

Il 10 novembre il coordinatore regionale carceri della Uil, Roberto Pischedda, visiterà il carcere di San Sebastiano. Posto nel cuore della città, san Sebastiano, dove otto detenuti su dieci sono tossicodipendenti, è stato giudicato il peggior carcere d’Italia dalla Commissione giustizia del Senato, durante l’ultimo sopralluogo.

Scopo della visita è verificare le condizioni di lavoro delle guardie penitenziarie, anche alla luce delle condizioni precarie dell’Istituto sia dal punto di vista edilizio, che da quelli del sovraffollamento e della carenza di organico.

Ormai da tempo il sindacato chiede rinforzi per sanare le carenze più vistose del carcere sassarese. Ma situazioni preoccupanti si registrano anche a Cagliari, Nuoro e Oristano. Il dipartimento di Polizia penitenziaria ha annunciato per dicembre l’arrivo di nuove poliziotte da destinare a San Sebastiano, e il Provveditorato regionale ha garantito l’arrivo di 10 poliziotti, sette educatori e cinque ragionieri da smistare negli istituti isolani.

" Non bastano - afferma Pischedda - il problema delle carceri sarde è grave. A Maimone, Lanusei e Iglesias non ci sono educatori né ragionieri". E analoghe carenze si registrano in tutta l’isola. Dieci giorni fa i detenuti dell’istituto sassarese hanno aderito all’iniziativa nazionale promossa dal comitato Papillon, che chiede una miglior vivibilità all’interno delle carceri, rispetto dei diritti del detenuti ed una più equa applicazione dei benefici della legge Gozzini.

Roma: Ass. "Domus civitas", firme per abrogare benefici

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

Una raccolta di firme per abrogare "tutti i benefici di legge che consentano di non far scontare la pena a criminali e terroristi". Ad annunciarla è l’associazione dei familiari delle vittime del terrorismo "Domus civitas", all’indomani delle polemiche suscitate dal rientro in carcere di Giovanni Brusca, sorpreso mentre aveva un telefono cellulare durante un permesso.

La decisione, informa una nota, è stata presa nell’ultima assemblea dell’associazione, "viste le ultime provocazioni e considerato lo sdegno non solo delle vittime del terrorismo e di mafia, ma anche da gran parte dell’opinione pubblica per le scarcerazioni facili".

"Noi - afferma il presidente dell’associazione, Bruno Berardi - consideriamo che detti benefici non sono serviti a far diminuire l’emergenza terrorismo o l’emergenza mafia, ma anzi hanno prodotto l’opposto, aumentando diffusamente tentativi di emulazione".

Italia - Albania: presto l’avvio del rimpatrio dei detenuti

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

Si svolgerà a Roma la prossima settimana una riunione fra delegazioni tecniche dei ministeri della giustizia italiano e albanese, per rendere esecutivo l’accordo che consente il trasferimento in Albania dei detenuti albanesi. Lo ha detto il ministro albanese della giustizia, Fatmir Xhafa, visitando l’istituto penitenziario della città di Peqin.

L’accordo è in vigore dallo scorso 25 giugno ma per essere applicato richiede la soluzione di dettagli tecnici in fase di definizione. Il carcere di Peqin, ritenuto in tutto il Paese un istituto di pena all’avanguardia, è stato costruito con un fondo a dono della presidenza italiana del consiglio, ed oggi si è celebrato il primo anno di attività.

Alla cerimonia è intervenuto anche l’ambasciatore d’Italia a Tirana, Attilio Massimo Iannucci: "Quello di Peqin è il segno concreto dell’impegno albanese a raggiungere gli standard europei - ha commentato Iannucci - ma è un esempio che va replicato altrove nel Paese, sia sotto il profilo delle infrastrutture che della formazione del personale carcerario".

In effetti Peqin, ad un anno dalla consegna nelle mani delle autorità albanesi, si continua a confermare come un’autentica isola nel desolante panorama carcerario albanese. E lo stesso ministro Xhafa lo ha confermato: "Occorre un cambio di mentalità e di cultura da parte dell’amministrazione carceraria - ha avvertito - non si possono gestire impianti moderni con criteri vecchi".

Xhafa ha aggiunto che obiettivo del suo ministero è quello di "assicurare ovunque standard europei, puntando non solo sulla rieducazione dei detenuti ma anche sul loro reinserimento nella società". Xhafa e Iannucci hanno incontrato una delegazione di detenuti, in rappresentanza degli oltre 700 prigionieri rinchiusi a Peqin. I detenuti musulmani hanno chiesto di avere più spazio per le loro preghiere, mentre il ministro si è detto disponibile anche ad accogliere nel carcere religiosi cattolici e ortodossi per l’assistenza spirituale e per l’avvio di attività di formazione professionale.

Ardita (Dap): gli Opg non devono trasformarsi in manicomi

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

"Attenzione a non abbandonare a se stessi gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), altrimenti si rischia di trasformarli surrettiziamente in manicomi". Sebastiano Ardita, responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), chiama alle proprie responsabilità le strutture sanitarie territoriali.

E lo fa a margine del convegno "Dalle malattie mentali al reato" organizzato dal direttore dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, Antonino Calogero. In Italia esistono sei Opg (oltre a quello di Castiglione, ritenuto all’avanguardia, gli altri sono ad Aversa, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino), che ospitano circa 700 detenuti internati. Si tratta di persone che hanno compiuto reati (spesso minori), che sono state ritenute socialmente pericolose (condizione questa che va verificata ogni due anni) e di cui è stata accertata l’incapacità di intendere e di volere.

Il Dap sta puntando soprattutto all’aspetto sanitario-psichiatrico, ma - sottolinea Ardita - "è necessario avviare uno stretto rapporto di collaborazione con le strutture sanitarie esterne che si devono far carico di prendere in cura queste persone una volta uscite dagli Opg. Altrimenti i sei Opg rischiano di svolgere le funzioni dei vecchi manicomi. E questo è inammissibile: le istituzioni possono e devono dare una risposta ai diritti di chi è stato in un Opg". Parole, queste, che richiamano alla mente il caso di Vito De Rosa, l’uomo che ha trascorso 50 anni nell’Opg di S. Eframo di Napoli: quando aveva circa 20 anni era stato condannato all’ergastolo per aver ucciso il padre. L’anno scorso De Rosa è stato graziato dal Capo dello Stato e ora vive in una comunità terapeutica del dipartimento salute mentale dell’Asl Salerno 2. Oltre a chiedere "più dialogo" tra Opg e reparti di igiene mentale territoriali, Ardita afferma di condividere la proposta del criminologo Francesco Bruno di trasformare i Ser.T. in strutture che seguano non solo i tossicodipendenti ma anche i malati di mente dimessi dagli Opg.

Opera: raddoppiata produzione pane per mense scolastiche

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

Sette quintali di pane, soprattutto all’olio, destinato alle mense scolastiche del territorio milanese: è questa la quantità che sarà prodotta dai detenuti del carcere di Opera, al confine con il capoluogo lombardo, grazie all’apertura di un nuovo forno che consentirà di raddoppiare la produzione attuale.

Lo ha reso noto l’Associazione panificatori, di cui è presidente Antonio Marinoni, che ha lanciato l’iniziativa oltre un anno orsono. Il panificio lavora di notte, dalle 24 alle 7. E alcuni detenuti che vi si sono impegnati, una volta usciti di prigione, stanno cercando un’attività analoga nella vita civile. "È un panificio di alto livello e qualità - spiega Marinoni - ed è un’attività artigianale che ha la funzione di formare i carcerati per il loro reinserimento nel mondo del lavoro".

Buemi (Sdi): metà stipendio ai detenuti lavoratori...

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

Stipendio dimezzato ai detenuti che lavorano in carcere, per incentivare le aziende a farli lavorare. È questa la proposta lanciata oggi a Potenza dal deputato dello Sdi Enrico Buemi, presidente del comitato Affari penitenziari della commissione Giustizia della Camera.

"Dovremo correggere quanto prima la legge sul lavoro in carcere - ha detto Buemi al termine di una visita al penitenziario del capoluogo lucano -. Oggi in Italia lavora solo il dieci per cento dei 56.500 detenuti. La legge prevede che il detenuto venga remunerato secondo i contratti nazionali. È un principio giusto, ma così facendo priviamo della possibilità di lavorare la maggior parte dei reclusi. Far produrre in carcere ha delle diseconomie per le imprese".

Buemi, torinese, è un imprenditore ed è stato manager e amministratore di enti locali. "Il lavoro è un’ attività rieducativa - ha detto -. Quindi potremmo stabilire che al detenuto sia corrisposto solo il 50 per cento della remunerazione prevista dai contratti. In questo modo coinvolgeremmo meglio il mondo imprenditoriale".

"Nella mia visita di oggi al carcere di Potenza - ha detto il parlamentare - la prima cosa che mi hanno chiesto i detenuti è stata il lavoro. Non solo per impegnare il tempo, ma anche per contribuire al sostentamento delle loro famiglie. Far lavorare in carcere vuol dire far lavorare meno all’esterno la polizia e i servizi sociali. Credo che dovremo assumere presto una iniziativa parlamentare in questo senso".

Santelli (Fi): importante proposta Buemi su lavoro detenuti

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

È "importante" e "non va sottovalutata" la proposta lanciata da Enrico Buemi (Sdi), presidente del comitato Affari penitenziari della commissione Giustizia della Camera, di dimezzare gli stipendi ai detenuti che lavorano in carcere, per incentivare le aziende a farli lavorare.

Ne è convinta il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli (Fi). "Solo chi gira l’Italia visitando gli istituti penitenziari si rende conto che la rigida applicazione della legge, che prevede per i detenuti un salario minimo pari ai due terzi del salario sindacale, produce in effetti una discriminazione e si traduce nel negare loro l’effettivo diritto al lavoro.

Il nostro Ministero - afferma Santelli in una nota - sta puntando moltissimo su questo tema credendo fortemente nella funzione riabilitativa e rieducativa del lavoro ma indubbiamente l’applicazione dei contratti nazionale è di grande ostacolo". "Ha ragione quindi l’on. Buemi - conclude il sottosegretario - si tratta di una problema vero che merita un’immediata attenzione da parte del Parlamento"..

Antigone: i detenuti - lavoratori sono pochi e dequalificati

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

Sono pochi (appena il 24% su un totale di circa 54mila) e soprattutto svolgono attività dequalificate (pulizie, mensa, cucina, etc.): i detenuti lavoratori sono andati diminuendo negli ultimi 10 anni. È questo il quadro tracciato dall’associazione Antigone in un rapporto ancora inedito sull’inserimento lavorativo dei detenuti.

La proposta lanciata da Enrico Buemi (Sdi) e appoggiata dal sottosegretario alla Giustizia Jole Santelli (Fi) di dimezzare gli stipendi ai detenuti che lavorano in carcere per incentivare le aziende a farli lavorare, è destinata a far discutere.

Il carcere, infatti, offre sempre meno possibilità di lavoro, e questo nonostante quattro anni fa sia stata varata la cosiddetta legge Smuraglia, che prevede sgravi contributivi e fiscali a favore delle cooperative sociali, alle aziende pubbliche o private che decidono di impiegare detenuti.

Il sovraffollamento (da 12.272 detenuti nel 1990 si è passati a 54.237 alla fine del 2003) e le caratteristiche della popolazione detenuta (un terzo è costituita da cittadini stranieri, spesso senza regolare permesso di soggiorno) sono i fattori principali che - secondo Antigone - hanno portato alla difficoltà di inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro.

L’ultimo dato disponibile (30 giugno 2003) indica in 13.630 il numero dei detenuti che lavorano. Ma si tratta perlopiù di lavori dequalificati all’interno del carcere: 11.198 sono impiegati alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, di cui l’83,1% svolgono le cosiddette attività ‘domestiche’ (pulizia, mensa, segretariato, etc.).

Solo 2.432 lavorano in proprio o alle dipendenze di datori di lavoro esterni. Complessivamente - fa notare Antigone - le lavorazioni portate all’interno del carcere da enti esterni occupano solo 350 detenuti, pari solo allo 0,6% dell’intera popolazione detenuta. Si tratta quasi esclusivamente di lavori organizzati e gestiti da cooperative sociali.

In sostanza - fa notare l’associazione - "le occasioni di acquisizione di una professionalità in carcere, anziché la norma, costituiscono l’eccezione"; "le attività lavorative normalmente accessibili ai detenuti sono dequalificate e difficilmente convertibili in un lavoro esterno"; "il reddito percepibile attraverso le attività lavorative più frequentemente accessibili alle persone che escono dal carcere non sempre risolve i problemi di sussistenza, soprattutto laddove si ha una famiglia da mantenere, e garantisce un tenore di vita assolutamente non paragonabile a quello raggiungibile attraverso attività illegali"; le nuove forme di lavoro, soprattutto per le mansioni dequalificate a cui possono normalmente accedere le persone che escono dal carcere, non offrono più quelle occasioni di creazione di relazioni interpersonali garantite, ad esempio, dal ‘vecchio’ lavoro alla catena di montaggio.

Civitavecchia: Osapp, presenza Blefari aggrava situazione

 

Ansa, 2 novembre 2004

 

"L’arrivo della brigatista Diana Blefari Meluzzi aggrava ulteriormente il problema delle carenze d’organico al carcere di Aurelia, perchè la sua vigilanza comporterà l’impiego di quattro agenti". Lo afferma Giuseppe Consalvi, segretario regionale del sindacato di Polizia penitenziaria (Osapp), all’indomani del trasferimento dal carcere di Rebibbia della Br accusata di aver preso parte all’omicidio del giuslavorista Massimo D’Antona. Intanto gli agenti aderenti al sindacato continuano ad alternarsi nel sit in all’esterno del penitenziario, dove al momento la Blefari è la sola brigatista detenuta.

Dopo le proteste che durano ormai da alcune settimane, secondo Consalvi, la decisione dell’amministrazione penitenziaria di trasferire ad Aurelia 17 agenti, provenienti da altri penitenziari del Lazio, ha il sapore di una beffa a fronte di una carenza di oltre 100 unità che, come è stato più volte evidenziato, mette a rischio la sicurezza degli operatori.

"Inoltre - ha spiegato il sindacalista - l’incremento effettivo sarà di nove unità in quanto a fine novembre si concluderà la ferma obbligatoria di otto ausiliari che hanno svolto il servizio militare nel corpo di Polizia Penitenziaria".

Sassari: protesta in piazza "chiudete questo carcere..."

 

L’Unione Sarda, 2 novembre 2004

 

La nuova battaglia chiudere San Sebastiano, definito uno dei peggiori carceri italiani, vede questa volta alleati il consigliere provinciale Antonello Unida e il presidente dei detenuti non violenti Evelino Loi. Dalle nove di ieri mattina, hanno piazzato il loro panchetto sul lato del carcere di via Cavour e hanno iniziato lo sciopero della fame a oltranza. I due hanno deciso di trascorrere la notte, in attesa della giornata odierna, particolarmente interessante per la città.

"L’obiettivo - ha spiegato Unida - è sollevare il problema di questo carcere in un momento così importante come quello dell’arrivo del nuovo arcivescovo della città Paolo Atzei e della visita ufficiale del ministro dell’Interno Beppe Pisanu".

La battaglia per dare alla città un nuovo carcere aveva già visto l’azione congiunta di diversi soggetti, tanto da richiamare a Sassari una delegazione della Commissione parlamentare per le carceri, che, dopo il sovralluogo, aveva dichiarato il penitenziario di San Sebastiano il peggiore d’Italia. Fra le altre cose, da parte del Governo, vi era stata l’assicurazione di dar vita ad un nuovo edificio carcerario, per cui in origine erano state promesse anche le risorse economiche necessarie, che poi, stranamente, erano state dirottate altrove.

"Dove sono finiti i fondi promessi? E, soprattutto, che fine ha fatto la promessa progettazione del nuovo carcere? E, infine, quanto tempo dovrà ancora trascorrere prima che, chi è detenuto possa ritrovare condizioni di vera dignità umana?". Domande, queste, che saranno riproposte al ministro dell’Interno ed offerte alla riflessione del neo arcivescovo.

La protesta di Evelino Loi e di Antonello Unida punta alla cancellazione del carcere di San Sebastiano, non soltanto per la condizioni in cui sono costretti i detenuti, di cui il 70 per cento è formato da tossicodipendenti, ma anche per la situazione in cui sono costretti a muoversi gli agenti penitenziari. Anche se non bisogna dimenticare, come hanno spiegato i commissari parlamentari, che molto potrebbero fare la stessa città e gli organismi sociali per garantire i diritti dei detenuti offrendo loro alternative di vita, una volta scontata la pena.

Rebibbia: Papillon, sospensione della protesta è sacrosanta

 

Papillon, 2 novembre 2004

 

La decisione dei detenuti di Rebibbia maschile di sospendere momentaneamente lo sciopero è giusta e sacrosanta. Fin dall’inizio, la nostra associazione ha sempre dato l’indicazione di calibrare le forme e i tempi della protesta sulla base della situazione di ogni singolo carcere.

La scelta dei detenuti di Rebibbia non è quindi una "resa" ma soltanto un attimo di sosta per poi riprendere con maggior forza la protesta. Essi sono quindi perfettamente in linea, uniti e solidali con i detenuti delle tantissime carceri che stanno proseguendo la protesta.

La nostra associazione sottolinea e denuncia il fatto che lo spettrale silenzio di quasi tutti i mass media nazionali sulle ragioni e la dimensione della nostra protesta (con poche, lodevoli eccezioni) e l’immobilismo di tutti, ma proprio tutti i gruppi parlamentari, suonano come un vero e proprio incitamento alla rivolta per tutti i detenuti. Ciò è semplicemente vergognoso!

Al contrario di ciò che si aspettano lor signori, la Papillon invita ancora una volta tutti i detenuti a non cedere alla disperazione e a conservare il carattere assolutamente pacifico della nostra battaglia di civiltà per l’indulto e le riforme.

Lodi: una cooperativa di carcerati per curare l’ambiente

 

Il Cittadino, 2 novembre 2004

 

Solo un quarto dei detenuti in carcere ha la possibilità di lavorare e solo il 5 per cento di quelli che lavorano operano in un settore diverso da quello dell’amministrazione carceraria. Questi i dati più recenti relativi al rapporto tra carcere e lavoro che sciorina Franco Rainini, presidente dell’associazione "Vivai pronatura" di San Giuliano.

Costituita una quindicina di anni fa e attiva grazie all’impegno di un gruppo di volontari che si adoperano nel vivaio situato nei pressi di Rocca Brivio, l’associazione sangiulianese si occupa della promozione e della salvaguardia della biodiversità con un occhio di riguardo al sociale. In collaborazione con il carcere milanese di San Vittore e con quello di Opera (un impegno che è valso al gruppo il premio nazionale della solidarietà Luciano Tavazza), Vivai Pronatura offre ad alcuni detenuti che possono lavorare la possibilità di operare a salvaguardia dell’ambiente.

Da tempo infatti nella sede sangiulianese dell’associazione sono operativi due lavoratori (i cosiddetti detenuti articolo 21, che possono lavorare fuori dal penitenziario) che percepiscono un’indennità di partecipazione e imparano un mestiere, quello del vivaista, che potranno sfruttare una volta fuori dalla sbarre.

Ma ora Vivai Pronatura vuole di più: proprio sabato scorso ha presentato al ministero delle Politiche Sociali un progetto per la realizzazione di una serra che permetta di ampliare i metri quadrati attualmente curati e il numero di detenuti coinvolti nel progetto di recupero. Patrocinato dal comune di San Giuliano (dall’assessore ai servizi sociali Lucia Salvato) e caldeggiato dalla stessa casa circondariale di San Vittore, il progetto sfrutta un nuovo protocollo d’intesa tra il ministero di Giustizia e quello dell’Ambiente dal momento che prevede la formazione di detenuti in ambito legato alla salvaguardia del verde.

"Auspichiamo presto il patrocinio di tutti e tre i comuni proprietari del terreno della Rocca Brivio Sforza srl - sostiene Rainini - perché crediamo che il progetto abbia un’importante valenza sociale ed ecologica sul territorio". Gli altri due municipi interessati, oltre a San Giuliano, sono San Donato e Melegnano. L’idea è infatti quella di costruire una serra e un’oasi botanica che arricchisca l’attuale vivaio per poi dar vita a una cooperativa di detenuti che, supportata dal lavoro dei volontari, realizzi a Rocca Brivio un’impresa che dia reddito ai lavoratori-carcerati e che nel contempo preservi l’ambiente circostante la rocca.

Inizialmente l’associazione aveva ipotizzato la realizzazione di un vivaio a San Vittore ma la mancanza di spazio (l’attuale serra misura solo 24 metri quadrati) e lungaggini burocratiche, verificatisi anche nei penitenziari di Opera e Cremona, hanno fatto decidere l’associazione di sfruttare la sede sangiulianese.

Il progetto tuttavia richiede l’utilizzo di un’area più vasta di quella tutt’ora concessa a Vivai Pronatura e, a detta di Franco Rainini, non avrebbe incontrato sinora "l’interesse e la partecipazione che merita da parte della Rocca Brivio Sforza srl". Posto infatti che il progetto sia accolto e finanziato da Roma, è necessaria la concessone del terreno da parte della società che gestisce il bene Rocca Brivio, altrimenti tutto rimarrà sulla carta: "Siamo ancora in attesa che, per questa decisione, sia definito il nuovo rappresentante sangiulianese all’interno della società - spiega polemico Rainini - dal momento che dagli altri comuni coinvolti, San Donato e Melegnano, non abbiamo ricevuto alcun segnale di interessamento". Un progetto di valenza sociale, insomma, che deve ancora convincere della sua bontà gli enti locali responsabili della rocca.

Cagliari: un’azienda agricola come alternativa al carcere

 

L’Unione Sarda, 2 novembre 2004

 

Chi è in carcere ma può usufruire delle misure alternative a volte è costretto a restare in cella perché mancano le strutture esterne che possano accoglierlo. Succede in tutta Italia, ma in particolare in Sardegna e in particolare nel Sulcis Iglesiente. A farlo sapere è stato Leonardo Bonsignore, presidente del tribunale di sorveglianza di Cagliari il quale, nei giorni scorsi, ha partecipato a un convegno dibattito che si è svolto a Villamassargia.

È stata l’occasione per dare il via alla costruzione di una struttura alternativa per le pene dei condannati, che sta per realizzare la cooperativa San Lorenzo di Iglesias nell’azienda agricola Angelo Corsi, ottenuta in gestione dal Comune.

Il progetto è stato illustrato da don Salvatore Benitzi. Sia Bonsignore che Nello Cesari (provveditore regionale) ed anche Rossana Carta (direttore dell’ufficio esecuzione penale esterna) hanno espresso tutto il loro appoggio all’iniziativa della cooperativa che potrà così colmare un vuoto lasciato dall’amministrazione pubblica. Anche il sindaco, Walter Secci, ha spiegato che i Comuni non possono sempre aspettare ma devono diventare protagonisti anche su questi fronti.

"L’azienda Corsi dovrà diventare - ha detto - produttiva con l’autofinanziamento". Chi sarà ospitato dovrà infatti coltivare la terra, allevare il bestiame e ricavarsi il cibo. Il resto sarà venduto. Nello stesso tempo chi usufruirà dell’opportunità del recupero parteciperà alla ristrutturazione degli edifici della storica struttura.

Al convegno ha partecipato anche il vescovo, monsignor Tarcisio Pillolla, il quale non ha nascosto che "il carcere rende anche peggiori. Per questo bisogna aiutare chi ha più bisogno in modo che possa imboccare la strada della riabilitazione". Non è mancato uno dei nipoti di Angelo Corsi, il deputato che donò la struttura perché fosse utilizzata a fini sociali.

"Si stanno realizzando - ha spiegato Paolo Marcus - i sentimenti di mio zio i quali non sono altro che quelli dell’uomo cioè aiutare chi ha bisogno". Gli ospiti della cooperativa avranno al loro fianco la scuola Cettolini, esperta in agraria. L’azienda Corsi possiede 40 ettari e 850 metri quadrati di fabbricati in ottimo stato dai quali si possono ricavare 50 posti letto.

Sala Consilina: sulla chiusura del carcere vertice al Ministero

 

La Città di Salerno, 2 novembre 2004

 

Durerà almeno fino all’8 novembre lo sciopero degli avvocati del Foro salese, proclamato per protestare contro il decreto ministeriale che sancisce la soppressione del carcere di Sala. Gli avvocati, che tra l’altro da dieci giorni stanno presidiando ora per ora a turni di sei ogni quattro ore, la Casa circondariale di via Gioberti, attendono risposte dal Ministro Castelli dopodomani quando dovrebbe svolgersi a Roma un incontro tra il rappresentante del Governo, i direttori tecnici, i senatori della zona Borea, Brusco e Liguori.

Al momento, infatti, sembra che l’incontro non si terrà con una delegazione degli avvocati, né con le istituzioni locali, comunali e provinciali. Nessun invito scritto è giunto infatti al Tribunale o al Comune.

Eppure il comitato per il carcere che è costituito dal sindaco di Sala Consilina Gaetano Ferrari, dal presidente degli avvocati salesi, dall’Ordine dei commercialisti, dai rappresentanti della Provincia Angelo Paladino e Luigi Giordano, potrebbe in ogni caso recarsi a Roma giovedì, deciso a manifestare il suo no alla decisione del Ministro Castelli.

L’esito, dunque, resta incerto nonostante le prese di posizione, tutte contrarie alla soppressione della struttura carceraria, di diversi enti, finanche della Regione Campania che ha deliberato all’unanimità.

Milano: caldarroste e piante per i detenuti di San Vittore

 

La Provincia di Lecco, 2 novembre 2004

 

"Coltivare la vita" in carcere, tra fiori e castagne. Una bella sorpresa per i detenuti di San Vittore, la visita degli alpini di Calolzio e dei membri della Polisportiva di Monte Marenzo. I due sodalizi sono stati protagonisti di una festa nel penitenziario milanese, dove hanno portato piantine di fiori e caldarroste, accolti da una parte dei 1200 ospiti e dei mille agenti penitenziari.

"È stata un’esperienza esaltante, dal punto di vista umano – commenta Carlo Viganò, vice capogruppo delle penne nere calolziesi, intervenuto insieme a Bruno Mandelli, Aldo Valsecchi, Lino Raveglia, Dino Bonaiti, Claudio Spreafico e Luigi Girelli -. Abbiamo incontrato i detenuti del quarto raggio del carcere, denominato "La Nave". Si tratta di ragazzi che restano qui dai 2 agli 8 anni per reati di vario genere.

Ma, in realtà, sembrava di essere in una caserma, per il clima cameratesco che abbiamo trovato. Pacche sulle spalle, scambi di battute, risate: davvero un’atmosfera calda". Giunti al quarto raggio, gli alpini hanno iniziato a sfornare caldarroste, gustate in quantità dagli ospiti (ne sono state preparate ben 170 kg).

"La prima volta che sono entrato qui chiesi la vostra solidarietà in favore di Telethon – ha detto Angelo Fontana ai carcerati - e la risposta fu straordinaria". Così, "ha preso l’avvio il progetto "Coltivare la vita", per abbellire alcune aree interne alla casa circondariale con fiori, come invito a coltivare lo spirito affinché, non venga mai meno la speranza".

"Abbiamo cercato di creare un’atmosfera legata alle stagioni, portando all’interno di queste mura i profumi e i sapori dell’autunno, preparando sul fuoco le caldarroste". Così, i detenuti hanno ricevuto la scorsa settimana cento vasetti contenenti bulbi di narciso, che fioriranno per il prossimo dicembre, pronti per essere al centro di altre iniziative di beneficenza.

All’iniziativa hanno collaborato la direzione del carcere, con il direttore Francesco Fronterre e la sua vice Elisabetta Palù, le Province di Milano, rappresentata dall’assessore Francesca Corso, e di Lecco, presente con Emanuele Panzeri, la Regione Lombardia, con l’assessore Maiolo, L’Asl e il Comune di Milano.

Svizzera: carceri pretoriali, ora anche giudici le bacchettano

 

Ticino online, 2 novembre 2004

 

Le celle pretoriali di Bellinzona tornano alla ribalta della cronaca giudiziaria. Già lo furono, e purtroppo, all’inizio di settembre con la tragica morte in cella di un giovane prevenuto minorenne che faceva salire a due i casi di suicidio avvenuti quest’anno. Allora con un commento intitolato "Un suicidio annunciato. Chiudete le pretoriali ora", denunciammo le arcinote e inaccettabili condizioni di carcerazione alle pretoriali.

Adesso, a bacchettare le nostre autorità per il regolamento in vigore alle pretoriali sulle modalità di detenzione, ci pensa la Corte dei reclami penali del Tribunale federale. Per i giudici la normativa che disciplina l’ora d’aria è né più né meno fuorilegge.

La massima corte, pronunciatasi su un reclamo contro le omissioni della procura federale nella detenzione di un prevenuto nelle celle di via Franscini, ha sancito, anzi ribadito, che un detenuto in carcerazione preventiva a partire dalla seconda settimana di detenzione ha il diritto ad un’ora d’aria giornaliera sotto la sorveglianza del personale della prigione. Di più: la limitazione tutta nostrana della possibilità di usufruire dell’ora d’aria giornaliera è stata giudicata contraria alle esigenze minime previste del diritto federale e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e questo anche se lo stabilimento carcerario non è attrezzato a tale scopo e non dispone ( è il caso delle carceri in questione) del personale necessario. Insomma: rieccoci.

Domanda scontata: perché mai il "documento di servizio della polizia del Canton Ticino" in vigore a Bellinzona, che regola appunto le modalità di detenzione preventiva alle pretoriali, non rispetta le esigenze minime poste dal diritto federale? Esigenze minime, lo ribadiamo, che non sono una novità dell’ultima ora, ma che sono state già sancite in modo cristallino almeno da otto anni da parte del Tribunale federale. In governo e nell’amministrazione cantonale non ci sono giuristi a sufficienza? Nei prossimi giorni, c’è da scommettere, assisteremo al solito balletto di dichiarazioni ufficiali. Al balletto e fors’anche al gioco dello scaricabarile.

E, come nel tragico caso d’inizio settembre, nessuno si assumerà le responsabilità dell’accaduto, ma in compenso si correrà subito alla velocità della luce ai ripari, quasi come se niente fosse accaduto. In fondo, perché drammatizzare? Di mezzo ci sono poi solo quattro passi e alcuni carcerati.

Pepe (Fi): maggiori risorse per assistenza sanitaria ai detenuti

 

Atti Camera dei Deputati, 2 novembre 2004

 

Mario Pepe (Fi) ritiene che andrebbero stanziate maggiori risorse per l’assistenza sanitaria dei detenuti. Rileva infatti che le risorse destinate alla sanità penitenziaria ammontano a 87 milioni di euro, circa 13 milioni in meno rispetto alle previsioni assestate per il 2004.

La situazione sanitaria nelle carceri appare di estrema emergenza e gravità se si considera che in molti istituti appare difficoltoso, come emerso anche nei sopralluoghi effettuati dal Comitato per i problemi penitenziari, assicurare un sia pur minimo livello di assistenza ai detenuti.

Evidenzia come non tutte le strutture carcerarie dispongano in maniera continua dell’attività di un medico, dovendosi ricorrere nel caso di necessità alla guardia medica. Inoltre, a causa della mancanza di fondi, i direttori delle carceri si trovano spesso nell’impossibilità di instaurare rapporti in convenzione con medici specialisti e di approvvigionarsi adeguatamente dei farmaci necessari. Ritiene inoltre che sarebbe opportuno destinare maggiori risorse all’attività "trattamentale" dei detenuti, allo scopo incrementando l’organico della polizia penitenziaria e degli assistenti.

Osserva che così facendo si potrebbero evitare gli episodi di suicidio che spesso sono dovuti all’impossibilità da parte del personale penitenziario di accorgersi di una situazione di particolare disagio del detenuto.

Imputa sostanzialmente il cattivo funzionamento della sanità penitenziaria al decreto legislativo n. 230 del 1999, ai sensi del quale le competenze in materia di assistenza sanitaria ai detenuti e le relative risorse avrebbero dovuto essere trasferite al Ministero della salute al termine di un periodo di sperimentazione. In realtà l’affidamento della sanità penitenziaria alle aziende sanitari locali non è diventato mai operativo per cui si è determinata una situazione di confusione normativa che ha penalizzato in maniera grave il livello dell’assistenza sanitaria dei detenuti.

Evidenzia a tal proposito che i progetti-pilota avviati in alcuni regioni per l’affidamento dell’assistenza sanitaria dei detenuti alle aziende sanitarie locali sono sostanzialmente falliti. Pertanto, per porre rimedio a tale situazione, auspica che il Parlamento, alla luce dei risultati dell’indagine conoscitiva in corso di svolgimento, si occupi quanto prima di una riforma della sanità penitenziaria per porre rimedio alla confusione legislativa ed amministrativa oggi esistente.

Per quanto riguarda la manovra di bilancio invita il Governo ad incrementare le risorse destinate alla sanità penitenziaria per almeno 1,5 milioni di euro per l’intero triennio 2005-2007.

Il sottosegretario Giuseppe Valentino assicura che il Governo presterà la massima attenzione alla problematica relativa alla sanità penitenziaria, pur essendo consapevole della complessità della soluzione dei problemi in tale settore. Sarà fatto tutto il possibile per reperire le risorse necessarie ad incrementare gli stanziamenti per l’assistenza sanitaria ai detenuti.

In ogni caso esprime apprezzamento per il lavoro del personale del settore penitenziario, soprattutto in considerazione delle difficoltà, di carattere economico e strutturale, in cui devono concretamente ogni giorno operare.

Capezzone: da Congresso Radicale saluto ai detenuti in lotta

 

Agenzia Radicale, 2 novembre 2004

 

Un saluto ai detenuti che sono ancora in lotta (e che, ineccepibilmente, continuano a chiedere il rispetto della legalità scritta, a partire dalla legge Gozzini, dando una lezione di senso delle istituzioni in primo luogo al Ministro della Giustizia che è capitato - meglio: che Berlusconi ha fatto capitare- a questo sciagurato paese…), e per altro verso permettetemi di ricordare quanto abbiamo avuto ragione noi lo scorso anno.

Avevamo detto alle Camere: "Noi, con il nostro sciopero della fame, vi chiediamo solo di decidere, null’altro; e vi diciamo che quel provvedimento vi aprirà una piccola finestra temporale per immaginare interventi strutturali.

Fatene tesoro, pena il ritrovarci tutti, tra qualche mese, nella stessa situazione di prima". Come volevasi dimostrare: li abbiamo aiutati a decidere (realizzando pienamente l’obiettivo della nostra azione), ma -specie per responsabilità del Senato- hanno votato un provvedimenticchio, e poi non hanno fatto seguire null’altro, se non gli insulti estivi ai detenuti e ai radicali che li visitavano. E siamo punto e a capo, con una politica ufficiale che si copre di vergogna.

Bologna: appello per Manuel, in sciopero della fame nel Cpt

 

Missionari Comboniani, 2 novembre 2004

 

Logrono Ventura Manuel Emilio, "ospite" presso il Centro di Permanenza Temporaneo di Bologna, dal 27 ottobre sta attuando lo sciopero della fame. Nato il 14.10.1948 a Santiago (Repubblica Dominicana), lo scorso 12 ottobre è stato scarcerato dalla casa circondariale di Vasto (CH).

Manuel è in Italia dal 1978 (ventisei anni), era in possesso di un permesso di soggiorno scaduto in data 20.11.2003, nel corso della propria detenzione, nel corso di questi anni ha svolto la sua professione di coreografo - ballerino versando anche i contributi previdenziali obbligatori presso l’ENPALS.

Nella struttura carceraria Manuel era entrato in contatto con le suore comboniane di Vasto, con l’associazione di volontariato Fa.C.E.D. (famiglie contro l’emarginazione e la droga), e la cooperativa "Il Noce" (la prima gestisce la comunità per tossicodipendenti ed alcoldipendenti a Termoli, mentre la seconda si occupa del reinserimento lavorativo degli stessi giovani alla fine del programma comunitario) le quali si erano rese disponibili ad accogliere il sig. Logrono, presso i propri centri di Termoli e Petacciato, non solo garantendo vitto ed alloggio, ma anche la possibilità di svolgere un lavoro sia nel progetto Mosaico (prevenzione primaria con interventi nelle scuole, nelle associazioni sportive, per le strade con l’ausilio anche di metodologie teatrali che privilegiano il corpo) e sia in azienda agricola, nell’ambito di un progetto triennale, denominato Zefiro nonché in quello denominato "conviviavilità delle differenze" rivolto proprio a detenuti immigrati, finanziati, i primi due, dalla Regione Molise e l’ultimo dalla Caritas italiana.

A tale scopo, prima della scarcerazione, il Tribunale dell’Aquila aveva fissato un’udienza, per la richiesta di affidamento (vista la disponibilità dell’associazione e della cooperativa) ai servizi sociali del sig. Logrono, che tuttavia nel frattempo veniva scarcerato, per buona condotta (liberazione anticipata), il 12.10.2004, viste anche le innumerevoli licenze premio, anche di una settimana, presso la cugina cittadina Italiana residente a Sulmona.

Nella predetta il Prefetto di Chieti notificava a Manuel il decreto di espulsione, a causa del mancato rinnovo del permesso di soggiorno, scaduto in data 20.11.2003, ed il Questore di Chieti, disponeva il trattenimento del medesimo presso il Centro di Permanenza Temporanea di via Chiarini a Bologna, ove in data 15.10.2004 il Giudice di pace disponeva la convalida del trattenimento;

Tuttavia, nella stessa mattina, ma dopo l’udienza di convalida, la Casa Circondariale di Vasto, inviava copia della cartella clinica del sig. Logrono, dalla quale emergeva che il trattenuto era affetto da ansia e depressione, sin dal mese di maggio 2003, e riscontrati anche nella più recente visita psicologica del luglio 2004.

Tale condizione era stata oggetto di particolare attenzione anche da parte dell’associazione di volontariato, della cooperativa e delle religiose dell’ordine delle Comboniane di Vasto, le quali avevano appreso, direttamente da alcuni agenti della polizia penitenziaria, che il Logrono aveva tentato di suicidarsi.

Per tali ragioni, e altresì per la volontà di Manuel di recuperare completamente rispetto all’esperienza carceraria, l’associazione Fa.c.e.d., la cooperativa Il NOCE e l’ordine delle missionarie comboniane avevano inserito il sig. Logrono nei due progetti Mosaico e Zefiro ed anche nell’ampliamento di quest’ultimo ai detenuti immigrati - denominato "Convivialità delle differenze"- , finanziati, i primi due dalla Regione Molise e l’ultimo dalla Caritas Italiana.

Al momento Manuel è trattenuto presso il Centro di permanenza temporanea di Bologna, allo scopo di acquisire documentazione per il rimpatrio, e vi è fondato motivo di ritenere che tale situazione possa aggravare la sindrome ansiosa depressiva di cui soffre da anni.

La condizione di salute attuale del sig. Logrono rappresenta un serio pericolo per la propria incolumità fisica ed è incompatibile con la forma del trattenimento e del rimpatrio forzato, in quanto, facilmente, il predetto potrebbe ripetere gravi atti di autolesionismo.

Il centro di permanenza temporanea non è struttura idonea ad alloggiare persone con problemi di ordine psicologico in quanto non dispone di personale o di strumenti, come nel caso delle istituzioni penitenziarie, idonee a garantire l’osservazione del detenuto a rischio suicidario, ed il supporto di psicologici o personale sanitario idoneo a prestare immediato soccorso.

 

Gli amici della Comunità il noce di Termoli

Antonio De Lellis; Padre Carlos Sosa; Suor Maria Savini;

0875.751885 oppure 328.9853591.

Varese: un incontro pubblico sulla questione del carcere

 

Varese News, 2 novembre 2004

 

Un incontro pubblico sulla questione del carcere a Bizzozero. Palazzo Estense è pronta ad incontrare, il 12 novembre, la popolazione a Schianno, nell’ex scuola elementare sede del Consiglio Comunale. Peccato che gli amministratori di Gazzada Schianno non siano stati avvertiti.

La notizia è apparsa su un quotidiano ed è lì che il sindaco Pierangelo Brusa e "colleghi" l’hanno letta. Nemmeno una telefonata per trovare un accordo su data, luoghi e modi.
"Siamo alle solite - sbotta un esasperato vice sindaco - Varese si muove ma noi non sappiamo niente di niente. Un incontro pubblico?

A parte il fatto che non è quello che abbiamo chiesto, ma non ci sembra opportuno non essere avvertiti, visto che "dall’altra parte" ci dovremmo essere noi. Di più, non ci sembra nemmeno opportuno trattare un tema così delicato in mezzo a una folla inferocita. Perché questo accadrà: all’assemblea si troveranno, l’un contro l’altro armati, da una parte gli amministratori varesini dall’altra tutti quelli contrari al carcere. Non vogliamo uno scontro in quella sede, non porterebbe a nessun risultato. Quello che chiediamo noi è un incontro tecnico-politico tra amministratori, un vero tavolo di lavoro dove si cerchino le soluzioni ai problemi. Non ho mai visto un’assemblea pubblica che fosse un momento di lavoro. Potremmo anche valutare l’ipotesi di chiamare i cittadini a raccolta in una fase successiva, ma ora mi sembra davvero inutile". "Invito" rispedito al mittente, quindi? "Ma quale invito? - risponde Minonzio - Palazzo Estense cominci a chiederci qualcosa. E forse avremo un interlocutore cui rispondere".

Cosenza: le carceri calabresi sono super affollate...

 

Quotidiano di Calabria, 2 novembre 2004


Carceri sovraffollate anche in Calabria. A denunciare il problema è il movimento "Diritti Civili", da oltre 10 anni impegnato sul problema che nel numero del suo settimanale in edicola in Calabria domani e su Internet da giovedì, pubblica i dati relativi a quella che viene definita "vera e propria emergenza sociale e polveriera che rischia di esplodere".

"Le ultime cifre (con riferimento al sovraffollamento) fornite dal Ministero della Giustizia e aggiornate sino alla fine di settembre 2004, - si legge in una nota del movimento - danno l’idea della drammaticità della situazione. In Italia ci sono oltre 13 mila detenuti in più rispetto alla capienza prevista.

Esattamente i posti disponibili in tutti i 211 istituti di pena sono 42.529, i detenuti presenti oggi nelle prigioni italiane sono 55.927. Nel Sud sono circa 4500 i detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Nelle cinque regionali meridionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) i posti sono 14.071, le persone recluse 18.632.

In Calabria, nelle 11 case circondariali presenti nella regione, i posti disponibili sono 1708, i detenuti invece sono 2290. A Catanzaro ci sono 592 detenuti (i posti disponibili 369); a Reggio Calabria i reclusi 25 (i posti 163); a Vibo Valentia i detenuti sono 370 (i posti 230). È una situazione assai grave. L’indultino si è rivelato inefficace.

In alcune celle ci sono anche 8-10 detenuti quando al massimo la capienza è per 2-3 persone. Sul dramma dei detenuti c’è stato in tutti questi anni solo un ignobile silenzio e tanta ipocrisia da parte delle Istituzioni e anche di certe forze politiche che si scoprono garantiste solo per personaggi eccellenti.

Quasi nessuno - denuncia il movimento - si è mai occupato dei diritti dei detenuti, nessuno ha speso una sola parola per quegli oltre 2500 detenuti gravemente malati che rischiano di morire abbandonati nelle celle, come e peggio delle bestie". Diritti Civili chiede "giustizia e rispetto per i diritti di tutte le persone recluse detenute, soprattutto di quelle gravemente malati".

E mentre l’associazione di Franco Corbelli rende noti i numeri del disagio vissuto dalla popolazione carceraria, strutture costruire in anni recenti proprio per rimediare al sovraffollamento degli stabilimenti penitenziari esistenti, restano inutilizzate. Emblematico il caso del vibonese dove sono tre le carceri costruite e mai entrate in esercizio: a Soriano, ad Arena ed a Mileto.

 

 

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