Rassegna stampa 9 novembre

 

Finanziaria: arrivano 5 milioni di euro per le carceri

 

Agi, 9 novembre 2004

 

Arrivano 5 milioni di euro per l’amministrazione penitenziaria. L’Aula della Camera ha infatti dato il suo "via libera" ad un emendamento al Ddl di Bilancio che trasferisce appunto 5 milioni dal Ministero dell’Economia a favore dell’amministrazione penitenziaria per interventi relativi al "mantenimento, assistenza, rieducazione e trasporto dei detenuti".

La formulazione originale della norma, presentata da Mario Pepe e Sandro Bondi (FI), prevedeva fondi per 10 milioni di euro, cifra dimezzata questa mattina su richiesta del Governo.

I presentatori hanno infatti accettato la riformulazione chiesta dal sottosegretario Vegas, che dimezza la portata finanziaria della proposta: i 10 milioni che dovevano essere presi dal ministero dell’Economia saranno invece 5 milioni. La relatrice, Daniela Santanchè ha dato parere favorevole all’emendamento riformulato.

Como: detenuta di 34 anni si suicida in carcere

 

La Provincia di Como, 9 novembre 2004

 

La giovane lecchese doveva scontare altri 3 anni per rapina: era depressa e sorvegliata speciale, ha dribblato i suoi guardiani Maria, 34 anni, suicida dopo 40 giorni al Bassone: terzo caso in pochi mesi.

Un altro morto (il sesto dall’inizio dell’anno), un altro suicidio (il terzo) scuote l’apparente tranquillità del Bassone di Albate, carcere peraltro universalmente considerato tra i più ordinati e "vivibili" d’Italia. Maria, 34 anni, nata e residente nel Lecchese, in carcere da 40 giorni per scontare altri 31 mesi per rapina, si è tolta la vita nella notte tra domenica e ieri.

Per raggiungere il suo proposito, la ragazza ha atteso un’attenuazione della vigilanza speciale - cui era sottoposta in regime continuato per ordine della direzione della casa circondariale - ha strappato la federa del cuscino del suo letto, se l’è stretta attorno al collo e infine si è appesa alle sbarre della finestra. Quando gli agenti della sezione femminile del Bassone si sono accorti dell’insolita quiete, purtroppo, era tardi.

I soccorritori non hanno potuto che prendere atto dell’avvenuto decesso della giovane e informare il magistrato per avviare gli accertamenti necessari a capire se siano ravvisabili responsabilità, anche omissive, per quanto accaduto. Il pubblico ministero di turno, Silvia Perrucci, ha aperto un’inchiesta - ancora contro ignoti - che permetterà di svolgere una serie di attività tecniche (a cominciare dalla autopsia sul cadavere) necessarie in primo luogo ad escludere eventuali altri "apporti causali" nella tragedia.

Maria era stata arrestata una prima volta nel settembre di cinque anni fa perché sospettata di due rapine in una cartoleria di Monticello e in un centro di abbronzatura di Barzanò, bottino complessivo di 300 mila lire dell’epoca. Scarcerata durante l’istruttoria, la giovane era stata nuovamente arrestata il 30 settembre scorso, in esecuzione questa volta di una sentenza definitiva ed esecutiva per rapina; in stato di limitazione della libertà (eufemismo sinonimo di galera) Maria avrebbe dovuto rimanere fino al 1° aprile del 2007.

Ha scelto di liberarsi con largo anticipo. La tragedia di Maria è l’ultima di una scia di lutti che da circa un anno si è abbattuta sulla casa circondariale di Albate, istituto inaugurato 20 anni fa come carcere di massima sicurezza e considerato da sempre "modello" per le condizioni di vita che riesce a garantire alla sua popolazione (che tra l’altro ha una densità due volte inferiore alla media italiana). Eppure negli ultimi mesi qualcosa si è rotto.

A marzo un 26enne arrestato per piccolo spaccio si era suicidato con il gas dello scaldino, a luglio si impiccò un operaio rumeno accusato di violenze dalla figlia, tragedie inframezzate dalla morte di Sergio La Scala, il dirottatore del pullman di Cantù. L’inchiesta sul suo decesso non è ancora stata chiusa

Emilia Romagna: 86,5 milioni per interventi sociali e assistenza

 

Sesto Potere, 9 novembre 2004

 

Oltre 86,5 milioni di euro per famiglie, minori, anziani, immigrati: La Regione Emilia - Romagna ha varato il riparto del Fondo sociale regionale. Si tratta del primo e più significativo stanziamento per il 2004, che verrà ampliato con risorse per circa 5 milioni di euro (bando per finanziare interventi in conto capitale su strutture per anziani e disabili, per impianti biocompatibili di climatizzazione), ed ulteriori 1,4 milioni (abbattimento di barriere architettoniche). Complessivamente, nel 2004 verranno resi disponibili quasi 93 milioni di euro.

La delibera consente a tutti gli Enti locali di dare il via alla programmazione, con il Piano di zona triennale 2005/07, dopo la fase di sperimentazione conclusasi con l’attuazione del Programma 2003.

"Da questa delibera – ha affermato l’assessore regionale alle Politiche sociali, Gianluca Borghi – emergono tre grandi opzioni strategiche: la prima è sostenere le persone non in condizioni di autosufficienza, quindi anziani e disabili per i quali confermiamo misure che negli anni passati ci hanno consentito di sostenere la domiciliarità come l’assegno di cura. In secondo luogo sostenere le politiche familiari: andremo ad aumentare ulteriormente la disponibilità di posti all’interno dei nidi e dei servizi per la prima infanzia in Emilia - Romagna; infine, sostenere tutte le persone in condizioni di difficoltà, a rischio di esclusione sociale o di povertà".

"Per quanto riguarda le prospettive paventate dalla Finanziaria dello Stato in discussione, per cui sarebbe previsto il 35 per cento di tagli sul finanziamento al sociale - ha aggiunto l’assessore -, condividiamo la generale preoccupazione, perché se ciò verrà confermato potrebbero essere messe a rischio quelle misure che invece rappresentano per l’Emilia - Romagna qualcosa di assolutamente importante".

Diverse le novità: innanzitutto con questo programma, per la prima volta, vengono compresi gli interventi per l’integrazione degli immigrati e le politiche per infanzia e adolescenza. Il fatto che l’insieme venga messo in rete permetterà una maggiore semplificazione ed efficacia degli interventi. Nel dettaglio, la delibera assegna ai Comuni 32 milioni di euro in maniera indistinta, cioè senza una finalità specifica.

Tra i fondi finalizzati destinati a Comuni e Province, all’area Famiglia - minori vengono assegnati 26,8 milioni di euro, di cui 9,6 milioni vanno ad acquisto/costruzione e ristrutturazione dei nidi.

Circa 1,5 milioni di euro sono stanziati per il Programma Giovani (iniziative culturali e di aggregazione), mentre 2,5 milioni andranno impiegati nel contrasto alle dipendenze ed altre forme di disagio, con una serie di indicazioni che consentono una migliore integrazione tra gli interventi sanitari e quelli sociali per reinserimento lavorativo e sostegno alla domiciliarità.

Agli anziani e disabili sono destinati 10 milioni di euro, di cui 6 milioni per assegni di cura. A fine 2003 la popolazione ultrasessantacinquenne ha raggiunto in Emilia - Romagna le 921.812 unità (22,5%) e la popolazione ultrasettantacinquenne le 451.235 (11 %): più di due terzi sono donne.

Nel settore dell’immigrazione, asilo e lotta alla tratta: 4,1 milioni di euro sono assegnati in attuazione della recente legge regionale, per attività di integrazione sociale dei cittadini stranieri, lotta allo sfruttamento sessuale, iniziative di comunicazione interculturale.

Altrettanto consistente è lo stanziamento destinato all’esclusione sociale: 2,5 milioni di euro per prevenzione povertà, interventi sulle povertà estreme e sul carcere. Un intervento che si consolida, anche a fronte di stime (Istat 2004) che registrano in Emilia - Romagna il 4,3 per cento di famiglie sotto la soglia di povertà relativa (11 per cento il valore nazionale).

Francia: detenuti pedofili trattati con farmaci inibitori

 

Reuters, 9 novembre 2004

 

In un’intervista pubblicata da Le Parisien, il ministro della Giustizia Dominique Perben ha precisato che i due prodotti, il ciproterone e la leuprorelina, saranno sperimentati a partire dagli inizi del 2005 per 24 mesi su 48 volontari, condannati per reati sessuali.

Secondo il ministero, il 22% dei detenuti oggi sono in carcere per reati sessuali, dei quali tre quarti per stupri su minori. "È necessario trovare nuovi mezzi di intervento", ha sottolineato il ministro. "Sappiamo che esistono delle sostanze, gli antiandrogeni, che sono notevolmente efficaci nel prevenire la recidiva dei pedofili. Al momento disponiamo di pochi studi terapeutici comparativi".

La sperimentazione sarà coordinata da Serge Stoléru, psichiatra e ricercatore all’Istituto nazionale della sanità e della ricerca medica (Inserm). I pazienti seguiranno anche un trattamento clinico, biologico e psichiatrico.

Perben ha dichiarato che il trattamento non equivale alla "castrazione chimica". "Questo trattamento non ha alcun carattere irreversibile: funziona quando lo si assume", ha spiegato al giornale. "Queste persone, che sono definiti ipersessuali, saranno sedati e potranno far fronte alle pulsioni... alle quali dicono di non riuscire a resistere", ha sottolineato. "È la prima volta in Francia".

Perben ha aggiunto che i volontari dovranno sottoporsi a questa terapia "molto probabilmente" per tutta la vita, a meno che la ricerca non individui dei prodotti "più efficaci". Il ministro ha aggiunto che il governo sta pensando di creare degli edifici - a metà fra l’ospedale psichiatrico e la prigione - dove saranno detenuti i criminali ritenuti pericolosi.

Savona: città rifiuta carcere, non s’è capito che è un business

 

Secolo XIX, 9 novembre 2004

 

Atteggiamento ostile nei confronti della struttura, difficoltà nell’individuazione del sito, palleggiamento delle responsabilità. Ecco cosa c’è sostanzialmente alla base del caso ancora irrisolto del carcere di Savona: il Sant’Agostino scoppia, la nuova casa circondariale non decolla, i detenuti sono in sovrannumero, gli agenti sotto organico, ma non si intravvedono a breve termine soluzioni concrete.

"Innanzitutto è la comunità savonese a rigettare l’idea del nuovo penitenziario - sostiene Francesco Frontirré, ex direttore del carcere di piazza Monticello - Non ci si rende conto che un’operazione del genere non porta né delinquenti sul territorio né spese per l’amministrazione, ma al contrario può portare soldi. Nel 1992 cominciai a darmi da fare per trovare un’alternativa al Sant’Agostino, dopo 12 anni siamo ancora qui a parlarne. All’epoca avevamo individuato l’area di Madonna del Monte, che però risultò non idonea".

Fra gli amministratori savonesi fu il sindaco Francesco Gervasio ad occuparsi del problema. "Seguii la questione per quattro anni, dal 1994 al 1998. Scrissi una lettera al Ministero della Giustizia, denunciando una situazione inaccettabile, sia per la città sia per la dignità dei detenuti. Vennero gli ispettori ministeriali, proponemmo un paio di siti che furono giudicati positivamente, poi ne saltò fuori un terzo e il processo rallentò".

Quali erano queste zone? "Madonna del Monte e Passeggi furono indicati nel 1997, ma quattro anni più tardi venne avanzata l’ipotesi Metalmetron", precisa Dario Amoretti, allora assessore all’Urbanistica. "I primi due siti rispondevano alle caratteristiche richieste dal Ministero, ovvero si trovavano nelle vicinanze di un casello autostradale e nella medesima città sede di tribunale, oltre ad essere punti emergenti e non geograficamente depressi".

E poi che accadde? "Nel 2001, con la giunta Ruggeri, venne fuori la proposta Metalmetron, che scatenò un dibattito vivacissimo - continua l’ex vicesindaco - Ci opponemmo, giudicando l’ubicazione inopportuna e sostenendo una destinazione di uso artigianale per quell’area, quindi venne votata in consiglio una terna di siti. Il Ministero? Aspettava il da farsi, sostenendo che erano stati stanziati 60 miliardi di lire nel 1999, ma non si sapeva come destinarli".

Carlo Ruggeri però non ci sta. "Da quando mi sono occupato del Sant’Agostino ci sono stati i primi atti concreti sul caso, ovvero deliberazioni mai prese prima - dice il sindaco - Nel 2000 erano stati individuati tre siti, vale a dire Passeggi, Albamare e Madonna del Monte, proprio in quest’ordine. L’apposita commissione ministeriale ritenne inammissibili, pur con ragioni differenti, gli ultimi due, e il consiglio comunale, all’unanimità, su proposta della giunta, deliberò la soluzione Passeggi. Seguì poi una seconda delibera relativa alla trasformazione urbanistica". Ma qual è attualmente la situazione? "Sono state avviate le procedure di esproprio e progettazione, sono in corso dunque le fasi operative".

Fra chi auspica una soluzione concreta in un futuro non troppo lontano c’è Isabella De Gennaro, ora direttrice del carcere: "Siamo fra le prime tre priorità ministeriali, ci sono gli stanziamenti economici, è stato individuato il sito di Passeggi, è in atto un sondaggio per la progettazione dell’istituto: tutti elementi decisamente rilevanti rispetto alla situazione di qualche tempo fa. Perché siamo così in ritardo? A causa delle difficoltà di individuazione dell’area di costruzione, attività che del resto non compete al Ministero".

Infine ecco Michele Lorenzo, segretario regionale del Sappe: "La guerra dei siti e lo scontro politico hanno fatto slittare lo stanziamento dei soldi e quindi l’inizio dei lavori. A differenza di altre città, Savona non ha mai capito che il nuovo carcere avrebbe prodotto denaro, grazie a tutte le attività collegate, aumentando significativamente, circa del 6%, le risorse del territorio. La battaglia sindacale iniziò nel 2001, ma il Sant’Agostino è ancora un enorme problema".

FI: nelle carceri emergenza gravissima, ormai improrogabile

 

Sesto Potere, 9 novembre 2004

 

Approvato un importante emendamento che stanzia ben 10 milioni di euro (5 milioni all’anno, per due anni) per la medicina penitenziaria. L’emendamento, a firma dei deputati di Forza Italia Mario Pepe e Sandro Bondi, è stato sostenuto fortemente da tutto il Gruppo Parlamentare.

"Siamo riusciti a indirizzare importanti finanziamenti per affrontare l’emergenza sanitaria nelle carceri italiane - spiegano i parlamentari -. Molti degli istituti di pena versano ormai in condizioni preoccupanti, in alcuni casi privi addirittura di medici.

Era diventato improrogabile intervenire con provvedimenti tangibili, soprattutto perché in questi anni si è largamente diffusa l’epatite C che sta facendo più morti dell’Aids, è aumentato pericolosamente il numero dei suicidi e, soprattutto, è aumentato il numero dei detenuti.

Sassari: reportage dal carcere peggiore d’Italia…

 

Migra News, 9 novembre 2004

 

Pestaggi, stranieri detenuti in attesa di giudizio per mancanza di strutture di accoglienza, strutture detentive fatiscenti prive di adeguati servizi igienici. Sono una cinquantina gli stranieri detenuti nel carcere di Sassari, la casa circondariale di San Sebastiano, ma solo due hanno commesso reati in Sardegna. Gli altri sono stati "trasferiti", ovvero strappati al tessuto di relazioni create nella regione dove vivevano, spesso detenuti in custodia cautelare anche se non ancora giudicati. Arrivare in Sardegna è l’ultima tappa, dopo vari altri spostamenti da un carcere all’altro.

"Gli stranieri sono sempre i primi a essere trasferiti" spiega Speranza Canu, volontaria dello sportello informazione stranieri di San Sebastiano. "I problemi che devono affrontare sono legati alla distanza dal continente: i loro familiari devono pagare cifre enormi per venire a trovarli, le lettere si perdono e non arrivano, i contatti con gli avvocati sono quasi impossibili".

Gli avvocati lasciati nella regione di residenza non riescono a seguire le cause, quelli che dovrebbero occuparsi dei detenuti non si vedono praticamente mai. Perciò Speranza Canu da circa un anno frequenta i detenuti stranieri della città, svolgendo con loro attività ricreative e di assistenza.

"Non avendo parenti in Sardegna, gli stranieri hanno bisogno di cose essenziali come indumenti, poi molti non parlano l’italiano e non hanno mai vissuto in Italia, perché sono stati fermati alla frontiera. Così non sanno quali leggi regolano la detenzione, se per loro esiste la possibilità di accedere ai pochissimi posti disponibili per le procedure alternative alla detenzione".

I dati dell’Osservatorio provinciale sull’immigrazione di Sassari del 2002 rivelano una percentuale altissima di denunce a carico di immigrati. Addirittura la vicina provincia di Oristano risulta in testa alle classifiche della penisola (con 356 denunciati su 604 stranieri soggiornanti, il 58,9% del totale), mentre la provincia di Sassari presenta dati più alti della media regionale (35,4% contro 30, 9 % della Sardegna, con Cagliari al 24, 8 % e Nuoro al 28,9 %) ma comunque inferiori alla media italiana (35,4%), nonostante il fenomeno migratorio sia molto contenuto in Sardegna, attestandosi intorno al 0,9% (per quest’ultimo dato vedi Dossier Caritas Immigrazione e dati Istat dal 2001 al 2004).

Si dovrebbero confrontare i dati delle denunce per verificare quali tipologie di reati sia i più frequenti, ma la Questura, la Procura, il Tribunale dei minori e la Prefettura richiedono permessi scritti e non assicurano di poter materialmente effettuare una verifica. Mamadou Mbengas, senegalese, lavora all’Osservatorio della provincia e spiega che "la maggior parte sono reati minori, molto spesso derivanti dal non avere i documenti con sé oppure dalla detenzione di materiale abusivamente riprodotto". Ovvero denunce per vendita abusiva di cd e dvd masterizzati in casa.

Il carcere di San Sebastiano non è esattamente il fiore all’occhiello della detenzione italiana: su una capienza prevista di 192 posti, quella tollerabile è di 252. Quasi la metà dei detenuti è tossicodipendente, almeno un quinto soffre di disturbi psichiatrici e il numero di suicidi all’anno è fra i più alti d’Italia (dati del Ministero di Giustizia, dall’opuscolo informativo ‘Dietro le sbarre... oltre le sbarre...). La struttura ha 164 anni e li mostra tutti: ad agosto è stato definito il peggior carcere dello stivale dalla commissione giustizia della Camera. In questi giorni è attiva la protesta dei carcerati, mentre il presidente dell’associazione nazionale detenuti non violenti, Evelino Loi, e il consigliere provinciale, Antonello Unida (gruppo misto), per cinque giorni hanno dormito in una macchina davanti al carcere, facendo lo sciopero della fame.

"È vergognoso tenere in questo inferno i 270 detenuti, in Sardegna ci sono le strutture per accogliere chi ha bisogno di cure, come i tossicodipendenti e i detenuti affetti da Aids e epatite B e C. Inoltre ci sarebbero gli spazi per assicurare a chi ha diritto le procedure di recupero alternative, ma vengono tenuti in stato di abbandono". Evelino Loi spiega che il recupero delle colonie penali e la ristrutturazione delle comunità di accoglienza potrebbero contenere il totale dei 1800 detenuti sardi, dunque che il fatiscente carcere di San Sebastiano potrebbe essere svuotato, così come il carcere San Daniele di Lanusei, il Buon Camino di Cagliari, e le strutture detentive di Oristano e Tempio Pausania.

Antonello Unida, prima di iniziare lo sciopero, aveva fatto votare all’unanimità un ordine del giorno in consiglio provinciale, dove si chiedeva l’urgente intervento a San Sebastiano da parte dei Ministeri della Giustizia e dell’Interno: "L’ordinanza è rimasta sulla scrivania del capogabinetto, non è stata recapitata. Qui i detenuti stanno tutto il giorno a guardare le pareti, l’igiene minimo non è garantito, e si presentano nuovi casi di tubercolosi".

Al tribunale di Sassari si celebra il processo contro 9 agenti dei Gruppi operativi mobili, accusati (insieme ad altri 83 tra agenti e funzionari che hanno scelto il rito abbreviato) di aver selvaggiamente pestato 42 detenuti in seguito a una protesta inscenata nell’aprile del 2000. Nel frattempo Evelino Loi ha reso pubblica la lettera della sorella di una carcerata che accusa di essere stata picchiata a giugno scorso da 10 agenti uomini. "Il 27 ottobre ho consegnato la testimonianza al Dipartimento Diritti Umani del Consiglio Regionale, ma non ho ancora ottenuto risposta".

Milano: anche per la Cgil Lombardia è emergenza carcere

 

Redattore Sociale, 9 novembre 2004

 

Casi di scabbia e tubercolosi, la perenne emergenza dei tossicodipendenti in carcere, immigrati arrestati per piccoli reati, lo scarso funzionamento delle leggi sul lavoro all’esterno e sulle misure alternative alla detenzione. È il quadro dipinto dalla Cgil Lombardia della realtà carceraria lombarda. Il sindacato ha lanciato un appello sul tema chiedendo maggiore prevenzione sanitaria, l’istituzione della figura del Garante dei diritti dei detenuti e maggiore e migliore informazione da e sul carcere. L’appello del sindacato è stato

sottoscritto da numerose realtà dell’associazionismo regionale e avrà un seguito con alcune iniziative che Cgil sta organizzando sul territorio. I punti che abbiamo sottolineato sono solo le priorità di una situazione rispetto alla quale chiediamo più attenzione", spiega Giorgio Roversi, responsabile del settore Welfare di Cgil Lombardia.

Il comunicato sindacale, inoltre, sottolinea lo stretto legame tra le condizioni dei carcerati e la questione sociale, con particolare riferimento alle situazioni di tossicodipendenza ed immigrazione. Secondo i dati forniti dalla Cgil, nel primo semestre del 2004 gli stranieri entrati nelle carceri lombarde sono stati 4.624 (53,34%), gli italiani 4.045 (46,66%). Sempre al 30 giugno le 7.852 persone detenute nelle carceri della regione erano per il 58,33% italiani (4.850) e per il 41,67% stranieri (3.272), un dato che, secondo la Cgil, sottolinea quanto alla propensione all’arresto degli immigrati spesso non corrispondano comportamenti o reati tali da giustificare la detenzione.

Discorso simile per le tossicodipendenze e, in misura minore, per condizioni sociali di emarginazione come i senza dimora o i disagiati psichici: in Lombardia, a fine 2003, su 8.475 detenuti complessivi ben 3.461 erano in carcere per reati previsti dall’articolo 73 della legge sulle droghe: ovvero piccolo spaccio o possesso di sostanze superiori alla dose minima. Dal punto di vista sanitario il quadro nazionale è ancora più grave: nel 57,5% degli istituti di pena sono stati registrati casi di tubercolosi e nel 66% di scabbia, oltre a migliaia di persone sofferenti di disturbi psichici, che non di rado hanno tentato il suicidio.

Dal punto di vista legislativo, poi, il sindacato evidenzia la mancata o parziale applicazione di leggi che potrebbero contribuire a risolvere i problemi della vita carceraria e favorire misure alternative alla detenzione.

Tra queste ci sono la legge n. 40/2001 che consente la scarcerazione delle detenute madri e dei bambini; la legge 231/1999 che favorisce l’attività lavorativa dei carcerati, finora scarsamente finanziata, e la legge 231/1999 che consente la scarcerazione degli ammalati di Aids e di altre gravi patologie, in gran parte inapplicata. Per aumentare la vigilanza anche in questo senso la Cgil ritiene indispensabile estendere a tutti gli enti locali (Comuni, Province e Regioni) la figura del "Garante delle persone private della libertà", già presente in città come Roma, Bologna, Firenze e Torino e nella Regione Lazio.

In attesa della proposta di legge nazionale, da tempo all’esame del Parlamento, il Garante espresso dall’ente locale sarebbe chiamato a prevenire i conflitti all’interno dei luoghi di detenzione, a cercare di soddisfare le esigenze dei detenuti, a controllare la legalità e, ove necessario, a denunciare abusi e mancanze. Il Garante potrebbe infine contribuire ad incentivare la comunicazione tra il mondo carcerario e il resto della società, che spesso riceve un’informazione superficiale e distorta della vita dietro le sbarre.

Rep. Ceca: più paga per direttori che fanno lavorare detenuti

 

Vita, 9 novembre 2004

 

Lo ha proposto il ministro della Giustizia ceco, Nemec, "i detenuti costano troppo, più lavorano più risparmiamo". Pagare i direttori dei penitenziari in base delle risorse che riescono a garantite al bilancio dello Stato. Come? Trovando un lavoro ai detenuti.

La proposta è del ministro della Giustizia della Repubblica Ceca, Pavel Nemec. "Ogni detenuto costa allo Stato 770 corone al giorno (circa 25 euro)", ha detto Nemec, "un costo che grava interamente sulle casse dello Stato. Su una popolazione carceraria di 18 mila detenuti solo 3mila svolgono un’attività lavorativa, i direttori dovranno trovare un lavoro al maggior numero di reclusi, per questo saranno compensati con delle retribuzioni che terranno conto delle risorse economiche che riusciremo a risparmiare".

La proposta è stata accolta positivamente sia dall’opposizione che dal capo del consiglio legislativo del governo. Contrari invece i direttori e gli stessi detenuti. "Non possiamo costringere i reclusi a lavorare", dicono i primi. "A molti non interessa trovare un lavoro perché, in quanto detenuti, siamo sottopagati", fanno sapere i secondi.

Aurelia: l’Osapp sospende il presidio al supercarcere

 

Il Messaggero, 9 novembre 2004

 

L’Osapp sospende il presidio nel cortile del carcere di Aurelia. Resteranno le tende e le bandiere mosse dal vento gelido dell’inizio dell’inverno a presenziare una protesta che proprio ieri ha celebrato il 28esimo giorno di sit in permanente.

"Attenderemo l’esito dell’incontro con l’amministrazione penitenziaria che si terrà domani a Roma - ha affermato Leo Beneduci, segretario nazionale del sindacato autonomo, durante il comizio tenuto ieri pomeriggio nel gabbiotto di ingresso della casa circondariale di Civitavecchia -durante il quale richiederemo 50 unità maschili e 10 agenti donne da destinare ad Aurelia".

Il sit viene temporaneamente sospeso in attesa che il Dap invii entro fine novembre le 17 unità promesse per l’Istituto di detenzione, dove proprio ieri le agenti donne in servizio nella sezione femminile sono scese ulteriormente. "Alle tre agenti in malattia - affermano Massima Spiga, segretario locale e Giuseppe Proietti Con salvi, segretario regionale dell’Osapp - si è aggiunta la quarta. La situazione già difficile è complicata dal rientro della brigatista rossa, Diana blefari, sorvegliata in regime di massima sicurezza da tre agenti.

Allo stato attuale quindi 45 detenute sono monitorate da sole due agenti". Al confronto pubblico di ieri erano stati convocati capigruppo parlamentari dei partiti politici e il Senatore Learco Saporito. "Siamo delusi ha precisato Benuduci - perché alle promesse e alle parole non sono seguiti i fatti". Fatti come le 35 unità Gom richieste la settimana scorsa dal Provveditore Ettore Ziccone al Dap. Intanto il Sindaco Alessio De Sio ha riavviato i contatti con il segretario regionale del sindacato autonomo per la firma del protocollo d’intesa, che dovrebbe migliorare con l’attivazione di alcuni servizi socio- culturali il lavoro svolto dagli agenti di polizia penitenziaria nel supercarcere.

E se la sicurezza nel carcere è ancora scarsa per l’insufficiente numero di agenti in servizio, la situazione non migliora per i detenuti. Intanto il piano carceri prosegue anche ad Aurelia. Mercoledì prossimo l’Assessore alle politiche del lavoro della Provincia di Roma, Gloria Malaspina incontrerà dalle 10 alle 12 una delegazione di reclusi, accompagnata dal direttore Giusepe Tressanti.

Piemonte: detenuti coinvolti in lavoro recupero ambientale

 

La Padania, 9 novembre 2004

 

Il ripristino di 200 chilometri di sentieri boschivi lungo i laghi Orta e Maggiore, la tinteggiatura delle abitazioni di anziani con difficoltà economica: questi e altri i prossimi progetti in cantiere che coinvolgeranno i detenuti non solo di Verbania, oggi impegnati a pulire alcune aree verdi di Mergozzo, in valle Ossola, ma di altri penitenziari piemontesi.

I progetti, destinati a coloro che stanno scontando pene detentive al massimo di 2 o 3 anni, vanno nella direzione tracciata dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, di coinvolgere i reclusi in lavori di recupero ambientale. Ad occuparsene personalmente, dal punto di vista organizzativo, sono Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro, due agenti dei reparti speciali della Polizia Penitenziaria a Roma, sotto la supervisione del giudice Giovanni Tinebra, capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.

Ma tutte queste iniziative non si fermano al Piemonte (ad Arona si terrà nei prossime giorni un convegno per fare il punto sul progetto ministeriale che si chiama appunto "Recupero patrimonio ambientale", presente lo stesso ministro Castelli) e Lo Cascio e Santoro sono in contatto con diversi amministratori italiani come il presidente del Consiglio comunale di Firenze, Enzo Cruccolini e il vicepresidente della Regione Sicilia, Fleres, per progetti analoghi. In provincia di Novara, l’ex sindaco di Colazza e vicepresidente dell’Associazione boschiva dei due laghi, Federico Maggi, sta già lavorando perché i detenuti del carcere di Verbania, ma anche di altre carceri piemontesi, possano lavorare per il ripristino di 200 chilometri di sentieri boschivi lungo i Laghi Orta e Maggiore e le relative aree verdi attorno.

"All’associazione - ha detto Maggi - aderiscono 13 comuni del novarese ed alcuni privati. Tutti sembrano vedere di buon occhio un’iniziativa di questo genere, che ha un profondissimo valore sociale. Molti di questi detenuti sarebbero sicuramente interessati a trasformare questa attività in occupazione. Anzi, noi pensiamo che potrebbero anche partecipare ai corsi di formazioni per operatori ambientali che stiamo realizzando con contributi pubblici e privati.

Quello a cui stiamo pensando non è un lavoro occasionale di uno o due giorni per la pulitura di sentieri e boschi, ma ad un impegno per il mantenimento di queste aree. Si può passare da un progetto di volontariato mirato ad uno di formazione di nuove forze lavoro".

Ma non è finita qui per quanto riguarda il novarese: in questi giorni si è fatto avanti un imprenditore edile, Giuseppe Castorina, assai noto nella zona, pronto a fare corsi ai detenuti per insegnare loro a pitturare le case dentro e fuori. Sotto la sua direzione, per cominciare, un gruppo di detenuti di Verbania, l’8 dicembre prossimo tinteggerà i muri interni della casa di cura per anziani di Orta.

Da questa prima iniziativa sta partendo un progetto, in collaborazione con i sindaci della zona, di censimento degli anziani che non hanno il denaro per tinteggiare i loro appartamenti ai quali offrire questo servizio gratuito.

Roma: Provincia impegnata per reinserimento detenuti

 

Asca, 9 novembre 2004

 

"Quello del Carcere di Velletri è un esempio di come si possa creare lavoro di qualità nell’ambito di un carcere e di come i detenuti sappiano lavorare bene". Lo ha dichiarato l’assessore al Lavoro e Qualità della Vita della Provincia di Roma, Gloria Malaspina intervenuta questa mattina alla presentazione del vino novello "Fuggiasco" prodotto e imbottigliato nel Carcere di Velletri.

"È intenzione dell’Amministrazione Gasbarra - ha continuato la Malaspina - favorire il reinserimento lavorativo dei detenuti, e a questo proposito ho incontrato il Direttore del carcere di Velletri, Giuseppe Makovec, per discutere la possibilità di offrire ai detenuti occasioni che permettano loro di affacciarsi nuovamente al mondo del lavoro".

"Si tratta di stabilire - ha concluso la Malaspina - un ponte tra il mondo del carcere e la società nell’ottica delle politiche attive per il lavoro, impegnandosi per favorire un incontro tra domanda e offerta di lavoro, utilizzando strumenti normativi importanti come la Legge Smuraglia, ed investendo con convinzione nelle funzioni della Provincia di Roma in questo ambito".

Roma: deputati in digiuno per la liberazione di Paolo Dorigo

 

Ansa, 9 novembre 2004

 

Uno sciopero della fame a staffetta è stato avviato in parlamento dalla deputata dei Verdi, Luana Zanella, insieme ai colleghi Giovanni Russo Spena (Prc), Michele Vianello e Giuseppe Giulietti (Ds), per chiedere la liberazione di Paolo Dorigo, che è al cinquantesimo giorno di rifiuto del cibo in condizioni di salute "sempre più drammatiche".

"Dorigo, in carcere dall’ottobre 1993 - spiega Zanella - è in gravissime condizioni: perde 300 grammi al giorno e il suo è ormai un peso pediatrico, cioè quello del suo scheletro. Il 26 ottobre scorso l’avvocato Trupiano ha presentato una nuova istanza di scarcerazione che non è ancora stata presa in considerazione dalla dottoressa Manganaro, dell’ufficio di sorveglianza di Spoleto".

Paolo Dorigo è stato condannato a 13 anni e sei mesi di reclusione per aver lanciato una bottiglia incendiaria contro la recinzione dell’aeroporto militare di Aviano nel ‘93.

Trento: via libera progetto per costruzione nuovo carcere

 

L’Adige, 9 novembre 2004

 

Via libera al progetto esecutivo del nuovo carcere di Trento: su proposta dell’assessore alle opere pubbliche, Silvano Grisenti, la giunta lo ha approvato nella seduta di venerdì scorso. L’unica novità rispetto alle anticipazioni dei mesi scorsi, quando fu presentata una simulazione grafica al computer della "cittadella" che sorgerà su un’area di oltre dodici ettari a Spini di Gardolo, lungo l’argine sinistro dell’Avisio, riguarda i costi arrivati a 91.500.000 euro, al netto dell’Iva

Intanto le procedure burocratiche per la realizzazione della nuova casa circondariale avanzano velocemente. E ormai non dovrebbe tardare l’affido dei lavori. Il polo carcerario di Spini non vedrà comunque la luce prima del 2010.

Alessandro Zanoni e Claudio Pisetta, curatori e responsabili del progetto del nuovo carcere, hanno dovuto fare i conti con i molti vincoli imposti dalla legge nazionale sugli istituti di pena, e hanno cercato di contenere il grande impatto dell’opera sul territorio, riqualificando una frazione carente di servizi.

I dati tecnici dell’opera sono coperti dalle leggi in materia di sicurezza. La struttura, in ogni caso, sarà costituita da tre blocchi separati. Il carcere vero e proprio si estenderò su undici ettari e sarà circondato, lungo tutto il perimetro, da un muro di cinta di sette metri d’altezza, con un unico ingresso ed un camminatoio sommitale; il secondo blocco riguarda i settanta appartamenti riservati alle guardie carcerarie, che saranno distribuiti su cinque palazzine, distanti circa duecento metri dalla casa circondariale. Il terzo blocco, infine, legato anch’esso all’intervento, consiste in un’area ricreativa (parco e impianti sportivi) di 5.500 metri quadrati nel cuore della frazione di Spini, a quasi un chilometro dall’opera madre. Saranno addirittura 1650 i metri di nuove strade (larghe sette metri ed alberate, compresa una rotatoria) che verranno realizzate a sostegno della mastodontica opera, che occuperà uno spazio pari a oltre 18 campi da calcio.

Dentro il carcere troveranno posto 244 detenuti, con due distinti settori per uomini e donne, completamente autonomi e separati. All’interno del perimetro, una caserma, la residenza per il direttore della casa circondariale, spazi per gli incontri con i familiari e una costellazione di edifici di servizio, due mense, edifici di culto e persino una piccola palestra per gli addetti alla sorveglianza. Saranno ben 146.000 i metri cubi complessivi costruiti lungo l’argine dell’Avisio.

Nigrizia: vergognarsi per condizioni immigrati nei Cpt

 

Redattore Sociale, 9 novembre 2004

 

Dopo una singolare inchiesta realizzata nei centri di permanenza temporanea (Cpt) con il contributo di parlamentari, immigrati, sacerdoti, avvocati che in questi centri, preclusi alle visite dei giornalisti, hanno avuto accesso, la rivista missionaria "Nigrizia" conclude che "c’è da vergognarsi" per le condizioni in cui gli immigrati irregolari sono tenuti in queste strutture in Italia, come riferisce l’agenzia Vidimus Dominum.

Contrariamente a quanto aveva affermato il ministro dell’Interno italiano, i 10 testimoni utilizzati dalla rivista dei comboniani smentiscono che gli immigrati ricevano in questi centri "un’accoglienza dignitosa". I cpt sono 12, da Milano a Trapani, da Roma a Lecce, da Agrigento a Torino, più uno in costruzione a Gradisca d’Isonzo (Gorizia). E sono affiancati da 4 centri d’identificazione di coloro che chiedono asilo, che hanno caratteristiche simili ai cpt.

Sono stati concepiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano per trattenere e identificare, ai fini dell’espulsione, gli immigrati irregolari trovati sul territorio italiano. Con la Bossi-Fini, nel 2002, il tempo massimo di trattenimento è passato da 30 a 60 giorni. Sì, perché gli immigrati che vi vengono condotti non sono detenuti, sia chiaro, ma solo trattenuti: trattenimento amministrativo. Sono privati della libertà personale, senza aver commesso reato. Però non stanno in galera.

"Il cpt di Agrigento - racconta padre Gaspare Di Vincenzo, comboniano - è un vecchio, grande capannone industriale di cemento armato. Gli unici spazi vivibili sono all’interno; appena fuori c’è un alto reticolato. Gli uomini, un’ottantina, tutti nordafricani, erano arrivati su delle barche e speravano di poter chiedere asilo.

Le donne, una decina, erano in Italia da almeno un paio d’anni. Tutti mi hanno detto che non c’è la possibilità di rivolgersi ad avvocati per difendere la propria posizione. Stanno peggio che in carcere. Almeno lì avrebbero dei diritti. Qui non ne hanno nessuno". E un altro comboniano, padre Giorgio Poletti aggiunge: "Anche nel cpt di

Lamezia Terme (Catanzaro) i trasferimenti si fanno di notte. È un cascinale riadattato e gestito da un’associazione di laici. Recintato due volte, ha un cortile dove gli ospiti si possono recare. Si tratta di un ambiente in cui si va fuori di testa facilmente, senza che ci si preoccupi di fornire un’adeguata assistenza psichiatrica. C’è gente che si ferisce per tentare dei ritardare l’espulsione. Per me è una prigione-manicomio". Volete saperne di più sui cpt? Chiede "Nigrizia".

E risponde: "Andate sul sito di Medici senza frontiere e scaricatevi il rapporto reso pubblico nel gennaio del 2004 (www.msf.it): 207 pagine frutto di un lavoro d’indagine svolto tra il giugno e l’ottobre del 2003, per valutare le condizioni socio-sanitarie, le condizioni delle strutture, le modalità di gestione, lo standard dei servizi, il rispetto delle procedure, le eventuali differenze di gestione dei vari centri.

E, per concludere, che "il sistema di detenzione amministrativa ha dimostrato di non essere in grado di espletare il proprio ruolo e di raggiungere il proprio scopo. Questo fallimento va visto da due differenti angolazioni: quella dell’ottenimento degli obiettivi ma anche del rispetto dei diritti e della dignità umana. Da entrambi i punti di vista il sistema cpt non può essere considerato un sistema funzionante".

Torino: codice a sbarre, il caffè torrefatto in carcere...

 

www.slowfood.it, 9 novembre 2004

 

Da una parte 25 milioni di produttori poverissimi, dall’altra quattro o cinque compratori, a controllare la maggior parte del mercato, e l’universo dei consumatori che non sa quasi nulla dell’origine, della lavorazione, del viaggio dalle piantagioni alla tazzina. Il settore del caffè è nato, si è sviluppato e tuttora vive sulla base di tale separazione. Per questo è emblematico un progetto sorto dalla collaborazione tra Slow Food e la Casa Circondariale Le Vallette di Torino.

Un progetto che trasforma due debolezze – quella dei detenuti e quella dei produttori di caffè – in una grande forza. Il mondo del caffè è paradigmatico: da una parte 25 milioni di piccoli produttori poverissimi, dall’altra 4 o 5 compratori che controllano la maggior parte del mercato e, infine, l’universo dei consumatori, che non sanno quasi nulla di questo prodotto, della sua origine, della sua lavorazione, del suo viaggio dalle piantagioni alla tazzina.

L’esclusione dei produttori da qualunque potere decisionale non è recente, ma si è consolidata in due secoli di storia: il settore del caffè, come quello del cacao, è nato e si è sviluppato sulla base di tale separazione. Per spezzare questo squilibrato dualismo negli ultimi mesi è nato un progetto grazie alla collaborazione tra Slow Food e la Casa Circondariale Le Vallette di Torino.

L’obiettivo è l’attivazione di una torrefazione nei locali del carcere. Una torrefazione anomala non solo per la sede, ma anche per la gestione, affidata a una cooperativa sociale che coinvolgerà direttamente i coltivatori di caffè: caso assolutamente unico in Europa, e forse nel mondo. I coltivatori saranno quelli del Presidio di Huehuetenango: una regione del Guatemala al confine con il Messico, con un’altitudine che va dagli 850 ai 3700 metri e con una straordinaria varietà di ecosistemi – dal bosco umido subtropicale alle pinete.

Qui le correnti d’aria calda provenienti dall’istmo di Tehuatepec, incontrando l’aria fredda che soffia sulle montagne dei Cuchumatanes – la più alta catena montuosa non vulcanica del Centro America – consentono di coltivare caffè fino ai 2000 metri. Ed è proprio alle altitudini maggiori che si ottiene il prodotto migliore. Le popolazioni indigene, che costituiscono la larga maggioranza degli abitanti, discendono da differenti popoli Maya, tra cui i Mam, gli Akateco, i Chuj, i Kanjobal, gli Jacaltechi, ciascuno con una propria cultura e lingua ben distinte. In quest’area il caffè è una monocoltura e l’economia dipende in grandissima parte dalla sua esportazione.

Il recente crollo dei prezzi è dunque la ragione di una grave crisi generale. L’unica via d’uscita sta nel diversificare puntando sul caffè di altura e di alta qualità e introducendo altri prodotti – peperoncino, anice, ortaggi – nelle zone meno vocate. Il caffè del Presidio è ricavato da piante di Coffea arabica (delle varietà Typica, Bourbon e Caturra) coltivate tra i 1500 e i 2000 metri di altitudine, all’ombra di alberi ad alto fusto. La raccolta è manuale: le ciliegie sono staccate una a una e riposte in ceste di vimini legate ai fianchi dei raccoglitori. I chicchi sono estratti dalle bacche artigianalmente, attraverso un delicato processo di fermentazione che inizia entro quattro ore dalla raccolta e dura 24-36 ore.

Dopo la spolpatura, i grani seccano al sole per almeno tre giorni, continuamente rivoltati con un rastrello. Nel 2003 il caffè di Huehuetenango è stato torrefatto e proposto in purezza grazie alla collaborazione di un piccolo torrefattore di qualità che ha subito creduto nel progetto: Bernie Della Mea, gestore della Torrefazione Caffè del Doge (con sede a Padova e caffetteria a Venezia). Nel 2004 anche un torrefattore toscano – Andrea Trinci – ha deciso di acquistarne una piccola partita. Al Salone del Gusto di Torino sarà così possibile assaggiare il caffè del Presidio in purezza, confrontando due diversi stili artigianali di tostatura. E sempre al Salone arriverà dal Guatemala una delegazione consistente di produttori, che potranno presentare in prima persona il progetto della torrefazione alle Vallette. Per informazioni sulla torrefazione presso la Casa Circondariale Le Vallette: Marco Ferrero e Luciano Cambellotti info@caffehuehuetenango.org

 

 

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