Rassegna stampa 23 luglio

 

Messina: l’Opg è senza soldi per pagare medici e farmaci

 

Il Manifesto, 23 luglio 2004

 

A giugno hanno tagliato i turni degli infermieri, cominciando dai serali e dai notturni. Dal 1° luglio si sono rivolti alla guardia medica esterna, soluzione un po’ grottesca per un ospedale, sia pure un Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg). Mancano perfino i soldi per comprare le siringhe e i guanti per il personale. E con la fine luglio, all’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), il bilancio 2004 è prosciugato: non possono neppure pagare i farmaci e i medici del servizio psichiatrico e neurologico, che infatti sarà "soppresso" insieme agli altri servizi specialistici (radiologia cardiologia, odontoiatria, infettivologia).

La direzione dell’istituto lancia l’allarme e una provocazione: "Siamo pronti a chiudere i battenti se la regione Sicilia non si farà carico della situazione". A cosa serve una struttura per malati psichiatrici orfana del servizio psichiatrico? Con quale spirito si può tornare ai vecchi psicofarmaci, con tutti i loro effetti collaterali, perché quelli moderni costano troppo?

La struttura il 1° agosto non chiuderà: "Non possiamo chiudere davvero", chiarisce il direttore Nunziante Rosania. Ma nelle carte inviate al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) c’è scritto nero su bianco che da quella data, ormai prossima, "non si potrà garantire l’assistenza minima necessaria". Nemmeno quella minima, che magari significa impedire a una persona di ammazzarsi. Figuriamoci se a Barcellona si può garantire la riabilitazione dei degenti-internati, che poi sarebbe la funzione degli Opg, i vecchi manicomi criminali.

I sindacati sono sul piede di guerra. "Una situazione del genere provocherebbe veri drammi in quasiasi struttura sanitaria - dice Fabrizio Rossetti della Funzione pubblica Cgil - ma in un’Opg significa negare di fatto il diritto alla salute".

Il dottor Antonino Levita, direttore sanitario dell’istituto e segretario siciliano dell’Amapi (medici penitenziari), ha scritto ai sottosegretari alla giustizia e alla sanità per spiegare cosa succederà ad agosto. I malati dovranno portarli a Messina o altrove per qualsiasi consulenza specialistica, ma soprattutto, scrive Levita, "aumenteranno gli eventi critici legati all’esplosione di aggressività dirette contro il personale di polizia penitenziaria, i consimili e la propria persona (leggasi suicidi)". Nero su bianco anche questo, a futura memoria.

L’Opg di Barcellona ospita in media poco meno di duecento persone, il bilancio per l’attività sanitaria esaurito a luglio ammontava a 825.956 euro per tutto il 2004, una somma letteralmente decurtata dalle ultime leggi finanziarie.

È uno dei sei istituti di questo tipo esistenti in Italia, gli altri sono a Montelupo Fiorentino, Castiglione delle Stiviere (l’unico che ospita donne), Napoli, Aversa e Reggio Emilia: in tutto i degenti-internati sono circa 1.200. Tutti pericolosi, per la legge. Anche se questa pericolosità deriva, spesso e volentieri, dalle carenze delle terapie individuali che avrebbero dovuto limitare i comportamenti fuori dalla norma. Il 60 per cento circa degli internati ha commesso reati lievi: resistenza a pubblico ufficiale, atti osceni, maltrattamenti in famigia, danneggiamenti. Con internamenti che possono durare anche dieci anni, lo stato li toglie di mezzo.

Gli Opg sono tutti in difficoltà, come la sanità penitenziaria nel suo complesso, ma le regioni in genere intervengono almeno per la copertura della spesa farmaceutica. Vale per la ricca Toscana ma anche per la Campania, che ricchissima non è. La Sicilia è un’eccezione. E ora sulla giunta siciliana di Titò Cuffaro arrivano pressioni anche dal Dap e dal governo nazionale "amico". Ma la crisi degli Opg, che in teoria avrebbero vocazione più sanitaria che carceraria, parte da lontano. È uno degli effetti più drammatici del mancato assorbimento della sanità penitenziaria nel sistema sanitario nazionale, disposto dalla riforma Bindi e mai attuato anche per le resistenze corporative del sindacato dei medici penitenziari (Amapi).

Verona: detenuto di 26 anni è stato trovato morto in cella

 

L’Arena, 23 luglio 2004

 

Soltanto pochi minuti prima era al colloquio con la madre e la giovane moglie, sposata un mese fa durante la detenzione in carcere. Poi l’hanno trovato sul letto della sua cella, morto. Per cause che sono tutte da accertare. Vicino niente che potesse far pensare alla causa del decesso, da escludere pare, l’ipotesi del suicidio. La vita di Cristian Orlandi, 26 anni, modenese imputato in attesa di giudizio per l’uccisione di un amico dopo una serata passata in discoteca nella Bassa Veronese con altri conoscenti usando cocaina e alcol, aumentando il caos mentale con psicofarmaci di cui faceva uso costante, è terminata così.

Orlandi era dentro da otto mesi e ad aprile aveva ottenuto dal giudice Stefano Sernia l’autorizzazione alla perizia. Il giovane, che in aprile aveva chiesto e ottenuto attraverso i suoi avvocati di essere giudicato con rito abbreviato, che dà diritto alla riduzione di un terzo della pena, aveva periodicamente gli incontri con il perito nominato. La richiesta del rito abbreviato era appunto condizionata all’esame psichiatrico per capire se quando ha ucciso a colpi di cavatappi l’amico fosse capace di intendere e di volere.

Il corpo dell’uomo è stato portato a medicina legale. Oggi con tutta probabilità verrà affidato l’incarico dell’autopsia che verrà eseguita nelle prossime ore. E stabilirà se il decesso sia avvenuto per cause naturali, oppure per l’uso di sostanze stupefacenti. È possibile che accertamenti clinici vengano fatti anche sul suo compagno di cella, che ieri, quando è stato trovato il cadavere non sembrava essere del tutto lucido. E sarà inoltre necessario scoprire nel caso se ne riscontrasse la presenza, chi ha ceduto sostanze stupefacenti alla vittima.

Orlandi all’alba del 21 dicembre 2003 aveva piantato sei fendenti nel corpo dell’amico Stefano Malagoli, 31 anni, giardiniere, residente a Modena dopo una serata alla discoteca Stargate di Castagnaro. La motivazione di tale furia fu sempre "giustificata" dall’aver fatto uso di cocaina e alcol e dalla gelosia, che avrebbe accecato il giovane per le pesanti avances fatte dalla vittima nei confronti della fidanzata di Orlandi. Quella che un mese fa è diventata sua moglie e che adesso è la sua vedova.

"Ti amo e non ti lascerò", gli aveva detto la giovane donna attendendo che Orlandi uscisse dall’interrogatorio nell’ufficio del giudice Marzio Guidorizzi, due giorni dopo l’omicidio. E forte di questo amore, nonostante tutto, lo aveva anche sposato.

Verona: medici tranquillizzano sulla situazione TBC

 

L’Arena di Verona, 23 luglio 2004

 

Un solo caso infettante di tubercolosi accertato, uno sospetto e altri due innocui. Inoltre, duecesessantotto detenuti risultati positivi al test di Mantoux. Sono questi i dati sulla situazione sanitaria in carcere a Montorio contenuti in una relazione inviata dai medici della casa circondariale all’ufficio del giudice per le indagini preliminari del tribunale. L’iniziativa era stata presa da un magistrato, la dottoressa Paola Vacca, che, d’accordo con i suoi colleghi, aveva chiesto spiegazioni dopo aver notato un incremento di richieste di permessi di accompagnamento di detenuti per accertamenti in ospedale.

E martedì scorso, la dottoressa Gabriella Trenchi, responsabile sanitario del carcere di Montorio, ha risposto all’ufficio del gip. La situazione è questa: tutti i detenuti (oltre settecento, solo dieci si sono rifiutati) sono stati sottoposti all’esame della cosiddetta "tubercolina", il test di Mantoux, e duecentosessantotto sono risultati positivi. Questo vuol dire che in qualche momento della loro vita sono entrati in contatto con il bacillo di Koch, cioè della tubercolosi, ma non è detto che si siano ammalati. Anzi, potrebbero aver sviluppato una sorta d’immunità alla malattia. Solo oggi, però, si concluderanno le radiografie e si saprà quanti sono i detenuti che hanno contratto il morbo. Per i nuovi casi è previsto un periodo di isolamento in un locale che si trova sotto l’infermeria.

"Il rischio che il personale giudiziario sia stato esposto al contagio è assai remoto", ha scritto la dottoressa Trenchi, aggiungendo che è necessario un contatto ripetuto e prolungato per aumentare le probabilità di contrarre il morbo di Koch. D’altronde di Tbc ci si può ammalare anche frequentando luoghi affollati come cinema, centri commerciali o ristoranti.

Il gip Paola Vacca ha preso atto della relazione dei medici del carcere e l’ha diffusa agli uffici del giudice di sorveglianza, del tribunale e anche all’Ordine degli avvocati. "Non era un dovere di questo ufficio", ha spiegato il magistrato, "ma è stata una doverosa cortesia". L’Ordine degli avvocati, a sua volta, ha inviato una nota a tutti gli iscritti.

La chiarezza e la divulgazione di precise informazioni evita soprattutto la psicosi. Su una popolazione carceraria di oltre settecento persone, i due casi accertati sono una percentuale bassissima se si tiene conto del fatto che la casa circondariale è in sovraffollamento. La dottoressa Trenchi ha garantito che eventuali soggetti affetti dal tubercolosi non saranno trasferiti in tribunale per le udienze. Ha poi aggiunto che il primo ammalato è già stato dimesso dall’ospedale ed è in terapia. Oggi è di nuovo in carcere e non è contagioso.

Caltanissetta: agente condannato per abusi su 3 detenuti

 

La Sicilia, 23 luglio 2004

 

E’ stato condannato ieri a otto anni e mezzo di reclusione l’assistente di polizia penitenziaria Luigi Rizza, accusato di violenza carnale e di concussione nei confronti di tre giovani che si trovavano detenuti nel carcere di Caltanissetta. Il tribunale nisseno, presieduto da Patrizia Spina, ha quasi interamente accolto l’istanza del rappresentante della pubblica accusa Simona Filoni che durante la sua requisitoria aveva richiesto per l’imputato la condanna a nove anni di carcere.

Luigi Rizza, sposato e padre di figli e che da quando è stato arrestato (l’indagine fu condotta dai carabinieri) è stato sospeso dal servizio, si è sempre proclamato innocente ed estraneo ai fatti addebitatigli. Ad accusare l’assistente di polizia penitenziaria (da qualche mese agli arresti domiciliari) tre giovani (due di Caltanissetta ed uno della provincia di Catania), i quali hanno sostenuto di essere stati "indotti" a procurare dei piaceri sessuali al Rizza, il quale, in questo modo, approfittava della sua condizione di sorvegliante e li minacciava (se non avessero ceduto alle sue richieste) di procurare loro dei problemi all’interno del carcere "Malaspina".

I tre (uno di questi, tramite l’avv. Dino Milazzo, si è costituito parte civile) erano stati sentiti separatamente e mentre si trovavano in carceri diversi.

Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo l’arringa degli avvocati difensori Salvatore Daniele e Walter Tesauro, la sentenza di condanna, con Rizza riconosciuto colpevole di violenza carnale e concussione nei confronti dei tre detenuti, mentre è stato assolto dall’accusa di un altro episodio di violenza e di concussione.

Sassari: San Sebastiano, inferno nel cuore della città

 

L’Unione Sarda, 23 luglio 2004

 

La commissione giustizia della Camera dei deputati, nel suo tour nelle carceri dalla Sardegna, ha potuto toccare con mano la situazione di estremo degrado del penitenziario sassarese: San Sebastiano, infatti, ha mantenuto fede alla sua fama di primo assoluto fra le emergenze carcerarie del paese. I commissari, accompagnati da nuovo provveditore regionale Nello Cesari, hanno potuto avere conferma di quanto già osservato da altri esponenti politici in occasione di visite analoghe a quella di ieri, e denunciate continuamente dai sindacati. Il Presidente della commissione Enrico Buemi, così, non ha avuto difficoltà a definire le condizioni di vita dei detenuti al limite del massimo disagio.

È stato constatato il sovraffollamento in celle dove si passa la maggior parte del tempo della giornata e senza un minimo di privacy. Né migliore appare la situazione nella sezione femminile: qui la scarsità di personale di sorveglianza ha raggiunto i livelli di guardia. E ciò in un organico generale che è già di per se stesso sotto dimensionato di 50 unità. "Vi era stato un concorso - ha spiegato il coordinatore regionale della Uil penitenziari, Roberto Picchedda - che doveva portare 40 poliziotte penitenziarie nelle carceri sarde: ebbene, sono state tutte dirottate nella penisola".

C’è infine il distacco dalla città, un isolamento del carcere, che dovrà essere recuperato con la realizzazione di occasioni di incontro per il reinserimento nella società civile.

Nuoro: Lanusei si blinda intorno al suo carcere

 

L’Unione Sarda, 23 luglio 2004

 

Avevano detto che volevano chiuderla, la prigione del San Daniele. Ma solo per costruire un carcere più grande, nuovo e moderno. Adesso vogliono chiuderla e basta. L’ipotesi di soppressione del penitenziario di Lanusei è arrivata in Ogliastra con l’effetto di una mazzata.

Hanno sentito tutti il campanello d’allarme, fatto squillare dai parlamentari sardi che mercoledì hanno visitato il carcere nuorese di Badu ‘e Carros. E subito è scattata la mobilitazione. Preoccupate le guardie (è in vista lo stato di agitazione), i dipendenti civili della casa circondariale, gli amministratori locali. I soldi stanziati per la ristrutturazione o la costruzione di nuovi istituti di pena a Tempio e Lanusei non ci sono più. Spariti. Alle viste c’è un drastico ridimensionamento degli organici. Resterebbero in servizio pochi agenti, solo quelli che servono per custodire detenuti appena arrestati. Sarebbe l’anticamera della chiusura.

"È rimasta nel cassetto la programmazione avviata all’epoca in cui era ministro della Giustizia Piero Fassino, che aveva previsto la spesa di 900 miliardi di vecchie lire per il sistema carcerario sardo". Tonino Loddo, parlamentare ogliastrino della Margherita, aveva seguito quell’iniziativa. "A Lanusei - ricorda - era arrivato anche il direttore generale del dipartimento penitenziario per un sopralluogo sulle aree individuate e messe a disposizione dal Comune di Lanusei per la costruzione del nuovo carcere". Poi il silenzio. "Quando mi sono accorto che era nell’aria una prospettiva di ridimensionamento, ho personalmente chiesto un incontro, insieme al sindaco di Lanusei, ai rappresentanti del Governo. Giusto per una verifica della situazione. Bene, anzi male: sto ancora aspettando di sedermi a un tavolo. Il vertice è stato promesso e mai tenuto. Sempre rinviato, con le scuse più banali e disparate".

Loddo si augura, ovviamente, che la soppressione della casa circondariale di Lanusei non si abbia da fare, né domani né mai. "Perché si arriverebbe all’assurdo di privare del carcere una città che è sede di Tribunale e una zona che l’anno prossimo sarà provincia autonoma. Anche il sindaco diessino di Lanusei Enrico Lai auspica che nessuno tocchi il carcere. "In caso contrario - annuncia - faremo la rivoluzione. Siamo abituati a scendere in piazza per la difesa dei servizi essenziali sul territorio. Lo faremo altre cento, mille volte, se sarà necessario". La vertenza è già aperta. "Chiederò subito - anticipa Lai - una visita della commissione Giustizia anche a Lanusei. Poi decideremo il da farsi".

Sardegna: proteste sindacati per tagli a carceri della regione

 

Sardegna Oggi, 23 luglio 2004

 

È cominciata la visita del comitato permanente per l’esame delle problematiche penitenziarie nelle carceri sarde colpite da problemi legati alla carenza d’organico e alla deficienza strutturale. Si è cominciato con il carcere di Buoncammino, oggi sarà la volta delle carceri di San Sebastiano-Sassari ed Alghero. Lanusei e Tempio Pausania diventeranno sezioni carcerarie e le forze sindacali sono già in protesta: "Così si aggrava la situazione" dicono

Viaggio dietro le sbarre, dentro le carceri isolane di Buoncammino, Is Arenas, Badu ‘e Carros, San Sebastiano... per i tre parlamentari Enrico Buemi, Giuliano Pisapia e Franco Carboni e per il comitato permanente per l’esame delle problematiche penitenziarie della Commissione Giustizia. La visita è cominciata ieri: a Cagliari e al suo carcere di viale Buoncammino è toccato in sorte aprire per primi le porte agli speciali ospiti i quali, oggi, accompagnati dal neo provveditore regionale Nello Cesari, si recheranno a Sassari (carcere di San Sebastiano) e poi ad Alghero.

Già la prima giornata si sarebbe rivelata fruttuosa per i membri del comitato che hanno potuto constatare la difficile situazione e la profonda crisi del sistema carcerario sardo causata da pesanti deficienze d’organico e strutturali. L’onorevole Enrico Buemi, nell’incontro con le rappresentanze sindacali degli operatori penitenziari, ha spiegato che compito del comitato è elaborare proposte per eventuali modifiche alle leggi le quali dovranno, successivamente, esaminate ed adottate dal Parlamento e dal Consiglio dei Ministri.

Presto Lanusei e Tempio Pausania si trasformeranno in sezioni carcerarie per via della razionalizzazione della situazione di questo settore nell’Isola. Si tratta di una scelta non gradita ai sindacati in quanto rischierebbe di aggravare ulteriormente un sistema già colpito da croniche carenze, perciò è prevista una manifestazione il 26 luglio prossimo dinanzi alla prefettura di Nuoro per la situazione di Badu ‘e Carrus.

Trapani: emergenza sicurezza, territorio difeso con armi spuntate

 

La Sicilia, 23 luglio 2004

 

Dopo tanto parlare doveva essere il momento dei "segnali" concreti: le operazioni antimafia degli ultimi mesi hanno mostrato quanto Cosa Nostra inquina la pubblica amministrazione, così come hanno messo in evidenza come le indagini sono il risultato del lavoro di un "pugno di uomini". È naufragata la presa di coscienza che avrebbe dovuto portare il Consiglio provinciale a votare un documento in grado di aprire un dialogo con il Governo nazionale. Il "forfait" di ieri nell’aula del Consiglio provinciale sicuramente verrà recuperato, ma quello fornito non è un bel segnale ad una provincia dove esiste una illegalità che trova sponda in certa politica.

La questione che si è aperta è quella che da tempo si sente ripetere. Gli organici della questura che sono completi rispetto alle tabelle ministeriali, ma non rispetto alle emergenze e alle peculiarità del territorio. È emblematico che la questura di Trapani, che opera in un territorio di frontiera, alle prese con gli sbarchi di clandestini, con la gestione di due centri di accoglienza, con l’allarme mafia sempre vivo, debba fare un passo indietro perdendo, come è successo, uno dei posti di primo dirigente. È clamoroso come ad Alcamo, storicamente preda di Cosa Nostra, macchiata dal sangue di innumerevoli faide e colpita dal fenomeno del racket, debbano fare fronte alle indagini appena sei poliziotti, e in organico ve ne sono solo 44 quando ne servirebbero almeno 15 in più.

Innumerevoli i problemi. Uno l’ha sollevato la Uilps con il segretario Antonio Scifo che ha duramente attaccato il questore Pinzello sulla questione dell’ufficio denunce chiuso dopo le 20. In effetti le cose non stanno così perchè a qualunque ore del giorno e della notte è possibile la presentazione delle denunce, e poi si tratta di una decisione presa per mantenere anche dopo le 20 di due volanti a presidio del territorio.

A protestare sono anche i penitenziari. "Troppi silenzi – dicono Claudio Di Dia e Gaspare Scalabrino della Uil – oggi avvolgono il territorio dove il tasso di mafia e di criminalità si tocca a piene mani. Non si può lottare in periferia e poi a livello governativo vengono tagliati dalla manovra finanziaria correttiva ben 6 milioni di euro per le spese sostenute dalla polizia penitenziaria inviata in missione per assolvere i compiti istituzionali".

Roma: opere dei detenuti Rebibbia esposte in Sardegna

 

Sardegna Oggi, 23 luglio 2004

 

Quadri e le opere dei detenuti di Rebibbia vanno in mostra oltre i confini del Lazio e approdano in Sardegna. Ieri sera è stato inaugurato lo spazio espositivo alla galleria d’arte "L’Ambra di Edra" a Sassari, dedicato appunto alla rassegna "Prospettive – Visioni dal Carcere" che raggruppa i lavori dei reclusi della casa circondariale di Roma. Fra gli altri, erano alla presentazione Pasquale Brau, presidente del Consorzio Tir.So. e Silvio Palermo, presidente della cooperativa Made in Jail.

Quadri in esposizione, realizzati secondo varie tecniche e frutto dei laboratori artistici e serigrafia all’interno di Rebibbia, hanno lo scopo di illustrare come attraverso l’arte i detenuti continuino a tenere forti contatti con la realtà esterna al carcere e come riescano a descriverla attraverso una personale interpretazione.

In breve, dai dipinti viene fuori quello che può essere meglio definito come dialogo residuo, ma forte, fra coloro che rimangono al chiuso di una cella e il mondo esterno alla casa di reclusione. Un punto di contiguità che viene ulteriormente rappresentato anche attraverso il negozio affiliato alla mostra, il punto Made in Jail marchio nato ad opera della Cooperativa Seriarte Ecologica, nata nel 1988, per favorire la nuova socializzazione ed il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro, anche attraverso attività di formazione professionale.

"Abbiamo fortemente voluto l’allestimento di questa mostra – afferma Pasquale Brau - così come abbiamo sempre sostenuto come consorzio la cooperativa Made in Jail, favorendo la conoscenza dei loro prodotti e delle loro storie nel territorio di Sassari. La mostra, l’esposizione dei quadri e l’apertura di un punto vendita si inseriscono in un percorso condiviso di promozione territoriale e di valorizzazione umana e sociale". La mostra rimarrà aperta fino al 7 agosto.

 

 

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