Rassegna stampa 22 luglio

 

Giuseppe Lumia (Ds): 41bis aggirato dai boss durante messa

 

Ansa, 22 luglio 2004

 

Tutti insieme a messa, perché così forse è possibile aggirare il regime del carcere duro (41 bis) e continuare a comunicare all’interno degli istituti di pena. I boss di Cosa Nostra userebbero questo sotterfugio per sottrarsi alle rigide regole del 41 bis, che prevede invece l’isolamento dagli altri detenuti per reati di mafia.

A denunciarlo è il capogruppo Ds in Commissione Antimafia, Giuseppe Lumia, che nel corso della seduta di oggi ha chiesto l’apertura di un’indagine da parte della bicamerale d’inchiesta per far piena luce sulle lacune nell’applicazione del 41 bis, specie dopo la riforma che lo ha reso stabile all’interno dell’ordinamento penitenziario. "Fermo restando che va garantito il diritto di tutti ad assistere a un rito religioso - afferma Lumia - va detto che se i detenuto in 41 bis vanno a messa assieme e comunicano tra di loro, allora la misura diventa inutile. Meglio accertare se siano seduti uno per banco o farli assistere a messe diverse".

L’ex presidente dell’Antimafia ha inoltre chiesto l’audizione, a settembre, del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, per fare il punto sul "problema grave" dei detenuto declassati dal regime di carcere duro a quello di reclusione normale: "I dati forniti dal ministero non corrispondono alla realtà. Non sono 12 i detenuti declassati nel 2004 ma 23, ai quali devono aggiungersi altri 72 nel 2003, per un totale di circa cento".

Lumia sfoglia l’elenco dei boss ai quali i tribunali di sorveglianza hanno recentemente annullato il 41 bis: vi sono, tra gli altri, Gioacchino Nunnari (detenuto a Spoleto), Pietro Vernengo (Ascoli Piceno), l’albanese Ardian Kazazi e Domenico Speranza (detenuti a Cuneo), Vincenzo Stimoli (L’Aquila).

Per Lumia è inoltre necessario che la Commissione Antimafia faccia chiarezza su "cosa è avvenuto dopo i proclami di Leolouca Bagarella, le lettere di Pietro Aglieri e lo striscione allo stadio di Palermo", contro il 41 bis. "Dopo la legge sul 41 bis - osserva il parlamentare Ds - tutto è tornato tranquillo. Cosa è avvenuto? Hanno trovato una via favorevole? Oppure si stanno preparando a reagire?".

Castelli replica alle accuse: "Non scarcero i mafiosi"

 

Centomovimenti News, 22 luglio 2004

 

I Giudici di sorveglianza revocano il regime di carcere duro con troppa facilità, rendendo più facili le scarcerazioni dei mafiosi. Sono in molti ad attribuire al ministro della Giustizia la responsabilità di questa situazione. Un’accusa che ha fatto letteralmente perdere le staffe allo stesso Guardasigilli.

Roberto Castelli ha così deciso di replicare con forza alle dichiarazioni di alcuni parlamentari del centrosinistra, in particolare a quelle del diessino Alberto Maritati. E, già che c’era, la camicia verde ha contestato duramente un articolo su questo argomento pubblicato dal quotidiano La Repubblica. Per il Guardasigilli, "cronometrica più del solstizio, puntuale più del solleone, ogni estate rinasce l’offensiva della sinistra contro il ministro della Giustizia in materia di penitenziari".

"L’articolo de La Repubblica sul 41 bis fa seguito all’inqualificabile relazione proposta dal relatore diessino dell’inchiesta della commissione Antimafia, Alberto Maritati - ha affermato il leghista - e tende ad accreditare presso l’opinione pubblica, a cui ovviamente sfuggono i particolari tecnici della questione, che sia il ministro a decidere di revocare il regime di 41 bis ai detenuti".

La realtà, secondo Castelli, è invece molto diversa: "La materia è di esclusiva competenza del magistrato di sorveglianza e su essa il ministro non ha alcuna giurisdizione". E se la sinistra desidera che il ministro della Giustizia si prenda in capo questa responsabilità, presenti "le relative proposte di legge per attribuire al Ministro la competenza in materia".

Parole che non hanno trovato d’accordo il Deputato della Margherita Nando Dalla Chiesa, che ha prontamente contro-replicato alle sue affermazioni. "A leggere le dichiarazioni del Ministro Castelli viene da pensare che esista un Castelli bifronte", ha ironizzato il dielle.

"C’è un Castelli che assiste serafico, impotente, disinformato e smemorato ai comportamenti dei giudici di sorveglianza che revocano il 41 bis in quantità industriale - ha accusato - e un Castelli che invece la notte di San Silvestro organizza riunioni ministeriali per trovare il modo di intervenire sui processi che riguardano il capo del Governo, un Castelli che scientificamente osserva le mosse impercettibili e segue ogni atto dei membri di un collegio giudicante milanese o annuncia ispezioni nei comportamenti del giudice varesino che indagò sulla Lega".

"Indovina indovinello - ha concluso Dalla Chiesa - qual è il Castelli vero: il primo o il secondo? O non per caso tutti e due?".

Busto Arsizio: direttrice carcere querela consiglieri regionali

 

Varese News, 22 luglio 2004

 

"Non ho niente da commentare, da quel poco che ho letto mi sembrano non notizie". Caterina Ciampoli, la direttrice del carcere di Busto Arsizio prova a minimizzare, "non ho ancora letto i giornali", ma la giornata di ieri deve essere stata una di quelle che si ricordano. L’affondo portato alla sua conduzione del penitenziario dai consiglieri regionali Martina e Litta Modigliani qualche segno lo ha lasciato. "Sono tranquilla, non ho nulla da temere dalla denuncia annunciata dai consiglieri, ma ormai il danno è fatto".

Il danno è il doversi difendere dalle accuse di gestione autoritaria e mancato rispetto per i diritti dei detenuti: visite e colloqui negati, privazione di libri richiesti, in generale un atteggiamento vendicativo rivolto tanto ai carcerati quanto al personale della struttura. Un atteggiamento che i due politici in visita fanno risalire al reintegro della direttrice al vertice della casa circondariale, il 3 maggio scorso.

"Mi paiono affermazioni senza contenuto, solo diffamatorie nei miei confronti. Mai avuto un atteggiamento vendicativo, a maggior ragione con i detenuti". Nel merito Caterina Ciampoli rigetta l’accusa di avere negato visite o colloqui all’interno del carcere.

"Non nego che ci siano stati divieti, ma ogni richiesta che mi viene fatta ha la sua precisa motivazione che deve essere valutata e approvata. La decisione finale poi rientra nelle competenze discrezionali del mio ruolo". Discrezione, non arbitrio capriccioso o vendicativo, sottolinea più volte la direttrice, massimo dirigente dell’istituto di pena bustocco dal giugno 1998.

Quanto ai sospetti più gravi, quelli legati a possibili inibizioni a visite mediche e a farmaci negati, Cristina Ciampoli cade dalle nuvole. "Un’altra notizia priva di fondamento, non è proprio tipico del mio modo di fare".

L’intenzione dei due politici è quella di denunciare entro sabato la direttrice. Una intenzione che sembra essere stata appoggiata da una raccolta firme portata avanti dai detenuti. "Non ho visto queste carte - confessa la dirigente - quindi non posso confermare la cosa. Mi sembra difficile tuttavia che si sia organizzata una raccolta di firme e io non ne sia venuta a conoscenza in qualche modo". Tranquillità, amarezza, ma anche la consapevolezza che un dado è stato tratto: "Fino ad oggi mi sono sempre rifiutata di dare il via ad una guerra di carte bollate. Oggi non più. Ho già querelato i due consiglieri. Devo tutelarmi".

Gran Bretagna: suicidi e rivolte nel Cpt di Londra

 

Il Manifesto, 22 luglio 2004

 

Gli hanno comunicato che la sua richiesta d’asilo non era stata accolta e che sarebbe stato rimpatriato. Il giovane trentenne si è ritirato nella sua cella e lì si è impiccato. L’hanno trovato senza vita verso le otto di lunedì sera. Difficile sapere il nome e la nazionalità dell’uomo, anche perchè il centro di detenzione per stranieri di Harmondsworth (nei pressi dell’aeroporto di Heathrow) rimane inaccessibile da lunedì sera. Verso le 23 infatti, quando cioè la notizia del suicidio è trapelata, è scoppiata una rivolta. I quasi 440 uomini (tutti richiedenti asilo politico) rinchiusi nel centro si sono barricati nelle loro stanze. Qualcuno ha cominciato a distruggere letti e sedie, altri hanno acceso fuochi. Azioni disperate. L’ultimo atto di una tragedia che per molti dei detenuti è cominciata nei loro paesi: torturati, incarcerati, costretti a fuggire in esilio. Hanno raggiunto l’Inghilterra con la speranza di trovare accoglienza, magari di rifarsi una vita. Certamente di sfuggire alle persecuzioni dei loro paesi. Invece hanno trovato il carcere.

Infatti la Gran Bretagna del neo laburista Tony Blair i profughi (uomini, donne, bambini) li sbatte nei centri di detenzione. Carceri di massima sicurezza, solitamente gestiti da privati (Harmondsworth lo gestisce la Uk Detention Service, figlia della multinazionale Sodexho). Una sorta di terra di nessuno dove tutto diventa lecito. Perché controlli ce ne sono pochi. Le uniche denunce sono quelle delle associazioni che lavorano con e per i profughi che, tra mille difficoltà, riescono ad entrare, ad allacciare contatti con i detenuti e quindi a sapere che cosa davvero succede dentro questi non-luoghi.

"È un inferno - dice Ray, del comitato closedownharmondsworth - questa mattina (ieri, ndr) alle due mi hanno telefonato due ragazzi rinchiusi nel centro per dirmi che era in corso una rivolta. Mi hanno detto che si è suicidato un ragazzo e che le guardie del centro hanno chiesto l’intervento della polizia antisommossa. Adesso - aggiunge Ray - il ministero degli interni dice che è stato il suicidio a scatenare la rivolta. Ma la storia comincia molto più lontano". Infatti Harmondsworth è uno dei centri "peggiori" (ammesso che si possa fare una classifica del peggio) del paese. Aperto nel 2001, il centro può rinchiudere oltre 500 persone. Nel suo primo rapporto l’ispettrice delle carceri, Anne Owers, ha scritto che il centro è da ritenersi "un luogo non sicuro nè per i detenuti nè per lo staff". Le guardie sono "inesperte e incapaci di gestire un numero così alto di detenuti - ha scritto Owers - non hanno alcuna preparazione su come affrontare tentativi di suicidio e di autolesionismo". Che sono numerosissimi. E poi ci sono le denunce per le aggressioni delle guardie. "Abbiamo visto profughi con le ossa spezzate - dice Ray - persone che sono state umiliate e picchiate a sangue, con violenza inaudita. Alcuni ragazzi sono sottoposti a cure psichiatriche perché ormai hanno i nervi a pezzi".

La rivolta era nell’aria. "Un profugo è stato recentemente ucciso da un altro profugo - aggiunge Ray - poi c’è stato un altro suicidio. I tentativi di togliersi la vita non si contano. La tensione e lo stress sono altissimi". E questo dovrebbe essere un centro di "smaltimento veloce delle pratiche" (come si dice asetticamente in gergo). Eppure ci sono uomini rinchiusi qui dentro anche da nove mesi. In un regime di carcere duro. Per non aver commesso nessun reato, per non avere alcuna colpa: sono fuggiti dai loro paesi per rimanere vivi. Ieri il ministero degli interni ha confermato che i detenuti sono stati trasferiti in altri centri di detenzione. Impossibile sapere dove e se ci sono feriti.

A marzo 2004 erano 1600 i profughi rinchiusi nei centri di detenzione inglesi (80 da oltre un anno e 130 fino a 12 mesi), tra cui almeno 30 bambini. Mantenere in galera i profughi costa al governo dalle 400 alle 1600 sterline (dipende dal centro). Anche per questo il ministro degli interni David Blunkett ha annunciato che a settembre partirà in Scozia un progetto pilota di controllo elettronico di 70 profughi in attesa di sapere se verrà loro concesso asilo. Il controllo avverrà non attraverso i braccialetti elettronici usati per i detenuti in libertà condizonata, bensì attraverso speciali telefoni cellulari. I profughi verranno chiamati due o più volte al giorno. Un operatore rivolgerà alcune domande al profugo nella sua lingua per consentire al computer (che avrà preventivamente registrato la voce del profugo) di identificare se la persona che risponde è effettivamente il profugo e quindi di verificare la sua posizione. Le associazioni dei diritti umani hanno già annunciato battaglia.

Come sta cambiando la struttura del sistema carcerario

 

Il Manifesto, 22 luglio 2004

 

Nuove carceri in leasing, patrimonio storico ceduto e un piano straordinario di edilizia penitenziaria a misura di Lega. Nuove carceri a Varese, Pordenone e Milano. E il carcere di Pordenone costa oggi in leasing il triplo di quanto previsto. Il ministro della giustizia Castelli è il promotore di una "riforma" a base di fatti compiuti: serve ad allargare il business degli amici costruttori e ad accarezzare la voglia di sbarre degli elettori di destra del nord. Con i nuovi sistemi di leasing, scopiazzati dagli Usa, lo stato spenderà di più, la sicurezza sarà inferiore e i detenuti staranno peggio.

Una nuova e particolare forma di privatizzazione si profila in un settore sino ad ora completamente pubblico, quello degli istituti di pena. La situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano è assai grave e in rapida evoluzione. Nel 1990 i detenuti erano circa 25.000, oggi sfiorano la soglia dei 60.000 - la cultura della tolleranza zero ha prodotto in questi anni i suoi frutti, riempiendo gli istituti di immigrati e tossicodipendenti. La capienza, una stima che il ministero cambia di volta in volta in base a criteri misteriosi, era di 36.000 posti nel 2001, è di 42.000 nel 2002. Il programma ordinario non dovrebbe andare oltre la creazione di 6000 nuovi posti a breve-medio termine. Da sempre molti giuristi insistono sulla necessità di una riscrittura del codice penale, sull’urgenza di una depenalizzazione, opzione cui persino la Lega, almeno per i reati di opinione, tempi addietro si era mostrata favorevole. Poi evidentemente si è compreso che la costruzione di nuove carceri, con gli strumenti della finanza creativa, non è meno conveniente degli anni passati, in cui i vincoli di bilancio si violavano senza tanta fantasia. Anzi. Un bel carcere fa contenti gli amici costruttori e la gente si sente più sicura. E così il piano straordinario di edilizia penitenziaria, che è anche un buon motivo di campagna elettorale in terre amiche, prevede come obiettivo prioritario la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia...

 

Piano straordinario

 

Il piano straordinario prevede infatti la costruzione di nuovi istituti di pena a Varese (43 milioni di euro) e a Pordenone (32 milioni), più la ristrutturazione di Milano Bollate (17 milioni di euro) con lo strumento della locazione finanziaria, meglio noto col nome inglese, leasing. Un modo elegante per dire che lo stato prenderà in fitto le prigioni da un privato, per poi riscattarle al termine del contratto. Ma cosa si nasconde dietro questo insolito modello di economia della pena?

Per sapere dove ci porta il futuro bisogna, come sempre, dare uno sguardo al passato. Nonostante le gravi condizioni in cui versa la maggior parte degli istituti di pena italiani, nel nostro paese la spesa per l’edilizia penitenziaria non è mancata. Tutt’altro. Nel corso di 30 anni, dal primo piano ordinario di edilizia penitenziaria del 1971 alla legge finanziaria del 2000, sono stati investiti circa 5.600 miliardi di lire. Ultimo in ordine di tempo, lo stanziamento complessivo di 800 miliardi di lire, ultimo atto del centrosinistra prima del governo Berlusconi.

Di queste somme, investite in base a priorità modificate con diverse varianti, rimane oggi ben poco. Rimangono circa 330 milioni di euro già impegnati e un passato di scandali, tangenti e corruzione, in qualche caso messi in luce dalla magistratura. Una gestione disinvolta sul piano finanziario che spesso, per ammissione della stessa amministrazione penitenziaria, rende difficile seguire le tracce contabili delle risorse, impegnate in un capitolo e poi spese per altre voci. Gli ultimi fondi disponibili, in via ordinaria, serviranno a completare i lavori di ristrutturazione in 10 istituti (in tutta Italia ve ne sono 230) e a costruirne altri 9. Poi basta, a meno che non si proceda a nuovi stanziamenti.

 

Un carcere nella città natia

 

L’ultimo istituto di pena, inaugurato appena qualche settimana fa dal ministro della giustizia Roberto Castelli, nel proprio collegio elettorale e nella propria città natia, Lecco, è uno dei frutti di quel residuo di risorse lasciato dal centrosinistra. Dopo, a leggere i bilanci, solo lacrime e sangue. Eppure il ministro Castelli non appare affatto scoraggiato e annuncia la costruzione di nuove carceri, a cominciare da Varese e Pordenone, annunciando il ricorso alla "finanza creativa". È questo infatti l’elemento più importante in un piano straordinario che si limita alla costruzione di due soli nuovi istituti e alla ristrutturazione di Milano Bollate. Per la prima volta si ricorre a una nuova forma di finanziamento che modifica il rapporto pubblico-privato e apre la strada ad un futuro di privatizzazioni.

Nel caso in questione si farà ricorso alla locazione finanziaria o leasing. Il leasing prevede il pagamento di un canone mensile e l’opzione di acquisto finale del bene. Anche questa opzione è purtroppo un lascito maldestro del centrosinistra. La finanziaria del 2000 (la 388/2000) ha introdotto la possibilità che l’amministrazione penitenziaria, per l’acquisizione di nuovi istituti di pena, faccia uso della locazione finanziaria, e della finanza di progetto. Ipotesi che di fatto inseriscono il capitale privato nella gestione e nella valorizzazione dell’investimento pubblico. La finanza di progetto, o project financing, prevede infatti che il privato partecipi insieme al capitale pubblico alla realizzazione di un opera di interesse collettivo. In cambio ne manterrà la gestione per tutti gli anni necessari a recuperare i capitali investiti e i relativi interessi.

 

Modello Tremonti

 

Le idee insomma erano lì e al buon Castelli non è rimasto altro che metterle in pratica, inserendo la questione dell’edilizia penitenziaria nella più generale dismissione del patrimonio pubblico, ideata dal ministro Giulio Tremonti e gestita attraverso la Patrimonio spa. Come infatti ricordava Franco Corleone in un recente articolo, questo processo di privatizzazione passa attraverso la Dike spa.

Nel maggio del 2003 il consiglio di amministrazione della Patrimonio Spa, la società controllata dal ministero del tesoro nata allo scopo di gestire il processo di dismissione del patrimonio pubblico, deliberava la costituzione di una nuova società per la realizzazione dei piani di edilizia penitenziaria. Dopo appena due mesi, il ministro della giustizia presentava alla stampa la Dike Aedifica spa, società "per la realizzazione dei programmi di edilizia carceraria" controllata, appunto, dalla Patrimonio spa. A presiederla è stato chiamato il professore Adriano De Maio, rettore dell’Università Luiss. Il consiglio d’amministrazione è formato dai rappresentanti dei ministeri della giustizia e dell’economia e della stessa Patrimonio spa.

Tra tutte spicca, in quanto brillante sintesi dei nuovi indirizzi governativi, la nomina a consigliere delegato di Vico Valassi, già presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). Lo scopo della società, recita lo scarno comunicato ufficiale, è "di contribuire allo sviluppo del sistema carcerario utilizzando l’edilizia penitenziaria storica quale leva di finanziamento per le infrastrutture carcerarie moderne, riducendo così anche gli oneri a carico della finanza pubblica". E non c’è dubbio che l’ex presidente dell’Ance sia l’uomo giusto.

 

Patrimonio in svendita

 

In questa frase sta tutto il senso dell’operazione. Lo stato venderà il proprio patrimonio immobiliare (e relativi terreni edificabili), per affittare (e poi forse poi rilevare un giorno) nuovi istituti di pena. La Dike infatti conferirà alla Patrimonio circa ottanta istituti di pena. Compito della Patrimonio sarà quello di venderli per finanziare l’affitto dei nuovi istituti, i cui appalti saranno determinati dalla Dike. Al momento sono undici (Casale Monferrato, Novi Ligure, Mondovì, Elusone, Ferrara, Frosinone, Avigliano, Velletri, Pinerolo, Susa e Verona) gli istituti che la Dike ha già conferito alla Patrimonio. Gli altri, a quanto risulta già individuati dal ministero della giustizia, saranno ceduti dopo aver sentito il parere del ministero dei beni culturali e degli enti locali coinvolti.

Al momento la prima stima attendibile di questa fase è di circa 530 milioni di euro: la somma che la Patrimonio Spa ha ottenuto dalla Cassa depositi e prestiti per la realizzazione dei nuovi progetti di edilizia penitenziaria.

Poche ma fondate le critiche delle opposizioni. Si legge nell’interrogazione parlamentare presentata alla camera il 31 luglio 2003 dai deputati Giuseppe Fioroni e Giuseppe Fanfani che "a tutt’oggi si rileva una sostanziale assenza di controlli sulle scelte che tale società andrà a compiere e che non è contemplato alcun obbligo di relazionare alle Commissioni parlamentari competenti, né viene previsto un organismo di indirizzo e verifica dell’attività della società, mentre, essendo società privata a totale capitale pubblico e operante sui beni pubblici, essa dovrebbe dare conto del suo operato, con particolare riguardo alla gestione, valorizzazione ed eventuale alienazione del patrimonio demaniale".

Al senato, in commissione giustizia, analoghe critiche sono state mosse da Nando Dalla Chiesa, di fronte ad un imperturbabile ministro Castelli che si trincera dietro i vincoli di bilancio e la ragioni dell’efficienza.

 

Leasing oneroso

 

Ma le argomentazioni del ministro non sembrano fondate. Lungi dall’essere uno strumento conveniente il leasing è molto più oneroso della semplice acquisizione di un bene immobile o della contrazione di un normale mutuo. Il vantaggio infatti è tutto sul piano finanziario. Il leasing consente di iscrivere in conto corrente, spese che altrimenti andrebbero iscritti in conto capitale, simulando così minori uscite.

Non è affatto uno strumento che migliora l’efficienza, e non diminuisce i costi. Lo sanno benissimo quelle centinaia di migliaia di persone che ogni anno acquistano la propria casa con un mutuo e non in leasing. Se non ci credete basta dare un’occhiata ai numeri. Il carcere di Pordenone, previsto dal ministro nel piano straordinario, era stato inizialmente pensato con il finanziamento ordinario e il costo stimato era di 20 miliardi di lire. Nel 2003 il ministero ci ripensa e decide di inaugurare la stagione del leasing. La stima prevista è adesso di 32,5 milioni di euro, circa tre volte tanto, per un carcere dalla capienza di un centinaio di detenuti. Non sembra un buon affare, almeno per lo stato.

Varese: studenti modello, detenuti ma pronti a ricominciare

 

Varese News, 22 luglio 2004

 

"Quindici anni fa il carcere non era così. Era un luogo chiuso, asfittico. Oggi è aperto al mondo, dà occasioni per ricominciare". Chi esprime questo giudizio è uno che se ne intende: Eldorado Golzi, da oltre 40 anni volontario al carcere Miogni per portare solidarietà e amicizia. La vita carceraria è ormai viva, con tante possibilità di applicarsi, studiare, prepararsi al lavoro. E l’occasione odierna è l’ennesima positiva conferma: la fine dei corsi Enaip organizzati all’interno della struttura carceraria e che ha coinvolto 25 detenuti nelle aree della ristorazione collettiva, della prestampa e della manutenzione delle opere murarie. Corsi scelti dall’ente specializzato nei corsi di formazione, in base alle attitudini dei carcerati, alle loro richieste e, soprattutto, alle esigenze del mercato. Il direttore della casa circondariale varesina Gianfranco Mongelli è particolarmente compiaciuto dei risultati ottenuti e della collaborazione tra operatori penitenziari ed educatori che ha permesso la riuscita dei corsi, iniziati lo scorso febbraio e che hanno impiegato gli studenti per 150 ore.

Presente alla cerimonia conclusiva anche l’assessore alle politiche sociali della Provincia Rienzo Azzi (al centro nella foto): "Non mi sarei mai perso questa manifestazione, perché la Provincia è molto attenta e sensibile alle problematiche legate a questo mondo. Non solo esigenze di istruzione e formazione, ma anche inserimento lavorativo, inserimento sociale. Spero che questi sforzi vengano coronati da un effettivo successo nel mondo del lavoro, cosa non sempre semplice e scontata". Attualmente, il carcere dei Miogni ospita 122 detenuti di cui uno ammesso al lavoro esterno e 12 semiliberi. Nel corso dell’anno si sono tenuti corsi di scuola media, di italiano per stranieri, laboratori di pittura, disegno e inglese.

Tre, degli allievi appena diplomati, hanno preso la parola per ringraziare le autorità carcerarie, le guardie e gli educatori invitando, nel contempo, la società civile a proseguire nell’opera di sostegno: "Ora avremmo bisogno di occasioni reali per dare un taglio netto con il passato, per poter ricominciare con dignità. Noi siamo pronti: dateci una mano" "Quello che manca attualmente è solo una vera occasione di lavoro - commenta Golzi - un tempo ospitavamo parte del deposito della Bassani e c’era la possibilità di lavorare concretamente". Oggi ci sono cuochi, riqualificatori di ambienti e stampatori con tanto di diploma riconosciuto: "Io sono colombiano ma da 14 anni vivo in Olanda. Il mio obiettivo è tornare a casa e cercare lavoro nel settore della prestampa. Ho in mano un diploma valido anche nel mio paese e lo voglio sfruttare".

Nuoro: Commissione Carceri Camera visita Badu ‘e Carros

 

L’Unione Sarda, 22 luglio 2004

 

Le carceri di Lanusei e Tempio sono a rischio di chiusura. È quanto è emerso dalla visita lampo compiuta nel primo pomeriggio di ieri nel carcere di Badu ‘e Carros dal Comitato permanente per l’esame dei problemi penitenziari della Commissione Giustizia della Camera. Sono arrivati direttamente a Nuoro in elicottero i tre componenti del Comitato parlamentare: Enrico Buemi, presidente, Giuliano Pisapia e Franco Carboni, accompagnati da Nello Cesari, Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria.

Il gruppo è stato accolto da Paolo Sanna, neo direttore di Badu e Carros, e ha potuto visitare attentamente il carcere e prendere visione diretta della situazione precaria in cui versano gran parte delle strutture, e le stesse condizioni dei lavoratori e dei detenuti. Degrado, abbandono, condizioni igieniche insufficienti più volte messi in evidenza dagli addetti ai lavori. Durante il successivo incontro con i rappresentanti dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil e gli autonomi), che hanno messo in rilievo i gravi effetti della politica del disinteresse da parte del Governo, sono emerse alcune indicazioni circa il futuro di alcuni carceri sarde: per Lanusei e Tempio, il Provveditore ha precisato che "la politica di razionalizzazione del Governo in materia di carcerari porterà a trasformare i due istituti (dove ora lavorano in tutto un’ottantina di persone) in sezioni carcerarie, facilmente gestibili con poche unità e dunque meno costose".

"Il problema di fondo - ha precisato Buemi - è che la forte crisi economica non consente sprechi, e la crisi del sistema carcerario è generale e non riguarda solo la provincia di Nuoro e la Sardegna". Il personale in esubero potrà così essere mandato in altre carceri. Discorso a parte meritano invece le colonie all’aperto di Is Arenas, Mamone e Isili, per le quali si prevede un potenziamento e un incremento. Riguardo la tanto criticata girandola di dirigenti degli ultimi anni negli istituti di pena nuoresi, il Provveditore regionale ha assicurato la stabilità dell’attuale direttore Paolo Sanna.

Pordenone: detenuti come sardine, interrogata Giunta regionale

 

Il Messaggero Veneto, 22 luglio 2004

 

Il sovraffollamento nel carcere di Pordenone, recentemente denunciato dal cappellano don Luigi Tesolin, è al centro di una interpellanza presentata dal consigliere regionale di Cittadini per il presidente, Piero Colussi. L’esponente politico si rivolge al presidente Illy per conoscere le valutazioni dell’esecutivo nel merito, e per sapere quali iniziative la giunta regionale ritiene di dover assumere nei confronti del governo nazionale per l’avvio immediato degli investimenti nell’edilizia carceraria. Questo per assicurare il non più rinviabile miglioramento del sistema carcerario in Friuli Venezia Giulia.

Il carcere di Pordenone ha una capacità massima di circa quaranta detenuti, mentre in questi giorni si è arrivati a novanta, tanto che, in conseguenza di ciò, la sala polivalente, sinora utilizzata per attività diverse, è stata trasformata in locale di detenzione. "È chiaro - ha detto Colussi - che in questo modo si privano i detenuti di uno spazio comune molto importante sotto il profilo sociale e per la vita di relazione".

A questo proposito, il consigliere già alcuni mesi fa si era fatto portavoce della richiesta di poter realizzare all’interno del Castello una sala video. Grazie all’intervento di Sim2 e di Coop Consumatori Nord-Est questo piccolo passo per rendere più umane le condizioni di vita all’interno dell’edificio era stato reso possibile.

"La situazione che si è venuta a creare in questo ultimo periodo - ha continuato - è estremamente negativa, oltre che per i detenuti, anche per i circa cinquanta agenti di polizia penitenziaria che operano all’interno della struttura. Sono convinto che quanto denunciato a Pordenone non sia purtroppo dissimile a quanto accade nelle altre strutture carcerarie della regione. Da qui - ha concluso Colussi - l’interpellanza".

Con la nuova Finanziaria crisi irreversibile per le carceri

 

Ansa, 22 luglio 2004

 

"Quella recentemente approvata è la legge Finanziaria che sancisce ufficialmente l’irreversibilità della crisi del sistema carcerario". La denuncia è di Fabrizio Rossetti, responsabile nazionale Fp-Cgil settore penitenziario, che parla di "epilogo" di una politica che per tre anni consecutivi "ha ridotto i capitoli di bilancio per l’assistenza sanitaria in carcere, per le spese di mantenimento in carcere dei detenuti, per le attività di rieducazione e di reinserimento sociale e per il lavoro".

Rossetti elenca puntigliosamente gli effetti dei tagli contenuti nella manovra correttiva appena licenziata dal governo.

"Per i servizi di missione del personale della polizia penitenziaria e di quello civile dell’amministrazione penitenziaria la scure del ministro dell’Economia ad interim riduce le già insufficienti risorse per quasi 1,3 milioni di euro pari a quasi il 10 per cento dell’intero bilancio del 2004; con quelle risorse - fa notare - già non si riuscivano a pagare tutti i servizi di traduzione dei detenuti, compresi quelli relativi all’accompagnamento in udienza".

Per la manutenzione ordinaria delle carceri invece il taglio è "di circa il 15%", con il risultato che "diventerà ormai impossibile mantenere a livelli dignitosi le condizioni strutturali delle oltre 250 carceri italiane, molte delle quali obsolete e fatiscenti".

E ancora non basta: "le spese per l’informatizzazione dell’amministrazione carceraria subiscono un taglio di oltre il 30% rispetto all’anno passato e gli stanziamenti per l’acquisto dei mezzi di trasporto, da destinare ai servizi di tutela e scorta vengono ridotti di circa 6 milioni di euro". "Gravissimo", secondo la Fp-Cgil, è anche "l’attacco al sistema dell’esecuzione penale esterna, cioè a quelle attività che seguono il reinserimento sociale dei condannati: il capitolo di bilancio relativo ai canoni di affitto per le sedi dei Centri di servizio sociale adulti viene falcidiato di una somma pari ai due terzi dell’intero bilancio".

Alessandria: la Casa Circondariale è troppo affollata

 

Ansa, 22 luglio 2004

 

La casa circondariale di piazza don Soria, situata in città a poche decine di metri dall’ospedale, continua a essere sovraffollata perché il 70 per cento degli spazi non sono utilizzabili. Negli anni Novanta la struttura è stata sottoposta a costosi interventi di ristrutturazione, ma metà delle quattro ali sono chiuse per problemi di sicurezza.

"Occorre prendere una decisione al più presto", dicono i consiglieri regionali Bruno Mellano (radicali) e Rocchino Muliere (Ds) che questa mattina hanno compiuto una visita ispettiva al don Soria. "L’infermeria e il teatro sono chiusi, la scuola in primavera ha dovuto essere trasferita in due aule di fortuna - aggiungono i consiglieri regionali -.

Ci sono problemi legati agli impianti elettrico e idraulico che non sono a norma, intonaci e parte del tetto che cadono". Nelle due parti utilizzate della struttura, sono ospitati 360 detenuti, compresa la sezione femminile (16 ospiti). Oltre il 40 per cento è di nazionalità straniera (marocchini, algerini, rumeni) e proprio la presenza di tante etnie provoca problemi di convivenza.

I detenuti sono giovani, in attesa di giudizio o con condanne sino a tre anni per rati legati a spaccio di stupefacenti, furti, prostituzione. Un altro problema cronico è la carenza di agenti: sui 209 previsti dall’organico, gli effettivi sono 155 che per malattia, ferie o distaccati in alte carceri si riducono a una novantina. Nel pomeriggio Mellano con Giulio Manfredi e Gianni Pizzini del Comitato nazionale radicali, ha visitato l’altro carcere alessandrino, la casa di reclusione di San Michele che ospita anche una sezione di pentiti.

Roma: con "Made in jail" ecco la creatività galeotta

 

Della Moda, 22 luglio 2004

 

Che la detenzione non basti a sopprimere la creatività è un fatto riconosciuto persino dal dorato mondo dell’alta moda, che ha concluso venerdì la sua stagione romana con la sfilata molto particolare di un gruppo di detenute di Rebibbia che ha presentato, con successo, la sua collezione ispirata alle Olimpiadi. Ma non è necessario un invito esclusivo agli eventi più mondani per rendersi conto che la moda, oggi, nasce anche dalle esperienze più estreme, non ultima quella del carcere. Ecco perché si vedono in giro sempre più ragazzi sfoggiare con disinvoltura le t-shirt modello epitaffio che ricordano vita e imprese del narco trafficante Pablo Escobar attraverso scritte del tipo Pablo Escobar 1949-1993, Cocaine oppure Brazo de la muerte.

Ad avere l’idea pare sia stato un anonimo ospite colombiano del carcere di Barcellona (dentro, manco a dirlo, per traffico di stupefacenti) che si è poi affidato all’ex compagno di cella, misterioso agente di cui si conoscono solo le iniziali, per commercializzarle all’esterno, a partire dal Sud America. Storia vera, leggenda o trovata pubblicitaria che sia, a questa vicenda di galeotti creativi deve la sua fortuna il marchio De puta madre, lanciato in Italia dalla Mexico 69, le cui magliette, giubbini e copricaschi stanno avendo un insperato successo.

Il significato dell’operazione è chiarissimo, nonostante qualche sterile polemica: non si vuole incoraggiare i giovani a commettere azioni illegali (anzi, dal sito web si invitano tutti i visitatori a non fare uso di droghe) ma solo a comprarsi un bel po’ di magliette nuove per l’estate. Il business è business e l’educazione della morale giovanile non è mai stata in cima alla lista delle priorità neppure per le più celebri maison.

Un messaggio politically correct è invece quello lanciato dai detenuti di alcune carceri sparse per l’Italia, isole comprese, che dal 1988 producono, attraverso la Cooperativa Seriarte Ecologica, le t-shirt Made in jail. Inneggianti alla libertà (Out), contrarie alla pena di morte e persino ironiche nella scelta degli slogan e delle immagini (University of crime) le magliette fatte in prigione piacciono soprattutto ad alternativi e no global, che le comprano negli stand di manifestazioni come la Festa dell’Unità, l’Estate romana o Arezzo wave. Con i guadagni, la Cooperativa si autofinanzia e riesce a portare avanti un progetto di formazione per i detenuti e di aiuto al reinserimento per chi lascia il carcere. Molti ex detenuti decidono di continuare a collaborare all’iniziativa e la vendita delle magliette permette a ognuno di ricevere un regolare stipendio. La speranza è, naturalmente, di dare al carcere una connotazione sempre più correttiva e meno punitiva, per questo motivo la Cooperativa ha avviato corsi di formazione anche nelle sedi di alcuni istituti penali minorili.

Eppure c’è chi sostiene che gli insegnamenti più utili vengano dalla strada, meglio ancora se la strada è quella che attraversa i quartieri più malfamati delle nostre metropoli.

È la filosofia delle t-shirt sfoggiate da molti giovani milanesi che si ispirano a un’immaginaria University of Quarto Oggiaro il cui motto è, appunto, Strada magistra vitae. Ma non c’è solo Quarto Oggiaro. Chi è stato di recente nel capoluogo meneghino sa benissimo che anche i quartieri di Lambrate, San Babila e Giambellino sono ben rappresentati da magliette con stampe Lambrother, San Babyla e Jambellino (ma ci sono anche Bovisaska, Kolonne e Navigly). Insomma, se la strada sia o no maestra di vita è un’annosa questione, che sia maestra di stili e di tendenze è ormai un’assoluta certezza.

Milano: opportunità lavoro per persone che escono dal carcere

 

Andrea Fanzago, consigliere comunale di Milano, gruppo Margherita

 

Mozione da presentata in occasione della presentazione del Bilancio 2004. Il tema dell’Odg è quello relativo alle difficoltà di reperire opportunità di lavoro per le persone che escono dal carcere. Per tentare di offrire una prospettiva occupazionale si chiede l’impegno dell’Amministrazione Comunale a reperire risorse ed a coinvolgere in questa strategia anche le società municipalizzate e controllate dal Comune (Amsa; Atm; Mm; Sogemi; Aem; Milano Ristorazione; Milano Sport). Il documento ha incontrato il parere favorevole della Giunta ed è stato approvato dal Consiglio Comunale nella seduta del 12.7.2004.

 

Presentazione del Bilancio 2004. Ordine del giorno

 

Considerato

 

che l’inserimento lavorativo è un primo importante e delicato passaggio per raggiungere l’inserimento sociale delle persone che hanno concluso il periodo di detenzione nelle carceri presenti sul territorio della città

 

tenuto conto

 

che anche l’ente locale deve necessariamente sviluppare e favorire ogni sforzo teso a realizzare questo impegno affinché venga agevolato il reinserimento nel tessuto sociale delle persone che hanno concluso il periodo di detenzione

 

ritenuto

 

che altrettanto impegno viene speso anche all’interno della realtà carceraria dove vengono sviluppate iniziative tendenti a facilitare la realizzazione di attività produttive

 

preso atto

 

che il Comune di Milano è già socio sostenitore di un progetto già operativo dal 1998 che vede impegnate realtà diverse del Terzo Settore e dell’imprenditoria locale

 

impegna il Sindaco e la Giunta

 

a promuovere e favorire, utilizzando tutti gli strumenti disponibili del Bilancio, l’inserimento lavorativo delle persone ex detenute nella carceri della nostra città anche attraverso il sostegno delle realtà che operano in questo ambito, con percorsi protetti di accompagnamento e tutoring, in collaborazione con l’ente pubblico e privato

a coinvolgere in questa scelta anche le società municipalizzate e controllate dal Comune (Amsa; Atm; Mm; Sogemi) e le società collegate (Aem; Milano Ristorazione) affinché anche queste realtà mettano a disposizione posti di lavoro sottoscrivendo protocolli di intesa finalizzati all’inserimento lavorativo.

 

 

 

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