Rassegna stampa 19 luglio

 

Sulmona: i suicidi in carcere finiscono in Parlamento

 

Il Messaggero, 19 luglio 2004

 

Il Parlamento si occuperà dei suicidi che si sono registrati a giugno negli istituti penitenziari di Sulmona, Avezzano e Lanciano. Lo farà tramite un'interrogazione parlamentare di Giuliano Pisapia, deputato di Rifondazione comunista, che ha scritto al ministro Castelli ponendo la questione della difficile situazione che vivono le carceri italiane che nel solo mese di giugno hanno fatto registrare 13 decessi. I dati sono quelli dell'associazione Antigone, da sempre in prima linea per il rispetto dei diritti umani nei penitenziari italiani.
Per Sulmona e Avezzano l'interrogazione di Pisapia fa riferimento ai suicidi del boss della mafia siciliana Francesco Di Piazza, braccio armato di Giovanni Brusca, trovato morto a Sulmona nella sua cella la mattina del 27 giugno scorso, e di un detenuto marocchino ad Avezzano. Il suicidio di Di Piazza ha sorpreso un po' tutti nel mondo della malavita organizzata. Considerato un duro dagli stessi magistrati della Dia di Palermo, Di Piazza non aveva mai dato segni di debolezza tali da giustificare un simile gesto. Ma la dinamica e l'autopsia hanno confermato la morte per suicidio del boss siciliano. L'interrogazione, come chiarisce lo stesso parlamentare, non deve essere letta come lo strumento per gettare sospetti sulle carceri italiane. «I dati segnalati dall'associazione Antigone - spiega - confermano la gravità delle condizioni nelle quali versano le nostri carceri, sfinite da sovraffollamento, mancanza di supporto psicologico, assistenza sanitaria paralizzata da tagli, condizioni di vita spesso disumane e impongono nel contempo doverosi accertamenti».
Pisapia ha inoltre annunciato che il Comitato carceri della Camera effettuerà nei prossimi mesi visite negli istituti carcerari di tutta Italia.

Sassari: processo per il maxipestaggio a San Sebastiano

 

L'Unione Sarda, 19 luglio 2004


"Mi costringevano a tenere una mela in testa: ogni volta che tremavo, la mela cadeva e giù botte". Il racconto di Graziano P., detenuto a San Sebastiano nei giorni del maxipestaggio, inaugura i ricordi di ordinario orrore. Sul banco degli imputati sono rimasti nove agenti, hanno scelto il processo pubblico, contrariamente a ottanta colleghi, quasi tutti graziati dai dubbi del giudice durante il processo in udienza preliminare. Per loro come per gli altri l’accusa è di aver pestato a sangue una ventina di detenuti, il 3 aprile del 2000.
Il pm Gianni Caria va avanti senza esitazioni: la sentenza del gup, che aveva accolto la sua ricostruzione, ammettendo il pestaggio ma senza condannare i colpevoli, era suonata come uno schiaffo, dopo mesi di ricostruzioni puntigliose e di pressioni fortissime. Ieri, davanti ai giudici Massimo Zaniboni, Teresa Lupinu e Antonello Spano, ha incalzato i testimoni, quattro ex detenuti che hanno confermato ogni particolare di un pomeriggio da incubo.
"La mia era la cella 52 - dice Gianluca D. - Quel pomeriggio ero all’ora d’aria, stavo giocando a carte. Tutt’a un tratto vedo i cancelli spalancarsi, entrare delle guardie, tutte in mimetica. Pugni e schiaffi, e poi mi hanno legato e picchiato, fino alla sala colloqui, nel corridoio della matricola. La stessa sorte era riservata ad altri detenuti: mentre passavamo ci massacravano. Ho riconosciuto un solo agente di Sassari, lo avevamo soprannominato Gelatina Smith. Ho visto anche la direttrice, nel corridoio. Stava fuori dalla sala colloqui e guardava. Ho visto anche Tomassi, per la prima volta. Un tipo aggressivo, spolverino e distintivo".
Gavino P. , cella 75, gli dà il cambio. Quel giorno, al momento dell’incursione era nella fossa dei leoni, un cortile a cui si accede passando attraverso un tunnel. Stesso percorso, braccia dietro la schiena, fino alle sale colloqui. "Quel giorno, da quando mi hanno messo le manette mi sono come spento. Ricordo che mi hanno denudato, che qualcuno mi ha detto che così mi stancavo di fare il boss. Ho fatto anche finta di svenire, con la speranza che mi mollassero, ma loro mi picchiavano anche a terra. Nella sala colloqui ho visto uno di noi tutto sporco, se l’era fatta addosso. Mi ricordo della direttrice, nel corridoio. Tomassi l’ho visto solo in quella situazione: aveva un aspetto tipo marines, uno cazzuto. Picchiava forte, mi ha accolto lui, nella sala colloqui.
In mezzo a sangue, botte e insulti c’è anche qualcosa di bello da ricordare: «Il comandante Tomassi mi aveva afferrato l’orecchio, cercava di strapparmi l’orecchino - dice un altro detenuto, Massimo D. - Una guardia era intervenuta per difendermi. “Con te facciamo i conti dopo”, gli aveva detto Tomassi. Non so niente di lui, solo che è di servizio ad Alghero e che lo chiamavano Carrasciari, Carnevale. Alcuni avvocati di parte civile, Letizia Doppiu Anfossi, Maurizio Serra, Claudio Mastandrea, insistono sui danni fisici e biologici, sulle notti insonni. Costantino C. chiude la lista testimoniale. "Così la finisci di fare il galletto", gli avevano detto. Fra le immagini più terribili quella di un compagno, con la testa immersa in un secchio d’acqua.

Viterbo: detenuto morto, assolti poliziotti accusati di omicidio

 

Il Messaggero, 19 luglio 2004

 

Accusati di omicidio colposo per aver percosso un tossicodipendente che aveva cercato di rubare un’automobile, due agenti della polizia stradale Massimiliano Marchili e Loredana Scorranese sono stati assolti dal giudice monocratico. Il magistrato, Bruno Costantini, ha emesso la sentenza sulla base del secondo comma dell’articolo 530, che ricalca la vecchia formula dell’assoluzione per insufficienza di prove. A sollecitare l’assoluzione erano stati anche il pubblico ministero Agostinelli e l’avvocato di parte civile Massimo Giannuzzi dell’Avvocatura dello Stato. Contro i due poliziotti erano costituti parte civile con l’assistenza degli avvocati Giuseppe Di Noto e Corrado Oliviero i famigliari della vittima.

La vicenda risale al 26 novembre del 1998. Luciano Ciccolunghi, la vittima, sta cercando di rapinare un automobilista, ma viene bloccato dai due agenti della stradale. L’uomo è tossicodipendente e soffre di una grave forma di flebite. Una perizia disposta dal Pm, stabilirà che in quell’occasione è stato preso a calci e pugni, sul viso e nei fianchi. È stato gettato per terra e il colpo contro l’asfalto gli ha procurato una frattura del setto nasale e delle costole, oltre alla perforazione di un polmone. Ne esce malridotto, ma pare che preferisca non essere ricoverato. Gli agenti, però, avrebbero dovuto portarlo ugualmente in ospedale, farlo controllare dai medici prima di rinchiuderlo in carcere. E per questa ragione sono accusati di omissione di atti d’ufficio. Il giorno seguente all’arresto Ciccolunghi si presenta in Tribunale per essere giudicato. A ventiquattr’ore di distanza dal processo per direttissima viene trovato morto dagli agenti di custodia. Il sospetto iniziale è che possa essere stato picchiato in carcere. I parlamentari Paolo Cento e Athos De Luca chiedono che si faccia chiarezza. Indaga la Procura e, per il Pm, tutto riconduce ai due poliziotti. Nei loro confronti poteva forse ipotizzarsi l’omicidio preterintenzionale. Ma Ciccolunghi sembra che alla loro vista abbia reagito cercando di non farsi prendere. È stato picchiato. E forse la sua malattia ha contribuito ad aggravare la situazione portandolo alla morte.

Il pubblico ministero, chiedendo l’assoluzione, ha però ritenuto non esatta la ricostruzione dei fatti e ha convinto il giudice monocratico ottenendo l’assoluzione degli imputati. La vicenda avrà un risvolto, infatti il giudice Costantini ha inviato copia degli atti riguardanti la deposizione di un vigile urbano, Daniela Giacchini, chiedendo di valutare se la donna si sia resa responsabile di falsa testimonianza.

Appello per la sospensione della pena di Paolo Dorigo

 

Chiediamo l’immediata sospensione della pena per il veneziano Paolo Dorigo, condannato a tredici anni e sei mesi per un atto dimostrativo - il lancio di una bottiglia incendiaria contro la rete metallica di recinzione dell’aeroporto militare di Aviano nel 1993 - che peraltro non comportò danni contro alcuna persona. Le condizioni di salute di Dorigo, attualmente detenuto nel carcere di Spoleto, sono drammatiche tanto che, dal primo giugno, è in sciopero della fame per ottenere di essere visitato in una struttura medica pubblica. Egli ha inoltre ha già scontato oltre i quattro quinti della pena, senza mai poter usufruire dei benefici della legge Gozzini. Quello di Paolo Dorigo è un caso di assoluta ingiustizia: la sua detenzione è ingiustificata dal punto di vista giudiziario e un accanimento sul piano umano. Chiediamo una ampia mobilitazione delle coscienze democratiche per sostenere la sospensione della pena di Paolo Dorigo che, secondo la Corte Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, non ha ricevuto un giusto processo dal momento che la sua condanna scaturì unicamente dalle dichiarazioni rese ai giudici da un collaboratore di giustizio, che vennero acquisite agli atti del processo come unica prova.

 

Luana Zanella, Giovanni Russo Spena, Michele Vianello

 

Hanno sottoscritto l’appello: Fabrizio Vigni, Laura Cima, Franca Chiaromonte, Elettra Deiana, Paolo Cento, Lalla Trupia, Aldo Perrotta, Gianfranco Bettin, Sandro Bergantin, Margherita Grigolato, Cosimo Tommaselli, Mara Rumiz, Gianluca Shiavon, Francesco Moisio.

Appello dai detenuti albanesi della sezione 5 di Sollicciano

 

L’Altracittà - giornale delle periferie, 19 luglio 2004

 

Noi che stiamo scrivendo questa lettera siamo 80 detenuti albanesi di Sollicciano. Con questa lettera vi rivolgiamo agli organi competenti e al nostro consolato albanese per i nostri diritti come detenuti che ci sono stati negati. Le nostre richieste di 80 detenuti sono che veniamo rispettati come detenuti italiani e che danno anche a noi gli stessi diritti che hanno loro come detenuti perché noi come albanesi non veniamo considerati nella stessa maniera e veniamo essere dimenticati. Noi vi rivolgiamo a questi organi per far si che tutto ritorna come prima anche la vita qui in questo carcere.

Noi albanesi per circa 50 anni siamo stati sotto la dittatura e abbiamo sofferto tanto dal dittatore Hoxha perché anche lui ci ha tenuti in isolamento e distaccati dagli altri e anche qui in questo carcere dove siamo 80 albanesi si comportano in tale maniera isolato da altre persone. Noi come albanesi abbiamo sperato che in Italia c’è democrazia e non razzismo perché anche quando arrivano persone da fuori per sentire noi i nostri problemi e noi non ci lasciano esprimere i nostri problemi perché appena noi parliamo veniamo chiamati dall’ispettore che ci fanno rapporto.

Noi vi chiediamo agli organi competenti che veniamo trattati come tutti altri carcerati di Italia e niente di più. Le nostre richieste che levino il nostro isolamento, che danno il diritto di lavorare i 4 posti di lavoro che sono nella sezione che questo diritto non lo abbiamo più perché anche noi albanesi vogliamo lavorare in questi posti di lavoro e loro portano altri detenuti da altri sezioni italiani e tunisini, di avere aria come italiani tutti i giorni e non 1 ora al giorno anche questo diritto non l’abbiamo più, il diritto di andare in chiesa come tutti altri anche questo diritto non l’abbiamo più, di poter andare nel campo sportivo come tutti altri anche questo diritto non l’abbiamo più: c’è stato negato tutto questo. Chiediamo di essere visitati dal medico come tutti altri e non come animali, per un dolore del dente ci danno supposte, per una visita devi aspettare 1 giorno a settimana anche se sei troppo malato, quando vai dal dottore non ti danno le medicine che servono ma ti dice che li devi comprare: e dove li troviamo i soldi noi albanesi.

Nella nostra sezione hanno portato anche persone che sono portatori di malattie infettive come Aids e altre malattie gravi; quelli che li hanno portati lo sanno perché li hanno portati da noi e non li hanno portati da italiani. Noi non sappiamo se questo è razzismo: abbiamo parlato con organi ispettori e loro hanno risposto con rapporti e isolamento. Voglio fare un appello al nome di tutti detenuti che quel che stanno fori non lo sanno la nostra situazione e non possono credere che questa è la verità perché loro non sanno la vita che noi facciamo qua; solo chi la prova lo crede e tutto questo è solo la verità che esce da dietro le sbarre di 80 albanesi che si trovano a soffrire e essere isolati senza colpa solo perché vogliono che sia cosi per noi. Spero che qualcuno si renderà conto di tutto questo perché siamo umani. Noi ci troviamo 4 persone in una cella piccola che uno di loro è costretto a dormire in pavimento; per noi albanesi c’è una sezione dove ci troviamo tutti e qui si trovano una parte che sono stati condannati e sono definitivi ma a nessuno importa niente di noi e vengono lasciati senza giudicare per tanto tempo; noi non sappiamo ancora come va finire la nostra situazione se facciamo domandine all’ispettore per parlare non veniamo chiamati da parte loro perché non vogliono sapere di nostri problemi. Perché con altri non si comportano in questa maniera o c’è questa parola che se ne frega sono degli albanesi? Preghiamo che gli organi competenti e l’ambasciata albanese ci risolvono questa situazione e che fanno luce sulle richieste nostre di 80 persone umani nel carcere di Sollicciano.

 

Un saluto da 80 albanesi, con fiducia in voi.

 

Sollicciano, Firenze

 

 

Le condizioni già tragiche di sovraffollamento e perdita di diritti del carcere di Sollicciano si sono ulteriormente appesantite per i detenuti albanesi dopo la recente evasione di cinque loro connazionali. Pare questo infatti il pretesto delle limitazioni e restrizioni loro imposte a dispetto del regolamento: niente lavoro, aria a turno, scuola e attività sospese, vigilanza accentuata. Alcune ispezioni di parlamentari hanno denunciato pubblicamente questa situazione inaccettabile, ma malgrado un recente suicidio, ad oggi tutto tace.

è paradossale che tutto ciò accada proprio nella democratica Toscana che per prima nella storia abolì la pena di morte e che oggi si promuove a strenua difesa dei diritti umani nel mondo.

Gaetano Pecorella: case custodia per evitare bimbi detenuti

 

Ansa, 19 luglio 2004

 

"Case di custodia del tutto diverse dalle carceri" per eliminare il fenomeno dei bambini detenuti insieme alle loro mamme. È la soluzione che sostiene il presidente della Commissione Giustizia della Camera Gaetano Pecorella, che ritiene che la questione debba essere affrontata prima della chiusura del parlamento per la pausa estiva. "La nostra cultura giuridica e la nostra coscienza non possono rimanere indifferenti al fatto che dei bambini crescano nei loro primi anni all’interno di un carcere - ha detto intervenendo alla trasmissione "Radio Carcere", in onda su Radio Radicale-.

Il problema, che è stato già stato affrontato nella scorsa legislatura, non è evidentemente risolto - ha aggiunto - e trattandosi spesso di donne senza fissa dimora,ritengo che si dovrebbe prevedere delle case di custodia, che non abbiano la caratteristica delle carceri, in cui i bambini si sentano come se fossero a casa". Quanto ai tempi ipotizzabili per una riforma, Pecorella ha ricordato che la legge Finocchiaro "riuscimmo a farla passare quando il parlamento stava chiudendo per andare in vacanza. Adesso che ho una maggiore responsabilità ritengo di riprendere in esame questa questione e, anche se i tempi sono stretti, cercheremo di farlo prima della chiusura estiva".

Lombardia: proposta legge su educatore regionale dei detenuti

 

Redattore Sociale, 19 giugno 2004

 

Presentato oggi presso la sede del Consiglio regionale a Milano il progetto di legge elaborato dal Gruppo consiliare regionale di Rifondazione comunista per promuovere "l’istituzione della figura dell’educatore regionale in favore della popolazione detenuta".

Quella dell’educatore è una figura centrale del sistema carcerario: rappresenta il ponte fra i detenuti e la società. È una figura del mondo carcerario fondamentale perché, per così dire, fa "esistere" la stessa persona detenuta.

Infatti è con la sua relazione sui detenuti che il magistrato viene a conoscenza di questo o quel caso all’’interno di un carcere. In Lombardia attualmente gli Educatori carcerari sono appena 33, sui 113 previsti e necessari (dati ufficiali del Dap, Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria). L’ultimo concorso che li riguarda risale al 1990, e solo nel 2003 ne viene bandito uno nuovo per 250 educatori, bando che però non è stato ancora espletato.

In realtà, il progetto, che Rifondazione ha studiato e sottoposto all’attenzione della maggioranza della Regione, prende a modello l’esperienza di un’altra Regione: quella del Piemonte. L’esperienza piemontese nasce con l’approvazione di una delibera della Giunta, con la quale nei 13 penitenziari piemontesi dal dicembre 2003 rende operativi in via sperimentale 22 Educatori dei detenuti.

"La nostra proposta - dice il Consigliere regionale di Rifondazione Giovanni Martina- poggia dunque su un concreto precedente, attuato dalla Giunta regionale piemontese, che va ricordato è retta da una maggioranza di centro-destra". E aggiunge: "E dico questo a conferma di come la questione delle carceri e nello specifico della figura dell’Educatore sia un’urgenza, se non un’emergenza, percepita da tutti gli schieramenti politici".

Ma nelle intenzioni dei propugnatori di questo progetto di legge la sperimentazione in Lombardia dovrebbe durare non 1 anno come in Piemonte, ma 3 anni. Questo perché si ritiene che per un lavoro tanto importane e tanto delicato ci sia bisogno di una fase di rodaggio, che consenta di acquisire conoscenze e strumenti necessari per gestire un compito così importane e spinoso.

A dimostrazione che la questione degli Educatori sia importante, il responsabile del settore carceri, Saverio Ferrante, mette sul tavolo, cifre, dati, ed esperienze relative alla situazione delle carceri in Lombardia e in Italia. Rilevando come la Lombardia sia in Italia la regione con il più alto numero di detenuti in assoluto: in 18 istituti penitenziari lombardi 9.000 detenuti, con ben 4.000 persone che superano la soglia massima di tollerabilità. In Italia i detenuti sono invece 58mila, stipati in carceri in grado di ospitarne solo 40mila.

E ancora: a Cremona, Lodi e Voghera ad esempio, dice Ferrante, gli Educatori non solo non ci sono, ma vengono presi in prestito da altri istituti penitenziari. Una pratica che secondo Ferrante aggiunge danno a danno. Vale a dire: "questi Educatori in prestito vengono a trovarsi in definitiva in una nuova realtà carceraria che non conoscono e che non hanno il tempo di conoscere, in più lasciando in sospeso o irrisolti i casi precedentemente esaminati".

Riguardo infine alle speranze che il progetto venga accolto favorevolmente anche dalla maggioranza della Regione Lombarda, Giovanni Martina si dichiara ottimista: "Dalla maggioranza arrivano da tempo segnali positivi. Nelle forze del centro-destra infatti si riconosce la necessità e il carattere di urgenza di una questione come questa dell’Educatore nelle carceri".

"Anche perché -precisa subito dopo il Consigliere di Rifondazione- non si capisce perché la maggioranza dovrebbe dire no ad un progetto che ha una spesa di 500mila euro, dopo che nel 2003 ha stanziato per la distribuzione di farmaci nelle carceri una somma pari a 4milioni di euro ".

Napoli, Poggioreale: stiamo al fresco ma moriamo di caldo

 

Associazione Papillon, 19 luglio 2004

 

Chi scrive è uno dei duemila detenuti del carcere di Poggioreale. Leggo con attenzione il suo giornale ogni giorno e come ogni anno in questo periodo c’è l’emergenza "afa", ci si preoccupa "giustamente" di anziani bambini e altre età, però nessuno e dico nessuno si pone questa domanda: ma a Poggioreale come stanno?

Forse qualcuno pensa che la parola "stanno al fresco" voglia dire che qui non si soffre il caldo? Si sbagliano tutti, mi creda, vivere in una cella e starci ventidue ore al giorno è terrificante anche se lo Stato - "grazie" - ci permette di fare due ore di passeggio.

E poi? Nulla, la sofferenza continua e poco importa se un detenuto ha caldo e soffre. Qui in Italia esiste solo un motto "chi sbaglia paga", io non dico che dovrebbero darci i condizionatori d’aria ma almeno fate in modo di alleviare una sofferenza come la calura che ci affligge in questi periodi.

So bene che il mio è e rimarrà solo un semplice sfogo perché non verrà mai fatto nulla per noi, non vorrei che per far muovere qualcosa deve morire qualcuno. Noi tutti attendiamo che lo Stato ci riconosca almeno il diritto di vivere, esistono carceri dove vengono effettuate più ore d’aria e socialità ma qui non accadrà mai perché Poggioreale era, è e resterà ciò che un tempo si chiamava lager. Mi auguro che questa mia venga pubblicata e vorrei chiederle se può trascrivermi l’indirizzo del provveditorato agli studi dal momento che mi viene negato il diritto allo studio, è una vergogna e poi parlano di "reinserimento".

Volterra: inizia il festival del teatro-carcere

 

Osservatorio sulla legalità, 19 luglio 2004

 

Da oggi fino al 1 agosto, durante la XVIII edizione del Festival Volterra-teatro, si terrà la manifestazione "I Teatri dell’Impossibile", di cui saranno protagonisti due compagnie di detenuti-attori.

Si tratta de La Compagnia della Fortezza, del carcere di Volterra, e de I Liberanti, gruppo di detenuti ed ex-detenuti della Casa Circondariale di Avellino. Il progetto I Teatri dell’Impossibile ha cinque anni di vita.

Il Laboratorio Teatrale nel Carcere di Volterra è nato nel 1988, a cura di Carte Blanche con il contributo della regione Toscana, della Provincia di Pisa, del Comune di Volterra, dell’USL 5 Volterra.

In 14 anni la Compagnia della Fortezza ha prodotto circa ogni anno uno spettacolo nuovo che, a partire dal 1993, sono stati rappresentati fuori dal carcere, invitati anche dai principali teatri e festival italiani.

Nel 1994 è stato costituito il primo Centro Teatro e Carcere basato su un accordo di programma tra Regione Toscana, Provincia di Pisa e comune di Volterra. Dal dicembre 1996 Carte Blanche gestisce il Teatro San Pietro di Volterra e con il tempo sono arrivati sostegni dal ministero dello Spettacolo e dal Ministero della Giustizia.

La compagnia I Liberanti comprende attori-musicisti detenuti ed ex detenuti della casa circondariale di Lauro (AV), da cui provengono ragazzi con alle spalle problemi legati al mondo della tossicodipendenza.

Anche questo gruppo di teatranti ha partecipato a numerose manifestazioni e festival, ottenendo una segnalazione speciale Premio Ustica per il Teatro 2003, "‘per il valore sociale di questa pratica... In questo senso tale esperienza contribuisce alla trasformazione della condizione reclusa e all’individuazione di nuove modalità espressive".

 

 

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