Rassegna stampa 7 luglio

 

Franco Corleone: allarme per situazione carcere di Sollicciano

 

Toscana News, 7 luglio 2004

 

Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti su incarico del Comune di Firenze, è sempre più allarmato per le condizioni di Sollicciano. Progettato come un carcere modello per 450 detenuti, ne ospita attualmente più di mille. Gli agenti di polizia penitenziaria sono gravemente insufficienti. Il 31 marzo sono evasi, sbriciolando le fragili sbarre di cemento, cinque pericolosi detenuti albanesi. Il pericolo di nuove fughe ha determinato un giro di vite nelle condizioni dei detenuti. In una situazione di esasperato sovraffollamento, con quattro - cinque detenuti nelle celle progettate per due, la vita a Sollicciano è sempre più intollerabile. Ne è conferma, fra l’altro, l’ampio uso del Tavor e di altri medicinali di questo tipo. In una situazione di tale emergenza, il giardino degli incontri dei detenuti con le famiglie, progettato dalla Fondazione Michelucci e ormai quasi pronto, rischia di diventare una beffa, denuncia Corleone.

E’ preoccupato anche il professor Emilio Santoro dell’associazione "Altro Diritto". Dopo le evasioni di marzo - spiega - sono stati modificati i condotti di aerazione. Il docente ha partecipato a una visita di controllo con un geometra dell’amministrazione penitenziaria, che ha assicurato che l’aria che affluisce nelle celle è sufficiente. Ma - obietta il professore - il problema è che in quelle celle pensate per due detenuti ce ne stanno quattro o cinque: "Non c’è bisogno di essere scienziati per capire che in queste condizioni la capacità di autocontrollo crolla. Forse non è un caso che con il caldo a Sollicciano è arrivato il terzo morto".

Il giorno prima della morte di Mazzantini, avvenuta il 20 giugno scorso a Sollicciano, due detenuti tentarono di togliersi la vita. La vicenda, tenuta per giorni all’oscuro, è emersa venerdì a margine dell’incontro alla Fondazione Michelucci sul futuro di Sollicciano. Il giorno prima della morte di Giuseppe Mazzantini, il trentenne campigiano deceduto nella sua cella per arresto cardiocircolatorio, due persone hanno tentato di suicidarsi: "Tentativo sventato per un soffio dal pronto intervento delle guardie carcerarie" come ha poi sottolineato il garante dei diritti dei detenuti, Franco Corleone.

Sono quindi quattro gli episodi di morte avvolti nel mistero avvenuti in una sola settimana. Sabato 12 giugno un giovane algerino, Khaled, riuscì nell’intento di togliersi la vita impiccandosi nella propria cella, dopo un tentativo fortunatamente sventato dalle guardie carcerarie e dopo che in passato un suo fratello aveva compiuto lo stesso tragico gesto.

Le guardie, una sola settimana dopo, sabato 19, avrebbero sventato i suicidio di altri due detenuti. Prontamente intervenute le guardie di custodia sono riuscite a bloccare i due nell’atto di togliersi la vita. Il 20 giugno, invece, moriva Giuseppe, Mazzantini, il trentenne di Campi Bisenzio alle 16 e 30, dopo essere rientrato da uno dei permessi di cui l’uomo godeva per potersi curare. Riguardo ai due suicidi di sabato 19, però, non sono ancora chiare le dinamiche della vicenda, né tanto meno si conoscono le motivazioni che hanno spinto i due detenuti a tentare il gesto estremo.

Venerdì si è tenuto un seminario alla Fondazione Michelacci con l’obiettivo di "far rinascere" Sollicciano come un penitenziario modello, luogo del riscatto e dei reinserimento. "Bisogna rimodellare il carcere a parti, e dal giardino degli incontri - ha dichiarato Franco Corleone, difensore civico e garante dei diritti dei detenuti - come nella struttura progettata da Michelucci, per un carcere modello come luogo di recupero, così come previsto dalla Costituzione".

Quando sarà formalizzata la giunta comunale Franco Corleone ha intenzione di chiedere un incontro con il sindaco, Leonardo Domenici, per ottenere un intervento deciso da parte del Comune. L’intenzione è quella ridare vita a quel progetto di riqualificazione e reinserimento dei detenuti, non più persone da tenere lontane dalla società, ma individui capaci, tramite un adeguato percorso, di riscattarsi e di essere rimessi in libertà con la possibilità di diventare nuovamente cittadini.

I primi interventi comunque riguardano la diminuzione dei numero dei detenuti, per migliorare le condizioni di vita a Sollicciano e l’aumento del personale educatore, al momento limitato a sole cinque persone, per oltre un migliaio di detenuti. Intanto, subito dopo l’evasione dei cinque albanesi di fine marzo, l’unico provvedimento permanente preso è stato quello di sistemare delle inferriate supplementari, per scongiurare altre fughe.

Comitato Carceri della Camera visita Casa Circondariale di Ivrea

 

Comunicato Stampa dell’On. Giorgio Panattoni (Ds)

 

A seguito dell’aggravamento della situazione carceraria nel paese ed ai problemi specifici del carcere di Ivrea il Comitato Carceri della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati ha deciso di visitare il carcere di Ivrea per verificare con i responsabili e con gli altri soggetti interessati la situazione e le azioni eventualmente opportune.

Questa è una prima reazione alla denuncia da noi fatta a proposito dell’ingiustificato aggravamento della situazione nel nostro carcere. Saranno presenti il Presidente del Comitato On. Enrico Buemi ed il Vice Presidente On. Francesco Carboni, accompagnati dal deputato del collegio di Ivrea On. Giorgio Panattoni. La visita è programmata per mercoledì 14 luglio nel pomeriggio. Annettiamo a questa visita particolare importanza, e renderemo pubblici i risultati dell’incontro.

Cassazione: è legittimo criticare le sentenze e i giudici

 

Gazzetta del Sud, 7 luglio 2004

 

Tutti i cittadini, compresi gli avvocati e gli imputati, hanno diritto di criticare le sentenze e i comportamenti dei magistrati (specie quelli deontologicamente scorretti) perché in questo modo viene esercitato il "contrappeso" all’elevato grado di indipendenza e di autonomia della magistratura. Lo sottolinea la Cassazione.

In particolare la V Sezione penale della Suprema Corte ha assolto - con la sentenza n. 29232 appena pubblicata - un avvocato, Francesco Metta, condannato per aver scritto una lettera "ritenuta offensiva" al pubblico ministero del tribunale di Fermo, Gabriele Casalena.

Il legale difendeva un imputato di rapina sottoposto alla custodia cautelare in carcere e aveva sondato l’opinione del Pm su una eventuale richiesta di liberazione del detenuto. Il pubblico ministero aveva risposto: "se fosse per me butterei al mare la chiave della cella del rapinatore". In reazione a questa frase l’avvocato inviò una lettera "ironica" al Pm nella quale - ricorda la Cassazione - "dopo aver elogiato il tono pacato e lieve della risposta e sottolineato il senso di moderazione della pubblica accusa, affermava che per terminologie come queste un giorno "delinquenti alla Previti" potrebbero prevalere sui "giudici onesti"".

Questa missiva costò al legale una condanna emessa dal giudice di pace dell’Aquila alla pena di 500 euro di multa oltre al risarcimento danni di 3 mila euro in favore del Pm. Contro questo verdetto l’avvocato ha protestato in Cassazione sostenendo che quanto scritto nella sua lettera era legittimato dal diritto di critica. Piazza Cavour ha giudicato "fondato il ricorso del legale". In proposito gli "ermellini" hanno sottolineato che "i magistrati italiani godono di piena indipendenza di giudizio e l’ordine giudiziario ha un rilevante tasso di effettiva autonomia: ciò comporta, tra l’altro, che per i loro provvedimenti giudiziari i magistrati non sono perseguibili, né penalmente né disciplinarmente, e non sono responsabili civilmente, a meno che le loro decisioni non siano frutto di palese negligenza o di dolo".

"Il contrappeso all’elevato grado di indipendenza e di autonomia della magistratura - prosegue il Palazzaccio - non può che essere rinvenuto in una ampia possibilità di critica dei provvedimenti giudiziari che deve essere riconosciuta a tutti i cittadini e non soltanto ai cosiddetti "addetti ai lavori"". La Cassazione rileva inoltre che "se è vero che i provvedimenti giudiziari ritenuti errati possono essere modificati soltanto con il rimedio delle impugnazioni, è pure vero che essi possono essere ampiamente ed anche aspramente criticati, come dimostrano le numerose e severe critiche ai provvedimenti giudiziari che quotidianamente possono essere lette non solo su riviste specializzate, ma anche su quotidiani".

Ma la Cassazione si spinge oltre e prosegue affermando che la "legittima critica dei cittadini non deve limitarsi soltanto alle sentenze e alle loro motivazioni, ma può investire anche i comportamenti assunti dai giudici nell’esercizio delle loro funzioni". Spesso, dicono i supremi giudici, "alcuni comportamenti arroganti assunti nei confronti di avvocati, imputati e parti processuali, appaiono addirittura meno tollerabili di motivate decisioni contrarie agli interessi di una parte".

E per il Palazzaccio è "giusto" che chi esercita la funzione del giudice si "astenga dall’assumere atteggiamenti che possano sembrare improntati a pregiudizio". Le "critiche" a tali atteggiamenti "contribuiscono, infatti, alla crescita della sensibilità collettiva ed "aiutano" chi esercita un pubblico potere a correggersi".

Affrontando, infine, il caso concreto dell’avvocato Metta, Piazza Cavour sottolinea di ritenere legittima e non punibile la sua lettera in quanto il diritto di critica "deve essere certamente riconosciuto ai cittadini in un caso come quello raccontato, perché il comportamento censurato era stato assunto da un magistrato competente ad adottare provvedimenti sul bene più prezioso dei cittadini, dopo la vita, che è la libertà: ebbene in siffatte situazioni è necessario rispetto anche per chi ha sbagliato ed appare meritevole di sanzione ed equilibrio". Così la condanna all’avvocato è stata annullata.

Sassari: detenuto di 43 anni tenta il suicidio in cella

 

L’Unione Sarda, 7 luglio 2004

 

L’evasione dall’ospedale di Sassari, poi le continue richieste di essere curato in un centro medico specializzato e ora, ma non è la prima volta che succede, il tentativo di farla finita in una cella del carcere di Sassari. Per Agostino Murru, 43 anni di Guasila, il procedimento davanti ai giudici del tribunale di Tempio si sta trasformando in un incubo.

Lui non si tira certo indietro, vuole essere processato e giudicato per i reati che gli vengono contestati: avere organizzato un traffico internazionale di eroina dal Medioriente all’Italia. Ma così come ha spiegato il suo avvocato, Cecilia Bassu, non è nelle condizioni di sopportare la detenzione. Quantomeno dev’essere trasferito in un penitenziario dotato di centro medico. Ma così non è stato, nonostante le disposizioni dei giudici del tribunale gallurese.

E Murru ha tentato nuovamente il suicidio in carcere. È stato salvato da alcuni agenti della polizia penitenziaria che sono intervenuti appena in tempo. E ieri mattina non era in aula a Tempio, ma ha mandato una lettera spiegando al presidente Marco Contu che nonostante la sua assenza il processo poteva andare avanti. Una situazione che ha comunque portato il tribunale a ribadire il contenuto di un’ordinanza emessa nelle settimane scorse: Murru dev’essere trasferito immediatamente in un carcere dotato di strutture adeguate per le cure di cui ha necessità il presunto trafficante internazionale di droga.

Agostino Murru è mancato a pochissime udienze del processo che si sta celebrando a Tempio. Non è un personaggio di secondo piano, di lui si occupa Paolo De Angelis, magistrato della direzione distrettuale antimafia di Cagliari. Secondo il pubblico ministero mentre era affidato in prova ai servizi sociali e viveva nella sua casa di Arzachena, gestendo una piccola attività artigianale, si occupava anche di rifornire il mercato di Cagliari e della Costa Smeralda di eroina.

Insieme ad altri personaggi, alcuni dei quali già condannati dal giudice dell’udienza preliminare di Cagliari. Ma i giudici hanno già firmato una sentenza a carico di Murru. Nell’aprile del 1996 la Corte d’appello di Cagliari ha confermato una condanna a nove anni e otto mesi di carcere per il presunto trafficante di Guasila, coinvolto nell’operazione Alce. Ancora una volta grossi quantitativi di eroina destinati al mercato cagliaritano. I giudici di Tempio si occupano invece di un’altra operazione, conclusa due anni fa con l’arresto di diverse persone, tra le quali lo stesso Murru, accusate di avere organizzato alcuni carichi di eroina dalla Turchia alla Puglia. L’avvocato di Murru, Cecilia Bassu, anche ieri mattina ha messo in evidenza alcuni problemi che riguardano le modalità utilizzate dagli investigatori nelle intercettazioni telefoniche ambientali. Ma a questo punto nell’intera vicenda, l’aspetto processuale passa in secondo piano. Anche ieri infatti, Cecilia Bassu, ha insistito con i giudici chiedendo per il suo assistito tutte le cure mediche adeguate.

Pozzuoli: Maranta (Pdci), 180 detenute in condizioni disumane

 

Asca, 7 luglio 2004

 

Il consigliere regionale del Pdci della Campania, Franco Maranta, lancia un nuovo allarme sulle condizioni disumane in cui vivono le detenute del carcere di Pozzuoli (Napoli). "Le condizioni di detenzione diventano sempre più pesanti e il caldo estivo rende la situazione ancora più difficile - denuncia il consigliere regionale, che oggi ha di nuovo visitato la struttura penitenziaria.

"Il carcere di Pozzuoli ha una capienza massima di 90 persone. Invece ne contiene il doppio. Purtroppo - aggiunge Maranta - il sovraffollamento è una costante, in una regione che ha circa 6 mila detenuti, contro una capienza massima di 4 mila. Nelle celle del carcere di Pozzuoli vi sono letti a castello su tre file, un solo tavolo intorno al quale ci si siede a turno, un solo bagno per cinque, sei, sette persone.

L’odore del mare che giunge dall’esterno non rende più lieve la detenzione. Anzi, sembra quasi un supplizio aggiuntivo. Dall’ultima visita, a marzo, le condizioni non sono affatto migliorate. La prima emergenza è quella sanitaria. La convenzione con la Asl è saltata, a causa di un esposto, e adesso non sono più i medici a recarsi a visitare le detenute in carcere; al contrario, sono le detenute a doversi recare all’Asl con tutti gli oneri e i costi che questo comporta. C’è ancora una forte opposizione al fatto che la medicina penitenziaria rientri nell’alveo di quella ordinaria, molte resistenze che non avvengono certo nell’interesse dei reclusi, ma di piccoli interessi corporativi.

A farne le spese - continua Maranta - sono queste donne, le cui storie si dipanano in racconti pieni di dignità. Le detenute straniere, che sono circa una cinquantina, hanno, tra le altre, difficoltà a telefonare all’esterno.

L’amministrazione penitenziaria chiede alle loro ambasciate di verificare l’intestatario del numero di telefono che chiedono di chiamare. Le ambasciate non rispondono, se non dopo molti mesi, e nel frattempo non si può telefonare. Reati legati ad una condizione di origine di povertà e miseria e una detenzione che ha il sapore della beffa. Al termine della loro pena, dopo avere imparato la lingua, studiato, conseguito un diploma, la Bossi-Fini prevede l’espulsione, costrette a tornare in un paese da dove mancano da tanti anni.

Per le detenute italiane - continua nella sua denuncia Maranta - la situazione non è più facile; c’è una forte rete di solidarietà, ma non basta. Molte hanno subito pene per le quali potrebbero beneficiare di misure alternative, ma qui si sconta tutto, anche le condanne più brevi per reati minori. Il tribunale di sorveglianza è paradossalmente il grande imputato, tempi lunghi e una forte rigidità alla concessione di quei benefici, previsti dalla legge.

Tutte pericolose socialmente queste donne? Eppure appena una minima parte ha una condanna per reati connessi alla criminalità organizzata, non si comprendono le ragioni di tale chiusura. Queste condizioni di detenzione, aggravate da una vera e propria crisi del sistema sanitario penitenziario, - conclude Maranta - costringono detenuti e operatori in uno stato di perenne disagio.

In questi ultimi tre anni le risorse stanziate dal ministro Castelli si sono progressivamente ridotte. La spesa sanitaria ha subito la riduzione del 60% e si sono ridotte anche le risorse per i lavoranti interni. Ci sono precise responsabilità politiche per questo stato di cose. Le nostre carceri si riempiono di marginalità e di disagio e le storie delle donne del carcere di Pozzuoli sono lì a raccontarlo.

Questa settimana nell’istituto c’è stata una mostra di ceramica a testimonianza che uno sforzo da parte degli operatori c’è stato. Ma la strada per il rispetto e la tutela dei diritti non può basarsi sulla volontà dei singoli, ma su un sistema di garanzie esteso a tutti, per evitare che il carcere abbia la funzione di discarica sociale, che sia lì a nascondere le nostre ipocrisie".

Ascoli: continua processo per morte di Giuliano Costantini

 

Corriere Adriatico, 7 luglio 2004

 

Il processo sulla morte di Giuliano Costantini, detenuto presso il carcere di Marino del Tronto, avvenuta nel mese di settembre del 2000, ha fatto registrare ieri mattina una nuova udienza. L’avvocato Mario Ciafrè, dello studio Agostini, ha escusso davanti al giudice onorario Vecchiotti due testi: un ispettore di Polizia Penitenziaria e di Polizia Giudiziaria.

Dalle loro testimonianze è emerso che le cause del decesso del recluso non sarebbero riconducibili alle presunte lesioni provocate dai maltrattamenti delle guardie penitenziarie.

Giuliano Costantini si trovava recluso al Marino a seguito di una condanna definitiva per tentato furto. Pena che avrebbe finito di scontare nel mese di novembre 2000. Il 28 settembre, però, l’uomo, dopo essere stato ricoverato d’urgenza all’ospedale Mazzoni, morì. Il referto medico parlò di setticemia con una prognosi di addome acuto e retto sfondato.

In precedenza, secondo alcune testimonianze raccolte, il Costantini avrebbe avuto una violenta discussione con alcuni extracomunitari con cui divideva la cella. A seguito di ciò fu colto da malore e trasferito in ospedale.

I sanitari, resisi conto della gravità delle sue condizioni, decisero di intervenire chirurgicamente per bloccare una grave forma di setticemia. Purtroppo il quarantenne cessò di vivere a distanza di qualche ora. Alla notizia della morte un gruppo di detenuti inscenò un protesta che aveva come bersaglio gli agenti di custodia i quali, secondo loro, avrebbero diffuso informazioni inesatte su ciò che accadde all’interno della cella fra i detenuti in quanto la violenza non sarebbe avvenuta fra loro. Al tempo, comunque, il sostituto procuratore Monti dichiarò che sulla scorta delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria non era emerso alcun elemento, nemmeno indiziario, che potesse far ritenere che la morte del Costantini potesse essere imputabile ad un pestaggio o ad azioni di violenza fisica.

Nella prossima udienza saranno ascoltati i quattro detenuti che si trovavano in cella con la vittima e che racconteranno come si svolsero i fatti.

Enna: progetto per figli dei detenuti, lite in consiglio comunale

 

Vivi Enna, 7 luglio 2004

 

Non capita spesso che un assessore venga allontanato dall’aula consiliare perché di ostacolo al dibattito in corso. Ieri sera, in occasione della seduta di consiglio per l’esame di interrogazione, interpellanze e una mozione, l’assessore comunale ai lavori pubblici, Paolo Colianni è stato allontanato dall’aula, accompagnato da un vigile urbano, su decisione del presidente del consiglio comunale, Mario Sgrò.

La causa occasione la mozione "Promozione sociale Arci", presentata dal centro sinistra, perché l’amministrazione comunale non aveva, effettuato in tempo debito una presa d’atto su una iniziativa dell’Arci, finanziata dalla Comunità europea con 249 mila euro per venire incontro alle esigenze dei figli di detenuti e di altri soggetti svantaggiati. Una presa d’atto, che non è mai arrivata, che rischiava di far perdere il finanziamento. A relazionare Paolo Gargaglione della Margherita, che era uno dei firmatari della mozione. L’assessore alla P.I. Angelo Moceri, nel suo intervento dichiarava che il comune, con il progetto dell’Arci, veniva espropriato di suoi compiti, mentre l’associazione si era rivolta alla Provincia, da qui la risposta negativa della giunta.

Paolo Garofano dei Ds, documenti alla mano, dimostrava che l’assessore regionale D’Aquino, di centro destra, aveva stabilito con decreto che il comune doveva effettuare solo una presa d’atto, mettere a disposizione un locale. Un dibattito che vedeva l’intervento di Cammarata dell’Udc, che dichiarava che al comune costava qualcosa quel progetto (la messa a disposizione dei locali). Al momento dell’intervento di Colaleo della Margherita, c’erano a più riprese i tentativi di Paolo Colianni di intervenire.

Mario Sgrò lo vietava perché per regolamento aveva già parlato l’assessore Moceri, per cui non gli si poteva dare la parola. C’era un batti e ribatti con Paolo Colianni che invitava il presidente del consiglio ad espellerlo dall’aula, cosa che avveniva con la collaborazione di un vigile urbano presente. Abbandonava l’aula anche l’assessore Moceri, rimanevano al suo posto il vice sindaco Salamone, gli assessori Gagliano, Tuminelli e Carabotta.

Caltanisetta: protesta da parte della Polizia penitenziaria

 

La Sicilia, 7 luglio 2004

 

Gli appartenenti al corpo aderenti al Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, e non solo, in servizio presso la Casa circondariale di Caltanisetta, riunitisi in assemblea lo scorso 21 giugno ed hanno deciso per oggi di effettuare un sit-in di protesta davanti l’Istituto nisseno alle ore 10.

Tale decisione è stata presa per protestare contro un’amministrazione indifferente alle problematiche che affliggono i poliziotti penitenziari di Caltanisetta. La Polizia Penitenziaria ha riassunto le sue posizioni parlando di "Difficili condizioni di operatività, al di sotto dei livelli minimi di sicurezza, a causa dello sconsiderato invio in missione, in altri istituti della Regione, di oltre 33 unità e alla disastrosa organizzazione del lavoro della dirigenza"; inoltre viene lamentato " il mancato rispetto dell’accordo quadro nazionale, con riferimento all’assenza di rotazione nei posti di servizio e all’iniquità della direzione nell’assegnare i turni pomeridiani, notturni e festivi.

Altro aspetto è "l’abbandono in cui è stato lasciato il N.T.P. a causa dell’assenza del coordinatore e del suo vice, nonostante in istituto operino numerose unità adatte all’incarico". Il sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria ha poi lamentato, oltre "al metodo adottato dalla direzione nella formulazione dei "giudizi complessivi per il 2003", che ha stabilito un abbassamento del punteggio al singolo in base alle assenze per malattia, mascherando tale pratica con motivazioni che offendono l’impegno e la serietà con cui si opera nell’istituto penale". Lamentele anche per i presunti "scandalosi favoritismi nelle assegnazioni di punteggi inesistenti nella mobilità interna; nella mancanza di pari opportunità nel lavoro e nello sviluppo professionale del personale in servizio, col dimezzamento degli anticipi di missione e con il ritardo nella liquidazione delle spettanze che li ha costretti a presentare, già nel mese di marzo 2003, un decreto ingiuntivo nei confronti della direzione, che, da otto mesi, non pagava le missioni.

È stato poi lamentato "la mancata applicazione (obbligatoria) del decreto legislativo 626/994 sulla sicurezza, igiene e salubrità del posto di lavoro, con grave danno per tutto il personale in servizio nella struttura, nel servizio di sentinella", nonché "la mancata predisposizione di strumenti elettronici capaci di assicurare la vigilanza esterna dell’istituto, oltre alla "mancata verifica, del provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, di irregolarità denunciate nel dicembre del 2003 dalla maggioranza delle OO.SS. e tutt’oggi non sanate".

Roma: cooperative impegnate nell’inserimento soggetti deboli

 

Redattore Sociale, 7 luglio 2004

 

Una "delibera quadro" della Provincia di Roma sulla cooperazione sociale, mirata a promuovere sviluppo e occupazione sostenendo le attività delle cooperative sociali impegnate nell’inserimento lavorativo di soggetti deboli: persone con disabilità, ex detenuti, ex tossicodipendenti.

Il documento siglato dalla Giunta provinciale si impegna a riservare il 5% degli appalti di forniture di servizi e di beni alle cooperative sociali nei settori dell’ambiente, della cartellonistica, dell’informatica e della formazione, tramite la stipula di convenzioni finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate. La delibera è stata illustrata ieri pomeriggio al Centro Congressi Frentani, nel corso del convegno "La Provincia di Roma e l’impresa sociale integrata: prospettive per lo sviluppo e l’occupazione", promosso dal Forum Regionale sulle Disabilità del Lazio, insieme ai consorzi di cooperative sociali Co.in, Integra, Sintesi, Solaris e Sol.co Roma, con il patrocinio della Provincia di Roma.

"L’integrazione lavorativa delle persone disabili è un punto determinante su cui lavorare se si ha cuore il futuro e la qualità della vita di questi cittadini. Sono 3 milioni i cittadini italiani disabili, pari al 4% della popolazione, e la maggior parte vive in famiglia visto che solo il 16% lavora", ha ricordato Mario Dany De Luca, portavoce del Forum Regionale sulle Disabilità del Lazio, aggiungendo: "La Delibera quadro provinciale offrirà opportunità concrete per l’inserimento lavorativo dei soggetti deboli. Un’apertura importante e significativa dell’Istituzione Provincia verso le cooperative sociali che operano per l’integrazione e la formazione sociale e lavorativa di queste persone. Un’opportunità da cogliere e da cui partire per un discorso più ampio che possa investire tutta la Regione, perché il nostro obiettivo è abbattere la dimensione di periferia sociale in cui per tanti anni è stato relegato il mondo dell’handicap".

Il Forum si occupa anche del "dopo di noi": il 15% delle famiglie italiane è direttamente coinvolto in situazioni di disabilità; solo il 16% dei disabili italiani e 300mila invalidi civili hanno un lavoro; il 50% dei disabili che vive in famiglia è in situazione di gravità. Il Forum vuole rispondere a questo problema, promuovendo una rete integrata regionale che offra soluzioni e progetti di residenzialità per permettere alle persone con disabilità gravi di vivere in condizioni di autonomia e socialità.

Bergamo: detenuto semilibero apre bar-prigione "l’ora d’aria"

 

L’Eco di Bergamo, 7 luglio 2004

 

L’ha chiamato ironicamente "l’ora d’aria" e aprirà a giorni. È il bar che un detenuto in semilibertà, Alfredo Bigiani, sta per aprire a Pedrengo con la moglie Bruna. Non è un bar qualsiasi, e non solo per il nome: nell’allestimento ricorda un carcere, con tanto di sbarre e lenzuola annodate. Bigiani, 46 anni, dei quali 27 vissuti in cella tra Pianosa e Fossombrone, è stato condannato a 30 anni di carcere per una serie di rapine, e finirà di scontare la pena - se prima non arriverà- la grazia chiesta al Capo dello Stato - nel 2007.

Intanto, il detenuto-poeta (una sua raccolta di poesie ottenne il premio internazionale Gronghi 2001), lavora come magazziniere alla Basella di Urgnano. Proprio ironizzando sulla sua vita di detenuto, Bigiani ha pensato di allestire proprio come una prigione il bar nel quale intende lavorare con la moglie. Insomma, una volta scontata la pena, passerà dall’altra parte del bancone. E, assicura: i prezzi non saranno da rapina.

 

Napoli: Premio "Glocal" 2004 con al centro la legalità

 

Il Mattino, 7 luglio 2004

 

Si aprirà nel segno della legalità l’edizione 2004 del Premio Napoli, "parola d’ordine e leit-motiv di tutta la rassegna", come sottolinea Ermanno Rea, presidente della Fondazione che dall’anno scorso ha varato la nuova formula del Premio, basata sulla rete dei comitati di lettura e sulla scelta di piazza Dante come spazio d’incontro tra scrittori e lettori.

E sono stati proprio loro, i lettori, a scegliere il tema della legalità come filo conduttore della cinquantesima edizione. "Perché non c’è cultura senza legalità, e non ci può essere legalità senza cultura - afferma Rea - E una città come Napoli, esposta al problema come le altre e in qualche caso più delle altre, deve saper declinare questa parola in tutte le forme possibili".

Si comincia, quindi (il 15 settembre), con il convegno "Ascolto il tuo cuore, città", durante il quale la preside della Facoltà di Sociologia della "Federico II" Enrica Amaturo e il sociologo Enrico Pugliese renderanno noti e commenteranno i risultati dei due sondaggi promossi dalla Fondazione in collaborazione con la stessa facoltà di Sociologia, i quotidiani "Corriere del Mezzogiorno", "Il Mattino" e "La Repubblica", e l’Istituto italiano per gli studi filosofici.

Il giorno dopo quaranta narratori, poeti e saggisti italiani racconteranno la legalità in piazza Dante, in uno spettacolo al quale parteciperanno musicisti e attori, con la conduzione di Serena Dandini e Francesco Durante. Secondo una formula già sperimentata l’anno scorso, non mancherà l’incontro al carcere di Secondigliano con i comitati di lettura costituitisi tra i detenuti. Il 17 a Castel dell’Ovo, invece, saranno coinvolti i rappresentanti della città, Provincia e Regione, per un’intervista pubblica (da parte dei direttori dei quotidiani stranieri) sul tema: "Quale futuro per il centro storico di Napoli e del suo porto?".

Ancora spettacolo a piazza Dante, con "Libri in scena", condotto da Silvio Orlando e diretto da Armando Pugliese, ispirato alle opere dei finalisti. Gli autori incontreranno i lettori nella giornata conclusiva (il 18), sempre a piazza Dante, in attesa della premiazione serale. Premio Napoli, dunque, che anche nell’edizione di quest’anno, come ha sottolineato il vicedirettore Silvio Perrella "conferma la sua vocazione a guardare il mondo restando fortemente radicato nella città".

Ottica glocal e coinvolgimento della città: restano invariati formula e spirito del nuovo corso del Premio Napoli? "Perché cambiare? - risponde Rea - L’iniziativa dell’anno scorso ha riscosso consenso e partecipazione di base. Puntiamo a migliorare nel segno della continuità, perché ciò di cui ha più bisogno Napoli è stimolare l’aggregazione, i motivi d’incontro e la crescita democratica attorno al libro".

Vittorino Andreoli a giudizio per affermazioni nel libro "Delitti"

 

L’Arena di Verona, 7 luglio 2004

 

Per due volte il pubblico ministero ha chiesto l’archiviazione. Per due volte il gup di Bergamo l’ha respinta, in entrambi i casi disponendo che il magistrato formulasse il capo di imputazione. Ieri la decisione al termine dell’udienza preliminare: lo psichiatra veronese Vittorino Andreoli a fine ottobre comparirà davanti al giudice del tribunale di Bergamo per rispondere del reato di diffamazione. Perché nel libro "Delitti" che "narrava" di orrendi delitti compariva, con nome e cognome, un legnaghese che non era mai entrato nemmeno nell’inchiesta sull’atroce morte di una bimba di sette anni che il 21 gennaio 2000 venne sgozzata dal padre, Alessandro Montanaro, condannato a 30 anni di carcere.

Un’indagine doppia perché la casa editrice, nonostante l’invito a togliere quel nome - dopo che in settembre scorso era stata fissata l’udienza preliminare per la diffamazione - ristampò il libro. E il nome di quel signore di Legnago che con l’omicidio di Arianna non aveva nulla a che fare ricomparve nuovamente collegato a quella storia aberrante. Si trattava della pubblicazione della perizia sullo stato psichico del padre omicida che venne affidata allo psichiatra veronese. Il processo fu celebrato in camera di consiglio ma il dottor Andreoli pubblicò integralmente la sua perizia nella quale comparivano nomi e cognomi di persone che con l’indagine non ebbero mai a che fare.

"L’autore", scrisse l’avvocato Gianluca Vassanelli che rappresenta la parte offesa opponendosi all’archiviazione, "è uscito dall’ambito del diritto di cronaca, esimente che non varrebbe non trattandosi di un giornalista". In questo caso invece, osservò il legale, vennero utilizzati informazioni desumibili per ricostruzioni o ipotesi autonomamente offensive. Mentre il diritto di "narrare fa salvi i diritti di sensibili di terze persone". Insomma quelle che non c’entrano.

 

Gorizia: Consiglio Comunale contro insediamento Cpt

 

Melting Pot, 7 luglio 2004

 

Il Consiglio Comunale esprime netta contrarietà alla realizzazione di un centro di Temporanea Permanenza a Gradisca d’Isonzo e comunque in qualsiasi altra località in Fvg ed in Italia.

Esprime disappunto per l’insensibilità dimostrata dal Governo nei riguardi della Comunità di Gradisca d’Isonzo che attraverso il suo Consiglio Comunale per ben due volte ha ribadito la contrarietà alla realizzazione di una struttura di questo tipo che non è altro che luogo di detenzione che costringe a vivere i detenuti in condizione di marginalità e la comunità locale in uno stato di forte disagio e di preoccupazione per quanto riguarda la sicurezza.

Il Consiglio Comunale ritiene di dover rigettare la proposta di realizzazione di questo e di tutti gli altri Cpt che attraverso la legge Bossi-Fini questo Governo intende utilizzare come strumento per risolvere il problema della immigrazione clandestina

 

Chiede

 

Al Governo ed al Parlamento di attuare immediatamente una sospensione della realizzazione del Ctp di Gradisca d’Isonzo ed una moratoria sulla realizzazione di nuovi Ctp e di avviare nel contempo una riflessione sulla efficacia e quindi sulla esistenza stessa dell’Istituto del trattenimento nei Ctp;

Alla Regione Fvg di prendere formalmente posizione contro ogni sito di tale genere sul proprio territorio;

Al Governo di rispettare la capacità di autodeterminazione della Comunità di Gradisca d’Isonzo;

Alle Amministrazioni locali ed alla Provincia di Gorizia, di esprimere la massima solidarietà alla Comunità di Gradisca nelle forme e nei modi ritenuti più idonei;

Ai deputati e Senatori del Collegio di Gorizia e comunque di tutto il Fvg di intraprendere tutte le possibili iniziative a livello Parlamentare;

A tutte le forze sociali, economiche, culturali, religiose e politiche del territorio di concordare assieme alla Amministrazione comunale iniziative e manifestazioni allo scopo di evitare l’apertura del Ctp.

 

Auspica

 

Che tutte le iniziative di protesta che si intendono avviare a qualsiasi livello vengano condotte nel rispetto della legge e della non violenza.

 

 

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