Rassegna stampa 20 luglio

 

Garante per i detenuti: in Gran Bretagna c’è da 10 anni

 

Liberazione, 20 luglio 2004

 

In Spagna, nei Paesi Bassi, nella Penisola scandinava ma anche in Gran Bretagna. In tutti questi Paesi, il Garante nazionale dei detenuti è un’istituzione attiva già da tempo. "Abbiamo appena compiuto il decimo anno di età", precisa Stephen Shaw, difensore civico inglese. E lo dice senza nascondere la sua soddisfazione. Perché questo anniversario è stato festeggiato con un bilancio positivo. "In dieci anni abbiamo avviato inchieste su un terzo delle segnalazioni ricevute. E solo una bassissima percentuale dei nostri ricorsi - spiega - è stata respinta".

 

In media, quante segnalazioni ricevete? E quali sono le questioni più frequenti?

L’anno scorso, ad esempio, ne abbiamo raccolte 3mila. I problemi riguardano la vita quotidiana. Questioni di sicurezza, permessi temporanei, qualità del regime carcerario, richieste di lavoro. Ma ci sono arrivate anche denunce di violazioni dei diritti umani, presunti abusi fisici o atti di razzismo.

 

Che succede quando ricevete denunce di questo tipo?

Innanzitutto, bisogna verificarle. Ed è sempre complicato. Poi, quando riteniamo di aver raggiunto un’opinione il più possibile indipendente, segnaliamo il tutto alle autorità competenti. Nei casi estremi, se viene accertata la responsabilità, il personale penitenziario rischia anche di perdere il posto di lavoro.

 

Voi avete la possibilità di entrare nelle carceri?

Certo. Io esorto sempre il mio staff ad andare direttamente nella struttura da cui proviene la segnalazione. Solo così si può avere una percezione diretta dell’ambiente.

 

Su quante persone può contare?

Ormai ho uno staff di 50 investigatori speciali.

 

Da chi dipende l’ufficio del Garante?

Direttamente dal nostro ministero dell’Interno. Io ho un mandato di 5 anni, rinnovabile.

 

I vostri compiti si sovrappongono con quelli di altre figure?

Può capitare di toccare questioni di competenza di altri enti, ma non abbiamo particolari problemi. Ad esempio, riceviamo segnalazioni sui ritardi per le visite mediche in carcere. Ma per la Sanità esiste un difensore civico ad hoc.

 

Ci sono più Garanti, quindi...

Sì, e credo che questa sia la strada giusta. Perché maggiore è la specializzazione, più si costruiscono relazioni profonde tra le strutture.

 

Anche da voi, però, esistevano già altre figure deputate al monitoraggio del rispetto dei diritti dei reclusi. Perché secondo lei è necessaria la presenza di un difensore civico?

Perché ritengo fondamentale avere corpi indipendenti che guardino all’interno di strutture chiuse. Si sa che possono diventare crocevia di abusi e corruzione. E queste cose succedono di meno se c’è chi controlla e indaga.

 

Circa due mesi fa, scoppiava lo scandalo di Abu Ghraib, le torture sui prigionieri iracheni. Cos’ha provato chi, come lei, lavora ogni giorno per la difesa dei diritti detenuti?

Vergogna e indignazione. Tuttavia proprio di fronte a questi scandali, ribadisco che bisogna prevenirli. Ogni carcere è un potenziale luogo di violenza e di abusi. E allora, a maggior ragione dopo la vicenda delle torture in Iraq, si impone la necessità di avere supervisori nei penitenziari. Perché non siano del tutto strutture chiuse.

Milano: stop alle espulsioni, caos in via Corelli

 

Corriere della Sera, 20 luglio 2004

 

Stop alle espulsioni. Gli irregolari dovranno essere accolti nei centri di accoglienza temporanea. E’ quanto dirà, giovedì mattina, la circolare del Viminale alle questure italiane, dopo la pubblicazione sulla gazzetta Ufficiale della sentenza della Consulta che ha cancellato due articoli della Bossi-Fini. Così i clandestini non potranno più essere imbarcati sugli aerei con destinazione Paesi di origine, ma dovranno essere accompagnati nel centro di accoglienza temporanea di via Corelli. Una direttiva che preoccupa non poco: si teme il collasso perché la struttura è già al massimo della capienza. "I nostri posti letto - spiega il commissario provinciale della Croce Rossa, Alberto Bruno, che gestisce del centro - sono 140 e 140 sono gli stranieri che li occupano. Quindi non abbiamo recettività. Con questo provvedimento aumenterà il giro degli immigrati nei vari centri di accoglienza italiani: dove ci saranno i posti, verranno accolti". Così la mancata approvazione da parte del Governo del decreto che doveva correggere le norme, rende impossibile rimpatriare gli irregolari e impedisce di far finire in carcere chi, nonostante sia stato trovato senza permesso di soggiorno, non abbia lasciato il territorio italiano.

"Se il numero degli ingressi dovesse aumentare rispetto alle previsioni - spiega Gabriele Messina, responsabile immigrazione dei Ds - bisognerà ragionare su soluzioni alternative. Forse potrebbe rendersi necessario il recupero di alloggi per ospitare gli extracomunitari che arriveranno senza averne i requisiti. Il rischio? Che le forze dell’ordine non fermino più nessuno, tanto non si può arrestare chi ha già avuto il decreto di espulsione. Quindi non si potrà espellere e non si potrà ospitare nei centri, perché al collasso. Di fatto, tutto questo è la dimostrazione del fallimento della legge Bossi-Fini. Vorrei anche aggiungere che il centro di via Corelli, che non è un carcere, dovrebbe essere aperto ai media, essere più trasparente".

Qualche settimana fa aveva espresso preoccupazione anche il prefetto Alessandro Pansa, responsabile del dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno.

"L’analisi della presenza di clandestini - ha sottolineato - è stata effettuata attraverso un campione significativo come quello delle 700 mila domande di regolarizzazione e quello delle persone espulse negli ultimi anni. IL 15 per cento degli irregolari è entrato nel nostro paese superando i controlli ai varchi di frontiera, con documenti falsi o nascondendosi nei mezzi di trasporto. Il 10 per cento è arrivato via mare e il 75 per cento è rappresentato dagli over stayers, cioè da chi è rimasto anche oltre la scadenza del permesso".

Al centro di accoglienza temporanea di via Corelli c’erano già state tensioni un paio di mesi fa, con uno sciopero della fame per protestare contro le "espulsioni facili". E i commissariati e l’ufficio Immigrazione della questura erano già al collasso pur non avendo responsabilità oggettive: troppi permessi scaduti da rinnovare e cronica carenza di organici per far fronte all’esigenza.

"L’impotenza del Governo - dice Fulvio Colombo, della segreteria Cisl - è ormai consolidata. Non si risolve il problema con una direttiva che scarica sulle forze dell’ordine le responsabilità dei politici, con i cittadini che, ancora una volta, subiscono".

Gran Bretagna: immigrato impiccato in centro permanenza

 

Ansa, 20 luglio 2004

 

La morte di un detenuto in un centro detentivo per richiedenti asilo e immigranti clandestini ha innescato "gravi disordini" durante la scorsa notte. Lo riferisce in data odierna il ministero degli Interni britannico, precisando che numerosi membri dello staff del centro di Harmondsworth, nei pressi dell’aeroporto londinese di Heathrow, sono stati costretti ad abbandonare il centro per mettersi in salvo.

L’Home Office non ha specificato la natura dei disordini ma secondo la Bbc i detenuti avrebbero appiccato diversi incendi nell’edificio. Il ministero ha precisato che la situazione nel centro, che ospita circa 500 detenuti, ha cominciato a tornare alla normalità questa mattina.

La televisione ha mandato in onda le immagini di numerosi furgoni della polizia all’esterno del centro mentre agenti antisommossa e cani poliziotto entravano nell’edificio. Un elicottero della polizia ha sorvolato il centro ininterrottamente. Al momento non è stata riportata alcuna notizia relativa ad eventuali feriti.

L’incidente è scoppiato ieri, intorno alle 20, dopo il ritrovamento di un richiedente asilo impiccato. La polizia ha aperto un’indagine sulla morte del detenuto aggiungendo di non ritenere che si tratti di un suicidio.

Il centro di Harmondsworth ospita persone detenute dal Centro di immigrazione, clandestini o richiedenti asilo ai quali è stato negato il permesso di soggiorno e che sono in attesa di essere rimpatriati.

Gran Bretagna: la salute dietro le sbarre

 

Ansa, 20 luglio 2004

 

Uno studio ripreso dal British Medical Journal ha indagato lo stato di salute dei giovani detenuti in prigione, una tipo di ricerca alquanto particolare che non ha precedenti. Ne emerge una situazione abbastanza critica che solleva importanti questioni etiche.

L’Inghilterra e il Galles, i paesi nei quali si è svolto lo studio, hanno una quantità di minori di 18 anni in prigione maggiore che in tutto il resto d’Europa, 2633 alla fine del 2002, incluse 106 ragazze in prigioni femminili.

La valutazione dello stato di salute dei ragazzi in prigione ha evidenziato che il 25-33 per cento lamenta disturbi fisici cronici. Circa l’80 per cento fuma regolarmente e due terzi dei maschi e metà delle femmine assume elevate quantità di alcol e droghe illegali. Un 10 per cento ha ammesso di avere comportamenti autolesionisti e di aver tentato il suicidio.

Vicenza: Mazzocchin (CNCA): educare, non incarcerare

 

Il Gazzettino, 20 luglio 2004

 

Sono finite le scuole, gli impegni per i nostri ragazzi si sono ridotti e per le famiglie cominciano i "pensieri". Se a lavorare sono entrambi i coniugi, per i più piccoli funzionano egregiamente Grest, centri estivi e attività varie (vedi articolo a lato). Tengono occupati e fanno divertire i ragazzi per l’intera settimana, in attesa che arrivino le ferie anche per i genitori.

Ma tra i più grandicelli, quelli delle superiori per capirci, sono pochi quelli che hanno un lavoretto, e il più delle volte è concentrato nel fine settimana. Per chi fa parte di associazioni di volontariato, per chi frequenta l’oratorio o segue attività culturali, una o due settimane fino a settembre sono già impegnate. Per tutti però, il tempo da occupare in maniera utile e rilassante rimane tanto.

Da qui sorgono le preoccupazioni delle famiglie, perché a volte nascono amicizie e si formano compagnie non sempre cristalline. Le lunghe notti estive al bar, in birreria o nei parchi, possono essere l’inizio di percorsi equivoci.

Sono argomenti molto familiari a Oscar Mazzocchin, da una vita al fianco dei ragazzi, con la passione per la formazione delle giovani leve del domani. "Quello che ci preoccupa di più non è il primo spinello ma la quinta birra. Se da una parte gli esperti non hanno ancora stabilito il nesso diretto tra bravata della sigaretta con l’avvio alla tossicodipendenza, è invece assodato il rapporto tra etilismo e disordine generale di vita, con quel che ne consegue in fatto di stragi del sabato sera o tafferugli notturni fuori della discoteca".

Mazzocchin, presidente della Cooperativa Adelante e membro del comitato regionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), va dritto al cuore della questione formativa: la strada della punizione e della repressione non porta da nessuna parte.

"La proposta di legge Fini in materia di tossicodipendenze, ormai giunta in dirittura d’arrivo, produrrà sconquassi tremendi, azzererà il lavoro fatto con enorme fatica in questi anni, manderà in carcere ragazzi con pene pesantissime. Con l’aggravante dell’ipocrisia, in quanto sono previste pene alternative al carcere, ma di fatto la legge in questione non destina fondi per le comunità di accoglienza presso cui iniziare percorsi di recupero. Quindi, non rimane che la galera".

Una scelta che non tiene conto di quanto ha ribadito recentemente l’assessore regionale Antonio De Poli, che a nome di tutti gli Assessorati ai servizi sociali d’Italia, ha chiesto di investire sulla prevenzione piuttosto che sulla repressione.

E per fare prevenzione occorre affiancare ai ragazzi persone adulte significative, creare opportunità di aggregazione alternative ai pub, alle discoteche, alle strade. Mazzocchin si infervora quando ricorda la campagna "Non incarcerate il nostro futuro", intrapresa tempo fa per riaffermare l’importanza di intervenire prima del carcere. "Dobbiamo dare vita ad una alleanza virtuosa per il bene e a servizio dei nostri giovani: non bastano più le agenzie educative tradizionali, come la famiglia, la scuola, la parrocchia, ma è tutta la città e l’intera collettività che devono farsi carico dei propri ragazzi.

Ecco perché abbiamo coinvolto l’Usl 3 con i suoi 28 comuni: assieme abbiamo costituito un coordinamento che, sul versante della prevenzione dei minori sta dando buoni frutti grazie ad una decina di progetti a sostegno dell’educazione e della prevenzione, condotti presso scuole, strade e locali con i nostri operatori di strada e i nostri formatori. L’area marosticense, con i comuni di Cassola, Romano e Mussolente, ha dato vita ad altri due progetti che sono giunti a frutto proprio in questi giorni con un motoraduno di scooter a Marostica".

Si è trattato di una iniziativa esemplare, in quanto espressione di una istanza fondamentale dei giovani che chiedevano di avere spazi e occasioni per aggregarsi, per parlare dei loro interessi, per vivere e gustare il valore dell’amicizia. Questa è la vera alternativa allo spinello o allo sballo da alcool. E questo è anche il metodo di lavoro che va incoraggiato: secondo Mazzocchin è fondamentale agire prima del carcere, lavorare per il benessere sociale dei nostri giovani, pensando alla loro esigenza di grande mobilità.

"Non ha più senso quindi, che ogni Comune avvii iniziative autonome, ma occorre creare un tavolo di pensiero, dove pubblico e privato sociale si confrontino su un progetto educativo ben preciso. Ci manca, nel bassanese, un momento nel quale fare sintesi, un luogo dove mettere in comune le richieste dei giovani e abbattere i luoghi comuni che noi adulti abbiamo costruito".

Sul tavolo di Mazzocchin c’è il ritaglio del Gazzettino nel quale Federica Finco, neo assessore ai servizi sociali e alla condizione giovanile, annuncia la volontà di aprire un ufficio per ascoltare i giovani. "È un’ottima cosa, perché manca qualcuno che dia loro retta, che crei occasioni per esprimersi con la musica (con sale prova gratuite), con l’arte, con la cultura. Penso ad esempio ad Operaestate che potrebbe creare occasioni di interesse per i giovani. Alla professoressa Finco chiedo di farsi promotrice di un Osservatorio permanente sulla condizione giovanile, e così monitorare le situazioni di disagio del nostro territorio. Non è una richiesta peregrina: il 10 per cento delle famiglie bassanesi vive con un problema di disagio giovanile in casa. La matematica non è un’opinione e con i tagli alle risorse previsti dalla nuova Finanziaria, la nostra società dovrà affrontare grossi problemi di disagio giovanile. Costruiremo più carceri?".

Brescia: i detenuti debuttano a teatro

 

Giornale di Brescia, 20 luglio 2004

 

Per il progetto Carcere Uisp, sostenuto da direzione carceraria, Provincia di Brescia, Regione Lombardia, oggi nella sala - teatro di Canton Mombello, dalle 14 alle 16, si svolgerà una particolare iniziativa: andrà in scena "Hosteria Babele", spettacolo realizzato da circa 15 detenuti. L’iniziativa è frutto del laboratorio teatrale (durata biennale con incontri settimanali) in collaborazione con il Teatro del Nulla e il regista Massimiliano Abile.

Oggi sarà la prima rappresentazione del percorso, che verrà perfezionato e arricchito nei mesi futuri, per essere proposto in un contesto esterno. Un percorso difficile ed affascinante che affianca quello in atto a Verziano con le detenute, a conferma dell’interesse della popolazione reclusa verso il teatro (sono 107 le compagnie di detenuti su 206 istituti italiani).

Oggi si svolgeranno anche le premiazioni del 21° torneo di calcetto e dell’11° torneo di tennis, svoltisi nei mesi scorsi nella sezione Sud del carcere cittadino tra squadre di reclusi e gruppi esterni. Il progetto Uisp continua in estate a Verziano con corsi di volley, ginnastica, biodanza. Dopo la positiva esperienza di giugno, a settembre verrà riproposto il torneo di volley tra detenute ed atlete esterne.

 

 

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