Rassegna stampa 29 giugno

 

Castelli - Lunardi: 461 milioni di euro per l'edilizia carceraria

 

Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2004

 

Le costruzioni faranno finanziate con la vendita delle strutture dimesse. Di seguito sono elencati i costi previsti per la costruzione delle nuove carceri.

 

Camerino

34.490.000 €

Sala Consilina

33.053.000 €

Pinerolo

40.238.000 €

Sciacca

33.057.000 €

Lanusei

51.645.000 €

Paliano

39.250.000 €

Modica

33.053.000 €

Nola

51.645.000 €

Avezzano

33.063.000 €

Mistretta

33.053.000 €

Catania

79.000.000 €

 

Vale teoricamente 461 milioni il primo "piano carceri" affidato dai ministri di Giustizia, Roberto Castelli, e delle Infrastrutture, Pietro Lunardi, a Dike Aedifica, la società controllata da Patrimonio Spa, con la convenzione firmata il 16 giugno. Teoricamente, perché, come precisa la stessa Patrimonio Spa, il piano non dovrà gravare sulle casse statali e dovrà essere invece finanziato con la vendita di altre strutture carcerarie dismesse e affidate alla stessa Patrimonio.

Le prime undici strutture trasferite a Patrimonio Spa, con un decreto dell’Economia dei 17 febbraio 2004, per essere alienate, valgono poco più di 20 milioni e andranno via via all’asta per essere alienate: si partirà, probabilmente, da un primo bando per 4 - 5 strutture, a metà luglio.

Il primo tentativo di vendita fatto con la casa circondariale di Ferrara, messa in vendita insieme ad altri immobili nell’asta promossa da Patrimonio a metà maggio, non ha prodotto, per altro, esiti per assenza di offerte. L’asta di metà luglio consentirà quindi di capire se la mancata vendita di Ferrara sia una momentanea battuta d’arresto oppure prefiguri una difficoltà più generale a vendere strutture non facili da riconvertire, in assenza di un progetto di valorizzazione già definito e concordato con gli enti locali.

I nuovi istituti penitenziari affidati in progettazione e costruzione a Dike Aedifica sono undici. I poteri affidati alla società guidata da Vico Valassi (ex presidente Ance) dall’articolo 2 della convenzione firmata con Castelli e Lunardi sono molto ampi: effettuazione di studi in materia di edilizia penitenziaria; rilevazione delle esigenze di edilizia penitenziaria e definizione degli obiettivi e delle priorità; individuazione delle aree; anche attraverso la promozione di intese con gli enti locali interessati, per attuare le dismissioni e reperire le aree per la localizzazione dei nuovi istituti; progettazione degli interventi; realizzazione degli interventi; manutenzione ordinaria e straordinaria; prestazione di servizi inerenti la dismissione di immobili di edilizia penitenziaria.

Il modello è quello, assai diffuso negli anni 80, della "concessione di committenza" come quelle affidate a Italposte e Italsanità, cui vennero trasferiti i poteri pubblici di stazione appaltante. Un modello spazzato via poi negli anni 90 da Tangentopoli, dalle direttive Ue sugli appalti e dalla legge Merloni, che ha azzerato le "concessioni di committenza".

Nel caso di Dike Aedifica, i poteri affidati dalla convenzione sono addirittura più ampi di quelli di un concessionario di committenza, considerando che, alla lettera, la società potrebbe progettare e costruire anche direttamente le nuove carceri. Eventualità che, per altro, viene esclusa da Patrimonio Spa: non si faranno appalti in house, cioè realizzati direttamente dalla società, ma tutti i lavori saranno affidati a terzi, mediante procedura di gara.

Luana Zanella (Verdi): Governo risolva travagliato caso Dorigo

 

Il Gazzettino, 29 giugno 2004

 

La deputata verde Luana Zanella ha presentato un’interrogazione al ministro della giustizia sul caso del detenuto Paolo Dorigo, che dal ‘93 sta scontando una condanna di 13 anni e 6 mesi di reclusione. Nell’interrogazione Zanella spiega che Dorigo è al centro di un travagliato caso giuridico internazionale in quanto, dopo la sua condanna, instaurò un procedimento presso la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che sfociò nella nota sentenza con cui la corte gli riconosceva di non aver ricevuto un giusto processo e definì la sua situazione processuale e giuridica da rivalutare ai sensi del giusto processo.

"È dunque dal ‘99 - spiega Zanella - che ogni sei mesi, il comitato dei ministri presso il consiglio d’Europa ingiunge l’ammonizione a celebrare in suo favore un giusto processo. A rendere ancora più tragica la situazione, sono inoltre le assai precarie condizioni sanitarie fisiche e psichiche di Dorigo per le quali sono state richiesti una serie di faticosi e dolorosi accertamenti clinici".

"Il Governo italiano – conclude Zanella – ha il dovere di farsi carico della drammatica condizione carceraria di Dorigo accettando l’ennesimo invito del comitato dei ministri del consiglio d’Europa ad assumere "iniziative legislative conformi" alle raccomandazioni in tema di salvaguardia dei diritti dell’uomo tese al riesame o alla riapertura dei procedimenti, visto che la parte lesa continua a subire conseguenze "molto negative" di un processo non equo".

Sulmona: muore suicida l'ergastolano Francesco Di Piazza

 

La Sicilia, 29 giugno 2004

 

Si è suicidato nel super carcere di Sulmona Francesco Di Piazza, 58 anni, condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa. Era ritenuto componente del clan di Giovanni Brusca.

Di Piazza si è impiccato alla grata della sua cella. Era stato trasferito nel marzo scoro dal carcere di Lanciano (Chieti). L’allarme è stato dato da un agente di polizia penitenziaria il quale nel normale giro di conta ha trovato Piazza appeso con i lacci delle scarpe attorno al collo.

L’uomo era ancora in vita, ma è morto durante il trasporto d’urgenza all’ospedale di Sulmona mentre i medici tentavano di rianimarlo. Sull’episodio la Procura ha aperto un’inchiesta disponendo l’autopsia. Francesco Di Piazza era considerato un detenuto tranquillo e non aveva mai dato l’impressione di voler mettere in atto episodi autolesionistici.

Francesco Di Piazza era considerato il capomafia di Giardinello, un paesino della provincia di Palermo ed anche un sicario al servizio del boss Giovanni Brusca. Padre di due figli di 14 e 15 anni, titolare di un’ azienda agricola, era stato arrestato nel 1996 dopo le dichiarazioni di Giovanni Brusca e Cosimo Mazzola. Negli ultimi anni ha avuto diverse condanne fra cui 30 anni per l’ omicidio di Antonio Di Caro, un laureato in agraria ritenuto uomo d’ onore di Canicattì (Ag), ucciso e poi sciolto nell’ acido nel giugno del 1995. Questo delitto avrebbe rappresentato il battesimo del fuoco per Giovanni Riina, figlio del capomafia Totò.

Di Caro sarebbe stato attirato in una trappola da Giuseppe Lo Bianco, che lo avrebbe accompagnato nella stalla di Di Piazza a Giardinello, dove venne strangolato da Leoluca Bagarella e poi sciolto nell’ acido. All’agguato erano presenti, secondo i pentiti, Riina, Vitale, Lo Bianco e Di Piazza. "Giovanni Riina venne apposta - ha ricordato Giovanni Brusca - per l’ esecuzione dell’omicidio, in quanto lo zio (Bagarella ndr) gli voleva insegnare il mestiere". Di Piazza, secondo l’accusa, in quella occasione si occupò di sciogliere il corpo della vittima nell’ acido. La condanna all’ ergastolo gli era stata inflitta per una serie di omicidi avvenuti fra Corleone e Giardinello i cui retroscena sono stati svelati da Mazzola.

Vibo Valentia: protocollo su formazione universitaria in carcere

 

Il Giornale di Calabria, 29 giugno 2004

 

Avviare nuovi rapporti di collaborazione tra l’Amministrazione penitenziaria ed il mondo accademico e rafforzare quelli già esistenti: è questo l’obiettivo di un protocollo d’intesa che sarà sottoscritto giovedì pomeriggio a Vibo Valentia tra i rappresentanti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e delle Università della Calabria.

"Le intese - è scritto in una nota - si tradurranno in nuove opportunità di formazione universitaria per i detenuti, mediante la creazione di poli didattici in alcuni dei maggiori istituti penitenziari della Regione, nonché nella realizzazione di corsi di specializzazione per gli operatori penitenziari e di attività di ricerca scientifica che vedranno operare sinergicamente docenti universitari e penitenziaristi del Ministero della Giustizia".

Gli accordi saranno sottoscritti per il Ministero della Giustizia, il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, presidente Giovanni Tinebra e per gli atenei calabresi i Magnifici Rettori dell’Università della Calabria di Cosenza, dell’Università della Magna Grecia di Catanzaro e dell’Università per stranieri di Reggio Calabria.

Verrà inoltre sottoscritto il protocollo d’intesa tra l’ufficio scolastico regionale del Ministero della Pubblica Istruzione ed il Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria che prevede l’istituzione negli istituti dei poli di istruzione elementare, media e superiore.

Napoli: accordo Provveditorato dell’A.P. - Centro Giustizia Minorile

 

Il Mattino, 29 giugno 2004

 

Al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria della Campania (via Nuova Poggioreale 167) si è svolta una conferenza stampa nel corso della quale è stato sottoscritto l’accordo di programma tra il Provveditorato (PRAP) della Campania e il Centro per la giustizia minorile (CGM) per la Campania e il Molise.

L’accordo è stato siglato dal Provveditore regionale, Tommaso Contestabile, e dal direttore del CGM, Sandro Forlani ed è finalizzato a programmare azioni integrate per favorire l’unitarietà degli interventi nei confronti di quei minorenni con problemi di giustizia che, raggiunta la maggiore età, devono continuare a scontare la condanna in un carcere per adulti.

Nel corso della Conferenza stampa sono state, inoltre, illustrate le motivazioni dell’accordo e le modalità operative attraverso le quali il PRAP e il CGM cureranno l’inserimento dei giovani provenienti dal circuito penitenziario minorile, presso gli istituti penitenziari per adulti, i quali, grazie all’accordo di programma, saranno appositamente strutturati ed organizzati.

Sono intervenuti anche i magistrati dei Tribunali di Sorveglianza per adulti e per minori di Napoli e Salerno, i direttori degli istituti penitenziari della Regione Campania, nonché i direttori dei Centri di Servizio Sociale per Adulti e degli Uffici di servizio sociale per minorenni della Campania.

Napoli: siglato accordo per il reinserimento dei minorenni

 

Adnkronos, 29 giugno 2004

 

Sono 6.482 i detenuti nelle carceri in Campania, di questi almeno il 30% sono compresi nella fascia d’età tra 18 e 25 anni. Alcuni di loro sono passati dalle strutture minorili a quelle per adulti. E anche per evitare che questa percentuale continui a crescere che oggi è stato siglato un accordo, primo in Italia, tra il settore della giustizia minorile e quella dell’amministrazione penitenziaria per adulti. Un accordo che, in sostanza, prevede una serie di azioni di reinserimento sociale per quei minorenni con problemi di giustizia che, raggiunta la maggiore età, devono continuare a scontare la condanna in un carcere per adulti.

A sottoscrivere l’accordo di programma sono stati il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Campania, Tommaso contestabile e il direttore del centro per la giustizia minorile per la Campania e il Molise, Sandro Forlani.

Trapani: detenuti - attori in scena nel teatro del carcere

 

La Sicilia, 29 giugno 2004

 

Non sono attrici ed attori di professione, anzi una professione non possono averla. Dovendo "pareggiare" i conti con la giustizia possono essere solo "detenuti", ma che hanno scelto una strada precisa per il loro futuro, quella della legalità.

Detenute e detenuti, attrici ed attori, sono stati ieri protagonisti sul palcoscenico del teatro all’interno della casa di reclusione di San Giuliano di una pièce teatrale, dedicata a Rita Atria. Una rappresentazione che ha preso spunto da un testo firmato da Gabriella Montemagno e che è stato messo in scena al termine di un lungo lavoro con la regia di Marco Marcantonio. Un testo dedicato a ripercorrere i pochi anni, 18, della vita di Rita Atria: la ragazza di Partanna che finì con il confidare al giudice Paolo Borsellino i segreti carpiti al padre e al fratello, tutti e due boss della mafia belicina, morti ammazzati in una faida, e che una settimana dopo la strage in cui il magistrato venne dilaniato con la scorta dal tritolo mafioso, decise di saltare giù dalla finestra di quella casa romana dove era stata costretta ad andare a vivere per le cose raccontate, lontano da quella sua casa di Partanna dove era rimasta a vivere vedova e senza figli la madre che per anni ha continuato a negare le parole di quella figlia che aveva deciso di ripudiare.

Rita Atria è stata descritta sulle pagine di tanti libri, poi ci sono stati i film e i testi teatrali. Ma quello che è stato messo in scena ieri pomeriggio nel carcere di San Giuliano non ha precedenti. Una rappresentazione che fa parte di un circuito di incontri e discussioni per la legalità. Per la direttrice del carcere si tratta di una scommessa vinta. La storia di quella fragile ma decisa ragazza del Belice ha vinto ogni resistenza e infranto coscienze che sembravano dovessero restare per sempre di ghiaccio.

La commedia di ieri è stata preceduta nei giorni scorsi da un incontro che ha visto faccia a faccia con detenute e detenuti Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime della strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985.

Forlì: orientamento, formazione e accompagnamento al lavoro

 

Corriere della Romagna, 29 giugno 2004

 

Questo l’obiettivo del protocollo firmato in questi giorni da Provincia e Comitato locale area penale adulti, composto da rappresentanti di: Provincia, Comuni di Forlì e di Cesena, Casa circondariale, Centro servizio sociale per adulti di Bologna, Servizio tossicodipendenze dell’Ausl di Forlì e Cesena e Commissione provinciale tripartita per le politiche del lavoro e della formazione. L’accordo promuove la rete locale dei servizi di inserimento e orientamento lavorativo per persone sottoposte a misure penali limitative della libertà.Secondo quanto prescritto dall’ordinamento penitenziario il detenuto può lavorare nel carcere o all’esterno, in "misura alternativa", ovvero in una forma di esecuzione della pena diversa da quella all’interno del carcere.

Le principali misure alternative alla detenzione, di cui godono attualmente 152 condannati in provincia, sono: l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà. "Il protocollo rafforza organismi già esistenti - spiega Novella Castori, responsabile dell’ufficio formazione professionale per utenze svantaggiate della Provincia - per costruire percorsi di inserimento, orientamento e formazione.

I reclusi hanno diverse problematiche, oltre a quella della detenzione, che vanno dalla tossicodipendenza all’alcolismo, al disagio sociale degli extracomunitari. È necessaria la competenza di diversi soggetti sociali, pubblici e privati, inseriti in una rete di servizi".

L’intesa appena siglata prevede convenzioni, colloqui informativi ed orientativi per ex-condannati e consulenza ai detenuti sui diritti in materia di lavoro. In particolare, lo sportello del lavoro del Comune coordina il "primo intervento conoscitivo e informativo sui condannati, raccogliendone il profilo", mentre la Provincia, tramite i Centri per l’impiego, favorisce l’incontro domanda-offerta di lavoro e agevola gli inserimenti lavorativi più adeguati ai profili.

Il ruolo dei Servizi tossicodipendenze delle Ausl di Forlì e Cesena è invece quello di valorizzare le necessità sociali e lavorative delle persone in esecuzione penale con problemi di tossicodipendenza e alcolismo, fornendo servizi di assistenza e controllo socio-sanitari e sostegno psicologico. Importante il ruolo delle associazioni di volontariato, che agevoleranno l’inserimento lavorativo dei detenuti accompagnandoli e garantendo loro assistenza e supporto logistico per l’acquisizione dei documenti, gestendo il rapporto con i datori di lavoro e promuovendo iniziative di inserimento occupazionale nel settore non profit.

"Analogo impegno - conclude Castori - viene dalle associazioni datoriali e sindacali, per collegarsi alle imprese del territorio e sensibilizzandole sulle agevolazioni legate all’assunzione di detenuti ed ex-detenuti".

Droghe: tredici giovani su cento ne fanno uso

 

La Nuova Sardegna, 29 giugno 2004

 

Tredici italiani su cento, di età compresa tra i 15 e 34 anni, fanno uso di droga. Uno studente su tre, alle superiori o all’università, si fa le "canne". E una parte, se pur minima, di popolazione segue la strada dei "meninos de rua" brasiliani: si sballa sniffando colla. Un quarto dei detenuti in carcere è tossicodipendente.

Questi sono solo alcuni dei dati più rilevanti che emergono dalla "Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia", realizzata dal Dipartimento nazionale per le politiche antidroga e che sarà consegnata a giorni al Parlamento.

Nella lunga relazione vengono riportati e analizzati i dati del ministero dell’Interno, della Difesa, della Salute e della Giustizia, nonché quelli forniti da differenti enti e istituti di ricerca. Un quadro che il capo del dipartimento Nicola Carlesi definisce, "particolarmente preoccupante". Specie se si analizzano cifre e dati che riguardano l’universo giovanile.

Dalla relazione emerge che il 13,2% degli italiani tra i 15 e i 34 anni fa uso di droga. La percentuale scende al 7,3% tra i 15 e i 54 anni, ma sale al 17% se si prende in considerazione la fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. Le sostanze più diffuse tra i 15 e i 34 anni(12,8%) sono hashish e marijuana. Il consumo di oppiacei si ferma allo 0,3 % della popolazione, mentre quello della cocaina raggiunge il 2,3%, crack incluso. Lo 0,7%, dei ragazzi si "cala" d’ecstasy e lo 0,6% preferisce gli allucinogeni. Stessa percentuale per chi sniffa colla lo 0,6% della popolazione. A scuola, alle superiori il 32,9% degli studenti - in una fascia d’età che va tra i 15 e i 19 anni - fa abitualmente uso di almeno una sostanza stupefacente. Dato che scende del 27,6%, se si considerano anche le ragazze. Il 27 per cento rolla hashish o marijuana. Il 4, 5 per cento sniffa cocaina e l’1, 1 % di giovani tra i 15 e i 19 anni che si è iniettato eroina. Il consumo dell’ecstasy è al 2,6% e quello di Lsd al 2,3%, mentre il 3,7%, nonostante l’età, prende abitualmente sedativi e ipnotici.

Due i dati positivi. Il primo: nel 2003 c’è stato un calo delle morti per droga rispetto al 2002. Sono 410 italiani e 19 stranieri rispetto ai 529 del 202. Un calo dunque del 17%. Il numero maggiore dei decessi tra i 30 e i 34 anni (84 morti) e oltre i 40 anni (80 morti). Cioè i consumatori che da anni facevano uso di droga. Il secondo dato buono: in diminuzione il numero dei minorenni tossicodipendenti Se nel 2002 erano 1.100 quelli che avevano avuto a che fare con centri di prima accoglienza, istituti penali e uffici di servizio sociale per minorenni e comunità, nel 2003 il numero si è fermato a 938.

E la droga non si ferma dietro alle sbarre. Più di un quarto dei detenuti nella carceri italiane è tossicodipendente: dei 54.237 detenuti (17.007 stranieri), infatti, 14.332 (3.190 stranieri) hanno problemi legati alla droga. Di questi la maggioranza sono uomini (13.709) mentre le donne sono "soltanto" 623. I detenuti tossicodipendenti malati di Aids sono 1.056. La droga, gira anche in caserma. nel 2003 i militari scoperti nell’utilizzare sostanze stupefacenti, sono stati 738. La percentuale più alta è al sud, con 322 soldati beccati dai superiori. Sono 126.983 le persone in carico ai Ser.T., un numero leggermente superiore a quello del 2002 (126.204). In cura nei Ser.T., calano i consumatori di eroina (da 123.154 a 120.134) e aumentano quelli di cocaina (da 10.625 a 14.087) e di cannabinoidi (da 14.056 a 16.490).

Toscana: dalla Regione arrivano aiuti alla Polizia Penitenziaria

 

Asca, 29 giugno 2004

 

Casa, trasporti, corsi di formazione. Sono alcuni dei problemi più urgenti della polizia penitenziaria che i rappresentanti della Funzione Pubblica di Cgil, Cisl e Uil hanno esposto oggi nel corso di un incontro con il presidente Claudio Martini.

"Nei limiti delle nostre competenze e disponibilità - ha assicurato Martini - sono d’accordo nell’avviare una logica di collaborazione, che ci porti a venire incontro alle esigenze che ci esprimete. Fate una sorta di mappa dei principali problemi, poi metteremo insieme una piccola task force, per giungere a un protocollo generale che io mi impegno a portare in giunta".

La Toscana - hanno ricordato i rappresentanti della polizia penitenziaria - è una delle regioni con la più alta densità di carceri: 19 istituti.

E la regione in cui si soffre di più il problema del sovraffollamento: circa 1.000 detenuti in più (3.600 detenuti su una capienza di 2.600), e circa 600 agenti in meno. "Questo non è una problema di competenza della Regione - hanno chiarito Stefano Bianchi, Cgil, Paolo Caselli, Cisl, e Mauro Lai, Uil -. Ma ci sono invece altre questioni su cui la Regione potrebbe invece darci una mano: per esempio, il problema abitativo, quello dei trasporti, o quello della formazione". Su un totale di 3.000 persone - 2.600 poliziotti e 400 amministrativi - l’80% viene da fuori regione.

"Molti hanno interesse a stabilizzarsi sul territorio - hanno detto i rappresentanti sindacali - e quella della casa è la prima questione". Secondo problema, i trasporti: buona parte dello stipendio di 1.000 - 1.100 euro se ne va in viaggi. Altra questione delicata, la formazione: "facciamo corsi per imparare a sparare - hanno detto - ma non, per esempio, per imparare le lingue, che invece sarebbero molto utili, vista la multietnicità della popolazione detenuta".

"I problemi sono tanti e diversi - ha osservato Martini - Il rischio è che la domanda si spezzetti in tanti rivoli, con tanti interlocutori diversi. Proviamo invece a mettere insieme le diverse questioni, a definire una sorta di intesa globale. Per i settori in cui abbiamo competenze e strumenti (diretti o in convenzione) possiamo trovare soluzioni, ma è fondamentale avere un quadro complessivo". La questione ora sarà portata anche all’attenzione della giunta.

Chiarimento sull'articolo "Opera: regala un libro al carcere..."

 

Nella news dello scorso 21 giugno abbiamo pubblicato l'articolo "Opera: regala un libro al carcere, per arricchire la biblioteca", che avevamo tratto dal notiziario di Redattore Sociale.

Al riguardo ci è arrivata una lettera della Dott.ssa Emanuela Costanzo, dell'Associazione Biblioteche Carcerarie Cattedra di biblioteconomia e bibliografia - Università degli Studi di Milano.

Di seguito pubblichiamo integralmente la lettera.

 

"Stiamo ricevendo diverse richieste di contatti con la società E-Skill citata nel testo, con la quale l’Associazione Biblioteche Carcerarie (ABC), domiciliata presso la Cattedra di biblioteconomia dell’Università Statale di Milano, non ha niente a che vedere.

Probabilmente, l’equivoco nasce dal fatto che l’ABC ha gestito per 12 anni la biblioteca del carcere di Opera, in forma totalmente gratuita e volontaria, svolgendo attività di formazione e inserimento lavorativo dei detenuti.

Lo scorso gennaio la nuova direzione del carcere ci ha invitato ad abbandonare le attività in corso, con la motivazione che non le riteneva più necessarie, rispetto a nuove priorità cui intendeva rivolgersi. Dal giorno 19 gennaio 2004, dunque, i bibliotecari dell’ABC non sono più entrati nel carcere di Opera.

E mi permetto un’ulteriore delucidazione riguardo l’articolo: a quella data, la dotazione di libri della biblioteca detenuti ammontava a circa 8000 titoli, che spaziavano nei più diversi campi del sapere, con particolare attenzione alla narrativa italiana e straniera (compresi alcuni volumi in lingua araba), e non era dunque una biblioteca, come si dice nell’articolo, "piena di libri Harmony, di polverosi libri di testo e vecchie edizioni di classici che di certo non offrono ai detenuti alcuno stimolo alla lettura".

A ciò si aggiunga che, sempre a quella data, era in corso una convenzione col Sistema Interbibliotecario di Rozzano, della quale ci eravamo fatti promotori e garanti dal 1998, che allargava la disponibilità di libri per il carcere all’intero patrimonio del Sistema Interbibliotecario stesso; si tratta di più di 100.000 volumi, ai quali i detenuti avevano accesso grazie al settimanale servizio di prestito interbibliotecario.

La biblioteca carceraria, in tal modo, era entrata a far parte del circolo delle biblioteche operanti sul territorio, e pertanto era stata dotata, oltre al resto, del software di catalogazione automatizzata Tin Lib, che il Sistema Interbibliotecario di Rozzano aveva offerto gratuitamente e del quale garantiva periodico aggiornamento.

È questa la prospettiva in base alla quale abbiamo svolto la nostra attività all’interno del carcere di Opera, sempre in perfetto accordo con i precedenti Direttori e con il DAP di Roma (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). Tali istituzioni hanno attivamente partecipato anche ai due convegni nazionali sulle biblioteche carcerarie che si sono svolti a Rozzano (2001) e a Sassari (2003), e i cui atti sono stati pubblicati dall’Associazione Italiana Biblioteche.

Sempre in questa prospettiva siamo in contatto anche con altre carceri italiane (Roma, Ravenna, Torino, Como, per citarne alcune), sulla scorta delle linee guida dell’IFLA e dell’UNESCO riguardanti le biblioteche di carcere e di pubblica lettura.

Tutto ciò per dire che, per quanto encomiabili siano le iniziative volte a sollecitare donazioni di libri per le carceri, esse non sono sufficienti a creare una biblioteca o comunque a fare promozione culturale: infatti, affinché i libri donati vengano richiesti dai loro destinatari, ci vuole chi li gestisca, li organizzi e li faccia circolare.

Siamo molto contenti, dunque, di apprendere che la direzione del carcere di Opera sia tornata a pensare alla biblioteca, anche se ribadiamo di non avere contatti di sorta con la società suddetta che se ne sta occupando".

 

 

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