Rassegna stampa 30 giugno

 

Livorno: detenuto si impicca nella sezione di "Alta Sicurezza"

 

La Nazione, 20 giugno 2004

 

Un detenuto per reati legati alla mafia, D.B., di 45 anni, si è suicidato ieri alle 15 al carcere Le Sughere, impiccandosi con la cintura dei pantaloni. Già tre giorni fa aveva provato a farla finita usando una bomboletta di gas da campeggio infilata in una busta con cui si era avvolto la testa.

Le esalazioni del gas fuoriuscite dalla busta avevano attirato l’attenzione degli agenti penitenziari che in quell’occasione sono riusciti a salvarlo. Trasferito nella sezione di Alta Sicurezza, sotto stretta sorveglianza, ieri è riuscito ad eludere ogni controllo. La cronica carenza di personale delle Sughere, più volte denunciata dai sindacati, potrebbe aver facilitato il gesto del detenuto che sembra fosse afflitto da crisi depressive.

Avezzano: detenuto morto, 3 agenti indagati per omicidio

 

Il Messaggero, 30 giugno 2004

 

Clamorosa svolta nelle indagine sulla morte in carcere del giovane marocchino che, secondo, i primi accertamenti fu catalogata come suicidio. Oggi invece si viene a sapere che quello avvenuto nel reclusorio del capoluogo marsicano sarebbe stato un omicidio.

È quanto prefigura un provvedimento della Procura della repubblica presso il Tribunale di Avezzano, che ha inviato a tre agenti della Polizia carceraria ed a tre detenuti sei avvisi di garanzia nei quali si ipotizza, rispettivamente, il reato di concorso in omicidio e di favoreggiamento. Sono appunto questi gli sviluppi nell’inchiesta sul marocchino trovato morto nel carcere di Avezzano il 13 maggio scorso.

Il magistrato inquirente, Anna Maria Tracanna, dopo il rinvenimento del cadavere decise di non autorizzare la tumulazione della salma e di incaricare il prof. Sacchetto dell’Università di Roma per un esame autoptico. E proprio l’autopsia sembra abbia evidenziato aspetti non del tutto chiari nella morte del giovane extracomunitario, dal momento che sarebbero state individuate, per esempio, lesioni in varie parti del corpo, dovute molto probabilmente a percosse. È per questa ragione che subito dopo la Criminalpol di Roma fu incaricata di effettuare accertamenti nella cella dove era stato trovato il corpo dell’extracomunitario, appeso ad un gancio con un lenzuolo.

Durante i controlli all’interno del carcere furono sequestrati diversi fascicoli e furono ascoltati anche alcuni operatori penitenziari. Da una prima ricostruzione dei fatti sembra che il marocchino Mohamed Agrufai, 20 anni, visibilmente ubriaco avesse avuto un violento litigio con gli altri carcerati che dividevano la stessa cella e sembra che il giovane abbia dato più volte in escandescenze.

È per questo che gli agenti che erano di guardia quella notte decisero di isolarlo. Ma all’alba fu ritrovato impiccato ad un gancio con un lenzuolo. Dalle indagini degli uomini del Commissariato incaricati dalla Procura di fare piena luce sulla tragica vicenda, emersero però subito delle contraddizioni nella ricostruzione dei fatti che hanno portato poi all’inchiesta in corso per concorso in omicidio da parte di tre agenti che prestano servizio nel carcere di San Nicola di Avezzano. Non si escluderebbe tra l’altro che il marocchino morto per soffocamento, così come accertato dai periti, sia stato pestato prima della sua tragica fine.

Sembra anche vero però che l’extracomunitario più volte avrebbe minacciato di suicidarsi. Sarà ora il magistrato a stabilire la verità dei fatti nel prosieguo delle indagini. La salma per adesso riposa nel suo paese natale. È stata infatti la madre che non vedeva il figlio da cinque anni, e che viveva a Roma, a decidere di tumularlo in Marocco.

Firenze: sabato presidio davanti al carcere di Sollicciano

 

Nove da Firenze, 30 giugno 2004

 

Comunità di base delle Piagge, Dentro e Fuori le mura, Centro Popolare Autogestito Fi sud, Comunità di base dell’Isolotto, Fuori Binario, Laboratorio per la Democrazia, Firenze Social Forum organizzano per sabato 3 luglio un presidio davanti al carcere di Sollicciano, dalle ore 9.30 alle 18.30.

Tre morti in poco più di una settimana. Kaled ha 32 anni, venerdì 11 giugno, mentre gli altri compagni di cella sono all’aria, si impicca nel carcere di Sollicciano. Qualche giorno prima un altro ragazzo si intossica con una dose massiccia di psicofarmaci. Sempre più frequenti sono i casi di autolesionismo. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli intollerabili, con 1.053 detenuti in una struttura costruita per 400 persone; il lavoro è un privilegio riservato a una estrema minoranza.

Cronica la carenza di farmaci (anche salvavita), per le visite specialistiche fissate dopo mesi, per le cartelle cliniche mai consegnate. Mentre l’arrivo del caldo estivo peggiora questa situazione già grave per le restrizioni che a tutt’oggi sostanzialmente permangono. Tra l’altro sono state sigillate le finestre e ridotta la "socialità". L’unico strumento dei detenuti per migliorare la propria condizione, "la commissione dei detenuti" creata nel 1998, è stata progressivamente depotenziata nel corso dell’ultimo anno, soprattutto attraverso la limitazione degli incontri con le associazioni esterne.

Milano: chiude l’Associazione "SOS Carcere e Giustizia"

 

Ansa, 30 giugno 2004

 

"Le istituzioni sono assenti nelle periferie dove i giovani incontrano più facilmente il crimine e non sono interessate a intervenire seriamente nel mondo carcerario dove le violenze e le istigazioni al suicidio sono in crescita".

Lo ha affermato Antonio Santoiemma, 54 anni di cui 15 di penitenziario alle spalle, fondatore dell’associazione SOS carcere e Giustizia. Dopo otto di lavoro nel campo della solidarietà l’ente ha chiuso. "Sono stanco, demotivato e senza aiuti concreti - ha spiegato in conferenza stampa -.

Le vittime non solo i carcerati, basta pensare ai tagli alla sanità carceraria, ma anche le guardie. C’è la volontà ministeriale e dei dirigenti di far passare la linea dura, di trasferire chi denuncia maltrattamenti o condizioni di vita orribili".

Santoiemma, che oggi vive onestamente lavorando come idraulico ed elettricista senza negare "un passato balordo", ha comunque deciso di fondare una cooperativa sociale per persone svantaggiate. Ma il suo chiodo fisso rimane la condizione dei detenuti: "se non si dà loro un lavoro vero tutto si trasforma in chiacchiera, ma le istituzioni cittadine sono assenti".

Campania: minori detenuti non passeranno in istituti adulti

 

Ansa, 30 giugno 2004

 

Il momento del passaggio, al compimento dei 21 anni, di un detenuto in un carcere per adulti, risulta sempre traumatico. I giovani conoscono una realtà difficile, vengono a contatto con personaggi della malavita e rischiano di essere presto inglobati nelle organizzazioni criminali. È questa la riflessione che ha spinto i vertici dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile ad elaborare in Campania un progetto, unico in Italia, per consentire ai giovani, condannati dai tribunali per i minori, di poter scontare il resto della pena in istituti idonei. L’accordo di programma è stato sottoscritto oggi a Poggioreale tra il provveditore regionale amministratore penitenziaria della Campania, Tommaso Contestabile, e il direttore del Centro per la giustizia minorile per la Campania e il Molise, Sandro Forlani.

Sono due gli istituti che saranno coinvolti in questa esperienza che si inserisce nell’ambito delle attività per la rieducazione e il reinserimento sociale dei giovani detenuti: Arienzo, in provincia di Caserta, e San’Angelo dei Lombardi, la nuova struttura inaugurata nell’aprile scorso. Due istituti - come è stato spiegato nel corso della conferenza stampa - dove non si registra, tra l’altro, il sovraffollamento presente in altre strutture.

Il primo ospita attualmente appena un centinaio di reclusi, mentre il carcere irpino, proprio per la sua modernità, è quello che si presta maggiormente all’attuazione di un programma innovativo. "Il passaggio in un carcere di adulti rappresenta una situazione di grosso choc, anche sotto il profilo psicologico - ha spiegato Contestabile - Questo accordo, primo in Italia, si inserisce in un percorso protetto per aiutare i ragazzi ad essere reinseriti nella società".

Contestabile ha sottolineato che comunque "l’obiettivo finale resta sempre quello di una forma alternativa alla detenzione", con l’inserimento nei servizi sociali e nelle attività lavorative. Sull’importanza del lavoro nell’ambito del percorso di recupero si sono soffermati anche Forlani ("la centralità del lavoro è una condizione essenziale per il recupero") e il direttore dell’Ufficio dell’esecuzione esterna del provveditorato campano, Dolorosa Franzese. La popolazione carceraria in Campania composta da giovani tra i 18 e i 25 anni è di 1700 reclusi su circa 6500, pari al 30 per cento. "È un dato alto rispetto al panorama nazionale, Va tenuto presente che qui da noi vi è un altissimo livello delinquenziale accompagnato dalla presenza delle organizzazioni criminali e dalla mancanza di sbocchi lavorativi".

Civitavecchia: i bravi cuochi del carcere di via Tarquinia

 

Il Tempo, 30 giugno 2004

 

È terminato ieri, martedì 29 giugno, presso il carcere di via Tarquinia il progetto integrato organizzato dal Centro Territoriale Permanente e l’Istituto Alberghiero di Civitavecchia. Il progetto sostenuto dal dirigente del Centro, professore Vincenzo La Rosa e dalla preside Giuseppina Maniglia, è stato attuato grazie alla disponibilità della dottoressa Silvana Sergi, direttrice del carcere di via Tarquinia e all’impegno attivo dei docenti Stefania Grenda, Saverio D’Elia e Emanuele Corrianò.

Che hanno voluto preparare delle figure di aiuto cuoco tra i detenuti per un eventuale inserimento sociale. Il corso è stato sviluppato in centoventi ore di lezioni, di cui quaranta ore di lezioni teoriche ed ottanta di lezioni pratiche, più uno stage di lezioni esterne svoltesi presso tre ristoratori della zona. E sono stati proprio i ristoratori a dare ieri il giudizio finale sui piatti preparati in occasione delle prove di chiusura.

Un successo per gli studenti che si erano impegnati con molta serietà. Soddisfatti della riuscita del corso gli insegnanti che hanno notato l’interesse dimostrato dagli allievi. Presenti a tutte le lezioni infatti hanno dimostrato la volontà di iniziare una nuova vita, una volta che saranno usciti dal carcere. Per superare, a quel punto la reclusione in una mentalità ristretta che li ghettizzerebbe nel mondo degli emarginati sociali. Importante invece è per i reclusi dimostrare che gli anni trascorsi dietro le sbarre non sono stati spesi inutilmente ma sono serviti a dare un forte input ad un loro nuovo modo di operare nella quotidianità.

D’altro canto l’Istituto Alberghiero, con sede nella Villa dei Principi Elettra, dell’Istituto Comprensivo, con il corso ha operato attivamente con un percorso breve e forse proprio per questo è risultato molto interessante per un concreto inserimento nel tessuto sociale e nel mondo del lavoro in particolare. Uno spiraglio positivo per i reclusi dopo tanta negatività accumulata nella loro vita. Con la speranza che la loro vita sia orientata verso un futuro che li riscatti e che li prepari ad essere integrati in ogni aspetto nella società. A cominciare da un’ occupazione specifica.

Prato: testimoni di giustizia abbandonati dallo Stato

 

Il Tempo, 30 giugno 2004

 

Hanno aiutato lo Stato contro la criminalità e ora sono stati abbandonati. Sono i "testimoni di giustizia", status giuridico definito per legge che li distingue dai "collaboratori". I testimoni sono persone per bene che hanno deciso di aiutare la legge, i pentiti criminali che hanno scelto di cambiar vita.

Ma la vita è cambiata anche per i "testimoni": hanno lasciato la loro casa, i loro amici. Qualche volta anche i loro familiari. Hanno perso la loro identità: gettato alle ortiche titoli di studio, lavoro qualche volta anche aziende in attivo per un uno "stipendio" tra i 500 e i 1.000 euro al mese.

Lo Stato assiste circa 80 testimoni di giustizia con le loro famiglie: un programma di protezione che dura in media da cinque ai sette anni ma per alcuni dopo non si apre una nuova vita. Si sprofonda nel delirio di vivere un’esistenza da fantasmi: senza più il proprio nome lontano da tutto senza passato e senza futuro. Per denunciare questa situazione domani a Prato verrà presentato presso la Curia vescovile di Prato un dossier a cura dell’Associazione Ezechiele.

Un esempio? Giovanna si era laureata in lingue e aveva lasciato il paesello in provincia di Crotone per lavorare in Francia a pochi chilometri da Parigi. Era il 1991. La vita, come si dice, le sorrideva ma al suo paese una faida seminava lutti. La sua famiglia fu convinta dagli investigatori a collaborare e da quel momento la vita entrò in un tunnel.

"Dovetti lasciare il Lavoro in Francia - racconta Giovanna che insieme ad altri 15 testimoni di giustizia fa parte dell’Associazione Ezechiele di Don Marco Natali - Con la famiglia, i genitori e altri due fratelli, fummo trasferiti, sotto protezione in provincia dell’Aquila. Un anno dopo altro trasferimento a Roma". Il ministero dell’interno si prende cura di tutta la famiglia: una casa che però da oggi dovrebbero lasciare, un lavoro presso il Pon, un ufficio del Dipartimento di pubblica sicurezza. Nuova identità, falsa. "Ci hanno dato nuovi nomi - spiega Giovanna - ma la mia laurea si è dissolta: non potevo rivendicare il titolo di studio intestato a un’altra persona. Non posso fare concorsi. E il lavoro al ministero si è rivelato un inferno. Il personale, tutti poliziotti, trattavano mia sorella e me con sufficienza. "Non sapete fare nulla. Non avete mai lavorato", erano le considerazioni quotidiane. Ma perché? Sono poliziotti dovrebbero capire le difficoltà di chi per servire lo Stato e la giustizia è stato a lungo fuori da tutto: nascosto. Un morto vivente. Neppure il medico di fiducia".

Giovanna si dimette e ora al ministero dell’Interno dicono che è solo colpa sua. "Ma il mobbing subito? E poi io laureata costretta a fare un lavoro sconosciuto - confessa Giovanna - almeno un po’ di comprensione". I colpevoli degli omicidi grazie alla testimonianza di Giovanna e dei suoi familiari ora sono in carcere: ergastolo. "Ma anche per noi è una galera. Dimenticati dallo Stato", si lamenta Giovanna. Intanto l’Associazione Ezechiele ha scritto ai ministri Tremonti e Castelli per denunciare sperperi di risorse umane e finanziarie: "Lo Stato non riesce a reinserire 50 testimoni di giustizia è uno Stato che non dà fiducia", è la denuncia di don Marco Natali.

Casal del Marmo: nuove iniziative per la formazione dei minori

 

Redattore sociale, 30 giugno 2004

 

Per il prossimo anno scolastico sono in cantiere nuove iniziative per la formazione dei minori presenti nell’istituto penale minorile di Casal del Marmo. Le ha illustrate nei giorni scorsi Luigi Nieri, assessore del Comune di Roma alle Politiche per le Periferie, per lo Sviluppo Locale, per il Lavoro. I progetti prenderanno il via a settembre sia dentro l’istituto che fuori, rivolti anche ai ragazzi che gravitano nell’area penale esterna, ospiti di case di accoglienza o comunque entrati in contatto con il circuito penale.

Obiettivo, ha rilevato Nieri, "è quello di creare un meccanismo virtuoso che segua passo passo il reinserimento socio-lavorativo dei ragazzi attraverso varie fasi, costantemente seguite, monitorate e accompagnate dall’Amministrazione comunale".

Il progetto si inserisce in un percorso cominciato dal Comune di Roma nel maggio 2003 con l’apertura di uno sportello integrato di orientamento "La bussola", che ha lo scopo di fornire informazioni lavorative, educative e culturali ai ragazzi detenuti nell’Istituto.

"L’idea – ha spiegato l’assessore - è quella di creare i presupposti per dare stabilità all’intervento comunale seguendo le diverse fasi, che vanno dal radicamento dell’orientamento alla strutturazione della formazione, per poi successivamente far sfociare l’intervento stesso in un inserimento lavorativo attraverso tirocini, stage, borse lavoro e progetti di auto-imprenditoria. Un’impresa ambiziosa, ma nella quale vale la pena di investire risorse per dare una possibilità concreta ai giovani, una possibilità che vada al di là degli interventi emergenziali e che miri a stabilire buone prassi che diventino regola, anziché caso esemplare".

La grande innovazione è che il Comune di Roma gestirà direttamente i progetti attraverso la II U.O. - Formazione Professionale del Dipartimento XIV: saranno messe a disposizione le competenze, le professionalità, le risorse umane e logistiche dei suoi Centri di Formazione Professionale (Cfp).

Il nuovo progetto che riguarda la formazione intende sfruttare anche le informazioni raccolte dagli operatori dello sportello "La bussola" nel primo anno di esperienza, per individuare i fabbisogni formativi che saranno soddisfatti a loro volta dagli operatori dei Cfp, i quali interverranno sia all’interno che all’esterno dell’istituto con progetti pensati ad hoc per l’utenza di riferimento. Sull’utenza esterna si lavorerà sugli obblighi formativi, su quella interna verranno realizzati progetti mirati differenziati per ragazzi e ragazze, per far acquisire competenze specifiche concretamente spendibili nel mercato del lavoro. La progettazione completa e dettagliata dei corsi sarà disponibile alla fine di luglio e verrà concordata con l’area trattamentale dell’Istituto penale minorile.

Ecco perché un lutto vissuto in carcere fa ancor più male

 

Vita, 30 giugno 2004

 

La testimonianza di un detenuto che racconta il modo in cui ha vissuto la scomparsa di persone a lui care. Si fa presto a dire che la morte colpisce tutti indistintamente, in realtà in carcere colpisce con molta più violenza: perché se sta morendo una persona che ti è cara, tu non puoi fare quasi nulla per esserle accanto, né puoi avere notizie tempestive sul suo stato di salute, e poi perché forse ti faranno andare al funerale, ma scortato e con neppure il tempo di piangere. Lo spiega bene, nella sua testimonianza, un detenuto che negli anni della sua carcerazione è stato tante volte spettatore impotente delle sofferenze di chi sa che qualcuno, a casa sua, sta male, ma sa anche di essere condannato a non parteciparne i dolori.

 

Ornella Favero

 

Ancora una volta in carcere mi è capitato di assistere alla peggior cosa che possa succedere a un essere umano: il decesso di un proprio caro. Ancora una volta ho visto con i miei occhi quanto, in casi come questo, la persona detenuta sprofondi nell’inutilità e nell’impotenza, e quanto il sistema carcerario ci metta del suo, per farla sentire ancor più inutile e impotente. Sembra che esista una volontà, anzi una legge beffarda (certo, non scritta) tesa a far sì che tu - carcerato - prenda tanto più coscienza del tuo esser niente quanto più sono delicati e dolorosi i momenti che stai attraversando. Una morte in famiglia è una tragedia comunque, ma se accade improvvisamente e per circostanze fortuite (come nel caso di un incidente stradale) bene o male si è costretti a rassegnarsi di fronte alla propria inutilità e impotenza.

A volte, anzi più spesso, la morte di una persona cara è "anticipata" invece dai segni premonitori della malattia e dal suo successivo, fatale, decorso: in questi casi un parente "normale", un parente libero, ha tutto il tempo di prepararsi all’evento e di rendersene in qualche modo partecipe, facendo sentire il calore della propria presenza e del proprio affetto. Ed è appunto in casi come questi che il carcere mostra il suo volto più duro, e più irrispettoso della tua natura di uomo che ha fatto quel che ha fatto e che ora giustamente paga per i suoi errori, per carità, ma che comunque è un uomo. Quando ci viene comunicato che un nostro familiare è gravemente malato, solitamente da parte del detenuto inizia la trafila delle richieste per essere avvicinato il più possibile a casa.

Se sei fortunato devi comunque sottostare a dei tempi di attesa che il più delle volte diventano talmente lunghi che, prima ancora di partire per casa, rischi di ricevere il telegramma di decesso avvenuto. Certo non chiedo che in simili circostanze al detenuto venga concesso qualcosa di particolare. Vorrei soltanto che in queste circostanze almeno affiorasse, nella logica pur ferrea delle misure di sicurezza carcerarie, un maggior senso di umanità nei confronti del detenuto che comunque, in quel momento, sta affrontando una tragedia privata. Il massacro dei sentimenti non ha nulla a che vedere con l’espiazione della pena.

 

Luigi Auletta - Casa di Reclusione di Padova

Milano: presentato il "Rapporto sui diritti globali 2004"

 

Redattore sociale, 30 giugno 2004

 

Presentato oggi pomeriggio, al Centro culturale San Fedele, in piazza San Fedele 4, Milano, il "Rapporto sui diritti globali 2004": una fotografia sullo stato dei diritti in Italia e nel mondo. Un rapporto realizzato dall’Associazione Società Informazione e promosso da Cgil, Arci, Antigone, Legambiente e Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza). La presentazione sarà animata da un dibattito, cui tra gli

altri parteciperanno Gad Lerner, Roberto della Seta, presidente nazionale Legambiente e Giorgio Rolo, segretario generale Camera del lavoro di Milano, Bartolomeo Sorge, direttore di Aggiornamenti socialio e Popoli.

"Il rapporto - ci racconta il suo curatore Sergio Segio - fa una disamina della situazione dei diritti globali suddividendoli in quattro macro aree: diritti sociali e umani, diritti economici e sindacali, diritti ambientali, diritti civili e politici". E aggiunge: "Mi pare di potere affermare che le novità di questo rapporto siano sostanzialmente due. La prima è che i diritti sono trattati come fenomeno globale, visti senza cavillose specificazioni settoriali. La seconda è che con questo lavoro si intende favorire un dibattito che faccia luce sulla questione scottante e delicata dei diritti, a beneficio, tra l’altro, di quanti fanno leggi su materie che dovrebbero conoscere e invece ignorano".

E parlando dei temi trattati dal rapporto Segio porta ad esempio quelli sulla droga e quelli dei malati psichiatrici. Ai quali lega una sua riflessione sulle proposte di legge giacenti in Parlamento.

"Se passase la proposta di legge in materia psichiatrica promossa dal governo - spiega Segio -, con l’ipotesi di riapertura dei manicomi, si farebbe fare alla cultura legislativa sulla psichiatria e ai diritti sociali un passo all’indietro di trent’anni". Poi, compiendo invece una riflessione sulla legge Fini sulla droga, Segio prevede "uno sciagurato tracollo delle carceri con ulteriore arretramento dei già ridimensionati diritti dei detenuti".

Nel rapporto è presente anche un intervento di Tom Benettolo, il presidente dell’Arci recentemente scomparso. Del quale Segio dice: "Mi piace ricordare la profonda riflessione di Tom Benettolo che proprio sui diritti sociali indica la viva necessità di un cambiamento da perseguire facendo convergere in uno sforzo comune le energie dei movimenti, quelle dei sindacati e quelle della politica".

Droghe: è allarme per l’aumento del consumo tra i giovani

 

Ansa, 30 giugno 2004

 

Il 13 per cento degli italiani tra i 15 e i 34 anni fa abitualmente uso di droga. È uno dei dati più rilevanti che emergono dalla "Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia", realizzata dal Dipartimento nazionale per le politiche antidroga e che sarà consegnata a giorni al Parlamento.

Nella lunga relazione vengono riportati e analizzati i dati del ministero dell’Interno, della Difesa, della Salute e della Giustizia, nonché quelli forniti da differenti enti e istituti di ricerca: ne emerge un quadro, come lo ha definito nei giorni scorsi il capo del dipartimento Nicola Carlesi, "particolarmente preoccupante", soprattutto per quanto riguarda i giovani.

 

Il 13% di italiani tra i 15 e i 34 anni fa uso di droga

 

Dalla relazione emerge che il 13,2% degli italiani tra i 15 e i 34 anni fa uso di droga. La percentuale scende al 7,3% della popolazione tra i 15 e i 54 anni, ma sale al 17% se si prende in considerazione la fascia d’età tra i 15 e i 24 anni. Le sostanze più diffuse tra i 15 e i 34 anni (12,8%)sono hashish e marijuana. Il consumo di oppiacei si ferma allo 0,3 % della popolazione, mentre quello della cocaina raggiunge il 2,3%, crack incluso. Lo 0,7%, invece, preferisce l’ecstasy e lo 0,6% si orienta verso gli allucinogeni. C’è, infine, uno 0,6% della popolazione che sembra seguire la strada dei meninos de rua brasiliani, che sniffano la colla, drogandosi con vari tipi di solventi.

 

Uno studente su 3 si droga, hashish e marijuana le preferite

 

Uno studente su tre (32,9%), tra i 15 e i 19 anni, fa abitualmente uso di almeno una sostanza stupefacente. La percentuale scende leggermente, attestandosi al 27,6%, se si considerano anche le ragazze, ma il dato resta comunque alto. La quasi totalità fa uso di hashish o marijuana (27,4%) ma c’è un numero di ragazzi e ragazze tra i 15 e i 19 anni che si è iniettato eroina (1,1%, tra i soli quindicenni la percentuale è dell’1) e ben il 4,5% che fa uso di cocaina. Il consumo dell’ecstasy è al 2,6% e quello di Lsd al 2,3%, mentre il 3,7%, nonostante l’età, prende abitualmente sedativi e ipnotici.

 

429 i morti per droga nel 2003, - 17% rispetto al 2002

 

Sono 410 italiani e 19 stranieri i morti in Italia nel 2003 per droga. Rispetto al 2002, quando le persone decedute furono 529, c’è stato un calo del 17%. A pagare il prezzo più alto sono i consumatori storici, compresi nella fascia d’età tra i 30 e i 34 anni (84 morti) e oltre i 40 anni (80 morti).

 

Sequestrati oltre 46 mila kg di droga, - 10% rispetto al 2002

 

Nel 2003 sono stati sequestrati complessivamente 46.867 chili di droga, un 10,25% in meno rispetto al 2002 (i sequestri ammontarono a 52.218 chili). Il calo, secondo quanto riportato nel rapporto 2003 sulla droga del Dipartimento di pubblica sicurezza, ha riguardato soprattutto le droghe sintetiche (- 41,11%) e le piante di cannabis (- 35,64%). In particolare, nel 2003 sono stati sequestrati 2.582 kg di eroina, 3.521 chili di cocaina e 40.470 di cannabis.

 

Un quarto dei detenuti è tossicodipendente

 

Più di un quarto dei detenuti nella carceri italiane è tossicodipendente: dei 54.237 detenuti (17.007 stranieri), infatti, 14.332 (3.190 stranieri) hanno problemi legati alla droga. Di questi la maggioranza sono uomini (13.709) mentre le donne sono "soltanto" 623. I detenuti tossicodipendenti malati di Aids sono 1.056. Quanto ai minori che fanno utilizzo di droga, nel 2003 si registra un calo rispetto all’anno precedente. Se nel 2002 erano 1.100 quelli che avevano avuto a che fare con centri di prima accoglienza, istituti penali e uffici di servizio sociale per minorenni e comunità, nel 2003 il numero si è fermato a 938.

 

Oltre 700 militari scoperti a drogarsi, maggior parte al sud

 

Anche le caserme non fanno eccezione: nel 2003 i militari sorpresi a drogarsi o comunque scoperti nell’utilizzare sostanze stupefacenti, sono stati 738. La percentuale più alta è al sud, con 322 soldati beccati dai superiori.

 

126 mila in carico ai Ser.T., aumentano i nuovi casi

 

Sono 126.983 le persone in carico ai Ser.T., un numero leggermente superiore a quello del 2002 (126.204). I nuovi casi, però, sono passati dai 32.847 del 2002 ai 33.628 dell’anno scorso. Sostanzialmente identico, invece, il numero delle persone affidate a strutture socio-riabilitative: dai 19.088 del 2002 ai 18.945 del 2003. Quanto alla tipologia degli utilizzatori dei Ser.T., calano i consumatori di eroina (da 123.154 a 120.134) e aumentano quelli di cocaina (da 10.625 a 14.087) e di cannabinoidi (da 14.056 a 16.490).

Droghe: nel 2003 diminuite le persone denunciate o arrestate

 

Ansa, 30 giugno 2004

 

Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Interno nel 2003 diminuisce il numero di persone in stato di arresto (-7,79%), dei soggetti non rintracciati (-13,85%) e delle persone denunciate a piede libero (-21,14%) per reati connessi alla normativa sugli stupefacenti.

Il numero dei soggetti segnalati all’Autorità Giudiziaria è stato frazionato in relazione al reato loro contestato. Ed allora: rispetto ai denunciati per associazione (il 9,12% del totale), la produzione e il traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope rappresentano ancora l’ipotesi delittuosa più ricorrente sul piano statistico. E questo anche se nel 2003 la variazione percentuale mostra un segno negativo del –11,70%. Trascurabile, invece, il numero dei denunciati per "altri fatti illeciti", anche se in aumento (+23,08%) rispetto al 2002.

Per i cittadini stranieri, è stato esaminato il dato relativo alla nazionalità dei denunciati, considerando le aree o le zone geografiche di provenienza. Ed allora: per l’Ue, come nel 2002, prevalgono gli spagnoli; per il resto d’Europa triste primato agli albanesi. Per l’Africa Nord-Occidentali prevalgono i marocchini mentre per il resto dell’Africa primato ai nigeriani (come nel 2002). Per l’Asia è notevole l’aumento dei filippini rispetto al 2002, mentre per le Americhe prevalgono i dominicani. In generale, tuttavia, ad esclusione dell’Australia e dell’Oceania (che presentano andamenti crescenti rispetto al 2002), le altre zone geografiche registrano variazioni tutte di segno negativo.

 

Persone decedute

 

A livello nazionale, il dato denota una riduzione generalizzata, sia sul totale delle persone decedute (429 nel 2003, erano state 519 nel 2002: -17,50%), sia nella ripartizione tra cittadini italiani (-7,34%) e stranieri (-20,83%). L’esame del dato, suddiviso per maschi e femmine e nazionalità di appartenenza, evidenzia un prevalere dei decessi nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni (107), seguita dalla fascia di età dei maggiori o uguali a 40 anni (93). Le donne decedute (58) rappresentano il 13,51% del totale nazionale, mentre i decessi riferiti agli stranieri (19) ricorrono nel 4,43% dei casi.

Droghe: p ricorso ad assistenza psicosociale e meno metadone

 

Redattore sociale, 30 giugno 2004

 

La Relazione al Parlamento evidenzia che i Ser.T. sono in una fase di profondo cambiamento, sia dal punto di vista degli utenti che dei trattamenti ad essi somministrati: più persone a cui viene data assistenza di "tipo psico-sociale e/o riabilitativo" e meno quelle per cui vi è somministrazione di metadone.

È, questo, un aspetto sicuramente importante che emerge dalla Relazione. Altro aspetto importante sul piano storico è quello del minore ricorso alle comunità. Di questo abbiamo voluto parlare con Maria Lori Zaccaria, vicepresidente dell’Ordine degli psicologi del Lazio e, non ultimo, professionalmente impegnata proprio in un Servizio pubblico per le tossicodipendenze.

"Personalmente non posso che confermare tale tendenza - afferma la Zaccaria -. Da tempo, infatti, c’è un’inversione di tendenza nell’uso di sostanze: più cocaina e cannabinoidi e meno eroina".

 

Un fatto epocale, frutto del cambiamento dei tempi…

"Sì, in generale l’analisi che posso fare è quella di un disagio che pervade tutta la collettività. Tempi di guerre, di depressione, che porta a fattori più depressivi che ansiogeni. Il tutto mescolato al mito dell’efficientismo e ai modelli correlati. In questo ambito, il ricorso all’uso di cocaina è la conseguenza principe".

 

Come ha influito tutto questo nella risposta dei servizi pubblici?

"La risposta è in un altro dato: da un anno e mezzo circa noto una maggiore consapevolezza in chi fa uso di sostanze psicotrope del proprio disagio psichico. Questo, però, solo da parte dei fruitori, perché la ‘cultura’ prevalente continua a pensarla diversamente. In altre parole, l’uso di sostanze viene recepito come un ‘vizio’ e non come indice di disagio.

Ciò premesso, a fronte di una maggiore consapevolezza ecco da parte dei fruitori anche una maggiore richiesta di interventi di tipo psicologico. In questo senso sta mutando l’approccio. E poi, per i cannabinoidi, non ci sono farmaci sostitutivi… Per cui ci si rivolge al servizio e, in linea di massima, l’intervento è di carattere psicologico".

 

Quali le differenze tra i fruitori del servizio?

"L’eroina porta a condividere l’esperienza, a viverla all’interno di un gruppo e, meglio, di un sottogruppo. Quando ho a che fare con una persona che fa uso di eroina, so che dietro ha un gruppo che fa riferimento a determinati ‘valori’ condivisi, dove primeggia l’idea di un dannato mitico. Chi fa uso di cocaina, invece, non ha tutto questo alle spalle. E’ un individualista, per lo più depresso, che dunque può avere consapevolezza del proprio disagio psichico. E magari può chiedere un sostegno psicologico. Chi fa uso di farmaci sostitutivi, invece, lo fa strumentalmente, magari perché ha difficoltà economiche e va a prendere il metadone in attesa di potersi rifare una dose".

 

Ma i Ser.T. sono preparati a questo tipo di risposte?

"Lo dico sinceramente: no. Soprattutto perché non sono mai state riempite le piante organiche. Nel Ser.T. dove lavoro eravamo in 10 psicologi, oggi siamo rimasti in 3. Ma forse al Nord c’è qualche possibilità in più".

 

Un ultimo aspetto: la diminuzione del ricorso alle comunità…

"Onestamente, per quello che è il mio osservatorio non mi risulta. La nostra attività come Ser.T. riguarda anche il carcere di Regina Coeli e posso dire, per esempio, che sono moltissime le richieste di ricorso alla comunità come pena alternativa al carcere, per esempio".

 

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